Politica, Filosofia, Teologia, e Antropologia ( "A passo d’uomo" - ma non ancora dell’uomo e della donna).

SIMMACO, PREFETTO DI ROMA, E AMBROGIO, VESCOVO DI MILANO. IL "LOGOS" E LA "CHARITAS" NON SI CAPISCONO E SI SCAMBIANO LE PARTI, IERI COME OGGI. Sulla "vecchia" polemica, un incontro di Salvatore Natoli e Rino Fisichella nel Duomo di Milano - a cura di Federico La Sala

mercoledì 24 ottobre 2007.
 


Ambrogio, la politica tra Stato e bellezza *

A.

Fisichella: «Nella creazione vedeva la mano di un artista»

«Insegna a noi, che vogliamo conoscere tutto solo a partire da noi stessi, l’estasi del bello»

di RINO FISICHELLA *

«Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato». Il lamento di Agostino, che lascia intuire la tristezza del suo animo, permette di entrare all’interno di quel desiderio profondo che anima ogni persona quando si trova di fronte alla bellezza. Ogni volta che viene percepita essa pone l’uomo in contemplazione, lo rapisce verso un’esperienza che la mente difficilmente riesce a comprendere fino in fondo e si coglie quanto troppo lunga sia stata l’attesa. Il tema della bellezza permea l’intera storia del cristianesimo; per nostra fortuna, la attraversa trasversalmente senza interruzione alcuna creando un vortice di sempre maggior conoscenza [...].

È un vero peccato che sia andato perso il testo di Agostino De pulchro et apto, ’Sulla bellezza e sul conveniente’, là avremmo trovato pagine intense per identificare la bellezza con l’amore. Da un frammento presente nelle Confessioni capiamo la sua prospettiva: «Io definivo il bello come ciò che si presenta bene in se stesso». Verità e bontà confluivano nella bellezza per esprimere al meglio l’unità dell’essere. Ireneo, Dionigi, Origene, Ambrogio... l’elenco ha solo l’imbarazzo di dimenticare qualcuno. In ognuno di loro la bellezza ha trovato un posto d’onore.

Ambrogio in modo particolare ha espressioni significative quando, ad esempio, nel suo Exameron spiega l’intera creazione alla luce della bellezza di Dio. Un breve passaggio come: «Dio prima ha creato le cose, poi le ha abbellite» è indice del suo modo di riflettere. Tutto ciò che esce dalle mani del creatore è plasmato della sua stessa bellezza. Il vescovo di Milano, passando in rassegna i sei giorni della creazione, paragona il creatore all’artista. «Come fanno coloro che scolpiscono nel marmo i volti e i corpi umani o li modellano nel bronzo o li riproducono con la cera», così Dio immette ogni giorno in ciò che crea una bellezza tale che potrà essere contemplata nel suo insieme a creazione completa.

La creazione porta con sé armonia e ogni cosa è fatta per essere in accordo con le altre; insomma, un’intelligenza suprema che compone un’opera d’arte. Un vero ’capolavoro’, scrive Ambrogio, che culmina nella creazione dell’uomo «suprema bellezza d’ogni essere creato». Al lettore poco attento potrà sembrare che tutto si risolva con Adamo e invece non è così. Ambrogio è troppo attento, speculativo e uomo di contemplazione per dimenticare il vero passaggio a cui questa bellezza conduce. «Veramente dovremmo mantenere un riverente silenzio, perché il Signore si riposò da ogni opera del mondo». La bellezza porta a quella serenità definita dai filosofi. L’uomo di Dio, da parte sua, la vede realizzata nel silenzio e nel riposo della contemplazione, là dove la meraviglia apre a una conoscenza sempre più nuova.

I Padri della Chiesa hanno colto con profondità questo mistero proprio perché ne erano affascinati. D’altronde solo se si ha il coraggio di immergersi nel mistero si diventa capaci di percepire la bellezza che da esso promana. Per noi, impenitenti razionalisti che vogliamo conoscere tutto solo a partire da noi stessi, diventa difficile porsi in atteggiamento estatico davanti alla bellezza. Essa, infatti, richiede di iniziare da lei, dalla forma che esprime e dalla proporzione delle sue forme per entrare con coerenza nel suo linguaggio. Se fossimo capaci di questo rapimento allora tutto potrebbe trasformarsi e gli occhi diventerebbero capaci di vedere ciò che spesso viene impedito perché troppo ricurvi su noi stessi. La bellezza allarga lo sguardo e allora l’intera creazione e l’uomo al suo culmine non più sottomessi alla violenza della tecnica potranno diventare di nuovo un inno di lode.

B.

Natoli: «Contro Simmaco fece trionfare la religione del Logos»

«Riducendo gli dei a favola, il cristianesimo fu una delle grandi forme della secolarizzazione»

di SALVATORE NATOLI *

Ambrogio nel 374 fu chiamato - si dice - per sedare una disputa, e non semplicemente teologica, tra nicenei ed ariani e ne uscì battezzato e, stando al suo biografo Paolino, eletto vescovo per acclamazione [...]. È vescovo, ed è politico. Ma è politico non perché voglia occupare lo spazio dello Stato, togliere le prerogative all’imperatore, ma perché rivendica per la Chiesa uno spazio di libertà pubblico e oggi diremmo anche identitario [...].

È però anche vero che Ambrogio non ebbe mai nessuna intenzione di rinunciare ai privilegi che i cristiani andavano a mano a mano acquisendo e non solo per loro merito, ma per protezione imperiale. Come si vede, la purezza della fede cristiana è stata, fin dall’inizio e inevitabilmente irretita nel gioco degli interessi. Per altro, quando si è minoranza si rivendica la libertà, quando si è maggioranza s’invoca la verità. Ora è proprio nel corso del IV secolo che il cristianesimo da minoranza si vien facendo maggioranza. E tuttavia la controversia con gli ultimi pagani, sia pure di grande interesse, è per molti versi residuale [...].

La polemica tra Simmaco ed Ambrogio resta istruttiva e a renderla attuale sono le sue irrisolte ambiguità, un singolare gioco delle parti. La vittoria che Ambrogio riporta su Simmaco - tale soprattutto alla luce del dopo - non mette affatto in liquazione gli argomenti avanzati dall’antico pagano, almeno in alcune sue parti. L’impero romano era ormai in crisi, ma né Ambrogio, né Simmaco ne vedono vicina la fine, meno che mai la vogliono. Ambrogio, poi, da romano qual era non se la augurava affatto. In ogni caso, l’impero romano era divenuto grande accogliendo gli dei di tutti e tutti gli dei. Nel contempo deperiva con essi. Il cristianesimo si presentava, allora, davvero come il nuovo. Ma nuovo, perché? Perché, per dirla con Weber disincantava il mondo. Il monoteismo - quello giudaico prima e cristiano dopo - riduceva i vecchi dei a favola e più che discacciarli li disfaceva.

Da questo punto di vista il cristianesimo si può considerare come una delle grandi forme di secolarizzazione. È davvero la religione del Logos [...]. Ora a fronte degli dei ridotti a favola, Simmaco deve cedere e tuttavia la forza della sua argomentazione risiede in questa sua semplice affermazione: «Non si può raggiungere un mistero così grande - dio, il divino - attraverso una sola via (uno itinere)». Qui Simmaco ha un colpo d’ala formidabile: il pagano intuisce per via politica - la libertà dei culti - che se dio è mistero nessuno può presumere di catturarlo e chi ritiene di farlo si assume indebitamente il monopolio della verità. Di qui prepotenze e violenze.

Il cristiano deve avere assoluta libertà di testimoniare - «Eritis mihi testes» - deve avere il diritto di proclamare innanzi a tutti che Gesù Cristo è il Signore, ma nulla può imporre in suo nome. E se il cristianesimo lo si vuol far valere solo in nome della sua tradizione, dei suoi valori - parola tutt’altro che cristiana - ereditati e trasmessisi si finisce per adottare, sia pur inconsapevolmente, gli argomenti di Simmaco e non quelli di Ambrogio [...]. Se il cristianesimo ha un futuro, se il futuro sarà dalla sua parte è per il fatto che il Regno di Dio non è di questo mondo. Sarebbe naufragato da tempo. L’avvenire possibile, se creduto, è il mondo redento. Per questo, quel che da laico mi dà ancora da pensare è la follia della croce. Certo non l’uso della fede per dare argomenti o fare da supporto ad un tipo di politica che di valori ne ha sempre meno o non ne ha affatto. Meglio allora Simmaco, il suo sapiente scetticismo, la sua disincantata malinconia: gli ultimi dei se ne vanno, usiamoli fino a che servono.


* Avvenire, 23.10.2007

Questa sera alle ore 21.00 a Milano all’interno del Duomo (con ingresso libero) si terrà ’Ambrogio e la politica’ ottavo evento ideato e moderato da Massimiliano Finazzer Flory in collaborazione con l’arciprete del Duomo di Milano monsignor Luigi Manganini nell’ambito di ’A passo d’uomo’.

Monsignor Rino Fisichella e Salvatore Natoli presenteranno due interventi (dei quali in queste colonne anticipiamo ampi stralci) che si inscriveranno in un ciclo di cadenza semestrale all’interno di un progetto quinquennale.


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Sul tema, nel sito, si cfr.:

La Chiesa di Costantino, l’Amore ("Charitas") e la nascita della democrazia dei moderni

"Dominus Iesus": RATZINGER, LO "STERMINATORE DI ECUMENISMO". Un ’vecchio’ commento del teologo francescano Leonard Boff.

-  GIOACCHINO, DANTE, E LA "CASTA ITALIANA" DELLO "STATO HEGELIANO" - DELLO STATO MENTITORE, ATEO E DEVOTO ("Io che è Noi, Noi che è Io").

-  IL NOME DI DIO. L’ERRORE FILOLOGICO E TEOLOGICO DI PAPA BENEDETTO XVI, NEL TITOLO DELLA SUA PRIMA ENCICLICA. Nel nome della "Tradizione"
-  "CHARISSIMI, NOLITE OMNI SPIRITUI CREDERE... DEUS CHARITAS EST" (1 Gv.4. 1-16).

-  TUTTO A "CARO-PREZZO": QUESTO "IL VANGELO CHE ABBIAMO RICEVUTO". IL VANGELO DI RATZINGER, BERTONE, RUINI, BAGNASCO E DI TUTTI I VESCOVI.

PER L’ITALIA. "DUE SOLI" ...Come MARIA: "FIGLIA DEL TUO FIGLIO", Così GIUSEPPE: "FIGLIO DEL TUO FIGLIO"!!! Dante non "cantò i mosaici" (Carlo Ossola) dei "faraoni", ma soprattutto la Legge del "Dio" di Mosè di Elia e di Gesù, del "Dio" dei nostri "Padri" e delle nostre "Madri".

FLS


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