di WALTER BARBERIS (La Stampa, 23/4/2009)
E’ ormai frequente, in occasione di anniversari che riconducano a momenti critici e controversi della nostra storia nazionale, sentire il richiamo a una memoria condivisa. Sembrano confondersi, tuttavia, in questo invito istanze diverse, sulle quali vale la pena riflettere. E in primo luogo per una questione assai semplice: che il termine memoria è ambiguo per definizione. Connota il giusto intento di trasmettere alle generazioni più giovani il patrimonio di esperienza di coloro che le hanno precedute. E, generalmente, indica l’esigenza di tenere viva la lezione che si presume ci abbiano lasciato avvenimenti tragici che hanno lacerato la nostra società.
Ma la memoria è soggettiva, individuale, e per di più incline a deteriorarsi, a perdersi, a peggiorare. La memoria è il risultato di sguardi particolari, che non possono essere modificati. Certo, si può affermare che esperienze comuni abbiano sedimentato una memoria collettiva. È vero. Ma sarà comunque impossibile conciliare, rendere omogenee, memorie legate a esperienze diverse, derivate da punti di vista e da adesioni personali o di gruppo totalmente differenti. Perché un partigiano dell’Ossola o della Langa dovrebbe rimodellare il suo ricordo per accordarlo con un reduce della Monterosa o della X Mas che gli fu nemico in quei mesi di scontri mortali fra il ’43 e il ’45? O viceversa. E quale memoria potrebbero condividere un italiano del Sud e uno del Nord rispetto a quegli avvenimenti?
Si deve intendere il termine memoria come metafora di qualcos’altro. Ovvero come il terreno su cui far germogliare un processo di riconciliazione nazionale, cioè quell’accordo fra visuali diverse e distanti che permetterebbe di mettere alle spalle il passato: con la concessione ai «vinti» di qualche risarcimento morale e di un conseguente restauro di immagine, e con la richiesta ai «vincitori» di una qualche forma di abiura e di cessione valoriale. Si potrebbe discutere sull’opportunità di una simile operazione; il fatto è che con tutta evidenza non funziona. Perché ogni guerra civile, dalla Rivoluzione Francese in avanti, ha sempre lasciato dietro di sé una scia di recriminazioni, di rese dei conti, di riscritture degli avvenimenti e una molteplicità di memorie differenti e antagoniste. Esattamente com’è successo in Italia.
La questione è ancora attuale, ma nasce nel profondo della nostra civiltà, quando la guerra del Peloponneso scosse la Grecia del V secolo a.C. Perché era successo - si chiesero i contemporanei - che Greci avessero combattuto altri Greci? Tucidide, sulle orme di Erodoto, mise a punto una procedura che pareva soddisfare quella richiesta di spiegazioni: si doveva fare un’inchiesta, to historein, cioè fare storia. Si doveva procedere a una ricostruzione degli avvenimenti capace di rispondere onestamente alle domande di verità; fornire un’interpretazione sorretta da prove certe. Allo stesso modo di un’indagine giudiziaria, o medica. È ancora questo di cui ha bisogno una qualunque comunità: una buona storia, non manipolata a scopi propagandistici, non piegata dallo spirito di parte.
La storia italiana è tutta segnata da elementi di frattura e dagli scontri di fazione. Non a caso il Foscolo, esordiva sulla cattedra di eloquenza all’università di Pavia, nel 1809, con queste parole: «O Italiani, io vi esorto alle storie, poiché niun popolo più di voi può mostrare né più calamità da compiangere, né più errori da evitare». E aggiungeva, come rimedio: «Amate palesemente e generosamente le lettere e la vostra nazione, e potrete alfine conoscervi fra di voi, ed assumere il coraggio della concordia». Parrebbero parole sensate anche oggi: condividere buoni studi e un’onesta ricostruzione dei fatti potrebbe corroborare la riconciliazione nazionale, dare prospettiva al Paese senza patteggiamenti pelosi su come ricordare il nostro passato.
Sappiamo bene che la Resistenza non ha accomunato gli italiani; è stata un’esperienza di pochi, geograficamente limitata; nonostante la vulgata comunista, non è stata solo una guerra di liberazione dallo straniero tedesco, ma anche e talvolta prevalentemente una guerra civile; non ha visto protagonisti soltanto partigiani comunisti, ma una pluralità di soggetti culturali e politici. E come tutte le guerre civili, ha trascinato dietro di sé uno sciame di vendette, di storie private confuse a storie pubbliche.
Ma ha avuto un senso preciso e un ruolo decisivo nella vita nazionale. Ed è di questo che oggi devono ragionare gli italiani, ben oltre le loro memorie personali o familiari; e di là da ogni bisogno di partito. L’Italia che guarda al futuro ha bisogno di una storia condivisa.
Non furono sagge le parole di De Gaulle, quando in omaggio a un impettito nazionalismo, per evitare alla Francia un serio esame di coscienza sul suo passato collaborazionista, nel 1969 disse: «Il nostro Paese non ha bisogno di verità. Ciò che gli occorre è la speranza, un po’ di coesione, uno scopo». Suonano stonati gli echi di quelle parole, quando si è alle prese in Francia come altrove con atteggiamenti razzisti e rigurgiti antisemiti.
Abbiamo viceversa un gran bisogno di verità, cioè di una storia plausibile, rigorosa nei suoi metodi di ricerca. E abbiamo bisogno della sua morale. Che in questo caso è assai semplice e può essere tranquillamente condivisa: nella storia mondiale del Novecento, ma si potrebbe dire sempre, la democrazia, per quanto imperfetta, si è rivelata il sistema politico migliore. Chi ha combattuto per la democrazia merita rispetto e gratitudine. Chi ha combattuto per regimi totalitari, in Italia come in Ungheria, in Argentina come in Cambogia, merita una riflessione, talvolta comprensione, ma non una postuma assoluzione.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
COSTITUZIONE, LINGUA E PAROLA.....
IL SONNO DELLA RAGIONE COSTITUZIONALE GENERA MOSTRI
"BIENNALE DEMOCRAZIA". LA "LINGUA" DELLA COSTITUZIONE E LA "PAROLA" DELLA POLITICA.
BERLUSCONI, IL 25 APRILE, E LA LIBERAZIONE DI TUTTA L’ITALIA
L’ARCA DELL’ALLEANZA O LA MANGIATOIA DELLA FATTORIA DEGLI ANIMALI?!!
L’AMORE NON E’ LO ZIMBELLO DEL TEMPO: "AMORE E’ PIU’ FORTE DI MORTE"
STORIA E FILOSOFIA. IL PENSIERO DELLA COSTITUZIONE E LA COSTITUZIONE DEL PENSIERO....
Veltroni colpisce ancora. Ovvero l’ignoranza della storia genera mostri
di Angelo d’Orsi *
Allora, il fatto è noto, almeno in cerchie dell’antifascismo. In un programma televisivo (“Le Parole”), il conduttore, Massimo Gramellini, giornalista, divenuto poi narratore di successo e anche intrattenitore del piccolo schermo, in occasione del 75esimo del XXV Aprile, non trova di meglio che intervistare Walter Veltroni. A cui dopo l’introduzione di rito (perché è così difficile per una parte del Paese accettare l’idea che la data della Liberazione costituisca una ricorrenza condivisa, un punto fermo nella identità nazionale della Repubblica) pone la domanda, ossia se non sembri all’illustre ospite (in collegamento...) che quella festa sia importante e che ogni cittadino di questa nazione dovrebbe sottoscriverla, senza polemiche fuori luogo. Ebbene l’intervistato annuisce gravemente, come se stesse facendo una importante concessione all’intervistatore. E ammette, che sì, il 25 aprile 1945 va ricordato e festeggiato, dal popolo italiano, non dimenticando però “la tragedia delle foibe”, su cui come per il 25 aprile non c’è il necessario unanime consenso.
C’è da strabuzzare gli occhi, fregarsi le orecchie, cercare conforto in qualcuno che eventualmente stia assistendo al programma. Ha detto proprio così. L’ex segretario dei DS e poi del PD, ha detto che per apprezzare il XXV Aprile dobbiamo ricordarci delle foibe..., dell’altro “crimine orrendo”. Dunque ha messo sullo stesso piano la Liberazione d’Italia dall’invasore e oppressore nazista, e dal fascismo suo complice-succube, con le “foibe”, un circoscritto episodio su cui dalla fine degli anni Novanta si è montata una macchina di propaganda che in Italia non ha l’eguale. Una macchina che ha cercato nel corso del tempo una impossibile equiparazione tra foibe e campi di sterminio nazista, e ora arriva Veltroni, il grande stratega, lo storico provetto, il politico progressista, a mettere sullo stesso piano quella vicenda con la più grande, la sola rivoluzione che si sia mai fatta in Italia, vittoriosamente, quella culminata con la liberazione di Milano, il 25 aprile 1945.
Poco meno di un anno dopo quella data assurse a simbolo della nuova Italia, sotto il Governo De Gasperi, esattamente il 22 aprile 1946, con un decreto “luogotenenziale” firmato dal principe Umberto II, allora “luogotenente del Regno d’Italia” (la Repubblica sarebbe nata qualche settimana dopo): nel decreto si stabiliva «A celebrazione della totale liberazione del territorio italiano, il 25 aprile 1946 è dichiarato festa nazionale». Tre anni più tardi quella giornata, il 25 aprile, entrò ufficialmente nel calendario civico dell’Italia repubblicana, tra le festività nazionali, accanto al 2 giugno.
Ma Veltroni, opinionista, saggista, scrittore, regista (difficile decidere in quale ambito abbia dato il peggio, dopo aver detto più o meno addio alla politica attiva, ambito in cui aveva fatto sufficientemente danno), tutto questo sembra ignorarlo. Come pare ignorare la speculazione politica sulle “foibe”, e si spinge all’ardito accoppiamento. Gramellini, più accorto di lui, lascia correre, ma proseguendo nel suo ragionamento, relativo alla ovvietà del 25 aprile 1945 come data simbolo dell’Italia che ha sconfitto il fascismo, cita l’esempio altissimo dei Fratelli Cervi, martiri del fascismo, e per sottolineare che la Resistenza non era solo comunista, afferma che i Cervi non lo erano. Veltroni tace e acconsente, citando come protagonisti della lotta partigiana socialisti, liberali, cattolici, monarchici, militari... Non fa la minima menzione del ruolo che il PCI ebbe in quella lotta, dopo aver già costituito il nerbo dell’antifascismo clandestino e all’estero, nel Ventennio. Né il cenno lo fa Gramellini. Finisce lì, con Veltroni che invitato ancora a spiegare il senso della Liberazione se ne esce con un discorsetto grottesco relativo alla situazione determinata dalla pandemia. Grazie, Walter. Ciao, Massimo.
Il giorno dopo Maurizio Acerbo, segretario del PRC, ossia Rifondazione Comunista, con un intervento sul “manifesto” chiede le scuse di Gramellini, precisando che i Cervi erano comunisti, esprimendo sconcerto per l’atteggiamento di Veltroni. E la settimana seguente Gramellini, dando prova di correttezza a supplire la propria scarsa informazione storica, apre la puntata del suo programma con la precisazione: “I fratelli Cervi provenivano da una famiglia cattolica ed erano comunisti”.
Rimane l’agghiacciante silenzio di Veltroni. E rimane l’amaro della deriva storica di una generazione, quella venuta dopo Berlinguer, che non solo ha scientemente affossato il PCI, ma ha cercato in ogni modo di cancellare il patrimonio ideale e politico che in quel partito si riassume. Del resto, già parecchi anni or sono, nel 2011 (se non sbaglio) l’ex sfidante (trombato) di Berlusconi, dichiarava di non essere mai stato comunista, sottolineando: “Non ero ideologicamente comunista”.
In effetti, Veltroni era probabilmente soltanto “veltroniano”, anche quando obbediva senza fiatare alle dirigenze del partito in cui militava, dopo una lunga carriera nella FGCI, anche quando era dentro la cappa del “socialismo reale”, anche quando insomma “faceva il comunista senza esserlo”. Né poteva essere comunista da segretario dei DS (Democratici di Sinistra) e men che meno da primo segretario del neonato PD (Partito Democratico, di cui fu uno degli inventori). Certo il suo curriculum studiorum è modestissimo (“diploma di istituto professionale per la cinematografia e la televisione”), ma possibile che una militanza lunga e da leader nelle file di partiti “antifascisti” (dal PCI ai DS al PD), non gli abbia insegnato neppure l’abc? E non prova vergogna a parlare dell’importanza della memoria da trasmettere ai “giovani”?
Forse il punto sta proprio nella parola “memoria”. Ancora una volta dobbiamo smettere di usare questo termina ambiguo e fallace, e parlare piuttosto di “storia”. E cominciare a studiarla. La memoria comprende l’oblio e l’errore, e in fondo consente a tutti una giustificazione. Perciò rimane fondamentale lo studio della storia. Accetti un buon consiglio, Veltroni: la bibliografia su fascismo, antifascismo, Resistenza, è molto estesa. E se non sa da che parte cominciare chieda consiglio. Personalmente sono pronto a fornirle qualche utile indicazione. Così eviterà in futuro figuracce come quella che ha compiuto proprio nella ricorrenza del 75esimo della Liberazione. È proprio vero che l’ignoranza della storia genera mostri.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
COSTITUZIONE, EVANGELO, e NOTTE DELLA REPUBBLICA (1994-2016) : PERDERE LA COSCIENZA DELLA LINGUA ("LOGOS") COSTITUZIONALE ED EVANGELICA GENERA MOSTRI ATEI E DEVOTI .
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L’ITALIA RIPUDIA LA GUERRA, ANCHE IL 4 NOVEMBRE
L’Italia ripudia la guerra, anche il 4 novembre
Ricordare le vittime delle guerre, costruire la pace e la sicurezza attraverso il disarmo *
Il 4 novembre non e’ un giorno di festa: e’ un giorno di lutto per le vittime delle guerre e d’impegno per il disarmo. Non festa ma lutto, perche’ si ricorda la fine di una "inutile strage", come Benedetto XV defini’ la prima guerra mondiale, e non si puo’ non ricordare che tutte le guerre sono "inutili stragi" e tutti gli eserciti ne sono gli strumenti.
Non festa ma impegno, perche’ per ricordare davvero - e non retoricamente e ipocritamente - le vittime delle guerre l’unico modo e’ "ripudiare la guerra" e costruire la pace, attraverso la via realistica del disarmo.
Eppure il 4 novembre - unica celebrazione traghettata dal fascismo alla Repubblica - si continuano a "festeggiare" le forze armate, cioe’ gli strumenti di guerra. Ed e’ una festa che si prolunga tutto l’anno: nelle varie manovre finanziarie, qualunque siano i governi in carica, si continuano a dilapidare preziose risorse in spese militari e di armamenti (23 miliardi nell’ultimo anno), si continua a finanziare l’acquisto di terribili strumenti d’attacco come i caccia F-35 (15 miliardi previsti) ed a condurre operazioni di guerra come l’occupazione militare in Afghanistan, atti contrari alla Costituzione italiana. Si lascia invece quasi privo di risorse il Servizio Civile Nazionale, strumento di difesa civile della Patria prevista dalla legge e coerente con la Costituzione.
Del resto, le forze armate e i loro armamenti non sono solo strumenti di guerra potenziale, che diventano attuali solo quando entrano in azione. Le armi sono strumenti e mezzi di guerra in atto anche quando non sparano, perche’ la quantita’ enorme di risorse pubbliche che vengono destinate alle spese militari, alla preparazione della guerra contro minacce ipotetiche o pretestuose, lasciano la Patria senza difesa ed insicura rispetto alle reali minacce alle quali sono gravemente sottoposti, qui ed ora, tutti i cittadini, sul proprio territorio: la disoccupazione e la precarieta’ del lavoro, la poverta’ e l’analfabetismo, la fragilita’ edilizia in un paese sismico e i disastri idrogeologici...
Svuotare gli arsenali e riempire i granai, diceva il Presidente Pertini, ed invece abbiamo riempito gli arsenali e svuotato i granai, offrendo la peggiore delle risposte possibili alla crisi economica e sociale che stiamo vivendo.
Ricordare davvero le vittime delle guerre e costruire la pace puo’ dunque avvenire solo avviando un serio disarmo, attraverso la riconversione dalla difesa militare alla difesa civile; liberando le risorse necessarie per l’affermazione dei "principi fondamentali" sanciti nei primi dodici articoli della Carta costituzionale, quelli che offrono la sicurezza della cittadinanza - il lavoro, la solidarieta’, l’uguaglianza, la cultura, la difesa del patrimonio naturale - attraverso il ripudio della guerra e degli strumenti che la rendono possibile. Il 4 novembre, come tutto l’anno.
Per questo il nostro Movimento, insieme a Peacelink e al Centro di ricerca per la pace di Viterbo, ha lanciato per il 4 novembre la campagna "Ogni vittima ha il volto di Abele", affinché in ogni città si svolgano commemorazioni nonviolente delle vittime di tutte le guerre.
*
[Dal Movimento Nonviolento (per contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: an@nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org) riceviamo e diffondiamo]
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 1082 del 3 novembre 2012
Dei sepolcri
di Ugo Foscolo (1807) *
All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne
confortate di pianto è forse il sonno
della morte men duro? Ove piú il Sole
per me alla terra non fecondi questa
bella d’erbe famiglia e d’animali, 5
e quando vaghe di lusinghe innanzi
a me non danzeran l’ore future,
né da te, dolce amico, udrò piú il verso
e la mesta armonia che lo governa,
né piú nel cor mi parlerà lo spirto 10
delle vergini Muse e dell’amore,
unico spirto a mia vita raminga,
qual fia ristoro a’ dí perduti un sasso
che distingua le mie dalle infinite
ossa che in terra e in mar semina morte? 15
Vero è ben, Pindemonte! Anche la Speme,
ultima Dea, fugge i sepolcri: e involve
tutte cose l’obblío nella sua notte;
e una forza operosa le affatica
di moto in moto; e l’uomo e le sue tombe 20
e l’estreme sembianze e le reliquie
della terra e del ciel traveste il tempo.
Ma perché pria del tempo a sé il mortale
invidierà l’illusïon che spento
pur lo sofferma al limitar di Dite? 25
Non vive ei forse anche sotterra, quando
gli sarà muta l’armonia del giorno,
se può destarla con soavi cure
nella mente de’ suoi? Celeste è questa
corrispondenza d’amorosi sensi, 30
celeste dote è negli umani; e spesso
per lei si vive con l’amico estinto
e l’estinto con noi, se pia la terra
che lo raccolse infante e lo nutriva,
nel suo grembo materno ultimo asilo 35
porgendo, sacre le reliquie renda
dall’insultar de’ nembi e dal profano
piede del vulgo, e serbi un sasso il nome,
e di fiori odorata arbore amica
le ceneri di molli ombre consoli. 40
Sol chi non lascia eredità d’affetti
poca gioia ha dell’urna; e se pur mira
dopo l’esequie, errar vede il suo spirto
fra ’l compianto de’ templi acherontei,
o ricovrarsi sotto le grandi ale 45
del perdono d’lddio: ma la sua polve
lascia alle ortiche di deserta gleba
ove né donna innamorata preghi,
né passeggier solingo oda il sospiro
che dal tumulo a noi manda Natura. 50
Pur nuova legge impone oggi i sepolcri
fuor de’ guardi pietosi, e il nome a’ morti
contende. E senza tomba giace il tuo
sacerdote, o Talia, che a te cantando
nel suo povero tetto educò un lauro 55
con lungo amore, e t’appendea corone;
e tu gli ornavi del tuo riso i canti
che il lombardo pungean Sardanapalo,
cui solo è dolce il muggito de’ buoi
che dagli antri abdüani e dal Ticino 60
lo fan d’ozi beato e di vivande.
O bella Musa, ove sei tu? Non sento
spirar l’ambrosia, indizio del tuo nume,
fra queste piante ov’io siedo e sospiro
il mio tetto materno. E tu venivi 65
e sorridevi a lui sotto quel tiglio
ch’or con dimesse frondi va fremendo
perché non copre, o Dea, l’urna del vecchio
cui già di calma era cortese e d’ombre.
Forse tu fra plebei tumuli guardi 70
vagolando, ove dorma il sacro capo
del tuo Parini? A lui non ombre pose
tra le sue mura la città, lasciva
d’evirati cantori allettatrice,
non pietra, non parola; e forse l’ossa 75
col mozzo capo gl’insanguina il ladro
che lasciò sul patibolo i delitti.
Senti raspar fra le macerie e i bronchi
la derelitta cagna ramingando
su le fosse e famelica ululando; 80
e uscir del teschio, ove fuggia la luna,
l’úpupa, e svolazzar su per le croci
sparse per la funerëa campagna
e l’immonda accusar col luttüoso
singulto i rai di che son pie le stelle 85
alle obblïate sepolture. Indarno
sul tuo poeta, o Dea, preghi rugiade
dalla squallida notte. Ahi! su gli estinti
non sorge fiore, ove non sia d’umane
lodi onorato e d’amoroso pianto. 90
Dal dí che nozze e tribunali ed are
diero alle umane belve esser pietose
di se stesse e d’altrui, toglieano i vivi
all’etere maligno ed alle fere
i miserandi avanzi che Natura 95
con veci eterne a sensi altri destina.
Testimonianza a’ fasti eran le tombe,
ed are a’ figli; e uscían quindi i responsi
de’ domestici Lari, e fu temuto
su la polve degli avi il giuramento: 100
religïon che con diversi riti
le virtú patrie e la pietà congiunta
tradussero per lungo ordine d’anni.
Non sempre i sassi sepolcrali a’ templi
fean pavimento; né agl’incensi avvolto 105
de’ cadaveri il lezzo i supplicanti
contaminò; né le città fur meste
d’effigïati scheletri: le madri
balzan ne’ sonni esterrefatte, e tendono
nude le braccia su l’amato capo 110
del lor caro lattante onde nol desti
il gemer lungo di persona morta
chiedente la venal prece agli eredi
dal santuario. Ma cipressi e cedri
di puri effluvi i zefiri impregnando 115
perenne verde protendean su l’urne
per memoria perenne, e prezïosi
vasi accogliean le lagrime votive.
Rapían gli amici una favilla al Sole
a illuminar la sotterranea notte, 120
perché gli occhi dell’uom cercan morendo
il Sole; e tutti l’ultimo sospiro
mandano i petti alla fuggente luce.
Le fontane versando acque lustrali
amaranti educavano e vïole 125
su la funebre zolla; e chi sedea
a libar latte o a raccontar sue pene
ai cari estinti, una fragranza intorno
sentía qual d’aura de’ beati Elisi.
Pietosa insania che fa cari gli orti 130
de’ suburbani avelli alle britanne
vergini, dove le conduce amore
della perduta madre, ove clementi
pregaro i Geni del ritorno al prode
che tronca fe’ la trïonfata nave 135
del maggior pino, e si scavò la bara.
Ma ove dorme il furor d’inclite gesta
e sien ministri al vivere civile
l’opulenza e il tremore, inutil pompa
e inaugurate immagini dell’Orco 140
sorgon cippi e marmorei monumenti.
Già il dotto e il ricco ed il patrizio vulgo,
decoro e mente al bello italo regno,
nelle adulate reggie ha sepoltura
già vivo, e i stemmi unica laude. A noi 145
morte apparecchi riposato albergo,
ove una volta la fortuna cessi
dalle vendette, e l’amistà raccolga
non di tesori eredità, ma caldi
sensi e di liberal carme l’esempio. 150
A egregie cose il forte animo accendono
l’urne de’ forti, o Pindemonte; e bella
e santa fanno al peregrin la terra
che le ricetta. Io quando il monumento
vidi ove posa il corpo di quel grande 155
che temprando lo scettro a’ regnatori
gli allòr ne sfronda, ed alle genti svela
di che lagrime grondi e di che sangue;
e l’arca di colui che nuovo Olimpo
alzò in Roma a’ Celesti; e di chi vide 160
sotto l’etereo padiglion rotarsi
piú mondi, e il Sole irradïarli immoto,
onde all’Anglo che tanta ala vi stese
sgombrò primo le vie del firmamento:
— Te beata, gridai, per le felici 165
aure pregne di vita, e pe’ lavacri
che da’ suoi gioghi a te versa Apennino!
Lieta dell’aer tuo veste la Luna
di luce limpidissima i tuoi colli
per vendemmia festanti, e le convalli 170
popolate di case e d’oliveti
mille di fiori al ciel mandano incensi:
e tu prima, Firenze, udivi il carme
che allegrò l’ira al Ghibellin fuggiasco,
e tu i cari parenti e l’idïoma 175
désti a quel dolce di Calliope labbro
che Amore in Grecia nudo e nudo in Roma
d’un velo candidissimo adornando,
rendea nel grembo a Venere Celeste;
ma piú beata che in un tempio accolte 180
serbi l’itale glorie, uniche forse
da che le mal vietate Alpi e l’alterna
onnipotenza delle umane sorti
armi e sostanze t’ invadeano ed are
e patria e, tranne la memoria, tutto. 185
Che ove speme di gloria agli animosi
intelletti rifulga ed all’Italia,
quindi trarrem gli auspici. E a questi marmi
venne spesso Vittorio ad ispirarsi.
Irato a’ patrii Numi, errava muto 190
ove Arno è piú deserto, i campi e il cielo
desïoso mirando; e poi che nullo
vivente aspetto gli molcea la cura,
qui posava l’austero; e avea sul volto
il pallor della morte e la speranza. 195
Con questi grandi abita eterno: e l’ossa
fremono amor di patria. Ah sí! da quella
religïosa pace un Nume parla:
e nutria contro a’ Persi in Maratona
ove Atene sacrò tombe a’ suoi prodi, 200
la virtú greca e l’ira. Il navigante
che veleggiò quel mar sotto l’Eubea,
vedea per l’ampia oscurità scintille
balenar d’elmi e di cozzanti brandi,
fumar le pire igneo vapor, corrusche 205
d’armi ferree vedea larve guerriere
cercar la pugna; e all’orror de’ notturni
silenzi si spandea lungo ne’ campi
di falangi un tumulto e un suon di tube
e un incalzar di cavalli accorrenti 210
scalpitanti su gli elmi a’ moribondi,
e pianto, ed inni, e delle Parche il canto.
Felice te che il regno ampio de’ venti,
Ippolito, a’ tuoi verdi anni correvi!
E se il piloto ti drizzò l’antenna 215
oltre l’isole egèe, d’antichi fatti
certo udisti suonar dell’Ellesponto
i liti, e la marea mugghiar portando
alle prode retèe l’armi d’Achille
sovra l’ossa d’Ajace: a’ generosi 220
giusta di glorie dispensiera è morte;
né senno astuto né favor di regi
all’Itaco le spoglie ardue serbava,
ché alla poppa raminga le ritolse
l’onda incitata dagl’inferni Dei. 225
E me che i tempi ed il desio d’onore
fan per diversa gente ir fuggitivo,
me ad evocar gli eroi chiamin le Muse
del mortale pensiero animatrici.
Siedon custodi de’ sepolcri, e quando 230
il tempo con sue fredde ale vi spazza
fin le rovine, le Pimplèe fan lieti
di lor canto i deserti, e l’armonia
vince di mille secoli il silenzio.
Ed oggi nella Troade inseminata 235
eterno splende a’ peregrini un loco,
eterno per la Ninfa a cui fu sposo
Giove, ed a Giove diè Dàrdano figlio,
onde fur Troia e Assàraco e i cinquanta
talami e il regno della giulia gente. 240
Però che quando Elettra udí la Parca
che lei dalle vitali aure del giorno
chiamava a’ cori dell’Eliso, a Giove
mandò il voto supremo: - E se, diceva,
a te fur care le mie chiome e il viso 245
e le dolci vigilie, e non mi assente
premio miglior la volontà de’ fati,
la morta amica almen guarda dal cielo
onde d’Elettra tua resti la fama. -
Cosí orando moriva. E ne gemea 250
l’Olimpio: e l’immortal capo accennando
piovea dai crini ambrosia su la Ninfa,
e fe’ sacro quel corpo e la sua tomba.
Ivi posò Erittonio, e dorme il giusto
cenere d’Ilo; ivi l’iliache donne 255
sciogliean le chiome, indarno ahi! deprecando
da’ lor mariti l’imminente fato;
ivi Cassandra, allor che il Nume in petto
le fea parlar di Troia il dí mortale,
venne; e all’ombre cantò carme amoroso, 260
e guidava i nepoti, e l’amoroso
apprendeva lamento a’ giovinetti.
E dicea sospiranda: - Oh se mai d’Argo,
ove al Tidíde e di Läerte al figlio
pascerete i cavalli, a voi permetta 265
ritorno il cielo, invan la patria vostra
cercherete! Le mura, opra di Febo,
sotto le lor reliquie fumeranno.
Ma i Penati di Troia avranno stanza
in queste tombe; ché de’ Numi è dono 270
servar nelle miserie altero nome.
E voi, palme e cipressi che le nuore
piantan di Priamo, e crescerete ahi presto
di vedovili lagrime innaffiati,
proteggete i miei padri: e chi la scure 275
asterrà pio dalle devote frondi
men si dorrà di consanguinei lutti,
e santamente toccherà l’altare.
Proteggete i miei padri. Un dí vedrete
mendico un cieco errar sotto le vostre 280
antichissime ombre, e brancolando
penetrar negli avelli, e abbracciar l’urne,
e interrogarle. Gemeranno gli antri
secreti, e tutta narrerà la tomba
Ilio raso due volte e due risorto 285
splendidamente su le mute vie
per far piú bello l’ultimo trofeo
ai fatati Pelídi. Il sacro vate,
placando quelle afflitte alme col canto,
i prenci argivi eternerà per quante 290
abbraccia terre il gran padre Oceàno.
E tu onore di pianti, Ettore, avrai,
ove fia santo e lagrimato il sangue
per la patria versato, e finché il Sole
risplenderà su le sciagure umane.
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Fonte: Wikipedia
Ma ci rendiamo conto di dove e’ precipitata l’Italia? Ma e’possibile che in Italia, alla munnezza di Silvio Berlusxuxluxkloni ci si abitua sempre in un secondo, e che nessuno abbia piu’ormai una scossa di dignita’e urli che qs e’una putrida vergogna? Che solo noi italiani all’estero abbiamo dei sussulti un po’di qs tipo ( o quasi; grazie al Cielo, qualche italiano che al massonazimafioso Silvio Berlusconi inveisce vi e’ancora, ma sempre meno, sempre drammatissimamente meno, porca put...., oops, porca Mara Carf...., ooops, porca dittatura ma..f..ascista Berlusconiana). Il suinazista di Arcorleone ha detto oggi " in Rai presto faccie nuove". E’il padrone di una lurida fasciocamorrista maccartistissima societa’sorta su megariciclaggio di danaro assassino, ossia Ma..f..ininvest ( i cui veri padroni, ufficialmente, ancora non si conoscono; non si conoscono; pazzeschissimo!!!; uno dittatura l’Italia, ma non si sa’chi e’ il vero azionista del wc su cui ci siede e da cui comanda; certo, qsiasi persona per bene sa’ benissimo che detti "padroni" son killer delle mafie di mezzo pianeta Terra, ma in Italia, ormai, qs cosa, che scioccherebbe mostruosissimamente in tutto il resto del mondo occidentale, ma non solo, non scuote piu’nessuno; ci si e’abituati, come puzzonissimo solito; ricordatevi pero’che esiste un gran detto, che mi han detto piace tantissimo pure al sempre piu’promettente Obama Barack, che io sospinsi da inizio 2007 e Berlusconi solo da ora, in quanto da sempre e’viscidissimo codardissimo " verme coi potenti e mafioso coi deboli"; google Bettino Craxi, Bush junior e Obama Barack a proposito; questo detto e’: "business call business ánd shit call shit"), che, ripulito detto denaro ( si fa’per dire) omicida, e’divenuto, praticamente, unico competitore della Rai. E ora, scrofone Silvio Berlusconi, proprietario dell`unico concorrente della Rai, IMPORRA’pure faccie nuove nella Rai stessa, ossia nel suo finto, da lui, infiltratissimo, corrottissimo, via massonerie fasciste varie, rivale. E ossia "bis", dette faccie di melma saranno le sue solite zoc.ole che gli girano attorno e i suoi soliti prostituticchi che gli si piegano difronte. Questo e’ un Augusto Pinochet, ne piu ne meno, e’ora di urlarlo, Silvio Berlusconi e’una diarrea nazifascista, anzi, nazifascismoderna come Augusto Pinochet. Meglio dire: Pinochet era molto meglio di Berlusconi in quanto non si univa alla camorra e alla ndrangheta, Berlusconi e’ un liquame diarreico stra colmo di batteri mortali putridi di Pinochet e Riina, che schifooooo. " I media non rappresentano l’Italia". Vuole una Pravda filo ndranghetara e fascista piegata a quel famoso numero di gradi come puntualmente fa’di fronte a lui, notoriamente, Giulio Tremonti ( e non solo, si dice, metafisicamente parlando; voci della City di Londra, di chi, Giulio Tremonti, conosce benissimo). Vuole solo gente venduta, svertebrata, immorale, senza valori e decerebrata, li col taccuino che scriva solo quello che gli detta lui, ma Italia, ti rendi conto che stai sprofondando in un letamaio dittatoriale puzzone lurido, ti rendi conto o no? Che sia rivoluzione, rivoluzione, SI, non armata, rivoluzione etica, ma rivoluzione, all’arembaggiooooo. E basta massone trafficone trasversalone Massimo D’Alema e suoi incappucciati compari della sua area, spessissimo corrottissimi, non solo nell’anima satanista massona loro, ma anche in cotanto di portafoglio ( vedi probabilmente un certo "king of pizzini" di Loggia trasversalissima), da Berlusconi stesso. Ma come fa’ Massimo D’Alema a dire "Berlusconi rimarra’fino al 2013"? Quando lo stesso ha delle fattezze cosi’nazifascismoderne, disoneste, false, codarde, maccartiste, filocamorristiche e porche? Se gia’l’opposizione ( spessissimo infiltratissima e steccatissima da Berlusconi, basta che date un occhiata al sito di un prostituticchio idiota stipendiato in nero in Svizzera da Giuliano Ferrara, ossia il letamaio puzzone di Francesco Costa, www.francescocosta.net, semidirgente del Pd; e davvero ci viene da dire " Italia rotola pure nella me..a, meglio scappare tutti via") si rassegna all’idea di stare sotto dittatura e avalla, garantisce, direi addirittura protegge la durata di detto luridissimo regime ma..f..ascista, tutta la nazione potra’solo sprofondare sempre piu’nella fogna. Pd rigirato completamente, faccie nuove e inca..atissime ovunque, INCA..ATISSSIME OVUNQUE, enormi casini ( non violenti) , proteste, sabotaggi, che nessuno guardi piu’reti Ma..f..inivest, che nessuno metta soldi nei suoi mega riciclatori di danaro mafioso monnezzari finanziari. Basta vedere il Milan, fede calcististica o meno. Boposb, Boicottiamo il porco Silvio Berlusconi. Avanti, un maredi Palavobis, grandissimi girotondi, vera e propria rivoluzione, avantiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
Michele Nista
Alla vigilia del 25 aprile torna a farsi sentire il capo dello Stato La Russa: "Ricorrenza condivisa". Maroni: "Data incancellabile"
Napolitano: "Ideali validi per tutti"
La fondazione di Fini: "Partigiani patrioti"
ROMA - "Il 25 aprile è una data incancellabile da cui nacque l’Italia libera e democratica". Alla vigilia della festa della Liberazione, la netta presa di posizione del capo dello Stato sembra aver fatto affetto. Dopo giorni di distinguo, di partigiani "buoni e cattivi", le voci che arrivano dalla maggioranza sembrano parlare un linguaggio simili a quello di Giorgio Napolitano. Che oggi torna a levare la sua voce.
E così il ministro dell’Interno Bobo Maroni parla di "data incancellabile" e perfino il ministro della Difesa Ignazio La Russa la definisce "una ricorrenza condivisa". "Sul 25 aprile niente equivoci: il Pdl lo celebra sta dalla parte dei valori dell’antifascismo e della resistenza" taglia corto il ministro Gianfranco Rotondi. Fino ad arrivare a FareFuturo, la fondazione di Gianfranco Fini, che si spinge oltre: "Forse è arrivato il momento se, anche da destra, soprattutto da destra, si comincia a pensare, con convinzione, senza infingimenti, che i partigiani sono stati buoni italiani. Che la resistenza è stata roba di patrioti. E non di traditori.
E Napolitano, anche oggi, torna a parlare. Ribandendo che il messaggio della Resistenza "vive nella Costituzione", ammonendo " a non ripetere gli errori del passato" e spiegando come possano riconoscersi "nell’eredità spirituale e morale della Resistenza, che vive nella Costituzione, anche quanti vissero diversamente gli anni 1943-1945, quanti ne hanno una diversa memoria per esperienza personale o per giudizi acquisiti".
In quella Carta dice il presidente della Repubblica, si possono riconoscere anche quanti non parteciparono alla liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Ma quei principi accettano come validi e indiscutibili.
Infine arriva la conferma che Silvio Berlusconi commemorerà domani il 25 aprile prima a Roma, dove deporrà, insieme al Capo dello Stato Giorgio Napolitano, la corona d’alloro in omaggio al milite ignoto, all’Altare della Patria; poi, si recherà ad Onna, in Abruzzo.
* la Repubblica, 24 aprile 2009
Crimine organizzato e saluto fascista
risponde Furio Colombo (il Fatto, 8.11.2012)
LA MAFIA è un reato e chi venisse in piazza a celebrare la mafia sarebbe prontamente fermato. Perché invece il fascismo viene scambiato con un ideale, tollerato e permesso con il compiacimento dei buoni verso i credenti? Ettore
SE IL LETTORE si riferisce a ciò che è accaduto ai funerali di Pino Rauti, ha ragione. L’assenza di forza pubblica e di cancellazione immediata dell’evento militare e fascista è non solo riprovevole ma, dal punto di vista delle leggi italiane, certamente colpevole. La cacciata di Fini è una brutta pagina, ma riguarda la vita interna (e squallida) di certi gruppi (pensate alle grida di “fuori, fuori, va in sinagoga!”). Invece è incomprensibile che si possa procedere a tutti i macabri riti del fascismo, uno dei regimi più assassini che abbiano attraversato la storia e governato non solo l’Italia ma, assieme al nazismo, mezza Europa, senza che vi sia stato intervento, identificazione di tutti, arresto dei responsabili.
Dobbiamo sapere chi sono coloro che salutano i loro morti con lo stesso saluto e le stesse grida che hanno salutato via Tasso, le Fosse Ardeatine, le stragi nei Balcani, le razzie di cittadini italiani ebrei, il gas asfissiante in Africa, i massacri in Libia. C’è sempre il rischio, a Roma, che accedano a qualche incarico pubblico. Non sarebbe giusto cavarsela parlando di una comprensibile amnesia dopo tanti decenni. Questa è gente che ha continuato a vivere nel fascismo come i mafiosi nella mafia, dopo che è stato processato e condannato dalla Storia come un delitto grave con una potente vocazione a uccidere.
Da Gramsci a Gobetti, da Matteotti ai fratelli Rosselli, tutta la storia italiana dell’altro secolo è testimonianza di delitti repellenti che hanno arrecato all’Italia sofferenze e danni immensi. Impossibile trasformare in uno scherzo il comportamento che le televisioni (con encomiabile accuratezza) ci hanno fatto vedere nel giorno di quel funerale.
La figura di Rauti qui non conta come rispettabile defunto, ma come non rispettabile leader fascista che ha tenuto in vita, anche dal punto di vista organizzativo, gente come quella che è andata a tributargli onore. Quando senti dare ordini perentori e obbediti con linguaggio militare (“attenti!”, “riposo!”) e l’uso deliberatamente ripetuto della parola “camerati” non potete far finta di non vedere che siete in presenza di un reato che evoca, celebra e raccomanda un delitto. Il delitto è enorme, perciò il reato deve essere perseguito. Se non lo è, c’è una grave omissione di atti d’ufficio.