A chi non appartiene la causa ch’io debbo difendere? Essa è, innanzi tutto, la causa buona in se stessa, poi la causa di Dio, della verità, della libertà, della giustizia; poi la causa del mio popolo, del mio principe, della mia patria; infine la causa dello spirito, e mille altre ancora. Soltanto, essa non dev’essere mai la mia causa! " Onta all’egoista che non pensa che a sè stesso! "
Vediamo un po’, più da vicino, che cosa pensino della propria causa coloro per gl’interessi dei quali noi dobbiamo lavorare, sacrificarci ed infervorarci.
Voi che così profondamente conoscete le cose che concernono Dio, ed avete investigato per millenni gli abissi e scrutato il cuore della divinità, certo saprete dirci in qual modo Egli stesso tratti la causa alla quale siam chiamati a servire. Non tentate di nascondere il modo di condursi del Signore. Ebbene, qual’è la sua causa? Ha egli forse - come da noi si richiede - abbracciato una causa a lui estranea, ha egli fatta sua la causa della verità o dell’amore? Voi vi sentite indignati in udir pronunciare un simile assurdo e ci sapete insegnare che quella di Dio è bensì la causa della verità e dell’amore, ma che essa non può esser detta a lui estranea, giacché Dio è per se stesso la verità e l’amore; e vi muove a sdegno il supporre che Dio possa assomigliarsi a noi poveri vermi col favorire la causa d’altri come se fosse la propria. " Dio dovrebbe occuparsi della causa della verità, se non fosse egli stesso la verità? ".
Egli non pensa che alla propria causa, ma egli è il tutto nel tutto, e così la sua causa abbraccia tutto; noi non siamo il tutto nel tutto e la nostra causa è oltre modo meschina e spregevole, perciò noi dobbiamo servire ad " una causa più elevata ".
Ebbene, è chiaro che Dio non si occupa che delle cose sue, non pensa che a sè stesso e non vede che sè stesso; guai a tutto ciò che contrasta a’ suoi disegni. Egli non serve ad uno più alto di lui e non cerca di soddisfare che sè stesso. La sua è una causa prettamente egoistica.
Osserviamo un po’ la causa dell’ umanità che si vorrebbe facessimo nostra. E forse quella d’alcuno a lei estraneo; l’ umanità serve forse ad una causa superiore? No, l’umanità non vede che se stessa, essa non è ad altro intenta che a favorire se medesima, nè ha, all’infuori della propria, causa alcuna. Nell’intento di svilupparsi, essa fa che popoli ed individui si logorino, ed allorquando questi hanno compiuto il loro ufficio, essa per tutta riconoscenza li getta nel letamaio della storia. Non è forse la causa dell’umanità una causa prettamente egoistica?
Non ho bisogno di dimostrare a coloro che ci vorrebbero imporre la propria causa, che col far ciò essi si dimostrano teneri della lor salute, non già della nostra. Osservate gli altri. Forse che la Verità, la Libertà, l’Umanità richiedono da voi altre cose se non che v’infervoriate per loro e serviate a’ lor fini ?
In ciò essi trovano tutto il lor vantaggio. Osservate un po’ il popolo tutelato dai patriotti a tutta prova. I patriotti cadono nelle battaglie cruente e nella lotta colla fame e colla miseria; forse che il popolo si commuove perciò? Grazie al concime dei loro cadaveri esso diviene un popolo fiorente! Gli individui son morti per " la grande causa del popolo " che paga il suo debito con alcune parole di ringraziamento, e ne trae tutto il profitto che può. Ecco un egoismo che frutta !
Ma osservate un po’ quel sultano, che provvede con tanto affetto ai " suoi ". Non è egli forse l’immagine più schietta del disinteresse? Non sacrifica egli forse incessantemente sè stesso al bene dei suoi? Si, proprio dei suoi! Prova un po’ a fargli capire che non sei suo bensì tuo: in premio dell’esserti sottratto al suo egoismo, tu sarai gettato in una carcere. Il sultano non conosce altra causa che la propria: egli è per sè il tutto nel tutto, è l’unico, e non consente ad alcuno di non essere dei " suoi ".
E da tutti questi esempi illustri non volete apprendere che il miglior partito è quello dell’egoista? Io per mio conto faccio tesoro di queste lezioni e piuttosto che servire disinteressatamente a quei grandi egoisti, voglio essere l’egoista io stesso.
Dio e l’umanità non hanno risposto la loro causa che in sè stessi. Epperciò voglio riporre anch’io in me stesso la mia causa, io, che, al pari di Dio, sono nulla per ogni altra cosa, e per me sono il mio tutto, l’unico.
Se Dio e l’umanità son ricchi abbastanza per esser tutto a sè stessi, io sento che a me manca ancor meno e che non potrò lagnarmi della mia " vanità ". Io non sono già il nulla del vacuo, bensì il nulla creatore, il nulla dal quale io stesso creo ogni cosa.
Lungi dunque da me ogni causa, che non sia propriamente e interamente la mia! Voi pensate che la mia causa debba essere per lo meno la " buona causa "? Ma che buono, ma che cattivo ! Io sono per me stesso la mia causa, ed io non sono nè buono ne cattivo. Tutto ciò per me non ha senso alcuno.
Il divino è cosa di Dio, l’umano dell’ " uomo ". La mia causa non è divina nè umana, non è la verità, non è la bontà, nè la giustizia, nè la libertà, bensì unicamente ciò che è mio; e non è una causa universale, bensì unica, come unico sono io.
Nessuna cosa mi sta a cuore più di me stesso.
IN RETE, L’eBook:
Max Stirner, L’unico (prima edizione italiana del 1902)
RELAZIONI CHIASMATICHE E CIVILTÀ. Al di là dell’Egoismo etico e dello Stato etico .... *
La questione Stirner
di Armando Torno (Il Sole-24 Ore, Domenica, 06 maggio 2016)
Quando a metà degli anni Quaranta dell’Ottocento in Germania uscì “L’Unico e la sua proprietà” di Max Stirner, pseudonimo di Johann Caspar Schmidt, la censura non intervenne. I funzionari che dovevano vigilare sulla circolazione delle idee ritennero l’opera incomprensibile, frutto di una mente folle, malata o qualcosa del genere; decisero perciò di non bloccarla, perché nessuna persona normale avrebbe potuto ricevere danno da questo professore di un istituto femminile di 39 anni. Il quale, dopo l’uscita del libro, avrebbe perso il posto.
L’”Unico” non passò inosservato. Marx ed Engels ne scrissero subito, anche se le loro pagine saranno pubblicate soltanto all’inizio del Novecento; la cerchia degli amici che con Stirner avevano seguito le lezioni di Hegel, non tacque; per le correnti anarchiche divenne ben presto un riferimento. Negli Stati Uniti Warren, in Francia Proudhon, in Russia Bakunin e poi Kropotkin, per ricordare alcuni classici riferimenti di questa corrente, tennero necessariamente conto di codeste pagine.
Un’opera che a volte si ripete ma che è sempre dominata da una tensione senza eguali. Si apre e si chiude con un’affermazione forte: “Io ho fondato la mia causa su nulla!”. E non è difficile incontrare frasi come questa: “Io che al pari di Dio e dell’umanità sono il nulla di ogni altro, io che sono il mio tutto, io che sono l’unico!”.
Max Stirner distrugge la filosofia del suo tempo, esalta l’egoismo (“nessuna cosa mi sta a cuore più di me stesso!”), sbugiarda il potere, attacca ogni religione, propone qualcosa di irrealizzabile ma tutti i grandi lo mediteranno, a cominciare da Dostoevskij e Nietzsche.
E oggi? Un libro, curato da Marcello Montalto e pubblicato da Mimesis con il titolo “La questione Stirner” (pp. 224, euro 20), raccoglie i primi critici dell’”Unico”. Si tratta di preziosi e poco noti testi ottocenteschi scritti da Moses Hess (un precursore del sionismo), Feuerbach, Kuno Fischer, Szeliga (ovvero Franz Zychlin von Zychlinski, che diventerà generale dell’armata prussiana) e le repliche dello stesso Stirner: mostrano tutti i fraintendimenti a cui fu soggetta l’opera e il suo autore.
Montalto ricorda nell’ampia e documentata introduzione che Stirner era tutt’altro che astratto dalla realtà e ignaro dei meccanismi sociali ed economici (critica di Hess), soprattutto rammenta un’intuizione di Carl Schmitt che in un giudizio lapidario e tagliente affermò: “Max sa qualcosa di molto importante. Sa che l’io non è più oggetto di pensiero”.
Che aggiungere? Fichte, il gran sacerdote dell’io, era morto da tempo e anche i dogmi della filosofia idealistica tedesca ormai avevano lasciato i cuori e abitavano soltanto nelle biblioteche. Stirner mostrò il mondo attuale: egoista, senza ideali, pronto a diventare nulla.
Egoismo etico. Sullo sfondo del problema dell’emancipazione umana, ritorno di interesse per il filosofo tedesco in un’epoca in cui la questione dell’individuo è ridiventata centrale
Quell’asociale di Stirner
di Michele Ciliberto (Il Sole-24 oRE, Domenica, 19.08.2018)
Alla morte di Hegel, come si sa, la sua scuola si spezzò in due tronconi : da un lato, la destra; dall’altro la sinistra, della quale fecero parte, con autonomia e originalità di pensiero, personalità di primissimo piano come Bruno Bauer, Carlo Marx, Max Stirner, autori di opere che hanno lasciato un solco profondo nella storia del pensiero del XIX secolo. Escono, in generale, tra la fine degli anni trenta e i primi anni quaranta, ed hanno in genere al centro la critica della religione , come principio di una riflessione generale sulla condizione umana. L’Unico di Stirner viene pubblicato nel 1844 (sul frontespizio si legge però 1845); la Tromba dell’ultimo giudizio contro Hegel ateo e anticristo. Un ultimatum, di Bauer, nel 1841, mentre al 1843 risale un’altra sua opera fondamentale, La questione ebraica che, a sua volta, è oggetto di una immediata , e dura, discussione da parte di Marx, il quale pur riconoscendo il valore dell’avversario, ne critica a fondo le tesi, alla luce delle posizioni messe a fuoco in un’altra opera essenziale di questo periodo, la Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico. Qui Marx utilizza, e sviluppa sul piano politico, la critica che Feuerbach aveva rivolto alla filosofia hegeliana mettendo al centro della sua analisi il rovesciamento tra soggetto e predicato operato, a suo giudizio, da Hegel.
L ’essenza del cristianesimo, come si intitola il libro di Feuerbach, esce nel 1841 - lo stesso anno del testo di Bauer - ed ebbe uno straordinario successo. Come dice Federico Engels, molti anni dopo, leggendolo diventammo tutti “feuerbachiani”, rievocando il senso di liberazione che il testo di Feuerbach aveva generato in lui come in tutta la sua generazione.
Del resto, basterebbe leggere la Critica della filosofia del diritto hegeliano o le pagine finali della Questione ebraica di Marx per comprendere in presa diretta quanto Feuerbach abbia inciso a fondo sui principali esponenti della sinistra
hegeliana, a cominciare proprio da Marx: la critica della politica e della concezione della figura del legislatore di Rousseau che chiude la Questione ebraica e la critica della filosofia hegeliana attuata nella Critica hanno come riferimento principale da un lato la concezione dell’uomo come “ente generico”; dall’altro, la critica del rovesciamento tra soggetto e predicato- entrambi architravi del pensiero di Feuerbach. Come a suo tempo dimostrò Cesare Luporini in un saggio memorabile, è Feuerbach l’interlocutore principale di Marx in questi testi.
In tutti questi pensatori - da Bauer a Marx a Stirner - il problema centrale è quello della emancipazione umana, con un conseguente spostamento della critica dal piano della religione a quello della politica. E questo sia per motivi sia teorici che di ordine storico: nel 1840 era asceso al trono di Prussia Federico Guglielmo IV, figura complessa e contraddittoria, che attutì, non valutandone le conseguenze, la censura sulla stampa, come conferma la nascita , in questo periodo, di riviste importanti ma nettamente critiche dell’esistente, quale la Reinische Zeitung, pubblicata a Colonia dal gennaio 1842 al marzo 1843, alla quale collaborano sia Marx che Stirner. Sono, questi, anni di straordinarie battaglie in Germania per l’emancipazione religiosa, politica e sociale.
Se il problema è quello della emancipazione si tratta però di comprendere di quale emancipazione abbia bisogno l’uomo, ed è qui che le strade divergono in modo radicale : per Bauer, nella Questione ebraica, l’emancipazione non deve essere dell’ebreo in quanto ebreo, ma dell’uomo in quanto uomo, e deve essere essenzialmente di tipo politico; per Marx l’emancipazione deve essere di ordine sociale: è solo agendo su questo piano che l’uomo può effettivamente emanciparsi, oltrepassando la separazione moderna tra stato e società civile, tra borghese e cittadino; per Stirner occorre andare al di là sia della politica e dello stato che della società, dello stesso concetto dei “diritti umani”- tutti fantasmi, spettri,astrattezze di cui liberarsi - assumendo come principio della liberazione il concetto dell’Unico, quale archetipo di una nuova concezione dell’uomo e del suo destino. A Stirner non interessano né la comunità, né la società: gli altri sono mezzi e strumenti da adoperare come proprietà del singolo.
Rispetto a interlocutori del calibro di Marx e Bauer, Stirner, stravolgendo in chiave individualistica “egoistica” e nihililistica il concetto moderno di potere, e connettendolo a quello di proprietà, si situa in un punto di vista totalmente altro, suscitando per la radicalità delle sue posizioni l’interesse di pensatori come Nietzsche, che ne riprende il concetto di volontà di potenza. Anche se - come ha scritto Roberto Calasso - è quella di Stirner «la vera “filosofia del martello” , che Nietzsche non sarebbe mai riuscito a praticare , perché troppo irrimediabilmente educato...».
«Si dice di Dio:”Nessun nome ti nomina”. Ciò vale anche per me: nessun concetto mi esprime, niente di ciò che di indica come mia essenza mi esaurisce: sono soltanto nomi..» . L’Unico di Stirner agisce solo per sè, situandosi al di fuori di qualunque apparato costruttivo: l’ Unico, se lo ritiene opportuno, può associarsi , ma il concetto di associazione è del tutto diverso da quello di stato, il quale non ha alcuna legittimità e al quale Stirner è totalmente avverso . Come è avverso al nazionalismo, al liberalismo, allo statalismo, al comunismo, ed anche all’umanismo....In Stirner il nihilismo si realizza in maniera compiuta :«Io - scrive, riprendendo un verso di Goethe - ho fondato la mia causa sul nulla..».
Si capisce che Marx nella Ideologia tedesca abbia sottoposto a una critica radicale il pensiero di San Max, come lo chiama : sono posizioni polari. Non è concepibile per Marx l’opposizione tra individuo e società, l’uomo si determina nei rapporti sociali. E si capisce anche perché Stirner abbia avuto fortuna presso posizioni di tipo anarco-individualistiche, ed anche perché il suo pensiero susciti particolare interesse in un tempo come il nostro nel quale sono in crisi tutti i principi “moderni“ contro cui Stirner conduce una lotta senza quartiere, e quella dell’individuo è ridiventata una questione centrale.
In questo senso, le sue pagine sono singolarmente attuali e possono essere rilette in modo nuovo, al di fuori di vecchi e nuovi pregiudizi . È stato perciò assai opportuno ripubblicare, con testo tedesco a fronte, questo grande libro nella “bella” e “fedele” traduzione di Sossio Giametta, che vi ha premesso anche una originale e limpidissima Introduzione. Stirner ha messo a fuoco aspetti della condizione umana che oggi, mentre un intero mondo si dissolve, appaiono in piena luce. Molto più di quanto sia apparso in passato. Come diceva il vecchio Hegel, è la fine che illumina il principio e il suo sviluppo.
LO SPIRITO CRITICO E L’AMORE CONOSCITIVO. LA LEZIONE DEL ’68 (E DELL ’89). Un omaggio a Kurt H. Wolff e a Barrington Moore Jr.
"CHI" SIAMO NOI, IN REALTÀ. RELAZIONI CHIASMATICHE E CIVILTÀ: UN NUOVO PARADIGMA. CON MARX, OLTRE.
DONNE, UOMINI E VIOLENZA: "Parliamo di FEMMINICIDIO". Dalla democrazia della "volontà generale" alla democrazia della "volontà di genere". L’importanza della lezione dei "PROMESSI SPOSI", oggi.
CRITICA DELL’ECONOMIA TEOLOGICO-POLITICA. " Me ne stavo seduto pensieroso, misi da parte Locke, Fichte e Kant e mi dedicai a una profonda ricerca per scoprire in che modo una lisciviatrice può essere connessa al maggiorascato, quando mi trapassò un lampo (...)" (K. Marx, "Scorpione e Felice").
GIOACCHINO, DANTE, E LA "CASTA ITALIANA" DELLO "STATO HEGELIANO" - DELLO STATO MENTITORE, ATEO E DEVOTO ("Io che è Noi, Noi che è Io"). Appunti e note
FREUD, KANT, E L’IDEOLOGIA DEL SUPERUOMO.
Federico La Sala
Filosofia.
Stirner e le risonanze dell’Unico
La nuova edizione con testo a fronte consente di apprezzare l’influsso esercitato dall’opera non solo sul pensiero, ma anche sulla letteratura di tutto il Novecento
di Carlo Ossola (Avvenire, venerdì 20 luglio 2018)
Ripubblicare oggi Der Einzige di Max Stirner (1844, ma con data 1845; il filosofo nasce a Bayreuth nel 1806 e muore a Berlino nel 1856) potrebbe parere un atto iterativo, visto che in traduzione italiana il volume, edito dapprima nel 1902, da Bocca, e poi nel 1911, con successive riprese dal 1921 sino al 2012 (e un’edizione Adelphi nel 2009, con un saggio di Roberto Calasso) è presenza ricorrente; autore caro tanto all’anarchismo che a una parte dei teorici del superominismo di derivazione nietzschiana, poiché - come ricorda Sossio Giametta nell’introduzione - «l’individuo, secondo Stirner, non ha compiti, vocazioni e missioni particolari, è bestimmungslos (senza determinazioni), berufslos (senza vocazioni) e gesetzlos (senza leggi); è perfetto in sé e non ha bisogno di diventare un “vero” uomo».
Ma il testo tedesco a fronte aiuta a meglio percepire l’eco che le celebri formule di Stirner (nella sua vivida prosa) hanno avuto non solo nella filosofia, ma nelle lettere del Novecento, anche in Italia. Prendiamo anche soltanto l’incipit del I capitolo del saggio: Ein Menschenleben (come non ricordare la Vita d’un uomo, sotto cui Ungaretti raccoglie le sue poesie?); e più ancora - nelle prime due righe - quel Wirrwarr («Dal momento in cui apre gli occhi alla luce del mondo, l’uomo cerca di trovare se stesso e di guadagnare se stesso emergendo dal suo Wirrwarr [confusione, guazzabuglio]»; come non osservare che Edoardo Sanguineti volle proprio quel titolo, Wirrwarr, per dare corso emblematico, dal 1972, alla sua poetica dell’“appercezione”?
Ma allo Stirner caro alle avanguardie, s’accosta - in un inestricabile composto - anche il teorico ripreso dai propugnatori del potere come lotta e dominio; nella stessa pagina si legge infatti: « Siegen oder Unterliegen [ Vincere o soccombere], l’esito della lotta oscilla fra questi due casi alternativi. Il vincitore diventa il signore, il soccombente il suddito »: e certo il fascismo e il nazismo si incarnarono anche in quel lascito, che suscitava fastidio nei pensatori liberali come Benedetto Croce, il quale osservò lapidariamente (e Gramsci stesso annotò quel passo) che andava riconosciuta «nello Stirner, l’anima dei merciai» ( Conversazioni critiche, e Gramsci, Quaderno 10, § 31).
Ma L’unico non è soltanto questo: l’assillo principale dell’autore è il rimprovero di “parzialità” alle filosofie del tempo - dal liberalismo al comunismo - poiché nessuna di esse parla a nome dell’umanità tutta: «Chi è mai riuscito ad abbattere anche una sola barriera per tutti gli uomini? » (Parte I, II, § 3). Da qui, la parte più feconda della sua filosofia: nel prendere atto che nulla può essere fatto che sia utile per tutti, Stirner propone una «costruzione del sé» che tenga conto dei limiti, propri e altrui: «Per conseguenza non ti affaticare con le barriere degli altri; basta che tu abbatta le tue» (ibid.). Non si tratta tuttavia di un neoumanesimo, almeno nel senso che la autocostruzione dell’uomo ha insiti limiti anche più gravi che quelli posti dalla discendenza dell’uomo da Dio: «Ma abbiamo noi progredito rispetto all’inizio del cristianesimo? Allora dovevamo avere uno spirito divino, adesso uno umano; ma se quello divino non ci esauriva, come potrebbe quello umano esprimere interamente ciò che noi siamo? [...] Anche se Dio ci ha tormentato, l’“uomo” è in grado di opprimerci in modo ancora più tormentoso» (Parte II. II). Ed è infatti ciò che si è prodotto con le dittature del XX secolo.
Quale è dunque la via di uscita che Stirner propone? In verità, non appare dal saggio una soluzione unica, ma una sorta di adesione al presente (criticato ogni Ideale) che coincide paradossalmente con il vocabolario della mistica del XVII secolo, alla maniera di Angelo Silesio: «Ben altra cosa è, se tu non corri dietro a un Ideale, come tua “destinazione”, ma ti dissolvi [ dich auflösest], come il tempo dissolve tutto. Il dissolvimento [ die Auflösung] non è la tua “destinazione” perché è il presente» (Parte II. II). In tale prospettiva, il fondamento non è tanto l’essere («Con l’essere non si giustifica niente. Il pensato è altrettanto del non-pensato, la pietra sulla strada è e anche la mia rappresentazione di essa è. L’una e l’altra sono soltanto in spazi diversi, quella nello spazio aereo, questa nella mia testa, in me: giacché io sono spazio come la strada»); ma piuttosto un “è ora” che ci rende reciprocamente “percettibili”: « Das Ich Mich “vernehmbar” mache, das allein ist “Vernunft” » [Il fatto che io mi renda “percepibile”, questo soltanto è “ragione”]. Così la conclusione, sulla scia di una poesia di Hermann Wilhelm Franz Ueltzen ( Ihr, 1797), più volte citata e resa celebre da Goethe: « Namen nennen Dich nicht » [Nessun nome ti nomina] trasforma il silesiano Innominabilis della mistica in un più romantico poema d’amore, un Umano, troppo umano che Nietzsche (1878) porterà ai suoi estremi e che qui - in Ueltzen - vibra di lontani, e insopprimibili, accenti lirici: « Wäre Herzensempfindung hörbar, / jeder Gedanke /Wäre dann Hymnus von dir » [Se la sensazione del cuore fosse udibile, / ogni pensiero / Sarebbe l’inno di te]. Così termina, con i versi di Ueltzen, un trattato che con i versi di Goethe era cominciato: «Io ho fondato la mia causa su nulla, / Evviva! » ( Vanitas! Vanitatum vanitas!, 1806; ed all’inizio del trattato: Ich hab’ mein’ sach’ auf Nichts gestellt).
Caro TIANO ottima la sollecitazione a ri-leggere l’opera di Stirner!!! " Io ho riposto la mia causa nel nulla [...] La mia causa non è divina né umana, non è la verità, non è la bontà, né la giustizia, né la libertà, bensì unicamente ciò che è mio; non è una causa universale, bensì unica, come unico sono io. Nessuna cosa mi sta a cuore più di me stesso". Egli è e vive (a mio parere) insieme ad altri "soli": Marx, Nietzsche, Freud, Kierkegaard, Dante, Francesco e Chiara, Gioacchino, Gesù....: "Se la religione ha posto la tesi che noi siamo peccatori, io - scrive Stirner (verso la fine dell’opera - le contrapporrò quest’altra: noi siamo tutti perfetti! [...] io non sono un io fra tanti altri: io sono unico. E per ciò anche i miei bisogni, le mie azioni, in breve tutto ciò che è in me e viene da me, è unico. e soltanto sotto questo aspetto di unico io m’approprio ogni cosa a quel modo che solamente come tale io spiego la mia attività e mi svolgo liberamente. Questo il senso dell’unico". Mai come oggi attuale la sua ’lezione’: il suo è un ’canto’ formidabile di liberazione di ogni uno, di ogni una, contro e al di là di ogni pensiero "unico"!!! Per chi sa da dove viene e dove va, come è possibile non trovarlo e saperlo come unico-compagno di viaggio?
M. saluti, Federico La Sala
Trovo alcune contraddizioni nel discorso del nostro Federico. Quel suo: "canto formidabile di liberazione di ogni uno, di ogni una, contro e al di là di ogni pensiero unico" nasconde, secondo me, un egoismo e un orgoglio terrificante ! È il pericolo che corre incessantemente il non credente. Colui che ha incontrato Dio riconosce gioiosamente la sua condizione di creatura, la sua dipendenza radicale nei confronti del Creatore, mentre colui che non l’ha ancora scoperto lo sente come un’insopportabile alienazione.
"Mi esaspera essere creatura!" esclamava Paul Valéry. "Un uomo è padrone di se stesso solo se deve a se stesso la sua esistenza" scriveva Marx.
D’altra parte per incontrare Dio così com’è, bisogna presentarsi a lui come siamo, cioè poveri peccatori, mentre il non credente ha l’impressione che la sua fierezza d’essere "unico" e "libero" gli impedirà sempre di riconoscere i suoi torti e di inginocchiarsi davanti a Dio come un peccatore.
Saluti.
Violando l’adagio ’tra moglie e marito non mettere dito’, mi permetto di fare una considerazione personale. Stirner è stato guardato con disprezzo da Chiesa e Stato che hanno l’abitudine - in passato in modo schietto, oggi con sistemi meno evidenti - di catalogare, indicizzare, chiosare (si consideri Pasolini!). Stirner è uno dei tanti. Dico questo: è obbligo di ognuno (specie del credente) ricercare e valutare al di là dei dogmi, nulla mettendo in pericolo le convinzioni o la fede. Stirner è un pensatore scandaloso, semplicemente. Un ribelle interiore, un inquieto teorico, un filosofo che non predica l’egoismo nell’accezione corrente, ma una filosofia unica perchè profonda, condivisione a parte. Essa non contrasta affatto con la fede, la quale, collocandosi su un altro piano, non teme nessun pensiero, se non l’ovvietà, il compromesso, l’indifferenza di cui Stirner stesso fu vittima, muorendo nella povertà, nei debiti e nell’oblio.
Saluti al Prof. La sala e a Biasi e viva la rivolta interiore
Vincenzo Tiano
Caro Vincenzo, ti ringrazio per la tua puntualizzazione, ma la mia critica era rivolta al nostro Prof. La Sala e alla sua "visione " della realtà che ci circonda. Alcune sue affermazioni, come quest’ultima: "VOI SIETE DEI...e quindi siate perfetti" , interpretata secondo una logica tutta "lasalasiana", mi lascia esterrefatto ! Però, devo confessare, le "trovate" del nostro Federico sono molto stimolanti dal punto di vista intelettuale, perchè lasciano spazio a molteplici e innumerevoli supposizioni, deduzioni, fantasticherie.
Volevo ricordare che è il cuore e non la ragione a sentire Dio. E questa è la fede: Dio sensibile al cuore e non alla ragione (vedi Pascal). Chi non ama non ha conosciuto Dio, diceva l’apostolo Giovanni, perchè Dio è amore. Lascio quindi all’illustre Professore il compito di studiare, approfondire, leggere, ri-leggere e ri-cercare il messaggio biblico, ma tutto ciò sarà vano se l’accademico non incontrerà quel Gesù, del quale tanto scrive, come Persona. Ricordiamogli anche che, indipendentemente dal suo percorso, la fede è sempre il frutto di un’iniziativa divina assolutamente gratuita.
Con l’augurio che il nostro Federico sia travolto (come San Paolo) dal Signore alla svolta di una strada o dopo un lungo cammino su un sentiero che procede serpeggiando fino alla cima della montagna, vi saluto entrambi con molta stima e simpatia. Biasi
Penso che sia Amore vero, il nostro, caro Federico. Al di là delle nostre incomprensioni e dispute, ritrovarti costantemente in queste pagine online, mi (ci) permette di posare su di te uno sguardo sempre nuovo. Naturalmente, personalmente, tento di farlo con chiunque; ma con te, questa "operazione", diventa di una facilità, di una naturalezza estrema.
"L’uomo più intelligente che conosco, diceva lo scrittore George Bernard Shaw (istruitosi, guarda caso, attraverso la lettura di William Shakespeare e della Bibbia), è il mio sarto. Ogni volta che gli faccio una nuova ordinazione, mi riprende le misure".
Sì, per poterti apprezzare, bisogna essere intelligenti ! Scusa la modestia.
Ricambio il tuo cordiale saluto. Biasi