Un approccio globale al commercio triangolare
Praticata fin dall’antichità, in Africa la tratta degli schiavi ha dato luogo a tre rami specifici. L’ultimo, organizzato da potenze europee, si inseriva in un commercio triangolare con le Americhe. Ricerche storiche recenti definiscono il coinvolgimento umano ma soprattutto economico di questo traffico.
di Marcel Dorigny, dell’Università Paris VIII, autore con B. Gainot e F. Le Goff di Atlante delle schiavitù, Parigi, 2006
Le Monde Diplomatique, novembre 2007 (traduzione dal francese di José F. Padova)
Negli ambienti sia scientifici che di associazioni e attivisti la storia della tratta dei neri è stata oggetto di numerose controversie. Comprovato fin dai tempi più antichi, il commercio di uomini e donne d’Africa ha avuto inizio molto prima che gli europei dell’epoca moderna esplorassero le coste del continente nero. Così è essenziale distinguere bene tra le grandi forme di tratta degli schiavi che avevano fatto della popolazione nera la fonte principale, se non l’unica, di approvvigionamento di schiavi: la tratta detta orientale, la tratta interna africana, la tratta coloniale e europea. Queste tre forme di tratta degli schiavi non sono comparse nei medesimi periodi e non hanno avuto la stessa durata, ma si sono sovrapposte all’epoca coloniale.
La tratta orientale si inserisce nella continuità delle pratiche schiaviste delle società dell’antichità classica: l’antico Egitto, la Mesopotamia, l’impero romano, hanno in particolare fatto abbondante ricorso agli schiavi africani per il lavoro agricolo, nella costruzione degli edifici pubblici e delle strade, ma anche per i lavori domestici. Erede del mondo romano, l’impero bizantino ha continuato in questa pratica fino nel cuore del medioevo. Sorti in gran parte sul territorio dell’impero bizantino, gli imperi arabi, a partire dal VII secolo, hanno continuato questo trasferimento di popolazioni africane asservite fino ai centri dei nuovi poteri, verso Mossul e Bagdad, per esempio.
Il lavoro agricolo era allora la principale attività garantita da questi schiavi, ma essi erano ugualmente destinati ai compiti dell’economia domestica e agli harem. I circuiti di approvvigionamento di questi grandi imperi sono rimasti pressoché immutati durante millenni: per via di terra attraverso il Sahara, il deserto arabico, l’alta valle del Nilo, poi attraverso il Sinai, l’Anatolia, la valle del Tigri e dell’Eufrate, e poi l’Asia centrale e i confini dell’impero russo a partire dalla fine del 17° secolo; per via marittima attraverso il mar Rosso e il Golfo Persico partendo dalle coste orientali dell’Africa, perfino dal Madagascar per quanto riguarda la tratta nella sua parte araba.
Cifre vivamente controverse
Questa pratica di assai lunga durata è sopravvissuta ai numerosi cambiamenti politici e agli sconvolgimenti religiosi: dal paganesimo antico all’Islam, passando per il cristianesimo tanto greco che latino, la riduzione in schiavitù degli africani si è mantenuta in queste società ed è stata alimentata da un commercio regolare di provenienza dall’Africa orientale, da Zanzibar all’Abissinia, passando per la regione dei Grandi Laghi. Mentre è impossibile misurare l’ampiezza della tratta antica e bizantina, in mancanza di fonti affidabili, sono stati effettuati tentativi di valutazione quantitativa della tratta chiamata musulmana (o araba) - terminologia questa sulla quale non vi è unanimità. Si stima che dal settimo al diciannovesimo secolo sono stati strappati al continente nero dai 7 ai 12 milioni di persone. Ma queste cifre restano oggetto di vivaci controversie.
La tratta in terra africana, fondata principalmente sul rendere schiavi i prigionieri di guerra, è esistita per un periodo ancora più lungo, del quale in mancanza di informazioni è estremamente difficile fissare la durata. Sotto forme diverse, la schiavitù e il commercio delle persone sono stati praticati diffusamente nella maggior parte delle società africane molto prima dell’arrivo dei navigatori europei e indipendentemente dai circuiti delle tratte orientali. Hanno potuto essere avanzate valutazioni che fanno della tratta dei neri interna all’Africa - la cui esistenza è ancor oggi contestata da certi intellettuali africani - l’equivalente della tratta orientale, ma ripartita su un periodo ancora più lungo. Tuttavia - essenziale questa diversità - mentre la tratta orientale privava l’Africa di una parte della sua popolazione, la tratta africana interna manteneva intatto il potenziale umano del Continente.
Infine, nocciolo delle attuali controversie, la tratta negriera coloniale europea presenta caratteristiche radicalmente nuove, sia qualitative che quantitative. A differenza delle precedenti, essa ebbe preponderante carattere “razziale”: ne furono vittime soltanto i Neri dell’Africa,al punto di rendere il termine “negro” sinonimo di schiavo nella lingua francese del XVIII secolo. Questa “deriva razziale” dello schiavismo ha portato al trasferimento di una ingente popolazione africana sul continente americano e alle Antille i cui discendenti formano oggi un’importante componente, perfino come maggioranza alle Antille.
La tratta coloniale degli schiavi, organizzata dagli Stati più strutturati dell’Europa moderna, è stata oggetto di una minuziosa legislazione (fiscale, commerciale, amministrativa, sanitaria). Gli archivi pubblici e privati ne abbondano e hanno permesso agli storici, da più di tre decenni, di analizzare con rigore i meccanismi messi in opera da armatori, capitani di navi, fornitori di merci destinate a servire da moneta per l’acquisto degli schiavi sulle coste africane, piantatori delle colonie acquirenti di questa mano d’opera schiava, amministratori incaricati della gestione e della difesa delle colonie... È accettato che la tratta europea ha prelevato in Africa fra i 12 e i 13 milioni di esseri umani, comprese tutte le destinazioni, dei quali circa un terzo donne. La mortalità durante le traversate era molto variabile secondo le spedizioni, ma il numero dei morti nel corso delle traversate - accuratamente registrati sui libri di bordo - si è elevato a circa il 15% del totale degli schiavi imbarcati, facendo dell’Atlantico il «più grande cimitero della storia»; ai quali devono essere aggiunte le vittime - quasi altrettanto numerose in termini assoluti - fra i membri degli equipaggi. Dal livello di circa il 30% nel XVII secolo, la mortalità degli schiavi è scesa al 12% alla fine del XVIII grazie alla minore durata delle traversate e all’incontestabile miglioramento dell’igiene e dell’alimentazione degli schiavi, per risalire a più del 15% nel XIX secolo durante il periodo della tratta illegale.
Altra particolarità della tratta coloniale: la sua durata fu molto più breve di quella della tratta orientale e interafricana, perché si svolse dalla fine del XV secolo fino agli anni 1860. Il XVIII secolo concentra da solo il 60% delle spedizioni, il XIX - periodo nel quale la tratta era diventata illegale - quasi il 33%, mentre i secoli XVI e XVII raggiungono a malapena il 7% del totale. Eppure la massima intensità della tratta europea degli schiavi, che le attribuì tutta la sua specificità storica, si è in realtà concentrata su un periodo molto più breve, poiché il 90% degli schiavi africani deportati verso le colonie europee delle Americhe e dell’Oceano Indiano lo sono stati fra il 1740 e il 1850, ovvero in poco più di un secolo. Proprio questo carattere di brutalità, circoscritto a un lasso di tempo molto corto, ha profondamente segnato gli spiriti e urtato le coscienze di molti contemporanei: fra il 1780 e gli anni ’20 del 1800, circa 100.000 africani furono comperati ogni anno, cifra che nessun’altra tratta negriera ha mai raggiunto e cui neppure si è mai avvicinata. La graduatoria delle potenze negriere si stabilisce sulla base delle statistiche della tratta stessa: il Portogallo ha effettuato il trasferimento alle Americhe di più di 4,6 milioni di schiavi. Dopo aver inaugurato questo tristo commercio a partire dalla metà del XV secolo, ha svolto la parte essenziale della tratta illegale nel XIX secolo. La Gran Bretagna viene in seconda posizione, con più di 2,6 milioni di deportati, una parte dei quali fu venduta nelle colonie spagnole e anche francesi, malgrado il divieto legale. La Spagna, malgrado l’immensità del suo impero americano, arriva soltanto al terzo posto, soprattutto nel XIX secolo a causa dell’attività di Cuba, punto di partenza di un buon numero di navi della tratta clandestina. Gran parte dell’approvvigionamento in schiavi delle colonie spagnole fu eseguito dai britannici. La Francia occupava il quarto posto, con circa 1,2 milioni di deportati sulle proprie navi, dei quali circa l’80% furono destinati a Santo Domingo (Haiti), primo produttore mondiale di zucchero alla fine del XVIII secolo.
La geografia dell’Europa negriera è ben nota: i grandi porti negrieri si concentrarono in un triangolo che andava da Bordeaux a Liverpool e all’Olanda. Questa facciata nord-occidentale d’Europa organizzò più del 95% delle spedizioni negriere europee. In ordine d’importanza i grandi porti della tratta sono stati Liverpool, con 4.894 spedizioni identificate, seguito da Londra (2.704), Bristol (2.064), Nantes (1.714), Le Havre-Rouen (451), La Rochelle (448), Bordeaux (419), Saint-Malô (218), ... Si deve segnalare il caso del Portogallo. Primo Paese negriero, di gran lunga davanti a Inghilterra e Francia, questo Paese seguì una pratica diversa: i circuiti non partivano sistematicamente da Lisbona, ma il commercio degli schiavi si svolgeva fra il Brasile - di gran lunga la principale destinazione - e le coste dell’Angola, della Guinea o del Mozambico, attraverso l’Atlantico meridionale.
Un aspetto particolare del commercio negriero: il pagamento degli schiavi sulle coste dell’Africa, nei regni costieri che si erano strutturati intorno a questo lucrativo commercio, si faceva soltanto eccezionalmente in metalli preziosi, e abitualmente invece con manufatti: tessuti, ferramenta, stoviglie, armi bianche e da fuoco, alcol, bigiotteria, ecc. queste merci dette da tratta non erano affatto - come sovente si è detto - di cattiva qualità o di valore irrisorio: corrispondevano invece alla domanda dei venditori, che non avrebbero accettato a lungo di essere ingannati dagli europei. In cambio di prigionieri (il più sovente in seguito a guerre o razzie), i re africani che controllavano la tratta a monte ottenevano strumenti di prestigio che garantivano loro un potere spesso molto esteso.
Le esigenze di una clientela numerosa
Nondimeno, e per l’Europa qui stava l’essenziale, questo scambio di una forza lavoro destinata alle sue colonie contro prodotti usciti dall’attività manifatturiera delle sue città e campagne era altamente remunerativo. Non soltanto l’acquisto di schiavi contribuiva alle attività manifatturiere più diverse e sovente distanti dai porti negrieri, ma quegli schiavi venduti alle colonie costituivano la mano d’opera indispensabile per la produzione delle derrate coloniali - zucchero, caffè, cacao, ... - molto ricercate in un’Europa in pieno sviluppo. Queste merci coloniali, trasformate sul continente europeo, venivano esportate lontano dai porti d’arrivo e procuravano notevoli guadagni: la Francia, allora grande esportatrice di zucchero, equilibrava la sua bilancia commerciale grazie alle sue colonie piene di schiavi.
Inoltre, e a quel tempo si trattava di un elemento di capitale importanza, il «baratto» di schiavi contro merci evitava l’uscita dall’Europa di metalli preziosi, a differenza del famoso commercio con le sedi commerciali in India, che esportavano in Europa tessuti pagandoli con monete dell’argento proveniente dal Perù.
Senza entrare nelle controversie circa la redditività della tratta negriera - che avrebbe generato profitti dell’8% fino al 10% soltanto - si può tuttavia affermare che deve essere presa in considerazione la totalità del circuito commerciale negriero: a monte, le attività sviluppate da un flusso continuo di armamento di navi per questo commercio, pesantemente caricate di manufatti, la costruzione navale, l’attrezzatura e la manutenzione delle navi; a valle, l’esistenza delle colonie della zona tropicale e le loro produzioni agricole di elevato valore agli occhi di una clientela sempre più numerosa ed esigente.
Queste colonie furono non soltanto fonti di immensi profitti, tanto per i piantatori che per i negozianti dei porti, ma erano considerate come i segni più visibili della potenza delle metropoli. Nel XVIII secolo le guerre franco-inglesi avevano tutte sullo sfondo la rivalità per la supremazia coloniale. Ora, senza la mano d’opera fornita dalla tratta negriera, queste colonie non sarebbero state altro che terre vuote...
Così soprattutto nei secoli XVII e XVIII la tratta degli schiavi costituì il cuore della ricchezza e della potenza coloniale delle grandi nazioni d’Europa. La sua violenza ne fece il principale bersaglio della nascente contestazione del sistema coloniale. Il movimento antischiavista e abolizionista, all’inizio sorto e formatosi negli Stati Uniti al momento della Dichiarazione d’Indipendenza, poi in Inghilterra e in Francia alla fine degli anni 1780, mise l’eliminazione della tratta al primo posto nei suoi obiettivi politici. La prima tappa sarebbe dovuta essere la sua proibizione mediante un accordo fra i Grandi Paesi; ne sarebbe derivata una trasformazione delle condizioni stesse della schiavitù, che avrebbe aperto la strada alla sua soppressione progressiva, senza scontri né crolli economici.
Entità del prelievo umano
Per il movimento abolizionista internazionale, la schiavitù era una conseguenza del crimine iniziale rappresentato dalla tratta - il crimine assoluto. La sua scomparsa avrebbe avuto un doppio effetto benefico: da una parte, l’estinzione programmata della schiavitù, sostituita dal salariato, e dall’altra la fine dello spopolamento dell’Africa....
Questo schema, idealizzato all’estremo dai più ferventi antischiavisti - l’Abbé Grégoire e Mirabeau in Francia, Thomas Clarkson e William Wilberforce in Inghilterra - nei fatti non si è mai realizzato in questa forma. In Francia, la prima abolizione della schiavitù, il 4 febbraio 1794, venne imposta dall’insurrezione dei Neri di Haiti a una Convenzione che non si prospettava certo di procedere tanto in fretta. Ora, la soppressione della tratta non aveva preceduto questa abolizione rivoluzionaria. In Inghilterra, dove il movimento abolizionista era molto potente, come pure negli Stati Uniti, la tratta fu abolita con una legge nel 1807.
Nel 1815, al Congresso di Vienna, le Potenze si accordarono per mettere fuori legge la tratta negriera. Tuttavia in nessun luogo si vide come conseguenza il deperimento della schiavitù.
È pur vero che una tratta illegale mantenne a lungo in funzione i circuiti di approvvigionamento delle grandi piantagioni del Brasile, di Cuba e perfino degli Stati Uniti. Dappertutto l’abolizione di questo sfruttamento fu il solo modo di mettere fine a una pratica che la sola interruzione dell’arrivo di schiavi africani non minacciava.
Così le tratte negriere sono state una delle più violente fonti di approvvigionamento di schiavi. Tuttavia non si deve attenuare ciò che caratterizzò profondamente la tratta coloniale: innanzitutto la sua iniziale connotazione “razziale”, poi la sua organizzazione amministrativa da parte di Stati, Inghilterra e Francia, che sul proprio territorio avevano proclamato la proibizione della schiavitù, e infine l’ampiezza stessa del prelievo umano operato a detrimento dell’Africa, letteralmente svuotata delle sue forze vive.
Marcel Dorigny
Sullo stesso numero di Le Monde Diplomatique segue una riflessione di Eric Mesnard, professore di storia e geografia e autore di Storia delle tratte negriere e della schiavitù, che lamenta come in Francia la storia di questa tragica pratica, profondamente radicata nelle pagine più buie della Nazione e ignorata dai più, manchi quasi totalmente dai programmi scolastici.
Conseguenze sull’Africa della tratta negriera
La tratta dei negri ha avuto importanti conseguenze sul Continente nero, tanto sulla sua demografia quanto sulle sue strutture e sul suo sviluppo economico. Il presente ne porta le tracce.
di Louise Marie Diop-Maes, Docteure d’Etat [ndt.: il più alto dei 4 gradi di dottorato francesi] in Geografia umana, autrice di “Africa nera, demografia, suolo e storia, Presenza africana”, Ed. Khepera, Dakar-Paris, 1996.
Da Le Monde Diplomatique, novembre 2007 (traduzione dal francese di José F. Padova)
Nel XVI secolo in gran parte delle regioni dell’Africa subsahariana esistevano città rimarchevoli per l’epoca (da sessantamila a centoquarantamila abitanti o più), grandi villaggi (da mille a duemila abitanti), sovente nell’ambito di regni e imperi organizzati molto bene, e anche territori con un habitat disperso ma denso. Questo rivelano le vestigia e gli scavi archeologici e anche le fonti scritte, tanto straniere (arabe ed europee, anteriori alla metà del XVII secolo) come interne (cronache autoctone redatte in arabo, lingua della religione, come lo era il latino in Europa). Agricoltura, allevamento, caccia, pesca, artigianato molto diversificato (metallurgia, tessitura, ceramica, ecc.), navigazione fluviale e lacustre, commercio a medio e largo raggio, con monete particolari, erano molto sviluppati e attivi.
Il livello intellettuale e spirituale era analogo a quello dell’Africa del Nord nella stessa epoca. Il grande viaggiatore arabo del XIV secolo, Ibn Battuta, loda la sicurezza e la giustizia che si trovano nell’Impero del Mali. Prima dell’impiego delle armi da fuoco la tratta negriera da parte degli arabi era rimasta marginale rispetto all’attività economica e al volume della popolazione. Leone l’Africano (all’inizio del XVI secolo) ricorda che il re del Bornou (regione del Ciad) organizza solamente una volta all’anno la spedizione per catturare schiavi (1).
A partire dal XVI secolo la situazione si aggrava in misura straordinaria. I portoghesi penetrano nel Congo e, a sud della foce del fiume, conquistano l’Angola, attaccano i principali porti della costa orientale e li mandano in rovina, penetrano nell’attuale Mozambico. I marocchini attaccano l’impero Songhai, che resiste per nove anni. Gli aggressori dispongono di armi da fuoco, mentre i sub sahariani non ne hanno. Migliaia d’abitanti sono uccisi o catturati e ridotti in schiavitù. I vincitori s’impadroniscono di tutto: persone, animali, provviste, beni preziosi...
Regni e imperi sono smembrati, sminuzzati in principati spinti sempre più a farsi guerra allo scopo di procurarsi prigionieri che potranno essere scambiati, in particolari contro fucili, indispensabili per difendersi e attaccare. Ne conseguono spostamenti d’intere popolazioni, che provocano nuovi scontri, concentramenti in luoghi di rifugio, propagazione di uno stato di guerra latente fino nel cuore del Continente. Le razzie si moltiplicarono fino a raggiungere il numero di un’ottantina ogni anno all’inizio del XIX secolo, nel nordest del Centro Africa, secondo il letterato tunisino Mohammed El-Tounsy, che in quell’epoca viaggiò nel Darfur e nell’Ouddai (l’attuale Ciad) (2). La percentuale di prigionieri in rapporto all’insieme della popolazione aumenta quindi continuamente fra il XVII e la fine del XIX secolo e «distretti un tempo densamente popolati furono riconquistati dalla savana» o dalla foresta (3).
Una categoria sociale criminale
Tutto il tessuto socio-economico e politico-amministrativo che vi si era costituito venne progressivamente sconvolto e poi mandato in rovina. Le genti furono sovente ridotte all’autosostentamento in località difendibili, difficili da coltivare e da alimentare con l’acqua. Un enorme regresso in tutti i campi. La sorte dei prigionieri peggiorò. Fece la sua comparsa una nuova classe o categoria sociale criminale: quella dei sensali, dei guarda ciurma carovanieri, degli interpreti intermediari, dei fornitori di viveri... i «collaborazionisti» dell’epoca. Alcuni principi tentarono invano di opporsi a questo crescente commercio di esseri umani. Ma il re del Portogallo rispose negativamente alle lettere di protesta del re del Congo, Alfonso, che pure si era convertito al cristianesimo. Uno dei suoi successori fu ridotto al silenzio a mano armata. Lo stesso in Angola. La colonia francese in Senegal rifornì di armi i Mori perché attaccassero il damel [ndt.: carica equivalente a capo di Stato] (4), che rifiutava il passaggio delle carovane di schiavi [ndt.: vedi http://africamaat.com/article.php3?id_article=58&var_recherche=traite]. Fu quindi proprio l’impulso proveniente dall’esterno che provocò grande estensione e proliferazione della riduzione in schiavitù nell’Africa Nera.
All’inizio i re consegnavano soltanto i condannati a morte. Ma i portoghesi volevano quantitativi rilevanti, che si presero da sé attaccando senza altra motivazione. A partire dal 1575-1580 Dias Novais, primo governatore dell’Angola, spediva gli schiavi in ragione di dodicimila all’anno in media (5). Si tratta del doppio, a partire dalla sola Angola, di tutta la tratta trans sahariana della stessa epoca, se ci si riferisce, per esempio, alle cifre calcolate dallo storico americano Ralph Austen.
Nel secolo XVII e soprattutto nel XVIII la maggior parte degli armatori europei si dedica a questa tratta che rende moltissimo, soprattutto gli olandesi, gli inglesi e i francesi. Nella seconda metà del XVIII secolo si raggiungono quantità enormi: salvo nel periodo delle guerre franco-inglesi centinaia e centinaia di navi imbarcano da centocinquantamila a centonovantamila schiavi ogni anno (6). L’insicurezza crescente e generalizzata nella maggior parte delle regioni moltiplicò le carestie, le miserie, le malattie locali e ancor più le malattie importate, in particolare il vaiolo. Si impiantarono malattie endemiche e fiorirono le epidemie.
Razzie e guerre intestine
Occorre quindi aggiungere tutti quelli che sono morti durante gli attacchi, i trasferimenti dall’interno verso i punti di partenza e nei depositi; i suicidi e i rivoltosi uccisi al momento dell’imbarco, i morti imputabili al moltiplicarsi delle razzie e delle guerre intestine generate dagli spostamenti delle entità politiche, dalla fuga delle popolazioni, dall’accresciuta volontà di fare comunque prigionieri; i morti di fame (raccolti e riserve essendo stati saccheggiati) e per malattie di ogni genere; i morti dovuti all’introduzione delle armi da fuoco e degli alcolici adulterati, alla regressione dell’igiene e della sapienza acquisita..., tutti morti ai quali aggiungere gli schiavi e le schiave strappati al sub-continente. Si constata che questo disavanzo demografico supera largamente il numero delle nascite vitali, anch’esso forzatamente in diminuzione. E bisognerebbe ancora tenere conto dei «nati mancati». Come durante la Guerra dei Cent’anni, che fece perdere alla Francia la metà della sua popolazione,la diminuzione avviene in modo irregolare e diverso a seconda delle regioni e si accentua fortemente a partire dalla fine del XVII secolo. Dalla metà del XVIII la diminuzione complessiva fu massiccia e rapida.
È possibile calcolare questa diminuzione? Per misurare gli effetti demografici della Guerra dei Cent’anni in Francia si è paragonato il numero dei «fuochi accesi» (vale a dire delle case abitate) esistenti prima di questa guerra a quelli conteggiati in seguito. Certamente, non più che in India, qui non sono a disposizione i registri di battesimo, ma si sa, secondo quanto riferito dai viaggiatori e dagli esploratori del XIX secolo, che in Africa occidentale gli agglomerati abitativi più grandi non avevano più di trenta o quarantamila abitanti e quindi erano circa quattro volte meno importanti delle più grandi città del XVI secolo.
Secondo le medesime testimonianze, si può osservare che la differenza era ancora più grande per la popolazione rurale o per il numero dei combattenti che un principe o un capo guerriero poteva mettere in campo. Il rapporto approssimativo di quattro a uno, osservato in Africa occidentale, è rappresentativo della diminuzione dell’insieme della popolazione dell’Africa Nera fra il XVI e il XIX secolo? Dal Capo delle Palme (7) [ndt.: nell’attuale Liberia] fino al sud dell’Angola le perdite furono ancora più elevate. Gwato, il porto del Benin (attuale Nigeria), contava duemila fuochi al momento dell’arrivo dei portoghesi e non ne aveva più di venti o trenta quando vi giunsero gli esploratori del XIX secolo (8). Lo storico americano William G. Randles dimostra che la popolazione dell’Angola era stata ugualmente ridotta in proporzione molto elevata (9). D’altro canto, le regioni del Ciad sono rimaste molto bene popolate fino verso il 1890 (villaggi di tremila abitanti nel 1878).
Nell’attuale Sudan lo spopolamento comincia con la dominazione schiavista del pascià d’Egitto Mehemet-Ali, nel 1820. in Africa orientale gli altopiani, come il Ruanda e il Burundi, restano densamente popolati, circa cento abitanti per chilometro quadrato, contrariamente a quanto accadeva nella regione del lago Malawi (ex lago Niassa). In Africa del sud, a partire dalla prima metà del XIX secolo, all’azione dei Boeri (10) di decimazione delle popolazioni autoctone si aggiunge quella degli inglesi. Nell’insieme sembra ragionevole considerare che la popolazione dell’Africa Nera nel XIX secolo fosse da tre a quattro volte inferiore a quella del XVI.
Ma è possibile valutare la consistenza demografica dell’Africa Nera verso la metà del XIX secolo? La conquista coloniale (artiglieria contro fucili), il lavoro forzato multiforme e generalizzato, la repressione di numerose rivolte, la sottoalimentazione, le diverse malattie locali e, ancora, le malattie importate e la continuazione della tratta orientale hanno ridotto ancor più la popolazione che restava, nella misura di un terzo, fino al 1930. da questa data, misure amministrative e sanitarie hanno avviato la ripresa demografica che si è realizzata molto progressivamente.
Questa valutazione è stata possibile perché, con la presenza europea all’interno dei territori, certe indicazioni statistiche si sono aggiunte alle fonti narrative (11). Nel 1948-1949 in tutta l’Africa sub sahariana è stato effettuato un censimento generale e coordinato. Dopo le correzioni per difetto di rilevazioni, la popolazione è stata valutata fra centoquaranta e centoquarantacinque milioni di persone, approssimativamente. Tenuto conto dell’accrescimento registrato fra il 1930 e il 1948/49, si può stimare che nel 1930 la popolazione ammontava a 130/135 milioni d’individui, che quindi rappresentano i due terzi della popolazione approssimativa degli anni 1870-1890, valutata così in circa duecento milioni. Se ne conclude che nel XVI secolo la popolazione era dell’ordine di seicento milioni almeno (con una media di circa trenta abitanti per chilometro quadrato), secondo i risultati delle mie ricerche. Le vecchie cifre di trenta fino a cento milioni erano totalmente immaginarie, come lo dimostra Daniel Noin, ec presidente della Commissione popolazione dell’Unione geografica internazionale (12).
Insicurezza permanente e crescente
Fra la metà del XVI e la metà del XIX secolo la popolazione sub sahariana si è quindi ridotta di circa quattrocento milioni. Su questo totale, la percentuale di coloro che furono deportati, partendo dalle coste e dal Sahel, non può essere definita, a causa della rilevanza degli imbrogli e del numero molto elevato di clandestini, sia prima che dopo il divieto della tratta. Diverse fonti e ricerche portano ad aumentare di più del 50% le cifre ufficiali per quanto riguarda la tratta europea (13). Anche le stime della tratta araba sono altrettanto aleatorie. Per dare un ordine di grandezza possiamo dire che il numero, per le due tratte sommate assieme, deve porsi fra venticinque e quaranta milioni. Queste cifre sono ancora molto discusse, ma è certo che le valutazioni poco approfondite non tengono conto dell’enormità delle dissimulazioni. Per lo meno i nove decimi delle perdite totali si sono prodotte nell’Africa stessa, ciò che si spiega con la straordinaria durata di una grave insicurezza permanente e crescente sull’insieme del territorio, per il cumulo degli effetti distruttivi, diretti e indiretti, delle due tratte simultanee e sempre più violente.
Una Guerra dei Cent’anni che è durata trecento anni, con le armi della Guerra dei Trent’anni e poi dei secoli che seguirono. La conquista e l’occupazione coloniale, così agevolate, hanno incrostato l’estroversione, tanto culturale che economica, e reso particolarmente problematica la ristrutturazione dell’insieme sub sahariano e di ognuna delle sue regioni. Solamente una decina di anni fa l’Africa Nera ha riguadagnato il livello di popolamento che essa aveva nel XVI secolo, ma in modo molto squilibrato per la congestione umana nelle capitali e grandi città.
Le conseguenze delle tratte negriere sono pesanti e perniciose, ma molti non ne misurano l’importanza.
(1) Léon I’Africain, Description de l’Afrique, J. Maisonneuve, Paris, 1981.
(2) Pierre Kalck, Histoire de la République centrafricaine, Berger-Levrault, Paris, 1995.
(3) Charles Becker, « Les effets démographiques de la traite des esclaves en Sénégambie », dans De la traite à 1’esclavage, actes du Colloque de Nantes, tome II, Centre de recherche sur l’histoire du monde atlantique (CRHMA) et Société française d’histoire d’outre-mer (SFHOM), Nantes-Paris, 1988.
(4) Titolo attribuito ai sovrani tradizionali del regno di Cayor (Sénégal).
(5) William G. Randles, « De la traite 8 la colonisation. Les Portugais en Angola », dans Annales Economie Société Civilisal’tion (ESC), 1969, p. 289-305.
(6) Idem.
(7) Sull’attuale frontiera fra la Costa d’Avorio e la Liberia.
(8) Duarte Pacheco Pereira, Esmeraldo de situ orbis, Centre d’études de Guinée portugaise, Mémoire n° 19, Bissau, 1956.
(9) Williams Randles, op. cit.
(10) Colonizzatori olandesi.
(11) Daniel Noin, La Population de I’Afrique subsaharienne, Editions Unesco, 1999, p. 21 et 23.
(12) Idem.
(13) Charles Becker, op. cit.