MARX E LA CRITICA DELL’ECONOMIA TEOLOGICO-POLITICA. " Me ne stavo seduto pensieroso, misi da parte Locke, Fichte e Kant e mi dedicai a una profonda ricerca per scoprire in che modo una lisciviatrice può essere connessa al maggiorascato, quando mi trapassò un lampo (...)" (K. Marx, "Scorpione e Felice").

"SCORPIONE E FELICE". RIDENDO E SCHERZANDO, MARX TROVA "LA PIETRA FILOSOFALE" DEL SUO CAMMINO. Una nota di Michele Serra e un passo dal romanzo giovanile di Marx - a c. di Federico La Sala

Ovvio che i sacerdoti del marxismo, nella loro esegesi, non abbiano mai tenuto in gran conto il giudizio (non neutrale ma molto partecipe) che la figlia Eleanor diede del padre Karl Marx: «Era il più allegro e giocondo di tutti gli uomini».
giovedì 12 maggio 2011.
 


Karl prima di Marx

«Proletari di tutto il mondo divertitevi!»

Il romanzo del rivoluzionario da giovane

-  Materialismo comico e socialismo surreale

-  di Michele Serra (la Repubblica, 01.05.2011)

Aveva diciannove anni e odiava le convenzioni: per questo scrisse un breve romanzo satirico in cui si faceva beffe di borghesi, aristocratici e intellettuali. Era un ragazzo molto diverso dall’uomo che avrebbe scritto "Il Capitale" e dalla figura severa tramandata dall’ortodossia. Ora quel libro viene ripubblicato con le vignette disegnate dall’amico di una vita, Friedrich Engels

Quando, nel 1929, venne alla luce Scorpione e Felice, abbozzo di romanzo umoristico scritto dal diciannovenne Karl Marx quasi un secolo prima, le varie accademie del realismo socialista non ne furono certo entusiaste.

D’accordo, si trattava di trenta paginette scritte da uno studente vivace e irriverente (un Marx non ancora marxista...). Quasi uno scherzo letterario, dedicato al padre e in seguito tenuto in pochissimo conto anche dal suo autore.

Ma che il fondatore del "socialismo scientifico" avesse esordito con un testo così sideralmente distante dai dogmi ingessati che il futuro clero comunista avrebbe edificato sulle (alle) sue spalle, non era una sorpresa di poco conto.

Forse anche per questa inclassificabilità - oltre che per l’esilità letteraria - Scorpione e Felice ebbe una vita editoriale molto in sordina. Eccezion fatta per l’Italia, dove questa curiosa operina ora esce per Editori Riuniti, corredata dai disegni satirici del sodale Friedrich Engels, da una nota di Claudio Magris (scritta per il Corriere della sera nel 1968) e da una bella prefazione di Gabriele Pedullà.

Che ci introduce nel clima letterario e culturale della Germania della prima metà dell’Ottocento: le irrequietudini romantiche, il rifiuto del classicismo, l’enorme popolarità di Sterne e del suo Tristram Shandy.

Proprio di Sterne il giovane Marx è un convinto epigono quando prende a scrivere il suo tentativo di romanzo parodistico, anzi di parodia del romanzo, puntando sulla destrutturazione dei luoghi comuni narrativi e sul continuo auto-stravolgimento della trama, che saltabecca da una situazione a un’altra, da un personaggio all’altro, facendosi beffe della compiutezza formale del romanzo classico.

Quasi surrealisticamente, tanto che Pedullà, nella sua prefazione, fa notare che nel vastissimo e variegato mondo della cultura comunista novecentesca, solo Breton e i surrealisti sarebbero stati in grado di apprezzare quello scritto marxiano tanto anomalo e inatteso.

Per il lettore moderno è molto difficile cogliere i riferimenti satirici al mondo politico-culturale dell’epoca: la satira ha quasi sempre un’alta deperibilità perché i modelli che cita e stravolge si sono nel frattempo estinti, o consumati.

Si coglie bene, invece, lo spirito beffardo, anti-accademico, con il quale il ragazzo Marx mette in scena la sua storia strampalata e inconclusa. Si va dalla parodia della pomposità accademica (sull’etimologia di un nome l’autore spende tre noiosissime pagine, facendo il verso alla pedanteria di chissà quale professorone dell’epoca), alla demolizione quasi goliardica del sentimentalismo.

In certi passaggi quasi si indovina nell’autore il futuro Marx "ufficiale", lo svelatore della struttura economica e sociale come motore primo (e spesso occulto) delle idee e dei comportamenti umani (la sovrastruttura). Accade quando i personaggi provano sentimenti che l’autore, perfidamente, attribuisce subito dopo a disturbi corporei o intoppi comunque fisici, divertendosi a ricondurre alla carne vile quegli ideali e quelle passioni che allora (e non solamente allora) la letteratura descriveva come spirituali, eteree.

Fino alla scenetta finale, nella quale si pratica un clistere al cane Bonifacio (chiamato San Bonifacio dal religiosissimo padrone) e si stabilisce - sono le ultime parole del libro - un collegamento tra «ostruzione intestinale del cane e profondità delle idee», beffa anti-idealista che al giovane Karl dovette sembrare impagabile.

Testo a parte, è evidente che l’importanza di Scorpione e Felice sta soprattutto nello stridente contrasto tra l’icona severa e incombente del Padre Marx, sorta di nume barbuto per qualche generazione di uomini e donne di ogni parte del mondo, e il concetto stesso di umorismo.

Pedullà fa notare che il forse più insigne tra i critici letterari marxisti di tutti i tempi, Lukacs, deprezzò Sterne e il Tristram Shandy mano a mano che consolidava il suo lavoro sul realismo socialista come probabile ritorno alla "totalità umana" dei classici. Come se - detto in parole semplici - l’umorismo non fosse all’altezza della serietà dell’impegno politico, né fosse in grado, procedendo per frammenti, per rotture di schemi, di dare dell’umanità una visione "totale".

È in parte vero: alla base dell’umorismo c’è il senso del limite, che nelle sue varie espressioni (da una parte il pudore, all’altro estremo il cinismo) suggerisce di non cedere ad alcun tipo di "totalità".

Eppure Heinrich Heine, poeta romantico tedesco molto amato e frequentato da Karl Marx, vedeva in Sterne «un umorismo assoluto, nel quale si fondono sublime e ridicolo». Sublime e ridicolo, le due facce della medaglia umana, come in un successivo e fortunato aforisma (forse di Karl Kraus) viene detto anche meglio: il comico è solo il tragico visto di spalle.

E in fin dei conti, anche se il Marx apprendista satirico fu, come emulo di Sterne, molto approssimativo e svogliato, sapere che esordì come umorista lo risarcisce, almeno in parte, dell’uso super-strutturato che i suoi emuli fecero del suo pensiero, ossificandolo in precetti para-religiosi che avrebbero trovato degna parodia in Scorpione e Felice. È destino, peraltro, di molti culti umani vedere il fondatore trasfigurato in idolo, e un clero trasformare, nei secoli, l’energia intellettuale degli inizi in una cupa costruzione dogmatica - cioè in puro potere.

Ovvio che i sacerdoti del marxismo, nella loro esegesi, non abbiano mai tenuto in gran conto il giudizio (non neutrale ma molto partecipe) che la figlia Eleanor diede del padre Karl Marx: «Era il più allegro e giocondo di tutti gli uomini». Se non un quinto fratello Marx (ad honorem), certo non un minaccioso pontefice.


Destra e sinistra non sappiamo dove sono

di Karl Marx (la Repubblica, 01.05.2011)

Manca la definizione, la definizione. Chi potrà definirla, chi potrà esaminare quale sia la parte destra e quale la sinistra? E tu dimmi, mortale, da dove viene il vento, oppure se sul volto di Dio c’è un naso, e io ti dirò che cos’è destra e che cos’è sinistra. Null’altro che concetti relativi, è come bersi la follia, la furiosa pazzia, insieme alla saggezza!

Oh! Vano è ogni nostro sforzo, illusione è la nostra nostalgia, fino a che non avremo penetrato che cos’è destra e che cos’è sinistra, giacché a sinistra metterà i capri, a destra invece gli agnelli. Se si gira, se prende un’altra direzione, poiché di notte ha fatto un sogno, allora i capri staranno a destra e i devoti a sinistra, secondo le nostre misere vedute. Perciò definiscimi che cos’è destra e che cos’è sinistra, e l’intero nodo della creazione sarà sciolto, Acheronta movebo, dedurrò con precisione dove andrà a stare la tua anima, da questo concluderò inoltre su quale livello tu sei ora, poiché quel rapporto originario apparirebbe misurabile, in quanto la tua posizione sarebbe determinata dal Signore.

Ma il tuo posto quaggiù può essere misurato secondo lo spessore del tuo capo, mi gira la testa, se comparisse un Mefistofele, diventerei Faust, poiché è chiaro che tutti noi, tutti siamo un Faust, in quanto non sappiamo quale parte sia la destra, quale la sinistra, la nostra vita è perciò un circo, corriamo tutt’intorno, cerchiamo da tutte le parti, finché cadiamo sulla sabbia e il gladiatore, la vita appunto, ci uccide, dobbiamo avere un nuovo redentore, poiché - tormentoso pensiero, tu mi rubi il sonno, mi rubi la salute, tu mi uccidi - non possiamo distinguere la parte sinistra dalla destra, non sappiamo dove si trovano...

Lotta di classe

Me ne stavo seduto pensieroso, misi da parte Locke, Fichte e Kant e mi dedicai a una profonda ricerca per scoprire in che modo una lisciviatrice può essere connessa al maggiorascato, quando mi trapassò un lampo che, affastellando pensieri su pensieri, illuminò il mio sguardo e apparve davanti ai miei occhi una configurazione luminosa.

Il maggiorascato è la lisciviatrice dell’aristocrazia, poiché una lisciviatrice serve solo per lavare. Ma il lavaggio sbianca, dando così una pallida lucentezza al bucato. Allo stesso modo il maggiorascato inargenta il figlio primogenito della casa, dandogli così un pallido color argento, mentre agli altri membri imprime il pallido colore romantico della miseria.

Chi fa il bagno nei fiumi, si getta contro l’elemento scrosciante, combatte la sua furia e lotta con braccia vigorose; ma chi siede nella lisciviatrice vi rimane chiuso e contempla gli angoli delle pareti. L’uomo comune, vale a dire colui che non ha la magnificenza del maggiorascato, combatte con la vita impetuosa, si tuffa nel mare rigonfio, e con il diritto prometeico ruba perle alle sue profondità; magnificamente gli compare davanti agli occhi l’interna configurazione dell’idea, e audacemente crea, ma il signore del maggiorascato fa soltanto cadere le gocce su di sé, teme di slogarsi le membra e perciò si siede in una lisciviatrice.
-  Trovata la pietra filosofale, trovata!

Autocoscienza

Giungemmo a una casa di campagna, era una bella notte, blu scura. Tu eri appesa al mio braccio e volevi staccarti, ma io non ti lasciavo, la mia mano ti legava, come tu avevi legato il mio cuore, e tu lasciasti che io ti tenessi.

Io mormorai parole piene di nostalgia e dissi la cosa più alta e bella che un mortale possa dire, poiché non dissi nulla, ero sprofondato intimamente in me, vidi sorgere un regno, il cui etere fluttuava così leggero, eppure così pesante, e nell’etere c’era un’immagine divina, la bellezza stessa, come io un tempo l’avevo presagita - ma non riconosciuta - in audaci sogni fantasiosi, sfavillava lampi di spirito, sorrideva, e tu eri l’immagine.

Mi meravigliai di me stesso, poiché ero diventato grande attraverso il mio amore, imponente; vidi un mare infinito, in cui non mugghiavano più flutti, aveva guadagnato profondità ed eternità, la sua superficie era cristallo, e nel suo oscuro abisso erano appuntate tremule stelle dorate, che cantavano canzoni d’amore, che irradiavano ardore, e il mare stesso era caldo! Se quella strada fosse stata la vita!

Baciai la tua dolce, morbida mano, parlai d’amore e di te. Una nebbia leggera fluttuava sul nostro capo, il suo cuore andò in frantumi, pianse una grande lacrima, essa cadde fra noi, ma noi la sentimmo e tacemmo.

La miseria della filosofia

Giacevano davanti a me sul tavolo, proprio quando io mi lambiccavo il cervello sul perché l’ebreo errante sia un berlinese di nascita e non uno spagnolo, ma vedo che questo coincide con la controprova che devo fornire, per cui noi, per amor di precisione... non vogliamo fare nessuna delle due cose, ma ci accontentiamo dell’osservazione che il cielo sia negli occhi delle signore, ma che gli occhi delle signore non si trovano in cielo, da cui risulta che ad attrarci non siano tanto gli occhi quanto piuttosto il cielo, poiché non vediamo gli occhi, ma soltanto il cielo che è in essi.

Se ci attraessero gli occhi e non il cielo, allora ci sentiremmo attirati dal cielo e non dalle signore, poiché il cielo non ha un occhio solo, come è stato osservato sopra, ma non ne ha nessuno, bensì esso stesso è null’altro che un infinito sguardo d’amore della divinità, l’occhio mite e melodioso dello spirito di luce, e un occhio non può avere un occhio.

Il risultato finale della nostra ricerca, perciò, è che noi ci sentiamo attirati dalle signore e non dal cielo, perché non vediamo gli occhi delle signore, ma senz’altro il cielo che è in essi, sicché ci sentiamo dunque, per così dire, attratti verso gli occhi perché non sono occhi, e perché Aasvero, l’errante, è berlinese di nascita, poiché è anziano e malaticcio e ha visto molti paesi e molti occhi, ma continua pur sempre a sentirsi attirato non dal cielo, bensì dalle signore, ed esistono soltanto due magneti, un cielo senza occhio e un occhio senza cielo.

L’uno sta sopra di noi e ci attira verso l’alto, l’altro sotto di noi e ci attira nelle profondità. Ma l’Aasvero è attratto con forza verso il basso, altrimenti fluttuerebbe eternamente sulla terra? E fluttuerebbe eternamente sulla terra, se non fosse un berlinese di nascita e non fosse abituato alle distese di sabbia?

Traduzione Cristina Guarnieri © Editori Riuniti Srl

IL LIBRO

Il romanzo Scorpione e Felice di Karl Marx con disegni e caricature di Friedrich Engels (153 pagine, 9,90 euro) che anticipiamo in queste pagine è pubblicato da Editori Riuniti e sarà in libreria il 25 maggio

L’introduzione è di Gabriele Pedullà con una nota di Claudio Magris

Il libro esce nella collana di letteratura “Asce”, dedicata a opere inedite o dimenticate dei grandi classici. Sono già usciti tra gli altri L’Anticristo di Joseph Roth, Gelosia di Marcel Proust, Il villaggio di Stepancikovo di Fëdor Dostoevskij


IL SOGNO DI UNA COSA

Il nostro motto dev’essere dunque: riforma della coscienza non mediante dogmi, ma mediante l’analisi della coscienza non chiara a se stessa, o si presenti sotto forma religiosa o politica. Apparirà chiaro allora come da tempo il mondo possieda il sogno di una cosa della quale non ha che da possedere la coscienza, per possederla realmente. Apparirà chiaro come non si tratti di tracciare un trattino tra passato e futuro, bensí di realizzare i pensieri del passato. Si mostrerà infine come l’umanità non incominci un lavoro nuovo, ma porti a compimento consapevolmente il suo vecchio lavoro.

Karl Marx (ad Arnold Ruge, settembre 1843).


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