[...] Parla della democrazia, Bertone, definendola un sistema di governo che si basa "sulla ripartizione di potere". Ed è a questo punto che pronuncia parole che sembrano suonare un riferimento alle vicende del dopo Boffo e alle tensioni che agiterebbero i vertici vaticani. "Una dinamica di potere che se trasportata nell’ambito ecclesiale, non può non diventare radicalmente equivoca, perché nella Chiesa il rapporto strutturale tra la gerarchia e il resto del popolo di Dio, non può mai ultimamente essere posto in termini di ripartizione di potere" [...]
Il segretario di Stato vaticano, in Polonia, per una "lectio" alla locale università e per ricevere un dottorato honoris causa
"Le decisioni non possono essere prese a maggioranza, sarebbe una dinamica equivoca"
Bertone: "Nella Chiesa cattolica
il potere non è divisibile"
WROCLAW (POLONIA) - Nella Chiesa cattolica il potere non può essere "divisibile" né le decisioni possono serre prese a maggioranza. Dopo le settimane di veleni del ’Boffo-bis’, il segretario di Stato vaticano, cardinal Tarcisio Bertone, vola a Breslavia, in Polonia, per una "lectio" alla locale università e per ricevere un dottorato honoris causa.
Parla della democrazia, Bertone, definendola un sistema di governo che si basa "sulla ripartizione di potere". Ed è a questo punto che pronuncia parole che sembrano suonare un riferimento alle vicende del dopo Boffo e alle tensioni che agiterebbero i vertici vaticani. "Una dinamica di potere che se trasportata nell’ambito ecclesiale, non può non diventare radicalmente equivoca, perché nella Chiesa il rapporto strutturale tra la gerarchia e il resto del popolo di Dio, non può mai ultimamente essere posto in termini di ripartizione di potere".
"All’interno della Chiesa - continua il cardinale - il problema di una necessaria e ordinata ripartizione delle competenze non può mai coincidere con il problema del possesso di una porzione più o meno grande del potere, perché il potere - se per potere si intende la responsabilità ultima e perciò il servizio specifico dei vescovi di fronte alla vita della Chiesa - non è divisibile".
Quello che vale per la poltica, insomma, non vale per la Chiesa. Se la prima procede "con il sistema della rappresentanza", in base al quale "la minoranza deve inchinarsi alla maggioranza", la seconda deve seguire un diverso cammino che non "riposi solamente sulle decisioni di una maggioranza, perché diventerebbe una Chiesa puramente umana, dove l’opinione sostituisce la fede".
* la Repubblica, 11 febbraio 2010
Sul tema, nel sito e in rete, si cfr.:
La Chiesa gerarchica controlla le "azioni" dello Spirito santo e garantisce, amministra e distribuisce a "caro prezzo" ("Deus caritas est": Benedetto XVI, 2006) la Grazia ("charitas") di Dio!?! Avanti tutta!!! Verso il III millennio avanti Cristo!!!
Il disobbediente
di Luca Kocci (il manifesto, 26 febbraio 2011)
Quando si svegliano, all’alba del 24 febbraio 1945, i 40 prigionieri stipati in uno dei vagoni piombati del treno partito qualche giorno prima da Buchenwald si accorgono subito che uno dei loro compagni non ce l’ha fatta ed è morto prima di arrivare nell’inferno di Dachau, il lager dove erano destinati. È Josef Mayr-Nusser, 35enne altoatesino, disobbediente ad Hitler, che aveva rifiutato il giuramento alle SS, dove era stato arruolato a forza: «No maresciallo - aveva risposto al suo superiore nel centro reclute di Konitz, in Prussia occidentale - io non posso giurare ad Hitler in nome di Dio». Wehrmachtszersetzung, «disfattismo», la sua colpa; il lager, la condanna, che affronta senza ripensamenti - che pure gli sarebbero stati possibili - perché, sosteneva, «se nessuno avrà mai il coraggio di dire no ad Hitler, il nazionalsocialismo non finirà mai».
A Josef Mayr-Nusser - per anni dimenticato dalla storiografia e dalla Chiesa - nell’anniversario della sua morte, il Centro pace del Comune di Bolzano dedica un convegno («Noi non taceremo. Nonviolenza e totalitarismo»), oggi, a cui partecipa, fra gli altri, Hildegadr Goss Mayr, presidente onorario della International Fellowship of Reconciliation, cioè il Mir, Movimento internazionale della riconciliazione. «"Noi non taceremo, noi siamo la voce della vostra cattiva coscienza. La Rosa Bianca non vi darà pace". Terminava così il quarto volantino del gruppo di studenti antinazisti bavaresi della Rosa Bianca, condannati a morte da Hitler», spiega Francesco Comina, coordinatore del Centro pace e autore di una biografia di Mayr Nusser (Non giuro a Hitler, San Paolo edizioni). «C’è un’ostinata voglia di gridare, di dire forte no alla violenza, alla brutalità della dittatura, alla banalità del male, che collega i testimoni dell’antinazismo e più in generale i testimoni della pace e dei diritti umani. Il convegno vuole sottolineare il coraggio e la determinazione che hanno spinto questi uomini e queste donne a rompere il silenzio del terrore, dell’oppressione, dell’obbedienza, per denunciare la follia genocidaria, la violenza, l’oppressione».
Non è un eroe, né vorrebbe esserlo, Mayr Nusser. «Non faceva parte di alte gerarchie politiche o ecclesiastiche, era un semplice impiegato e padre di famiglia, sarebbe potuto rimanere nell’anonimato e salvarsi l’anima cercando, per quanto possibile, di non farsi coinvolgere troppo direttamente nelle atrocità che le SS compivano ovunque passassero», ricorda il figlio Albert, che aveva poco più di un anno quando il padre morì. Ma è un giovane, un giovane cattolico che prende sul serio il Vangelo e sceglie di obbedire alla sua coscienza, fino alla fine, perché «era convinto che fosse suo dovere manifestare apertamente il dissenso», dice ancora Albert Mayr.
Dissenso ad Hitler e anche al nazionalismo sia fascista che nazista, che Mayr Nusser esprime pubblicamente già 5 anni prima, quando gli altoatesini vengono costretti a scegliere se stare con l’Impero di Mussolini o con il Reich del führer. Il 23 giugno 1939, alla vigilia dell’invasione della Polonia e dell’inizio della guerra, fascisti e nazisti decidono la sorte dei sudtirolesi italiani che, entro la fine dell’anno, dovranno scegliere se trasferirsi nel Reich e conservare la cittadinanza tedesca oppure rimanere nelle proprie terre ed essere assimilati alla cultura e alla lingua italiane, che venivano imposte a marce forzate. Mayr Nusser, che frattanto era stato eletto presidente dell’Azione cattolica di Trento e non faceva mistero della sua avversione ad entrambi i totalitarismi - criticando duramente i silenzi e le omissioni della Chiesa e di molti cattolici - e al binomio «sangue e suolo», rifiuta di decidere. È un dableiber, un «non optante», e si trova fra due fuochi: da una parte i sudtirolesi di lingua tedesca che non vogliono l’assimilazione forzata all’Italia e il Partito nazista sudtirolese (Vks) che sogna la "Grande Germania" di Hitler, dall’altra i fascisti che vogliono italianizzare tutto l’Alto Adige.
Mayr Nusser rifiuta di scegliere, perché non si può decidere se abbracciare Mussolini o Hitler, e inizia l’attività con la Lega Andreas Hofer, un’associazione clandestina antifascista e antinazista che fa propaganda e informazione nei confronti delle ragioni dell’opzione. Resistenza nonviolenta ai totalitarismi che, spiega Piero Stefani, relatore al convegno e direttore scientifico della Fondazione del Museo nazionale dell’ebraismo italiano e della Shoah, «deve essere consapevole dell’influsso pervasivo esercitato sulle persone dal contesto violento incui si trovano, deve cercare di contrastarlo attraverso il primato attribuito, in sé e negli altri, alla dignità della persona, deve riconoscere che i suoi avversari sono uomini e non mostri, deve essere disposta a pagare il prezzo più alto per la scelta di manifestare pubblicamente i propri convincimenti perché, parafrasando un detto antico, chi salva la dignità umana, a partire da se stesso, è come se salvasse il mondo intero».
Con l’armistizio, l’8 settembre del 1943, le truppe tedesche invadono l’Italia e l’Alto Adige viene occupato. Nell’agosto del 1944 Mayr Nusser riceve la cartolina di precetto, obbligato ad arruolarsi nelle SS ed inviato in Prussia per l’addestramento, dove avrebbe dovuto giurare ad Hitler, secondo la formula prevista per le SS: «Giuro a te, Adolf Hitler, führer e cancelliere del Reich, fedeltà e coraggio. Prometto solennemente a te e ai superiori designati da te fedeltà fino alla morte. Che Dio mi assista». «Giurare a un dittatore in nome di Dio?», si chiede Mayr Nusser. «Giurare per odiare, per conquistare, per sottomettere, per insanguinare la terra? Giurare per rinnegare la propria coscienza, giurare e piegarsi ad un culto demoniaco, il culto dei capi, innalzati a idoli di una religione sterminatrice?». Quindi la decisione, il 4 ottobre: «Signor maresciallo, io non posso giurare ad Hitler, perché sono cristiano e la mia fede e la mia coscienza non me lo consentono». Subito arrestato, rinchiuso in una cella di un manicomio dismesso, poi condotto in carcere a Danzica e, a gennaio, condannato per disfattismo. «Amatissima Hildegard, sono convinto che il nostro amore reggerà anche alla dura prova rappresentata dal passo impostomi dalla mia coscienza», scrive alla moglie, poco prima di essere messo su un treno, ai primi di febbraio, insieme ad altri 40 obiettori, diretto a Dachau. Breve sosta a Buchenwald per risolvere alcuni problemi burocratici, poi di nuovo in marcia verso sud, premuti nei vagoni piombati. Ad Erlangen, il 20 febbraio, il treno si ferma di nuovo: la linea ferroviaria è stata bombardata e non si può più andare avanti. Mayr Nusser sta male, ha la febbre, la dissenteria lo sta uccidendo. Lo portano in ospedale, a tre ore di cammino, ma il medico nazista che lo visita lo rimanda indietro: «Niente di grave, può riprendere il viaggio». Torna sul treno e, durante la notte, muore. «Broncopolmonite», dirà il telegramma che oltre un mese dopo, il 5 aprile, arriverà ad Hildegard, per comunicarle con asettico linguaggio burocratico la morte del marito. Sepolto in Germania, il suo corpo tornerà a Bolzano, e poi nella chiesetta di Stella sul Renon, solo nel 1958.
La diocesi di Bolzano-Bressanone, dopo decenni di oblio, lo vorrebbe santo. Tre anni fa è stato chiuso il processo diocesano e ora tutti gli atti sono in Vaticano, dove però tergiversano: troppo pericoloso, forse, additare come esempio un obiettore di coscienza, per di più antifascista. Non si vuole riconoscere il «martirio» di Mayr Nusser perché la morte è avvenuta sul treno, per cause naturali, come se il viaggio nel vagone piombato verso Dachau fosse stato un viaggio di piacere liberamente scelto. «Fatico a capire queste motivazioni», spiega don Josef Innerhofer, postulatore della causa di beatificazione. «Mayr Nusser è un martire per la fede, perché lui ha detto no ad Hitler ispirato dalla sua coscienza cristiana». Un’interpretazione religiosa, che tende a depotenziare il valore di opposizione politica al nazismo, però non condivisa da tutti, per esempio dallo storico altoatesino Leopold Steurer, che la ritiene riduttiva. «Mayr Nusser era profondamente cristiano, ma la sua scelta è fatta anche di coraggio civile e ha un valore di testimonianza pubblica». «Le motivazioni di fondo di mio padre erano di carattere religioso, però le conseguenze e le implicazioni delle sue obiezioni non sono state personali ma inevitabilmente sociali e politiche», aggiunge Albert Mayr, che sottolinea anche un altro aspetto, di stringente attualità: l’informazione. «Mio padre cercava, nonostante le difficoltà del tempo, di informarsi, di capire e di sapere cosa erano e cosa stavano facendo il fascismo e il nazismo, oltre la propaganda di regime. L’informazione, e l’informazione critica, è fondamentale per poter scegliere liberamente e secondo coscienza, anche oggi».
Per uno sciopero della liturgia
di Enzo Mazzi (il manifesto, 12 febbraio 2010)
Grida la propria ininfluenza in campo ecclesiale il silenzio del cattolicesimo progressista sugli attuali scandali vaticani. Vescovi, teologi, preti e laici del cosiddetto «disagio» (guai a parlar di dissenso) sono muti e immobili. Nessuno che invochi o convochi un qualche incontro sinodale per socializzare, per trovare un varco di speranza. Ognuno è chiuso nel suo sgomento e s’affida ai sussurri.
Si parla di alta teologia come è successo a Firenze sabato scorso nell’incontro Il vangelo ci libera e non la legge, dimenticando il Vangelo annunciato lì a due passi dalla Comunità delle Piagge e da don Alessandro Santoro colpiti dalla legge canonica.
Qui ci vorrebbe uno sciopero generale della liturgia e della pastorale. Fermarsi tutti e discutere dell’assetto istituzionale ecclesiastico che dimostra di non reggere più di fronte alle sfide della secolarizzazione. La monarchia assoluta, questo è il papato, residuo medioevale di una teocrazia radicale e fondamentalista, non è più in grado di tenere di fronte ai nuovi poteri che s’impongo con una forza che annulla le «armi» di infallibilità, scomunica e giudizio divino con le quali finora il papa imponeva il suo potere.
Scienza, danaro, informazione, democrazia hanno consentito al potere ecclesiastico di sopravvivere delegando al papa e ai preti la realtà considerata residuale dell’etica e dei valori. Faceva comodo la sponda papale. Ma era evidente che piano piano questa delega veniva erosa e svuotata. L’arroccamento sulla difesa della vita dal suo concepimento alla morte non regge più di fronte a una scienza che sposta e assottiglia continuamente il confine fra la morte e la vita.
L’anima immortale, il peccato originale, l’inferno, il paradiso, l’onnipotenza di dio, l’indissolubilità del matrimonio, l’alterità sacrale del sacerdozio e i mille fondamenti dell’etica cattolica sono dogmi ormai svuotati.
È la prima volta che un papa si difende con gli strumenti della democrazia: il comunicato stampa. Non poteva farne a meno. Ma così ha mostrato al mondo la sua debolezza. Perché il comunicato si presta a interpretazioni capaci perfino di ribaltarne il significato e di affermare e confermare ciò che il papa nega. Il comunicato consente di scavare a fondo e già si annunciano altri scandali che sembrano investire addirittura la persona del papa (cf. E. Carnevali su Adista 12 settembre 2009).
La curia vaticana e le curie vescovili sono da sempre covi si vipere. Finora la blindatura era quasi totale. La cosa nuova è che per i moderni poteri dell’informazione non ci sono più segreti sacri e non esistono ostacoli canonici.
Non che la modernità sia tutta rose e fiori, anzi. I nuovi poteri hanno aspetti positivi ma hanno in sé anche una potenza distruttiva pari a quelli antichi. Oggi attraverso una martellante insinuazione e propaganda masmediatica passa una cultura omologata ed omologante secondo la quale non è la disobbedienza civile, umana, religiosa a offrire spazi creativi per far crescere la coscienza collettiva ed operare per la fraternità e la giustizia ma è unicamente il piegare il capo che può limitare i conflitti e preservare una permanenza negli spazi del sacro e del potere.
«L’obbedienza non è più una virtù» fu per noi e per molti, persone e movimenti, una conquista pagata a caro prezzo. Poi venne l’omologazione. Ma questi orridi scandali vaticani, questa debolezza del potere ecclesiastico, queste immense contraddizioni che si aprono impongono di ripartire da quella scelta che fu sconsideratamente chiamata «dissenso» e che invece era e forse è ancora coerenza evangelica di una fede che finalmente si libera dalla religione di chiesa.
Ma a Torino la base si mobilita
«Consultateci sul nuovo vescovo»
di Emanuele Buzzi (Corriere della Sera, 12 febbraio 2010)
In politica le chiamerebbero primarie. Per i fedeli, invece, sono più un ritorno alle origini. Di sicuro, si tratta di una piccola novità che apre nuovi scenari. A Torino, l’associazione cattolica «Chicco di Senape» ha chiesto di promuovere dei colloqui aperti per decidere il successore del cardinale Severino Poletto, vicino alla pensione. E lo ha fatto inviando una missiva, pubblicata anche sul sito internet del gruppo: «Chiediamo alla gerarchia e a chiunque possa aver voce sulla scelta del nuovo Vescovo che questa sia preparata - si legge - da una preghiera comune e da un’ampia consultazione dei parroci, degli altri preti e dei laici nelle parrocchie, nelle associazioni e negli istituti religiosi, per fornire il profilo del nuovo pastore atteso». Uno scritto che non lesina anche duri affondi al criterio decisionale ecclesiastico simile a quello «di stampo monarchico, oligarchico, autocratico».
Tommaso Giacobbe, membro del comitato di coordinamento, mette però le mani avanti: «Siamo solo un piccolo gruppo di credenti: pensiamo che nella Chiesa non ci debba essere necessariamente univocità di espressione. In fondo, si tratta di un ritorno a espressioni già in uso nell’antichità». E chiarisce: «Le modalità possono essere inventate, concordate. Vogliamo solo aprire il dialogo. Stiamo spedendo copia della lettera in giro. Anche al vescovo e al nunzio. Ma al momento non abbiamo ricevuto risposte». In realtà, la missiva ha numeri tutt’altro che esigui: «Un migliaio tra email e lettere a iscritti e simpatizzanti», precisa Giacobbe. L’associazione «Chicco di senape», nata nel 2007, vanta già 14 gruppi e molte adesioni tra personalità di spicco del mondo torinese, come quella di Ugo Perone, assessore alla Cultura della Provincia di Torino per il Pd, e Valentino Castellani.
Proprio l’ex sindaco interviene con una battuta sulla lectio magistralis di Tarcisio Bertone: «Sant’Ambrogio, che venne eletto vescovo per acclamazione, il cardinale Bertone non l’avrebbe scelto. E credo anche io, nei suoi panni». «Una Chiesa che riposi solamente sulle decisioni della maggioranza- aveva detto il segretario di Stato Vaticano- diventa una Chiesa puramente umana, ridotta al livello di ciò che è fattibile e plausibile», «dove l’opinione sostituisce la fede».
Insomma, l’antitesi della proposta lanciata da «Chicco di senape»: «Rappresentiamo solo noi stessi- afferma Castellani -. Ma vorremmo rompere questa dialettica decisionale tutta verticale, dove a volte possono prevalere logiche umane, anche di potere. Lo Spirito di Dio non passa dalla pura maggioranza ma neanche solo da scelte gerarchiche». Quella che per ora è una proposta, cela anche una speranza: «Il cammino dello Spirito apre le porte nel modo più impensato al soffio dell’innovazione», conclude Castellani.