SHOAH, NEGAZIONISMO, E VERITA’ DI STATO: LA LOGICA DEL "MENTITORE" ISTITUZIONALIZZATA!!! UNA TRAPPOLA MORTALE PER LA LIBERTA’ E LA COSTITUZIONE ...

IL NEGAZIONISMO, LA SHOAH, E LA VERITA’ DI STATO: UNA VITTORIA POSTUMA DI HITLER. Sul tema, interventi di Sergio Luzzatto, Marco Politi, e un’intervista a Carlo Ginzburg - a c. di Federico La Sala

“L’unica cosa che non ci serve è riempire le galere di mentitori e far pensare al mondo che per farci credere abbiamo bisogno della scorta della polizia” (Anna Foa).
venerdì 22 ottobre 2010.
 


Shoah vera o falsa? Non si decide per legge

di Sergio Luzzatto (Il Sole 24 Ore, 17.10.2010)

È certo avvilente la realtà delle cronache e delle inchieste di questi giorni. A Teramo, un professore di storia semisconosciuto agli studi, ma ultramediatizzato per le sue pseudo-lezioni sulla Shoah. Online, un intero sottobosco di siti antisemiti oltreché negazionisti. Il tutto, in coincidenza con l’anniversario del 16 ottobre 1943: quando una retata nazifascista consegnò oltre mille ebrei romani al treno per Auschwitz.

Tutto ciò è appunto avvilente. Ma non giustifica la reazione della classe politica italiana, che dai vertici delle Camere ai leader del centro-destra e del centrosinistra ha accolto con favore la proposta del presidente della comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, di approvare entro il 27 gennaio (giorno della Memoria) una legge che introduca in Italia il reato di negazionismo.

Penalizzare il negazionismo non può essere una soluzione del problema. Non foss’altro, perché il negazionismo è male culturale e sociale. Va dunque affrontato con anticorpi culturali e sociali, non attraverso la repressione giudiziaria: come già sottolineava, tre anni orsono, un appello degli storici italiani contro un possibile decreto-legge in materia dell’allora ministro della Giustizia, Clemente Mastella.

Oggi, a fronte della rinnovata tentazione della nostra classe politica di legiferare sulla verità storica, bisogna rinviare i cittadini-lettori a quell’appello del gennaio 2007 (http://www.21e331t/pdf/commentileggi/o7o123appellostoriciantimastella.pdf), sottoscritto dai più autorevoli storici italiani.

Inoltre, si può oggi provare ad aggiungere qualche elemento ulteriore di riflessione. Distinguere il vero dal falso nella storia è cosa indispensabile, ma meno facile di quanto sembri. Ad esempio: possiamo facilmente concordare sulla verità dell’affermazione secondo cui la terribile «notte dei cristalli», in cui vennero distrutti decine di templi e migliaia di negozi di proprietà degli ebrei, fu quella del 9-10 novembre 1938. Ma se qualcuno sostenesse che «le politiche nazionalsocialiste di quegli anni ebbero un impatto fortemente positivo sull’economia tedesca, prostrata dagli effetti della crisi del 1929 » sarebbe forse un’affermazione falsa? Oppure diventerebbe falsa soltanto l’estrapolazione successiva, «Hitler fu un genio dell’economia»? È evidentemente assurdo instaurare criteri giuridico-legali per distinguere il vero dal falso nella storia.

Porre limiti alla libertà d’insegnamento è comunque sbagliato. Beninteso: laddove certe lezioni universitarie sfociassero sull’incitazione all’odio razziale sull’apologia di crimini contro l’umanità queste lezioni assumerebbero un rilievo penale già contemplato e perseguito nei nostro ordinamento. Ma al di fuori di questo, un sistema educativo dovrebbe - piuttosto - tutelarsi con anticipo dalla tara dei cattivi maestri. Oggi, il problema non è sapere di cosa sproloqui dalla cattedra un docente di Teramo: il problema è sapere chi lo ha nominato professore ordinario in un’università italiana.

Creare un precedente nella disciplina della libertà d’insegnamento sarebbe pericoloso. Facciamo qui un altro esempio che riguarda non il negazionismo ma il cosiddetto creazionismo. Bisognerebbe forse stabilire limiti legali anche al diritto d’insegnare che Charles Darwin aveva capito poco o nulla sulle origini della vita nel mondo, e che tutto si spiega grazie a un Disegnatore meravigliosamente intelligente? In democrazia, la scienza e la cultura selezionano da sole, senza intervento della politica, l’attendibile dall’inattendibile e il rigoroso dal ciarlatanesco.

La conoscenza storica si nutre di tutto, perfino di negazionismo. Al riguardo un ultimo esempio, relativo ai diari di Anne Frank. Durante gli anni 80, soltanto certe accuse - ideologicamente abiette, ma filologicamente acute - del professore francese Robert Faurisson (il pioniere del negazionismo europeo) spinsero la Fondazione Anne Frank ad approntare un’edizione critica dei diari, che consentì di fare piena luce sulla ricchezza dei manoscritti lasciati da Anne.

Fuori d’Italia, percorrere la strada della verità storica di stato si è già dimostrato un esercizio rischioso; e suscettibile di generare esso stesso - paradossalmente - forme di negazionismo. È quanto ha sperimentato, negli anni scorsi, la Francia: che infatti ha finito per rinunciare, nel 2008, a qualunque nuova "legge memoriale".


Contro il negazionismo non serve la storia “vera per legge”

di Marco Politi (il Fatto Quotidiano, 20.10.2010)

Pierre Vidal Naquet, lo storico francese, li ha chiamati “assassini della memoria”. Assassini spregevoli e vigliacchi perché tolgono alle vittime e ai loro discendenti persino il diritto di piangere i morti innocenti, di ricordarli e di combattere i carnefici e le ideologie che li hanno guidati.

Assassini della memoria per eccellenza sono negazionisti e revisionisti, che cavillano sulle camere a gas, sulle cifre delle vittime, sugli “ordini scritti o non scritti” con l’obiettivo di spingere nell’oblio la Shoah e - mascheratamente - di continuare ad alimentare le radici dell’antisemitismo.

IN QUESTA SCHIERA si inserisce certamente Claudio Moffa, il docente dell’università di Teramo, che al termine di un master è tornato a parlare (ripreso in video) del “cosiddetto Olocausto”, dei racconti “non fedeli” dei sopravvissuti, del “dogma-Shoah”.

Alle proteste e all’indignazione dei rappresentanti dei sopravvissuti si è unito Riccardo Pacifici, presidente della Comunità ebraica di Roma, lanciando la proposta di una legge che punisca il negazionismo. La rabbia è sacrosanta, la voglia di contrastare gli assassini della memoria è trasversale e comprende uomini e donne delle più varie credenze. Eppure in un secondo momento sono emersi dubbi fondati se questa sia la via giusta.

Hanno cominciato gli storici. Adriano Prosperi su Repubblica, Sergio Romano sul Corriere della sera, Anna Foa sul giornale dei vescovi Avvenire. “L’inviolabile diritto di ciascuno - ha scritto Prosperi - è frutto di secoli di lotte contro l’intolleranza e la censura di poteri religiosi e politici”.

Una legge che difende penalmente la verità storica “sarebbe la vittoria postuma dei regimi totalitari sconfitti al prezzo di un immane conflitto mondiale”. Sergio Romano ha ricordato l’appello di Blois, redatto nel 2008 quando si pensava che gli stati membri dell’Unione dovessero punire chi avesse “grossolanamente minimizzato” genocidi, crimini di guerra e crimini contro l’umanità.

Gli storici francesi risposero che “in uno Stato libero non spetta ad alcuna autorità politica definire la verità storica e restringere la libertà dello storico sotto la minaccia di sanzioni penali”. Anna Foa su Avvenire ha rivelato che mai ha pensato che una legge per mandare in galera il più celebre dei negazionisti David Irving (o Claudio Moffa) “possa essere giusta e utile”. Ultimo è intervenuto anche l’Osservatore Romano. “Negare l’Olocausto - ha affermato - è un fatto gravissimo e vergognoso”. Ma la storia non è vera per legge e “punire per legge non è la strada giusta”.

Dubbi e perplessità sono affiorati anche all’interno del mondo ebraico. Su Moked, il portale dell’ebraismo italiano, Tobia Zevi ha scritto che i reati d’opinione sono “materia delicatissima” e si è chiesto: è pensabile tutelare un solo sterminio? E le vittime uccise dal gas italiano durante la guerra d’Etiopia rientrerebbero o no nella categoria della punibilità? Sono riflessioni a tante dimensioni.

Ma quanto più il nodo si fa ingarbugliato tanto più è bene tenersi al filo dei principi più sicuri. E nella nostra cultura occidentale il principio base - contro ogni diffamazione, la più perversa - è mirabilmente espresso dalla Costituzione degli Stati Uniti. Così suona il Primo Emendamento: “Il Congresso non farà leggi che limitino la libertà di parola o di stampa o il diritto delle persone di riunirsi in pacifica assemblea”.

Qualunque cosa dicano, qualunque cosa stampino, qualunque sia il segno sotto il quale si riuniscano. Anche antidemocratico, odioso, schifoso: purché pacificamente! Le tavole del Sinai delle moderne democrazie sono queste e non ce ne sono altre. E a ben vedere una legge che punisca i negatori della Shoah sarebbe inutile, controproducente, pericolosa. Inutile perché non impedisce l’antisemitismo. Controproducente perché - nonostante l’unicità dell’Olocausto - darebbe l’impressione che si tuteli la memoria di un solo massacro nella storia. Pericolosa perché apre la strada a un’ideologia di stato.

HA DETTO mirabilmente Anna Foa: “L’unica cosa che non ci serve è riempire le galere di mentitori e far pensare al mondo che per farci credere abbiamo bisogno della scorta della polizia”.

Nell’odierna situazione italiana finirebbe per fare da alibi al razzismo selettivo. Dove il primo gaglioffo leghista, protetto dal governo, magari afferma di difendere la Shoah e poi dichiara come il senatore Piergiorgio Stiffoni: “Gli immigrati? Purtroppo il forno crematorio di Santa Bona non è ancora pronto”. Dove si agita la bandiera dell’amore e si mandano maiali a pisciare sul terreno, destinato a una moschea. Dove nessuno è razzista, ma una “romena di merda” può essere uccisa. Dove ci si proclama moderati e si sdogana senza battere ciglio lo sfruttamento (che continua) dei “negri” di Rosarno. Antisemitismo e razzismo si combattono con l’impegno civile, la formazione, l’esempio delle istituzioni. Chiedendo coerenza a partiti, forze sociali, autorità, agenzie educative. E questo, in Italia, è ancora da costruire.


-  intervista a Carlo Ginzburg

-  La verità non è di stato

-  Ginzburg: i tribunali non possono decidere
-  È sbagliato interferire con normative nella ricerca intellettuale. E non si deve offrire a chi nega lo sterminio il pretesto per ergersi di fronte al mondo come paladino della libertà espressione

a cura di Simonetta Fiori (la Repubblica, 21.10.2010)

«La verità storica non può essere certificata da un tribunale», dice Carlo Ginzburg. Il suo giudizio negativo sull’opportunità di una legge che punisca penalmente il negazionismo è una posizione condivisa dagli storici più autorevoli della comunità nazionale, al di là delle diverse ispirazioni politiche e culturali. Così come appare compatto il sì alla legge pronunciato da tutto il mondo politico, destra e sinistra insieme, con poche eccezioni.

Da una parte le ragioni della ricerca, dall’altra le ragioni della politica. «Questa divergenza va sottolineata», sostiene Ginzburg, «ma non credo costituisca un sintomo negativo per la ricerca».

Perché è contrario alla penalizzazione del negazionismo?

«Perché si rende un servizio ai negazionisti, desiderosi di una notorietà mediatica e pronti a ergersi a paladini della libertà di espressione. La mia posizione non è cambiata rispetto a tre anni fa, quando insieme ad altri storici firmammo un manifesto contro il disegno di legge proposto dall’allora ministro della Giustizia Mastella. Ogni verità imposta dall’autorità statale rischia di minare la libera ricerca storiografica e intellettuale».

In quell’appello venivano ricordati gli esiti illiberali di alcune verità di Stato: il socialismo nei regimi comunisti, la negazione del genocidio armeno in Turchia, l’inesistenza di piazza Tienanmen in Cina.

«Soprattutto è sbagliato portare in tribunale le argomentazioni storiografiche. Si entra in un terreno difficile e delicato, con il rischio di offendere la verità ma anche le vittime dei genocidi. Prendiamo la formulazione della Decisione Quadro del 28 novembre 2008 adottata dall’Unione Europea, così come veniva riportata ieri su Repubblica. "Ciascuno Stato membro adotta le misure necessarie affinché i seguenti comportamenti intenzionali siano resi punibili... l’apologia, la negazione o la minimizzazione grossolana dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra". La formula "minimizzazione grossolana" mostra immediatamente come scendendo su questo terreno possa cominciare una discussione infinita. Che cosa significa? Cosa intendiamo? Si entra in un gioco di distinguo e di sfumature assolutamente insensato».

Nella discussione intorno alla legge, qualcuno tra gli storici ha sostenuto che le argomentazioni dei negazionisti pur abiette possono essere di stimolo per la ricerca.

«No, sono ignobili e basta. Il documento sul negazionismo più profondo e più drammatico, anche per le sue implicazioni personali, è il saggio di Pierre Vidal-Naquet, Un Eichmann di carta, contenuto nella raccolta Gli assassini della memoria. I suoi genitori erano stati uccisi ad Auschwitz. Ho immaginato quanto gli fosse costato scrivere questo saggio. Devo dire che leggendolo al principio ho provato una profonda perplessità, che però è scomparsa quasi subito. Quel libro andava scritto, e solo Vidal-Naquet poteva scriverlo».

Più efficace Vidal-Naquet di una sentenza. Ma c’è il problema di come tenere i negazionisti lontani dall’insegnamento.

«Sono d’accordo con un vostro lettore: a proposito del professore negazionista di Teramo, invitava coloro i quali gli avevano dato la cattedra a riflettere sulle conseguenze della loro scelta. Il fatto che quel signore sia diventato docente è un sintomo dello stato vergognoso in cui è scivolata l’accademia italiana. Il negazionismo si combatte anzitutto moltiplicando la vigilanza critica e alzando gli standard delle nostre università».


Sul tema, nel sito, si cfr.:

-  EBRAISMO E DEMOCRAZIA. PER LA PACE E PER IL DIALOGO, QUELLO VERO, PER "NEGARE A HITLER LA VITTORIA POSTUMA" (Emil L. Fackenheim, "Tiqqun. Riparare il mondo")

-  ISRAELE E IL NODO ANCORA NON SCIOLTO DI ADOLF EICHMANN. FARE CHIAREZZA: RESTITUIRE L’ONORE A KANT E RICONCILIARSI CON FREUD. Alcune note - di Federico La Sala
-  A EMIL L. FACKENHEIM. (...) il merito di aver ri-proposto la domanda decisiva: “come fu possibile la hitlerizzazione dell’Imperativo Categorico di Kant? E perché è ancora attuale oggi?”


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