A proposito della “Lettera” autografa del Sovrano dello Stato Vaticano al Presidente del Senato, e della "rivoluzione di Dio".
UNA INVESTITURA “MEDIOEVALE”
di Federico La Sala *
“Che l’Italia sia sempre stato un paese mammone e maschilista (la contraddizione è solo apparente)”, lo sottolinea e lo ricorda, con determinazione e chiarezza, Clara Sereni (cfr. O il rosa o il fango, l’Unità, 14.10.2005). “Non è mai stato un segreto per nessuno che l’Italia custodisse nelle proprie viscere un fondo limaccioso, fangoso, sporco”, ma oggi tutto questo è venuto a galla e sta inquinando tutto! Il buio e la peste (non solo aviaria) è all’ordine del giorno. Contro questa oscurità, che acceca sempre più i nostri occhi e i nostri pensieri, e devasta tutta la nostra Casa, non si può più stare zitti o zitte.
Io, cittadino italiano, ’figlio’ di ’Giuseppe’ e ’Maria’, consapevole di “avere profonde radici cristiane, intrecciate con quelle umanistiche” (come ha detto e ridetto il nostro Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, in molteplici occasioni e, in modo forte, nell’incontro al Quirinale con il Sovrano dello Stato del Vaticano, il 24.06.2005), sono assolutamente offeso per le continue interferenze e incursioni ’piratesche’ dei Politici dello Stato del Vaticano nella nostra società civile e politica!!!
La lettera inviata e firmata di suo pugno dal Sovrano dello Stato del Vaticano al Presidente del Senato, in occasione del convegno su “Libertà e laicità” (in corso a Norcia) ha colmato la misura! Ha tutto il tono di un’investitura medioevale, degna di un Bonifacio VIII, e la volontà definitiva di distruggere la nostra Costituzione e la nostra stessa società, per soddisfare gli interessi del loro “Dio” Mammona [Caritas], e Maschilista-Edipico!!!
La loro cecità e la loro volontà di potenza non ha confini - distruggere la Casa di tutti gli italiani e di tutte le italiane, figli e figlie dell’amore e del rispetto reciproco di ’Maria’ e ’Giuseppe’, è l’obbiettivo sempre più all’ordine del giorno dei figli del “Dio”di “Mammasantissima [Caritas]”. La loro campagna ’militare’ è iniziata: è stata chiamata“La rivoluzione di Dio”. E sulle loro insegne. ... già e di nuovo si cominciano a leggere le solite vecchie parole! Costantino è morto, Hitler è morto, Mussolini è morto, Stalin è morto ... e loro continuano a combattere - contro sé stessi!!!
Che il Dio - l’Amore [Charitas] - dei nostri padri e delle nostre madri li illumini, e giungano a se stessi e al loro prossimo, con gli occhi aperti e con la mano aperta - per stringere un patto nuovo, finalmente, degno di tutti gli esseri umani di tutto il pianeta Terra! (16.10.2005)
Federico La Sala
*
Lettera di Benedetto XVI a un convegno su "Libertà e laicità" che si tiene a Norcia, e a cui partecipano anche Pera e Formigoni
Il Papa: "I diritti fondamentali vengono da Dio, non dallo Stato"
Secondo il Pontefice, una nazione "sanamente laica" deve garantire la libera espressione della religiosità (www.repubblica.it, 15.10.2005)
NORCIA (Perugia) - Parole forti, con la firma di Benedetto XVI: "I diritti fondamentali non vengono creati dal legislatore, ma sono iscritti nella natura stessa della persona umana, e sono pertanto rinviabili ultimamente al creatore". Il passaggio è contenuto in una lettera che il papa ha inviato alla fondazione Magna Charta che tiene un convegno a Norcia sul tema "Libertà e laicità". E a cui partecipano, tra gli altri, Marcello Pera e di Roberto Formigoni.
Nella missiva, il Papa sostiene che uno Stato "sanamente laico" deve riconoscere nella sua legislazione quel "senso religioso in cui si esprime l’apertura dell’essere umano alla trascendenza". Solo questa, secondo Benedetto XVI, è una forma di "laicità positiva", che garantisce "a ogni cittadino il diritto di vivere la propria fede religiosa con autentica libertà, anche in ambito pubblico".
E dunque, secondo il papa, "per un rinnovamento culturale e spirituale dell’Italia e del continente europeo occorrerà lavorare affinchè la laicità non venga interpretata come ostilità alla religione, ma al contrario come impegno a garantire a tutti, singoli e gruppi, nel rispetto dell’esigenze del bene comune, la possibilità di vivere e manifestare le proprie convinzioni religiose" (15 ottobre 2005).
* www.ildialogo.org/filosofia, Lunedì, 17 ottobre 2005
Sul tema, nel sito, si cfr.:
MESSAGGIO EV-ANGELICO E SANTO PADRE?! ABUSO DEL TITOLO E MENZOGNA. L’ERRORE DI RATZINGER.
Il dialogo tra le religioni non è possibile. La fede non si può mettere tra parentesi
di Benedetto XVI *
Caro Senatore Pera,
in questi giorni ho potuto leggere il Suo nuovo libro Perché dobbiamo dirci cristiani. Era per me una lettura affascinante. Con una conoscenza stupenda delle fonti e con una logica cogente Ella analizza l’essenza del liberalismo a partire dai suoi fondamenti, mostrando che all’essenza del liberalismo appartiene il suo radicamento nell’immagine cristiana di Dio: la sua relazione con Dio di cui l’uomo è immagine e da cui abbiamo ricevuto il dono della libertà. Con una logica inconfutabile Ella fa vedere che il liberalismo perde la sua base e distrugge se stesso se abbandona questo suo fondamento.
Non meno impressionato sono stato dalla Sua analisi della libertà e dall’analisi della multiculturalità in cui Ella mostra la contraddittorietà interna di questo concetto e quindi la sua impossibilità politica e culturale. Di importanza fondamentale è la Sua analisi di ciò che possono essere l’Europa e una Costituzione europea in cui l’Europa non si trasformi in una realtà cosmopolita, ma trovi, a partire dal suo fondamento cristiano-liberale, la sua propria identità. Particolarmente significativa è per me anche la Sua analisi dei concetti di dialogo interreligioso e interculturale.
Ella spiega con grande chiarezza che un dialogo interreligioso nel senso stretto della parola non è possibile, mentre urge tanto più il dialogo interculturale che approfondisce le conseguenze culturali della decisione religiosa di fondo. Mentre su quest’ultima un vero dialogo non è possibile senza mettere fra parentesi la propria fede, occorre affrontare nel confronto pubblico le conseguenze culturali delle decisioni religiose di fondo. Qui il dialogo e una mutua correzione e un arricchimento vicendevole sono possibili e necessari.
Del contributo circa il significato di tutto questo per la crisi contemporanea dell’etica trovo importante ciò che Ella dice sulla parabola dell’etica liberale. Ella mostra che il liberalismo, senza cessare di essere liberalismoma, al contrario, per essere fedele a se stesso, può collegarsi con una dottrina del bene, in particolare quella cristiana che gli è congenere, offrendo così veramente un contributo al superamento della crisi.
Con la sua sobria razionalità, la sua ampia informazione filosofica e la forza della sua argomentazione, il presente libro è, a mio parere, di fondamentale importanza in quest’ora dell’Europa e del mondo. Spero che trovi larga accoglienza e aiuti a dare al dibattito politico, al di là dei problemi urgenti, quella profondità senza la quale non possiamo superare la sfida del nostro momento storico. Grato per la Sua opera Le auguro di cuore la benedizione di Dio.
Benedetto XVI
* Corriere della Sera, 23 novembre 2008
Io esisto perché tu esisti, per farla finita con il colonialismo
di Andrea Staid *
Come donne e uomini nati o cresciuti nella parte occidentale di questo mondo, quando guardiamo alle pratiche culturali e politiche degli “altri” dobbiamo porre molta attenzione a non comportarci da etnocentrici e pensare che la nostra visone di società, nel mio caso libertaria, sia unica ed esportabile in tutto il mondo. Credo che anche in questo caso, per affinare il nostro sguardo sull’alterità culturale, l’antropologia ci possa venire in aiuto con l’approccio relativista.
Ma cos’è il relativismo? È una teoria formulata a partire dal particolarismo culturale di Franz Boas e dall’antropologo statunitense Melville Jean Herskovits secondo i quali, considerato il carattere universale della cultura e la specificità di ogni ambito culturale, ogni società è unica e diversa da tutte le altre, mentre i costumi hanno sempre una giustificazione nel loro contesto specifico. Questo significa che i bisogni umani universali possono essere soddisfatti con mezzi culturalmente e politicamente diversi. Direi che su questo le lettrici e i lettori di Matrika non dovrebbero avere dubbi.
Quindi l’idea che gli elementi di una cultura debbano essere compresi e analizzati a partire dal contesto in cui agisce la specifica cultura porta alla conclusione che non si può considerare una cultura superiore o inferiore ad un’altra. Anche su questo non dovremmo avere dubbi.
È stato l’antropologo Melville Herskovits ad affermare, sulla scia dei precedenti fondamenti espressi da Franz Boas, che la specificità di ogni ambito culturale non consente analisi di carattere generale sul confronto tra culture.
Questa visione del mondo culturale degli “altri” ci mette in crisi e più che certezze fa nascere dubbi, ma questo non ci deve spaventare ; l’importante è far diventare questi dubbi la possibilità di risposte nuove, la creazione di corpi politici ibridi e inediti.
Dobbiamo farla finita con il pericoloso e dannoso sguardo coloniale [1] che ancora ci attanaglia, dobbiamo essere in grado di fare i conti con il colonialismo e liberare i nostri sguardi troppo spesso eurocentrici e giudicanti. Per decostruire i nostri immaginari coloniali ci possono aiutare gli studi (post)coloniali, semplificando, potremmo dire che si raccolgono attorno a tre distinti filoni d’indagine critica : il primo, inaugurato da Orientalism di Edward Said nel 1978 ed ispirato alla teoria del discorso di Michel Foucault, si fonda sulla interpretazione del colonialismo come formazione discorsiva alimentato dalle istituzioni materiali dell’Impero ; il secondo filone affonda nel pensiero decostruzionista e, come chiarisce Gayatri C. Spivak nel 1990 in The Post-colonial Critic, definisce il discorso coloniale come il prodotto retorico degli assiomi imperialistici che attengono in particolare alle questioni di razza e di genere ; il terzo filone, il cui fondamento va ricercato nella psicoanalisi lacaniana che Homi K. Bhabha rilancia in The Location of Culture del 1994, è caratterizzato da una analisi della formazione del soggetto coloniale e dei processi di ibridazione nei quali colonizzati e colonizzatori sono coinvolti.
Anche le antropologhe e gli antropologi hanno sviluppato pratiche e teorie post-coloniali e non egemoniche, dove l’altro non era più una stranezza culturale da studiare ma un soggetto interlocutore con il quale rapportarsi.
Per questo ancora oggi dal mio punto di vista il concetto di relativismo culturale è imprescindibile sul campo. Trovo fondamentale ricordare che è stata una donna, Margaret Mead, che grazie alla sua attività divulgativa, la cui opera più celebre, L’adolescente in una società primitiva, può essere considerata paradigmatica dell’utilizzo di argomentazioni di carattere relativistico come strumento di critica della società occidentale.
Il testo è frutto di una ricerca nelle isole Samoa, nella quale l’autrice sosteneva che le difficoltà personali incontrate dalle adolescenti occidentali, non sono universali e necessarie, ma contingenti e generate prevalentemente dalle costrizioni e dalle imposizioni che gli elementi più tradizionalisti e moralistici della cultura occidentale impongono. Le adolescenti samoane, al contrario, sarebbero lasciate libere di giungere alla maturità fisica, identitaria, sessuale, sociale, senza condizionamenti eccessivi e non soffrirebbero delle crisi e delle difficoltà incontrate dalle occidentali. Questo è un caso particolare, ma paradigmatico per capire il concetto relativista.
L’impegno dell’antropologia, soprattutto nel periodo che va dai suoi esordi fino alla seconda guerra mondiale produce come conseguenza il superamento dell’antitesi tradizionale tra la superiorità della cultura europea e l’inferiorità degli altri popoli. Sono convinto che il pensiero libertario deve abbandonare completamente un approccio etnocentrico ; non può pensarsi unico, giusto ed esportabile tout court nel pianeta, dobbiamo comprendere l’importanza di uno sguardo relativista. Il relativismo culturale è una risposta all’etnocentrismo e nega l’esistenza di un’unità di misura universale per la comprensione dei valori culturali e politici, poiché ogni cultura è portatrice di valori e norme che non hanno validità al di fuori della cultura stessa.
L’emergenza del relativismo culturale ha facilitato una comprensione più profonda e meno superficiale delle culture differenti da quella occidentale. Ma facciamo attenzione, quello che io propongo è un metodo per comprendere l’altro, non una sospensione totale del giudizio e del posizionamento politico dell’individuo. Per questo è molto importante fare una distinzione tra relativismo culturale e relativismo etico ; il primo è quello che io propongo per meglio comprendere la cultura e la politica degli “altri”.
Il relativismo culturale (metodologico) va tenuto distinto dal relativismo etico: mentre il primo costituisce un approccio metodologico, indica cioè quale debba essere la metodologia corretta per analizzare i fenomeni culturali, il secondo si riferisce ad un atteggiamento di sospensione del giudizio etico e morale circa usanze, politiche e costumi presenti nelle varie culture.
Per il relativismo etico, vale il principio di equivalenza di ogni prescrizione morale; se infatti non esiste una verità assoluta di riferimento in base a cui poter distinguere il bene dal male, allora tutto è lecito, affermazione che pretende di porsi a sua volta come una norma assoluta, a dispetto del presunto carattere “non prescrittivo” del relativismo. Non è tutto relativo, al contrario ; ma per comprendere gli “altri” dobbiamo relativizzare il nostro sguardo. (Andrea Staid Blog)
1 Per colonialismo si intende la politica di conquista, invasione e depredazione di territori e risorse (materiali e umane) attuata dalle potenze europee a partire dal XV secolo. Indica inoltre l’insieme dei principi a sostegno di tale politica e, infine, l’organizzazione del sistema di dominio. Lo sviluppo del colonialismo può essere distinto in due fasi : la prima, che parte dal XV secolo fino alla metà del XIX secolo ; la seconda, che parte dagli ultimi decenni del XIX secolo e termina a metà degli anni Settanta del Novecento con il crollo del sistema coloniale portoghese. Purtroppo la mentalità colonialista e i soprusi economici e politici colonialisti delle potenze occidentali sono ancora in atto anche se formalmente e storicamente il periodo coloniale dovrebbe essere concluso.
* Fonte: Matrika.
Ripensare il relativismo
di Christian Albini
in “Viandanti” (www.viandanti.org) del 27 ottobre 2013
Credenti e no sono necessariamente avversari? Da sempre sostengo che non sia vero. Premetto che queste sono etichette fuorvianti, come ormai sostengono molti. Il «credente» è abitato dal dubbio e anche il «non-credente» conosce una sua fede e la ricerca. Tuttavia, sono categorie comode per semplificare i nostri discorsi, a patto di disinnescare alcuni luoghi comuni fuorvianti e dannosi. Uno dei più importanti riguarda il significato del linguaggio del relativismo, che ha segnato il pontificato di Benedetto XVI, e l’uso che se ne fa. A lungo, il dissenso rispetto alle posizioni prevalenti tra i vertici della gerarchia cattolica, soprattutto in campo etico-legislativo, è stato respinto ricorrendo a quest’accusa. Il relativismo fa parte di quei concetti il cui significato è stato irrigidito e che vanno ri-compresi e ri-letti. C’è bisogno di una nuova comprensione di parole che sono state sequestrate dai settori più chiusi del cattolicesimo.
La laicità non è relativista
Gustavo Zagrebelsky, intervenendo nel dialogo aperto da papa Francesco con Eugenio Scalfari, scrive: «In ogni spirito che s’ispira alla laicità e crede alla necessità che forze morali possono unirsi per combattere il materialismo nichilistico e autodistruttivo delle società basate sull’egoismo mercantile, l’invito a “reimpostare in profondità la questione” suscita non solo interesse, ma perfino entusiasmo. La premessa è che il vero, il bene e il giusto esistono, che dunque non è insensato cercarli e cercarli insieme, ma che nessuno li possiede da solo, unilateralmente, onde possa imporli agli altri. Il centro del discorso è la coscienza e la sua insopprimibile libertà» (la Repubblica, 23 settembre 2013).
In anni recenti, vale la pena ricordarlo, Zagrebelsky ha portato avanti una critica serrata all’etica dei principi non negoziabili e della legge naturale, così com’era impostata anche da voci autorevoli del magistero. Questa sua posizione, come si evince dalle parole che ho riportato, non significa la negazione della verità, del bene e della giustizia. Il suo è il rifiuto di una certa impostazione etica e degli argomenti di cui si avvale, più che di ogni etica. E nemmeno è il sostenere una posizione radicalmente individualista e perciò relativista.
Ultimamente, alcuni fatti tragici hanno dimostrato come sia possibile trovare una sintonia tra portatori di visioni del mondo diverse in nome del bene della persona. È accaduto in occasione della giornata di preghiera e digiuno per la pace e in seguito alle tragiche morti di Lampedusa. Qui è in causa la persona con il suo volto, la sua carne, il suo sangue: un bene univoco, evidente, da difendere nei confronti di un male indubitabile.
Alle radici delle divergenze
Ci sono altre situazioni - soprattutto quelle riguardanti l’etica d’inizio e fine vita e la famiglia - in cui questa sintonia non si riscontra. Perché? Bisogna avere l’accortezza di chiedersi se questa è una divergenza che nasce da una negazione della vita e della famiglia, o piuttosto da una differente concezione del bene. Il nichilismo certamente esiste, ma sarebbe irrealistico considerarlo un fronte ben identificabile e schierato in armi contro i cattolici che lo fronteggiano. Solo un’esigua minoranza, tra gli atei e i non cattolici, può essere considerata effettivamente nichilista. Nietzsche e Heidegger hanno ben spiegato come il nichilismo sia piuttosto un clima di pensiero, un’atmosfera che tutti respiriamo, cattolici compresi. Si può essere perfettamente ortodossi sul piano dottrinale, eppure assumere un atteggiamento nichilista: è il caso del fondamentalismo, che divide il mondo in due e demonizza l’alterità negandone il bene.
Il punto è: chi sostiene su questioni di vita e famiglia una posizione “altra” rispetto a quella prevalente nella Chiesa - scrivo prevalente, perché in ambito teologico-morale interrogativi e dibattiti hanno uno spazio molto più ampio di quanto generalmente non si pensi, al punto che nella storia si rilevano cambiamenti anche notevoli nel magistero - è sostenitore di un male? E se, invece, sostenesse un bene differente, oppure una differente attuazione del medesimo bene che la Chiesa sostiene?
La prospettiva dell’incontro
Se in una relazione omosessuale caratterizzata da fedeltà e dedizione c’è un bene, riconoscerlo non significa negare il matrimonio. Chi sostiene, a certe condizioni e in certe situazioni, l’interruzione della ventilazione o della nutrizione artificiale è per la morte, o invece discerne una sproporzione tra i costi soggettivi, in termini di disagio psicologico, di queste pratiche e il fine che perseguono? Si tratterebbe allora di un giudizio morale su come coniugare la cura della vita con la libertà e la dignità della persona umana.
Non è affatto l’avvallo dell’eutanasia e di una cultura dello scarto, ma accettare che oltre un certo limite può diventare disumanizzante persistere nell’impedire la morte. Affrontare queste e altre questioni non significa entrare in una prospettiva di permissivismo senza freni, in cui tutto va bene. Sarebbe caricaturale porre le cose in questi termini. È più corretto dire che è una prospettiva d’incontro, la quale nasce dalla disponibilità a riconoscere il bene di cui l’altro è portatore dentro a una relazione. Senza che questo significhi necessariamente trovare un accordo facile e totale. Allo stesso modo, non è attraverso la vittoria in una disputa, bensì nella relazione che l’altro arriva a ritenere credibile me e il bene di cui sono portatore. Scrive Paolo: «Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono» (1 Ts 5,21).
Il relativismo, allora, non è dato da posizioni non pienamente coincidenti con le mie, ma dall’indifferenza per la persona e il suo bene, che inizia dal non riconoscerlo come soggetto portatore di un’autenticità etica che si manifesta nella sua coscienza. È in questi termini che si può leggere l’esortazione di papa Francesco a seguire il bene percepito dalla propria coscienza, che non è avvallo di tutto. Nel mercante di clandestini o nell’aguzzino nazista non c’è autenticità etica, perché c’è indifferenza verso l’altro. Ben diverso è il caso di chi entra nei dibattiti su vita e famiglia.
Christian Albini
Socio fondatore e membro del Consiglio direttivo di Viandanti
Scienza e religione oltre Ratzinger e Odifreddi
di Aldo Bodrato
Comunicazione e intervento di Aldo Bodrato
Caro Enrico (Peyretti),
non so come fare arrivare al Forum di Koinonia queste mie riflessioni. Se puoi, inoltragliele tu. In ogni caso possono interessare tutta la redazione.
Resto convinto che la prefazione papale al testo di Pera sia un incidente, forse fraudolentemente provocato. Pera non è nuovo a questa pratica di assemblare abusivamente testi suoi e del Papa per fingere un dialogo diretto sul tipo di quello instaurato dal teologo Ratzinger con Habermas.
Mi suona poi incredibile, che un’istituzione attenta alla forma come quella vaticana, abbia potuto consentire l’uso del titolo pontificale per sottoscrivere una presentazione-recensione, che solo come privato e singolo studioso il papa avrebbe potuto firmare. In sostanza, perché, quel testo è firmato Benedetto XVI e non Joseph Ratzinger, se non è un documento amministrativo interno della chiesa, un testo magisteriale a qualsivoglia titolo, se non perché qualcuno l’ha sottoposto alla firma del papa insieme ad altri di ufficio, così che questi firmasse con il nome di papa senza accorgersene?
Non dico questo certo per difendere il buon nome del pontefice, che sono tra i pochi teologi italiani che critico apertamente, denunciandone i limiti intellettuali e pastorali. Ma non credo possibile che neppure come Ratzinger, se non per senescenza grave, il noto teologo avrebbe scritto e firmato una introduzione-recensione tanto piena di piaggeria e di sciocchezze, del tipo l’Europa non può diventare un continente multiculturale, quando già lo è da secoli, fin da quando è nata. Sarebbe come dire che l’insalata russa non può essere fatta altro che con cetrioli romani.
Tutto in questa lettera-introduttiva coincide col pensiero di Pera e magari anche con quello privato di Ratzinger, ma che egli come papa si guarderebbe bene dall’esplicitare, pena la fine del dialogo con ogni confessione religiosa cristiana e con ogni religione, come vuole Baget-Bozzo e forse qualche leghista, ma non certo il papa, come capo di una Curia che in ogni modo cerca un dialogo religioso e culturale con Anglicani, Ortodossi, Ebrei, Islamici, anche se forse un po’ meno coi Protestanti non-integralisti alla Bush.
Attendo ancora una conferma vaticana sull’autenticità del testo, se mi è sfuggita fatemelo sapere e mi metterò il cuore in pace, cominciando a chiedere la destituzione per ragioni di chiesa e di fede di Benedetto XVI. Con simpatia
Aldo Bodrato
[...]
Articolo tratto da:
FORUM (119) Koinonia
http://www.koinonia-online.it
Convento S.Domenico - Piazza S.Domenico, 1 - Pistoia - Tel. 0573/22046
* Il Dialogo, Lunedì 08 Dicembre,2008 Ore: 16:32 - RIPRESA PARZIALE.