Gli esperti del Vaticano sono in difficoltà e non riescono a finire
L’ultimo termine era stato fissato per lunedì prossimo
L’Enciclica in ritardo, colpa del latino
E’ troppo difficile, slitta la consegna
di Orazio La Rocca *
CITTA’ DEL VATICANO - Slitta la pubblicazione della nuova enciclica papale per colpa del latino e delle difficoltà legate alla complessità e delicatezza del testo ratzingeriano. L’atteso documento, che Benedetto XVI ha dedicato ai problemi sociali, del lavoro e della globalizzazione, avrebbe dovuto vedere la luce lunedì prossimo.
Ma la data è stata rinviata perché i prelati addetti alle traduzioni sono pochi e, quel che è peggio, sono ancora meno quelli che padroneggiano la lingua latina, malgrado le recenti aperture di Ratzinger. Inevitabile che nelle riservatissime stanze vaticane, dove sono all’opera i monsignori incaricati di tradurre i documenti papali, si respiri imbarazzo. A fare le spese di lentezze e difficoltà è proprio uno dei più attesi testi di questi giorni, la nuova enciclica di Benedetto XVI, la prima a carattere sociale, dal titolo Caritas in veritate (Amore nella verità) che tarda a vedere la luce "a causa delle difficoltà con la traduzione in latino, e la complessità del testo", si sussurra in Curia.
C’è chi lamenta, Oltretevere, che l’idioma di Cicerone sia diventato molto ostico tra i prelati pur essendo da sempre la lingua ufficiale della Chiesa cattolica e quella prediletta dal Papa: sono passati ormai due anni da quando Ratzinger l’ha rilanciato col Motu Proprio che ha liberalizzato la Messa preconciliare in latino tanto cara a lefrebvriani e tradizionalisti. "Nessun problema con inglese, francese, spagnolo, portoghese, tedesco, ma col latino sono dolori: ormai anche qui sono in pochi a conoscerlo bene", si vocifera nei palazzi pontifici, dove sull’equipe di traduttori ufficiali vigila un ristrettissimo comitato di controllo che risponde direttamente al Papa formato dall’arcivescovo Paolo Sardi e da Ingrid Stampa, la storica segretaria che Ratzinger anche da Papa ha voluto portare con sé in Vaticano.
Si allungano, dunque, i tempi della pubblicazione della terza enciclica del pontificato ratzingeriano iniziato il 19 aprile 2005, dopo le prime due del 25 dicembre 2005 (Deus Caritas Est) e del 30 novembre 2007 (Spe Salvi). L’atteso documento potrebbe ora essere presentato ufficialmente tra il 6 ed il 7 luglio, anche se la firma di Benedetto XVI porterà comunque la data del 29 giugno.
È stato Ratzinger in persona a pretendere che la versione ufficiale dell’enciclica da inviare a tutti i vescovi del mondo e alle nunziature apostoliche, fosse rigorosamente in latino, mentre con i suoi predecessori la versione nella lingua di Cicerone arrivava solo in un secondo momento. La scelta, al di là delle difficoltà di traduzione, ha comportato un superlavoro caduto interamente sulle spalle di un piccolo numero di addetti alle traduzione. Risultato: ancora ieri i testi da stampare non erano stati portati nella tipografia della Libreria Editrice Vaticana.
La terza enciclica era stata annunciata più volte nei mesi scorsi dalle autorità pontificie per il prossimo 29 giugno. Anche lo stesso Ratzinger ne ha fatto cenno in più occasioni. L’ultima volta, il 13 giugno scorso parlando ai membri della Fondazione "Centesimus Annus", organismo che si ispira ad una delle più popolari encicliche di Giovanni Paolo II.
* la Repubblica, 27 giugno 2009
SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:
ALLA DOTTA BOLOGNA, NELLA CATTEDRALE DI SAN PIETRO, LA "DEUS CARITAS EST" (UN FALSO FILOLOGICO E TEOLOGICO).
AI CERCATORI DEL MESSAGGIO EVANGELICO. Una nota sulla "lettera" perduta.
BENEDETTO XVI
La preghiera di Gesù nell’Ultima Cena *
Cari fratelli e sorelle,
nel nostro cammino di riflessione sulla preghiera di Gesù, presentata nei Vangeli, vorrei meditare oggi sul momento, particolarmente solenne, della sua preghiera nell’Ultima Cena.
[...] le tradizioni neotestamentarie dell’istituzione dell’Eucaristia (cfr 1 Cor 11,23-25; Lc 22, 14-20; Mc 14,22-25; Mt 26,26-29), indicando la preghiera che introduce i gesti e le parole di Gesù sul pane e sul vino, usano due verbi paralleli e complementari. Paolo e Luca parlano di eucaristia/ringraziamento: «prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro» (Lc 22,19). Marco e Matteo, invece, sottolineano l’aspetto di eulogia/benedizione: «prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro» (Mc 14,22). Ambedue i termini greci eucaristeìn e eulogeìn rimandano alla berakha ebraica, cioè alla grande preghiera di ringraziamento e di benedizione della tradizione d’Israele che inaugurava i grandi conviti. Le due diverse parole greche indicano le due direzioni intrinseche e complementari di questa preghiera. La berakha, infatti, è anzitutto ringraziamento e lode che sale a Dio per il dono ricevuto: nell’Ultima Cena di Gesù, si tratta del pane - lavorato dal frumento che Dio fa germogliare e crescere dalla terra - e del vino prodotto dal frutto maturato sulle viti. Questa preghiera di lode e ringraziamento, che si innalza verso Dio, ritorna come benedizione, che scende da Dio sul dono e lo arricchisce. Il ringraziare, lodare Dio diventa così benedizione, e l’offerta donata a Dio ritorna all’uomo benedetta dall’Onnipotente. Le parole dell’istituzione dell’Eucaristia si collocano in questo contesto di preghiera; in esse la lode e la benedizione della berakha diventano benedizione e trasformazione del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di Gesù [...]
Caritas in capitalismo
di Francesco Boccia (il manifesto, 2 dicembre 2011)
Faccio una premessa: non appartengo alla lista dei cattolici militanti, né a quella dei cattolici della domenica, né tanto meno a quella dei cattolici a intermittenza che amano considerare il messaggio della Chiesa non nel suo complesso ma a spezzoni, a piccoli bocconi funzionali a un’idea personale o, peggio, a un’ideologia. Né mi iscrivo, oggi, al partito di chi vuole tentare di tirare il Papa e il suo magistero dalla propria parte solo per dare un fondamento a considerazioni soggettive. Mi considero un cattolico alla ricerca della luce attraverso il mistero e con grande umiltà mi accingo a esprimere le mie valutazioni sull’analisi economica della situazione attuale in base al messaggio di Joseph Ratzinger.
L’errore maggiore che potremmo commettere sarebbe quello di richiamare la dottrina di Benedetto XVI in maniera parziale, considerando solo alcuni brani dei suoi messaggi. (...) Tocca a noi rappresentanti delle istituzioni, poi, agire in maniera laica dando a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio. È bene ribadire questo concetto anche per sgombrare il campo da un melenso buonismo che tenta di costruire una Chiesa su misura a seconda del nostro piccolo tornaconto politico.
Il dibattito sulla dottrina economica e sociale della Chiesa ha ripreso vigore quest’estate, come effetto dell’importante discorso di Benedetto XVI al raduno mondiale dei giovani di Madrid (...) Anche nell’economia, ammoniva il Papa, c’è una «responsabilità per il futuro», una «responsabilità verso la propria nazione e l’umanità» (...). Ma a fare notizia è stata la proposta dell’istituzione di un’autorità pubblica super partes di livello internazionale: una sorta di banca centrale mondiale, che vigili sui movimenti finanziari e sia in grado di supportare i governi nei momenti difficili come l’attuale. Possibile mai che il Papa sia diventato comunista? (...).
Recentemente, Ettore Gotti Tedeschi, presidente dello Ior e illustre economista, in un bellissimo articolo ha analizzato la situazione attuale arrivando a chiedersi: «Come la situazione è riuscita a sfuggirci di mano?». Il banchiere ha ricordato i papi Giovanni Paolo II (in Sollicitudo rei socialis) e il suo successore Benedetto XVI (in Caritas in veritate) che a ragione hanno capito e profetizzato che all’uomo del nostro tempo, cresciuto a dismisura nelle capacità tecnologiche e scientifiche ma rimasto immaturo nella sapienza necessaria del loro uso, queste tecniche sarebbero sfuggite di mano, producendo immensi danni (....). L’uomo va posto al centro. Papa Benedetto XVI era stato molto chiaro con la sua Caritas in veritate. Il Papa poneva decisamente l’accento sull’uomo (ma non in contrapposizione all’impresa come vorrebbe qualcuno). Giacché, oltre che strenuo combattente contro il relativismo, Benedetto XVI lo è anche contro il nichilismo. (...) Quindi l’invito pressante del Papa è quello di riportare l’etica al centro della nostra vita, rifiutando le scelte nichilistiche che per 20, 30 anni hanno portato l’uomo a crogiolarsi in una forma di consumismo insensato e irrilevante, dimenticando che l’uomo non è fatto solo di corpo, ma di anima e di corpo. Come non si può non essere d’accordo? Il problema è un altro: il Papa vuole abolire il capitalismo e l’economia di mercato? Giammai. Ma servono le regole. (...). Il Papa non vuole abolire il mercato, ma vorrebbe regolarlo. Non agisce in una logica di contrapposizione, ma di dialogo e ci ricorda che alla base delle scelte di politica economica, il capitalismo, deve esserci l’etica. Caritas in capitalismo, ha detto qualcuno (...).
Quella che Papa Benedetto XVI propone nella Caritas in veritate è un’analisi della realtà alla luce dello smarrimento dei valori etici e della perdita di centralità della persona umana. Solo il recupero di questa priorità potrà garantire, nella prospettiva del Pontefice, un nuovo orientamento mondiale in vista della pace e della fraternità dei popoli tutti. Lo sviluppo economico politico è ciò che seguirà, necessariamente, una rivoluzione dello spirito di tale portata.
Per realizzare un percorso di così grande importanza non serve un assistenzialismo fine a se stesso. Tutt’altro. La sussidiarietà è l’unico modo per gestire responsabilmente la globalizzazione, in vista di un’operosa e solidale collaborazione tra i popoli. La cooperazione allo sviluppo deve saper gestire le risorse umane, divenendo luogo di incontro tra le culture.
Il recupero dei valori della persona umana è fondamentale per risolvere alla base i problemi relativi, ad esempio, alla povertà e alla disoccupazione dei giovani, al diritto all’educazione, alle divisioni politiche delle organizzazioni sindacali di categoria, alla tutela dell’infanzia, ai diritti dei consumatori e delle loro associazioni. Ma un recupero di tale portata non può essere affidato a etiche relativistiche e visto nell’ottica di uno scontro con il "padronato", bensì attraverso un’attenzione forte ai valori etici ai quali la Chiesa si rifà e che non possono essere guardati a intermittenza come le lucine dell’albero di Natale. L’abbandono del relativismo vale sempre e non può servire a corrente alternata solo per dare sostanza a rivendicazioni vecchie, dannose e irripetibili.
Il messaggio della Santa Sede è chiaro anche relativamente alle rivendicazioni settoriali: lo sciopero è l’extrema ratio, non la regola ossessivamente ripetuta - dice il Concilio Vaticano II che non è sospettabile d’influsso reazionario - che va sempre preceduto da trattative a oltranza nelle quali ognuno deve cedere piccole porzioni di potere in vista del bene comune.
Siamo all’utopia? No, siamo di fronte a un’analisi responsabile. E su questo punto sarò ancora più chiaro. La continua, costante demonizzazione della controparte non è nelle corde del messaggio del Pontefice. Il problema, purtroppo, è anche un altro. Siamo un Paese fermo - come dice Ernesto Galli della Loggia - un Paese ostaggio dell’immobilità (...). Il passato ci rassicura. Un Paese immobile nel quale anche noi, cosiddetti progressisti, ci compiaciamo del fatto che oggi alle occupazioni a scuola partecipano anche i genitori, i professori e il preside. Mi chiedo: c’è un modo e un mondo nuovi per vivere il nostro presente e il nostro futuro?
Non ne usciamo se, invece di tradurre Papa Ratzinger secondo i nostri antiquati schemi mentali precedenti alla caduta del muro di Berlino, non riconosciamo i nostri errori e non ci apriamo ai nuovi mondi oggi possibili. A cominciare dall’economia nella quale quel mercato che oggi, comunque, ci assicura la libertà di poter dire e fare, non cresce più e non dà benessere, né sicurezza. Per crescere non ci sono le vitamine. Ci sono e ci devono essere strumenti innovativi che ci fanno tuffare nel mare del futuro facendoci uscire dallo stagno. Chi non l’ha capito è condannato da solo. E non sarà Benedetto XVI e salvargli l’anima e lo stipendio.
* deputato e coordinatore delle Commissioni economiche del Gruppo PD alla Camera
Acca
a proposito dell’acca su Wikipedia ho trovato qualcosa d’interessante
di Antonio Caruso
" Sono famose le parole di Ludovico Ariosto: «Chi leva la H all’huomo non si conosce huomo, e chi la leva all’honore, non è degno di honore». Nell’Ottocento, Pietro Fanfani (1815-1879) e Giuseppe Rigutini (1829-1903) furono fautori della h, mentre il Petrocchi preferiva le forme accentate (per esempio, ò, à invece di ho, ha). La controversia è proseguita sempre più stancamente fino a tutti gli anni Trenta del Novecento. La rivista di Giuseppe Bottai, Critica fascista, usava il verbo avere senza l’h, che veniva normalmente bandita anche nelle scuole elementari."
Ma c’è anche una bella storiella di Rodari, dovrebbero leggerla anche i preti
L’Acca in fuga
[di Gianni Rodari
C’era una volta un’Acca. Era una povera Acca da poco: valeva un’acca, e lo sapeva. Percio’ non montava in superbia, restava al suo posto e sopportava con pazienza le beffe delle sue compagne. Esse le dicevano:
E cosi’, saresti anche tu una lettera dell’alfabeto? Con quella faccia?
Lo sai o non lo sai che nessuno ti pronuncia?
Lo sapeva, lo sapeva. Ma sapeva anche che all’estero ci sono paesi, e lingue, in cui l’acca ci fa la sua figura.
"Voglio andare in Germania, - pensava l’Acca, quand’era piu’ triste del solito. - Mi hanno detto che lassu’ le Acca sono importantissime".
Un giorno la fecero proprio arrabbiare. E lei, senza dire ne’ uno ne due, mise le sue poche robe in un fagotto e si mise in viaggio con l’autostop.
Apriti cielo! Quel che successe da un momento all’altro, a causa di quella fuga, non si puo’ nemmeno descrivere. Le chiese, rimaste senz’acca, crollarono come sotto i bombardamenti. I chioschi, diventati di colpo troppo leggeri, volarono per aria seminando giornali, birre, aranciate e granatine in ghiaccio un po’ dappertutto.
In compenso, dal cielo caddero giu’ i cherubini: levargli l’acca, era stato come levargli le ali. Le chiavi non aprivano piu’, e chi era rimasto fuori casa dovette rassegnarsi a dormire all’aperto.
Le chitarre perdettero tutte le corde e suonavano meno delle casseruole. Non vi dico il Chianti, senz’acca, che sapore disgustoso. Del resto era impossibile berlo, perche i bicchieri, diventati "biccieri", schiattavano in mille pezzi.
Mio zio stava piantando un chiodo nel muro, quando le Acca sparirono: il "ciodo" si squaglio’ sotto il martello peggio che se fosse stato di burro.
La mattina dopo, dalle Alpi al Mar Jonio, non un solo gallo riusci’ a fare chicchirichi’: facevano ciccirici’, e pareva che starnutissero. Si temette un’epidemia.
Comincio’ una gran caccia all’uomo, anzi scusate, all’Acca. I posti di frontiera furono avvertiti di raddoppiare la vigilanza. L’Acca fu scoperta nelle vicinanze del Brennero, mentre tentava di entrare clandestinamente in Austria, perche non aveva passaporto. Ma dovettero pregarla in ginocchio: - Resti con noi, non ci faccia questo torto! Senza di lei, non riusciremmo a pronunciare bene nemmeno il nome di Dante Alighieri. Guardi, qui c’e’ una petizione degli abitanti di Chiavari, che le offrono una villa al mare. E questa e’ una lettera del capo-stazione di Chiusi-Chianciano, che senza di lei diventerebbe il capo-stazione di Ciusi-Cianciano: sarebbe una degradazione.
L’Acca era di buon cuore, ve l’ho gia’ detto. E’ rimasta, con gran sollievo del verbo chiacchierare e del pronome chicchessia. Ma bisogna trattarla con rispetto, altrimenti ci piantera’ in asso un’altra volta.
Per me che sono miope, sarebbe gravissimo: con gli "occiali" senz’acca non ci vedo da qui a li’.
Ciao, Antonio
Ansa» 2009-07-01 13:09
Enciclica "Caritas in Veritate" verrà presentata il 7 luglio
CITTA’ DEL VATICANO - E’ ufficiale: il Vaticano presenterà l’enciclica del papa ’Caritas in Veritate’ il prossimo 7 luglio.
L’enciclica sarà presentata in una conferenza stampa dal card. Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio consiglio Giustizia e Pace, dal card. Josef Cordes, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, da mons. Giampaolo Crepaldi, segretario del Pontificio consiglio Giustizia e Pace e dall’economista Stefano Zamagni. Si tratta di tutti personaggi che hanno contribuito alla stesura del testo pontificio.
Sentenza esemplare per il finanziere autore di una frode da 65 miliardi di dollari
A breve all’asta l’appartamento, le ville, gli yacht, i quadri e i gioielli
Madoff condannato a 150 anni
Il giudice: "Crimine diabolico" *
NEW YORK - E’ stato condannato a 150 anni di carcere, la massima pena possibile, Bernard Madoff, il finanziare di 71 anni autore di una delle più grandi truffe della storia. La lettura della sentenza è stata accolta da un applauso. Madoff si è dichiarato colpevole di tutte le 11 imputazioni emerse da uno dei più grossi scandali della storia di Wall Street: le somme da lui frodate ammontano a 65 miliardi di dollari (l’equivalente di circa 46 miliardi di euro).
Si è anche scusato, nel corso dell’udienza odierna, l’ultima di un processo lampo durato pochissimi mesi (l’arresto del finanziere risale all’11 dicembre 2008), ma le scuse sono servite a ben poco. "Nessun altro caso di frode è comparabile con il caso Madoff", ha detto il giudice Denny Chin, precisando che "il simbolismo della sentenza è importante perché attraverso questa si invierà un messaggio".
Il giudice Chin ha definito quello di Madoff "un crimine straordinariamente diabolico". Dal 1995 Madoff, che era stato anche presidente del Nasdaq, aveva iniziato la sua attività privata promettendo tassi di interessi alti e sicuri (circa il 10%). Che puntualmente pagava, ma non perché il danaro venisse accortamente investito, ma soltanto perché arrivava danaro fresco dai nuovi clienti. E Madoff diventava sempre più ricco: se l’ammontare delle somme truffate è stimato in circa 65 miliardi di dollari, le cifre legate al suo impero economico ammontano a 171 miliardi di dollari.
Madoff, che ha passato gli ultimi mesi agli arresti domiciliari nel suo appartamento di lusso di Manhattan, del valore di 7 milioni di dollari, perderà tutto: le ville (una a Palm Beach, un’altra in Florida, una da 13 milioni a Montauk, sulla punta di Long Island), gli yacht e i beni personali, che verranno messi all’asta nei prossimi giorni. La moglie, Ruth, 68 anni, rimarrà senza casa e dovrà vivere d’ora in poi con i 2,5 milioni di dollari che le sono stati assegnati dal tribunale.
L’avvocato del finanziere, Ira Sorkin, puntava a una pena mite, al massimo 12 anni, dal momento che il suo cliente aveva ampiamente collaborato alle indagini. Ma si aspettava il peggio, anche sulla base delle richieste dei tanti truffati che hanno preso la parola in tribunale: "La cella deve diventare la sua bara", ha affermato uno degli investitori truffati. Un’altra vittima è scoppiata in lacrime dopo aver denunciato perdite per 5 milioni di dollari.
In questo clima l’appello e le scuse di Madoff sono cadute nel vuoto, e semmai sono state accolte con scherno: "Vivrò con questo dolore per il resto della mia vita - ha detto Madoff - Non posso chiedervi scusa per il mio comportamento: come puoi chiedere scusa per aver ingannato un’industria che hai contribuito a costruire? Come puoi chiedere scusa per aver ingannato una moglie dopo 50 anni di matrimonio?".
"Lascio alla mia famiglia un’eredità di vergogna, come hanno detto alcune delle mie vittime - ha proseguito il finanziere - Sono responsabile di molta sofferenza e molto dolore. Chiedo scusa alle mie vittime. Mi dispiace".
* la Repubblica, 29 giugno 2009
E ora il processo al sistema
MARIO DEAGLIO (La Stampa, 30/6/2009)
Chiaro. Limpido. Indiscutibile. Un truffatore perfido, uomo di successo, con una faccia da attore di successo. Una condanna colossale, 150 anni di galera, assurdi a orecchi europei, per una truffa colossale, assurda anch’essa nella sua semplicità con cui sono stati gabbati per decenni alcuni tra i più preparati investitori del mondo, le autorità di vigilanza, gli analisti, i guru, i media, i controllori, molte banche. Un giudice che parla di crimine diabolico e un imputato-diavolo che faceva il benefattore, era membro dei consigli di numerose istituzioni benefiche. E viene denunciato dai figli, terrorizzati dall’entità della frode. Quest’imputato-diavolo chiede il permesso di essere presente - impassibile - alla lettura della sentenza in camicia bianca, giacca e cravatta che, per il duro regolamento del carcere in cui sarà rinchiuso, probabilmente non indosserà mai più, o meglio indosserà tra 150 anni. Ex ricchi che si mettono a piangere, pubblico che applaude, un imprigionamento che diventa un atto liberatorio per un’America che vuole condannare, ripartire, dimenticare e continuare a fare finanza.
Fine del discorso. Fine della scena. Seconda scena in Italia. È fin troppo plateale il confronto tra una giustizia americana che ti scova il malfattore l’11 dicembre, lo rimanda agli arresti domiciliari dietro una cauzione gigantesca, lo riarresta in gennaio, imbastisce il processo in febbraio-marzo e te lo condanna con tutte le cerimonie, praticamente in maniera definitiva, il 29 giugno. Nessuna scarcerazione in attesa di gradi ulteriori di giudizio, dei quali, d’altra parte, ci sono pochissime possibilità; nessuna ricusazione di giudici, nessuna lotta per arrivare all’archiviazione per decorrenza dei termini. Nessun affidamento ai servizi sociali, nessun occhio di riguardo perché l’imputato ha più di settant’anni. Prevedibili dichiarazioni di politici. Di giudici. Di esperti. Forse accordo sulla necessità di riforma per i crimini economici. Chissà, magari qualche progetto di legge; è persino possibile l’istituzione di una commissione parlamentare. Fine della scena. Ebbene, né l’una né l’altra scena sono soddisfacenti.
I 150 anni di condanna non possono sostituire 150 o più processi o indagini non ancora partiti su come è stato possibile tutto ciò; su come venivano fatti i controlli; sul perché nessuno abbia dato retta a Harry Markopolos, un esperto che dieci anni fa si era rivolto alle autorità di controllo perché persuaso che fosse matematicamente impossibile che le società di Madoff realizzassero i profitti che dichiaravano di realizzare; sul perché per questi dieci anni uomini finanziariamente astutissimi (Madoff si è rifiutato di fare qualsiasi nome) sulle due rive dell’Atlantico continuassero a consegnargli un fiume di denaro. Spente le luci sul processo, molti interrogativi restano.
La distanza tra Stati Uniti e Italia rimane altissima, ma non è che oltre Atlantico tutto sia chiarissimo. La scena si deve spostare in avanti. Magari all’Aquila, al G8, visto che tutto ormai sembra rotolare verso questo vertice al di fuori del normale in un anno economicamente al di fuori del normale. Potrebbe essere questa la sede buona per affrontare una volta per tutte il problema dei mercati finanziari; che è poi il problema di quanti Madoff siano in attività nel mondo e di quanti possano sorgere in futuro.
Se c’è una cosa che il caso Madoff mette in luce, è l’inutilità di controlli nazionali - e anche di sistemi giudiziari nazionali per crimini economici legati ai circuiti finanziari globali - e la necessità di un loro rapido superamento in favore di un’autorità internazionale di controllo. Che possa ficcare il naso nei libri contabili e fare domande di ogni tipo, in ogni Paese del mondo. Che gli americani hanno sempre avversato e che forse oggi avverserebbero un po’ meno. Madoff, insomma, deve essere un punto di partenza, non un punto d’arrivo. Non dimenticato fino a quando defungerà come il prigioniero matricola 61727-054 del Metropolitan Correction Center di New York in cui è detenuto, ma sempre presente nelle prossime mosse dei procuratori di giustizia.
Si potrebbe anche suggerire che chi si occupa di crimini economici si tenga sempre una foto di Madoff sulla scrivania o appesa sul muro dell’ufficio. Per ricordargli che deve capire davvero come ha fatto; per convincere collaboratori e vittime a raccontare tutto. Per evitare che si faccia un processo, per quanto sacrosanto, a una persona anziché un’indagine a tappeto, sicuramente necessaria, sul funzionamento di un sistema.
ANSA» 2009-06-29 13:24
PAPA FIRMA ENCICLICA CARITAS IN VERITATE
CITTA’ DEL VATICANO - Papa Benedetto XVI, dopo la preghiera dell’Angelus, ha confermato che la sua nuova enciclica sociale, ’Caritas in Veritate’, porterà la firma di oggi, 29 giugno e sarà presentata nei prossimi giorni.
"E’ ormai prossima la pubblicazione della mia terza Enciclica, che ha per titolo Caritas in veritate", ha detto Ratzinger parlando ai fedeli dalla finestra del suo studio su piazza San Pietro, dOpo aver concluso la messa di San Pietro e Paolo nella basilica vaticana.
"Riprendendo le tematiche sociali contenute nella Populorum progressio, scritta dal Servo di Dio Paolo VI nel 1967, questo documento, che porta la data proprio di oggi, 29 giugno, solennità dei santi Apostoli Pietro e Paolo, intende - ha detto - approfondire alcuni aspetti dello sviluppo integrale nella nostra epoca, alla luce della carità nella verità. Affido alla vostra preghiera questo ulteriore contributo che la Chiesa offre all’umanità nel suo impegno per un progresso sostenibile, nel pieno rispetto della dignità umana e delle reali esigenze di tutti".
La Stampa, 27/6/2009
CRISI ECONOMICA HA DETERMINATO APPROFONDIMENTI DEL TESTO
Amore nella verità: soluzione alla crisi
GIUSTIZIA, CRISI MONDIALE, AMBIENTE E RELAZIONI NORD-SUD FRA I TEMI DELL’ENICICLICA "CARITAS IN VERITA’"
GIACOMO GALEAZZI
Lotta contro il tempo in Vaticano per far uscire l’enciclica sociale di Benedetto XVI prima del prossimo G8 che si terrà in Italia a L’Aquila. Il testo, secondo l’Adnkrons, è stato ormai completato, anche se qualche ritocco potrebbe ancora essere compiuto da Ratzinger nelle prossime ore. L’enciclica porterà in ogni caso la data del 29 giugno, festività dei santi Pietro e Paolo. Della «Caritas in veritate» (amore nella verità) - questo il titolo del testo - esistono del resto diverse bozze, come avviene spesso per le encicliche, ma quella definitiva è nelle mani del Papa. Restano le previsioni sulla data di pubblicazione. Il 4 il 6 o il 7 luglio.
Insomma è questione di una settimana ma ormai è davvero una lotta contro il tempo perchè oltre alle traduzioni, almeno quelle nelle lingue più diffuse a livello mondiale, c’è il problema dei tempi di stampa per un testo che dovrà essere distribuito in centinaia di migliaia di copie. La «Caritas in veritate» è la terza lettera enciclica di Ratzinger dopo la «Deus caritas est» e la «Spe salvi».
Il testo del Papa toccherà diffusamente il tema della giustizia come uno dei punti centrali della riflessione sulle questioni sociali ed economiche del nostro tempo. Tuttavia la critica anche forte alle derive speculative del capitalismo mondiale non assumerà i toni della messa in discussione del «sistema» economico in quanto tale; in questo senso il testo si riallaccerà alle encicliche sociali di Giovanni Paolo II, la «Sollicitudo rei socialis» (1987) e la «Centesimus Annus» (1991), ma anche la «Populorum progressio» di Paolo VI (1967).
Insomma a finire sul banco degli accusati sarà il tracollo etico e morale che ha coinvolto il mondo della finanza e livello globale con l’ultima crisi. Ancora i temi del clima e dell’ambiente, cioè della salvaguardia del Creato, della pace, della povertà e del disarmo troveranno spazio all’interno del testo del Papa. Così come il sistema di relazioni economiche fra Paesi poveri e Paesi ricchi.
E se pure vi saranno alcune indicazioni di carattere generale circa le risposte concrete da dare alle diverse situazioni, l’enciclica non sarà un testo da «economisti», ma anzi si muoverà lungo le direttrici dei grandi principi - quello della governance globale richiamato spesso dal Papa in questi mesi - e quello dei riferimenti etici di fondo relativo ai comportamenti dell’ uomo, alla scelta fra il bene e il male, al messaggio cristiano che si invera anche nelle questioni sociali ed economiche. Lo stesso Ratzinger inoltre aveva spiegato solo un paio di mesi fa che la forza della crisi economica e finanziaria a livello mondiale lo aveva indotto ad ulteriori approfondimenti del testo.
Di particolare rilievo, per comprendere la riflessione del Pontefice su tutta la materia, quanto lo stesso Benedetto XVI disse rispondendo a una sacerdote lo scorso 29 febbraio proprio sui problemi della crisi economica: «È dovere della Chiesa - disse nell’occasione il Papa - denunciare gli errori fondamentali che si sono oggi mostrati nel crollo delle grandi banche americane. L’avarizia umana è idolatria che va contro il vero Dio ed è falsificazione dell’immagine di Dio con un altro Dio, Mammona». «Dobbiamo denunciare con coraggio - aggiungeva - ma anche con concretezza, perchè i grandi moralismi non aiutano se non sono sostenuti dalla conoscenza della realtà, che aiuta a capire che cosa si può in concreto fare. Da sempre la Chiesa non solo denuncia i mali, ma mostra le strade che portano alla giustizia, alla carità, alla conversione dei cuori. Anche nell’economia la giustizia si costruisce solo se ci sono i giusti. E costoro si formano con la conversione dei cuori».
Dunque si annuncia un luglio davvero intenso per Benedetto XVI: da qui al 10 del mese, infatti, dovrà vedere la luce l’enciclica sociale «Caritas in veritate» quindi si svolgerà l’incontro fra Benedetto XVI e il nuovo Presidente americano Barack Obama. Quest’ultimo avverrà il 10 luglio nel pomeriggio. Poi il 13 Ratzinger si trasferirà in Valle d’Aosta per un periodo di risposo che si prolungherà fino al 29 di luglio. Nel frattempo era atteso anche un altro documento: il motu proprio nel quale doveva essere definito il trasferimento della Pontificia commissione Ecclesia Dei sotto la giurisdizione della Congregazione per la dottrina della fede. Un provvedimento già annunciato dal Papa. In tal modo la questione dei lefebvriani sarà gestita direttamente dal dicastero vaticano che fu a lungo presieduto dallo stesso Ratzinger e nel quale Benedetto XVI ripone una particolare fiducia.Del resto ora si dovrà aprire una fase di colloqui fra Vaticano e Fraternità di San Pio X che avrà un profilo essenzialmente dottrinario, per questo l’ex Sant’Uffizio è il dicastero più indicato a svolgere il compito. Difficile invece che il motu proprio contenga anche norme relative all’incardinamento della Fraternità nella struttura della Chiesa cattolica, prima infatti dovrà essere sciolto il nodo dell’adesione dei lefebvriani al Concilio Vaticano II, quindi si porrà la questione della loro posizione all’ interno della Chiesa.
Tuttavia c’è anche la possibilità che il motu proprio del Pontefice venga ulteriormente rinviato, anche perchè il rischio è una sovrapposizione mediatica con l’enciclica nel caso in cui i documenti uscissero a distanza troppo ravvicinata l’uno dall’altro. Insomma il caso lefebvriani potrebbe oscurare almeno in parte la «Caritas in veritate». In ogni caso lunedì prossimo, festa dei santi Pietro e Paolo, il Papa imporrà il sacro pallio ai nuovi arcivescovi metropoliti; sono 34 in tutto e fra di loro ci sono anche tre italiani: Mons. Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze; mons. Salvatore Pappalardo, arcivescovo di Siracusa; Mons. Domenico D’Ambrosio, arcivescovo di Lecce. Inoltre fra i nuovi arcivescovi che riceveranno dalle mani del Papa il pallio simbolo della comunione con il pontefice romano, ci saranno anche quelli di New York, Bangkok, Leopoli dei latini (Ucraina), Toledo, Rio de Janeiro.