La Chiesa: una preghiera
per le vittime dei sacerdoti pedofili
Il cardinal Hummes all’Osservatore:
«Ma la maggioranza del clero non
ha nulla a che vedere con questi fatti» *
CITTA’ DEL VATICANO. Una preghiera mondiale sarà promossa dal Vaticano «per la riparazione delle mancanze dei sacerdoti e in modo particolare per le vittime delle gravi situazioni di condotta morale e sessuale di una piccolissima parte del clero». Ad annunciare questa iniziativa è il cardinale Claudio Hummes, prefetto della Congregazione per il Clero. «Chiediamo a tutti - dice all’Osservatore Romano - di fare l’adorazione eucaristica per riparare davanti a Dio quello che di grave è stato fatto e per accogliere di nuovo la dignità delle vittime. Sì, abbiamo voluto pensare alle vittime affinchè ci sentano vicini. Ci riferiamo soprattutto a loro, è importante dirlo».
Per il cardinale brasiliano, è una priorità aprire «cenacoli eucaristici» suscitando un grande movimento spirituale di preghiera per tutti i sacerdoti e per la loro santificazione. «Sono davvero tante - spiega - le cose da fare per il vero bene del clero e la fecondità del ministero pastorale nel mondo di oggi. Ma la consapevolezza che l’agire consegue all’essere e che l’anima di ogni apostolato è l’intimità divina ci ha portato a promuovere urgentemente proprio una grande adorazione eucaristica, se possibile perpetua».
«Problemi - ricorda Hummes al giornale vaticano - ce ne sono sempre stati perchè siamo tutti peccatori. Però in questo tempo sono stati segnalati fatti veramente molto gravi. Ovviamente si deve sempre ricordare che solo una minima parte del clero è coinvolta in situazioni gravi. Neppure l’uno per cento ha a che fare con problemi di condotta morale e sessuale. La stragrande maggioranza non ha nulla a che vedere con fatti di questo genere. Ma tutti i sacerdoti hanno comunque bisogno di aiuto spirituale per continuare a vivere la propria vocazione e la propria missione nel mondo di oggi. La Chiesa, poi, ha sempre pregato per la riparazione dei peccati di tutti. È questa, ad esempio, una delle caratteristiche della tradizionale devozione al sacro cuore di Gesù».
Padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia, il 15 dicembre 2006 aveva detto alla presenza di Benedetto XVI che la Chiesa Cattolica avrebbe dovuto fare un giorno di digiuno e penitenza per chiedere perdono per gli abusi sessuali che hanno visto coinvolti alcuni sacerdoti. Cantalamessa aveva sottolineato che la Chiesa ha «pianto e sospirato» recentemente «per gli abomini commessi nel suo seno da alcuni dei suoi stessi ministri e pastori. Non si potrebbe - aveva chiesto - indire un giorno di digiuno e di penitenza, a livello locale e nazionale, dove il problema è stato più forte, per esprimere pubblicamente pentimento davanti a Dio e solidarietà con le vittime, operare insomma una riconciliazione degli animi e riprendere un cammino di Chiesa, rinnovati nel cuore e nella memoria?».
La proposta del religioso è stata dunque accolta positivamente. «Abbiamo pensato - rivela il card. Hummes nell’intervista - a due cose distinte: l’adorazione eucaristica, perpetua se si riesce, e la maternità spirituale per i sacerdoti. Se anche sono due realtà distinte, molte volte si uniscono proprio nell’adorazione eucaristica». Per questo, conclude, in una lettera «abbiamo proposto ai vescovi di promuovere nelle diocesi veri e propri »cenacoli« in cui consacrati e laici si dedichino, uniti fra loro e in spirito di vera comunione, alla preghiera sotto forma di adorazione eucaristica continuata, in spirito di genuina e reale riparazione e purificazione».
Per il card. Hummes è oggi necessaria «una preghiera incessante per suscitare un numero sufficiente di sante vocazioni al sacerdozio e, insieme, per accompagnare spiritualmente, con una sorta di maternità spirituale, quanti sono già stati chiamati al sacerdozio».
La «nota esplicativa» è stata inviata a diocesi, parrocchie, rettorie, cappelle, monasteri, conventi, seminari per incrementare la pratica dell’adorazione eucaristica continuata per tutti i sacerdoti e le vocazioni sacerdotali. E sollecita l’individuazione in ogni diocesi di un sacerdote a tempo pieno per lo specifico ministero di promozione dell’adorazione eucaristica, ma anche la creazione di santuari eucaristici e l’individuazione di luoghi specifici da riservare appositamente all’adorazione eucaristica continuata.
Sul tema, si cfr.:
MEMORIA DI FRANCESCO D’ASSISI. "Va’, ripara la mia casa"!!!
PER UN RI-ORIENTAMENTO TEOLOGICO-POLITICO ... E ANTROPOLOGICO
IL DOCUMENTO
In un opuscolo il senso della «maternità spirituale» *
«Adorazione, riparazione, maternità spirituale per i sacerdoti» è il titolo dell’opuscolo della Congregazione per il clero nel quale viene rivolto a tutti i vescovi l’invito a stabilire «veri e propri cenacoli in cui chierici, religiosi e laici si dedichino alla preghiera, sotto forma di adorazione eucaristica continuata». Intenzione centrale, ricorda il testo pubblicato a dicembre e reperibile anche sul sito www.clerus.org, è proprio «la riparazione delle mancanze e la santificazione dei chierici».
Con questa iniziativa, spiega il prefetto della Congregazione, il cardinale Claudio Hummes, nell’introduzione, «si intende affidare a Maria ogni sacerdote, suscitando nella Chiesa un movimento di preghiera che ponga al centro l’adorazione eucaristica continuata, nell’arco delle ventiquattro ore, in modo che, da ogni angolo della terra, sempre si elevi a Dio, incessantemente, una preghiera di adorazione, ringraziamento, lode, domanda e riparazione, con lo scopo precipuo di suscitare un numero sufficiente di vocazioni allo stato sacerdotale e, insieme, di accompagnare spiritualmente con una sorta di maternità spirituale, quanti sono già stati chiamati al sacerdozio ministeriale».
Questo, quindi, il profilo specifico dell’appello lanciato da Hummes e poi approfondito nelle 40 pagine dell’opuscolo del dicastero vaticano. L’invito all’adorazione eucaristica, già ribadita con forza dallo stesso Benedetto XVI al numero 66 dell’enciclica «Deus caritas est», in Italia non cade nel vuoto ma trova una vera e propria rete di parrocchie già impegnate in questa pratica. Oggi sono circa una ventina in tutta Italia le chiese dove si svolge l’adorazione eucaristica perpetua per iniziativa di una comunità parrocchiale. Una realtà nata grazie anche all’idea di don Alberto Pacini, rettore della basilica di Sant’Anastasia a Roma, dove l’adorazione perpetua è stata un frutto della Gmg del 2000. La «rete» di comunità adoratrici ha anche un sito: www.adorazioneperpetua.it.
* Avvenire, 12.01.2008, p. 17.
Nessuno ha mai visto Dio;
se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e il suo amore diventa perfetto in noi.
"Deus CHARITAS est" (1 Gv. 4:8):
su questa via,
ogni #essereumano può #sviluppare
"il senso della paternità e della maternità"
(Teresa d’Avila insegna)! -
e rinascere,
diventare "bambino" (Gv. 3.7).
PAPA FRANCESCO
UDIENZA GENERALE
Aula Paolo VI
Mercoledì, 5 gennaio 2022
Catechesi su San Giuseppe: 6. San Giuseppe, il padre putativo di Gesù *
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Oggi mediteremo su San Giuseppe come padre di Gesù. Gli Evangelisti Matteo e Luca lo presentano come padre putativo di Gesù e non come padre biologico. Matteo lo precisa, evitando la formula “generò”, usata nella genealogia per tutti gli antenati di Gesù; ma lo definisce «sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù detto il Cristo» (1,16). Mentre Luca lo afferma dicendo che era padre di Gesù «come si riteneva» (3,23), cioè appariva come padre.
Per comprendere la paternità putativa o legale di Giuseppe, occorre tener presente che anticamente in Oriente era molto frequente, più di quanto non sia ai nostri giorni, l’istituto dell’adozione. Si pensi al caso comune presso Israele del “levirato” così formulato nel Deuteronomio: «Quando uno dei fratelli morirà senza lasciare figli, la moglie del defunto non si sposerà con uno di fuori, con un estraneo. Suo cognato si unirà a lei e se la prenderà in moglie, compiendo così verso di lei il dovere di cognato. Il primogenito che ella metterà al mondo, andrà sotto il nome del fratello morto, perché il nome di questi non si estingua in Israele» (25,5-6). In altre parole, il genitore di questo figlio è il cognato, ma il padre legale resta il defunto, che attribuisce al neonato tutti i diritti ereditari. Lo scopo di questa legge era duplice: assicurare la discendenza al defunto e la conservazione del patrimonio.
Come padre ufficiale di Gesù, Giuseppe esercita il diritto di imporre il nome al figlio, riconoscendolo giuridicamente. Giuridicamente è il padre, ma non generativamente, non l’ha generato.
Anticamente il nome era il compendio dell’identità di una persona. Cambiare il nome significava cambiare sé stessi, come nel caso di Abramo, il cui nome Dio cambia in “Abraham”, che significa “padre di molti”, «perché - dice il Libro della Genesi - sarà padre di una moltitudine di nazioni» (17,5). Così per Giacobbe, che viene chiamato “Israele”, che significa “colui che lotta con Dio”, perché ha lottato con Dio per obbligarlo a dargli la benedizione (cfr Gen 32,29; 35,10).
Ma soprattutto dare il nome a qualcuno o a qualcosa significava affermare la propria autorità su ciò che veniva denominato, come fece Adamo quando conferì un nome a tutti gli animali (cfr Gen 2,19-20).
Giuseppe sa già che per il figlio di Maria c’è un nome preparato da Dio - il nome a Gesù lo dà il vero padre di Gesù, Dio - il nome “Gesù”, che significa “Il Signore salva”, come gli spiega l’Angelo: «Egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati» (Mt 1,21). Questo particolare aspetto della figura di Giuseppe ci permette oggi di fare una riflessione sulla paternità e sulla maternità. E questo credo che sia molto importante: pensare alla paternità, oggi. Perché noi viviamo un’epoca di notoria orfanezza. È curioso: la nostra civiltà è un po’ orfana, e si sente, questa orfanezza. Ci aiuti la figura di San Giuseppe a capire come si risolve il senso di orfanezza che oggi ci fa tanto male.
Non basta mettere al mondo un figlio per dire di esserne anche padri o madri. «Padri non si nasce, lo si diventa. E non lo si diventa solo perché si mette al mondo un figlio, ma perché ci si prende responsabilmente cura di lui. Tutte le volte che qualcuno si assume la responsabilità della vita di un altro, in un certo senso esercita la paternità nei suoi confronti» (Lett. ap. Patris corde). Penso in modo particolare a tutti coloro che si aprono ad accogliere la vita attraverso la via dell’adozione, che è un atteggiamento così generoso e bello. Giuseppe ci mostra che questo tipo di legame non è secondario, non è un ripiego. Questo tipo di scelta è tra le forme più alte di amore e di paternità e maternità. Quanti bambini nel mondo aspettano che qualcuno si prenda cura di loro! E quanti coniugi desiderano essere padri e madri ma non riescono per motivi biologici; o, pur avendo già dei figli, vogliono condividere l’affetto familiare con chi ne è rimasto privo. Non bisogna avere paura di scegliere la via dell’adozione, di assumere il “rischio” dell’accoglienza. E oggi, anche, con l’orfanezza, c’è un certo egoismo.
L’altro giorno, parlavo sull’inverno demografico che c’è oggi: la gente non vuole avere figli, o soltanto uno e niente di più. E tante coppie non hanno figli perché non vogliono o ne hanno soltanto uno perché non ne vogliono altri, ma hanno due cani, due gatti ... Eh sì, cani e gatti occupano il posto dei figli. Sì, fa ridere, capisco, ma è la realtà. E questo rinnegare la paternità e la maternità ci sminuisce, ci toglie umanità. E così la civiltà diviene più vecchia e senza umanità, perché si perde la ricchezza della paternità e della maternità. E soffre la Patria, che non ha figli e - come diceva uno un po’ umoristicamente - “e adesso chi pagherà le tasse per la mia pensione, che non ci sono figli? Chi si farà carico di me?”: rideva, ma è la verità.
Io chiedo a San Giuseppe la grazia di svegliare le coscienze e pensare a questo: ad avere figli. La paternità e la maternità sono la pienezza della vita di una persona. Pensate a questo. È vero, c’è la paternità spirituale per chi si consacra a Dio e la maternità spirituale; ma chi vive nel mondo e si sposa, deve pensare ad avere figli, a dare la vita, perché saranno loro che gli chiuderanno gli occhi, che penseranno al suo futuro. E anche, se non potete avere figli, pensate all’adozione. È un rischio, sì: avere un figlio sempre è un rischio, sia naturale sia d’adozione. Ma più rischioso è non averne. Più rischioso è negare la paternità, negare la maternità, sia la reale sia la spirituale. Un uomo e una donna che volontariamente non sviluppano il senso della paternità e della maternità, mancano qualcosa di principale, di importante. Pensate a questo, per favore.
Auspico che le istituzioni siano sempre pronte ad aiutare in questo senso dell’adozione, vigilando con serietà ma anche semplificando l’iter necessario perché possa realizzarsi il sogno di tanti piccoli che hanno bisogno di una famiglia, e di tanti sposi che desiderano donarsi nell’amore. Tempo fa ho sentito la testimonianza di una persona, un dottore - importante il suo mestiere - non aveva figli e con la moglie hanno deciso di adottarne uno. E quando è arrivato il momento, ne hanno offerto loro uno e hanno detto: “Ma, non sappiamo come andrà la salute di questo. Forse può avere qualche malattia”. E lui disse - lo aveva visto - disse: “Se lei mi avesse domandato questo prima di entrare, forse avrei detto di no. Ma l’ho visto: me lo porto”. Questa è la voglia di essere padre, di essere madre anche nell’adozione. Non abbiate paura di questo.
Prego perché nessuno si senta privo di un legame di amore paterno. E coloro che sono ammalati di orfanezza vadano avanti senza questo sentimento così brutto. Possa San Giuseppe esercitare la sua protezione e il suo aiuto sugli orfani; e interceda per le coppie che desiderano avere un figlio. Per questo preghiamo insieme:
San Giuseppe,
tu che hai amato Gesù con amore di padre,
sii vicino a tanti bambini che non hanno famiglia
e desiderano un papà e una mamma.
Sostieni i coniugi che non riescono ad avere figli,
aiutali a scoprire, attraverso questa sofferenza, un progetto più grande.
Fa’ che a nessuno manchi una casa, un legame,
una persona che si prenda cura di lui o di lei;
e guarisci l’egoismo di chi si chiude alla vita,
perché spalanchi il cuore all’amore.
Saluti [...]
* Fonte: Vatican.va, 05.01.2022 (ripresa parziale).
Ignazio di Loyola, esercizi d’immaginazione per tornare a vivere la realtà di Cristo
di Pietro Citati (Corriere della Sera, 12.06.2014)
Ignazio di Loyola, il fondatore della Compagnia di Gesù, aveva un’immensa immaginazione, e la coltivava e la faceva coltivare dai padri gesuiti, quando essi eseguivano gli esercizi spirituali, il cuore dell’insegnamento praticato nella Compagnia.
Imponeva loro di fissare con la mente i grandi e minimi aspetti dell’immaginario cristiano: la nascita di Gesù, la sua infanzia, il battesimo, la tentazione, la passione, la crocifissione, la sepoltura, la resurrezione. I gesuiti dovevano rovistare con un’intensità implacabile ciò che portavano dentro il cuore: niente doveva sfuggire loro, nemmeno un sasso o una pianta o un filo d’erba dei sentieri che Gesù aveva percorso; nemmeno una parola che egli aveva pronunciato nelle sinagoghe o lungo il mare.
«Bisognava considerare da lontano la strada da Betania a Gerusalemme, se ampia o stretta, se piana o montuosa»: guardare la tavola a cui Gesù era seduto, i piatti, le bottiglie, i bicchieri. Così la mente dei gesuiti scendeva dentro se stessa; e apprendeva l’insegnamento che Gesù Cristo aveva depositato nel paesaggio che aveva percorso, o nella stanza dove era vissuto.
Quante volte Dio, o Gesù, o lo Spirito era apparso alla mente dei padri gesuiti! La natura di Dio era un dono: pronto a illuminare e perfezionare con i raggi della sua grazia il cuore dei padri. Era disposta a effondersi, sempre più generosa e più vasta; e a ricevere ciò che dagli uomini saliva verso di lui:
«Prendi, Signore, e ricevi/ tutta la mia libertà,/ la mia memoria,/ il mio intelletto,/ e tutta la mia volontà/ tutto ciò che ho e posseggo;/ tu me lo hai dato,/ a te, Signore, lo ridono;/ tutto è tuo».
Dio confortava, consolava, addolciva con una gioia inesauribile. «Ridete, figliolo, Ignazio disse a un novizio, e siate allegri nel Signore, poiché un religioso non ha nessun motivo per essere triste e ne ha mille per gioire».
Quando si voltavano indietro, i padri gesuiti cercavano di ritrovare la natura della propria anima: ciò che essa aveva di autentico, di originario, di puramente spirituale. L’emozione era grandiosa. Ma, al tempo stesso, essi trovavano in sé molte cose diverse: tumulti, peccati, passioni, disordini, sventure; gli effetti che la caduta aveva prodotto su ciascuno di loro. Così condannavano i disordini, le passioni e i capricci. Rafforzavano la volontà della ragione: certi che la ragione, sebbene nata dopo il peccato originale, sarebbe riuscita a salvarli dal peccato. Non temevano di appoggiarsi ad essa e alla sua sostanza umana: anzi cercavano di renderla più robusta e affinata, più solida e complicata.
Qualche volta i padri gesuiti si sentivano soffocare. La vita morale, sia pure virtuosa, costringeva la loro anima; gli altri esseri umani opponevano limiti e negazioni al loro slancio amoroso. Avevano bisogno di spazio. In alcuni testi cristiani trovarono l’invito a una severissima e strettissima condizione ascetica. Ma, proprio in Sant’Ignazio, scoprirono l’invito ad abolire ogni ascetismo e ogni strettezza. Come lui, i padri gesuiti amavano il cosmo: ammiravano tutte le creature, le stelle, le comete, le erbe e gli animali; visitavano le più lontane regioni del mondo; non rifiutavano i piaceri del corpo; e si ergevano sopra i cieli, ascoltando il palpito della creazione.
La Compagnia di Gesù esigeva dai padri attività estremamente complicate: essi dovevano, per esempio, lavorare come economi e amministratori. Sebbene ordini più spirituali condannassero queste attività pratiche, i padri gesuiti le difendevano con cautela e tenacia. Si rendevano conto che il rapporto quotidiano con la realtà allargava la loro mente, rendeva più sinuosa la loro intelligenza e la loro fantasia.
Come Sant’Ignazio, avevano altri timori: l’astrazione dello spirito puro, la follia della mente abbandonata a se stessa. Gli Esercizi spirituali erano strettamente legati al tempo del giorno, della settimana, del mese, dell’anno. La vita di ogni gesuita obbediva al tempo. Un certo esercizio doveva essere compiuto all’alba di ogni giorno: allora bisognava guardarsi con diligenza da un particolare peccato; dopo pranzo un altro esercizio ricordava loro quante volte erano caduti in quel peccato.
Tutti i padri gesuiti conoscevano il tempo proprio di ciascuno di loro: l’ordine temporale conteneva una grande e nascosta sapienza, che essi non avrebbero mai finito di apprendere. Solo coincidendo col tempo, solo facendolo battere regolarmente sugli orologi del cuore, essi tenevano aperta l’anima, e permettevano a Gesù Cristo e allo Spirito Santo di penetrare dentro di essa.
Chi compiva gli Esercizi spirituali correva un rischio: quello degli scrupoli; vale a dire i peccati immaginari, ricordi di peccati passati, dubbi, incertezze, insoddisfazioni, disgusti, torture dell’intelligenza. Da soli, i padri gesuiti non riuscivano a liberarsi dagli scrupoli; e rimanevano invischiati nei relitti della propria anima. Non restava loro che pregare a lungo Gesù e lo Spirito Santo, aprendo l’anima alla sovrabbondante grazia di Dio.
«Madri, non zitelle». Il modello offerto dal Papa alle suore
di Gian Guido Vecchi (Corriere della Sera, 9 maggio 2013)
«È una dicotomia assurda pensare di vivere con Gesù senza la Chiesa». Francesco cita Paolo VI ma nelle parole del Papa gesuita si avverte l’eco d’una celebre affermazione di sant’Ignazio di Loyola («quello che io vedo bianco lo credo nero, se lo stabilisce la Chiesa gerarchica») negli Esercizi Spirituali . Nel discorso del Papa c’è anche un riferimento sottotraccia alle suore (cosiddette) ribelli degli Usa, ma il richiamo di Francesco ai fondamentali - il Vangelo, il senso della Chiesa - vale per tutti, «uomini e donne».
Bergoglio parla alle 802 superiori delle suore di tutto il mondo, riunite a Roma, con il suo stile insieme ironico e diretto. Come quando dice che la castità dev’essere «feconda» e generare «figli spirituali della Chiesa» e aggiunge, fra risate e applausi: «La consacrata è madre, dev’essere madre e non zitella! Scusatemi, parlo un po’ così...».
Ma dei tre voti è l’obbedienza, la questione principale. Le suore chiedono il loro spazio («il ruolo della donna nella Chiesa deve cambiare, così come nella società», diceva la carmelitana Josune Arregui), talvolta non mancano tensioni coi vescovi. Così Francesco parla dell’obbedienza all’autorità e, d’altra parte, dell’autorità come «servizio» in senso evangelico, le parole di Gesù: «Chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo».
E torna a uno dei temi fondanti del pontificato, il primato della misericordia contro il fariseismo ipocrita: «Pensiamo al danno che arrecano al Popolo di Dio gli uomini e le donne di Chiesa che sono carrieristi, arrampicatori, che usano il popolo, la Chiesa, i fratelli e le sorelle - quelli che dovrebbero servire -, come trampolino per i propri interessi e le ambizioni personali. Questi fanno un danno grande alla Chiesa...».
Nella messa a Santa Marta il Papa ha ricordato che «Gesù ha parlato con tutti», come san Paolo: «Il cristiano che vuol portare il Vangelo deve sentire tutti!». Francesco allude al Concilio, «questi ultimi 50 anni, 60 anni sono un bel tempo». Perché invece, quand’era bambino, «si sentiva nelle famiglie cattoliche, nella mia: "No, a casa loro non possiamo andare, perché non sono sposati per la Chiesa, eh!". Oppure perché socialisti, o atei...». Era «come un’esclusione». Però «adesso, grazie a Dio, non si dice». Allora «c’era una difesa della fede con i muri» ma «Gesù ha costruito ponti».
Le superiori rappresentano le 721.935 religiose del mondo, più di sacerdoti e religiosi messi assieme. Tra loro anche quelle della «Leadership Conference of Women Religious», l’associazione che rappresenta l’80 per cento delle 57 mila religiose Usa ed è stata «commissariata» dal Vaticano un anno fa perché accusata d’essere riottosa e liberal sui temi etici.
L’ex Sant’Uffizio ha detto che anche Francesco ha approvato il rapporto; il cardinale João Braz de Aviz, prefetto della vita religiosa, ha parlato del suo «dolore» per una decisione saputa all’ultimo, il Vaticano ha negato contrasti fra dicasteri. Di certo si lavora a comporre il dissidio, l’udienza di Francesco è il primo passo.
Altro che zitelle: «Che cosa sarebbe la Chiesa senza di voi? Le mancherebbe maternità, affetto, tenerezza! Intuizione di Madre...».
PAPA: PERDE L’ANELLO DEL PESCATORE, MONS. MARINI LO RITROVA
Citta’ del Vaticano, 13 gen. (Adnkronos) - Secondo quanto ha rilevato il sito cattolico on line Petrus, Benedetto XVI, al termine della cerimonia dei battesimi nella Cappella Sistina, avrebbe perso l’anello del Pescatore che porta sempre al dito. L’anello -che e’ uno dei segni della dignita’ pontificia- gli sarebbe scivolato sul tappeto vicino all’altare.
Uno spot per reclutare preti
L’iniziativa è stata lanciata dell’Arcidiocesi di New York.
Da anni il numero di nuovi sacerdoti negli usa continua a diminuire *
Sono sempre meno gli uomini americani che decidono di indossare la tonaca. Per questo motivo l’Arcidiocesi cattolica di New York ha deciso di correre ai ripari, realizzando uno spot di 60 secondi per promuovere il sacerdozio tra le nuove generazioni. Il filmato, che è stato intitolato "Heroes" e che si conclude con lo slogan "il mondo ha bisogno di eroi" sarà proiettato in tre sale cinematografiche della Grande Mela. Gli interessati sono invitati a collegarsi al sito internet dell’Arcidiocesi che offre maggiori dettagli per quella che è una "vocazione, non una carriera".
"Stiamo cercando di sfatare alcune incomprensioni su cosa significa essere un prete" ha dichiarato il reverendo Luke Sweeney secondo cui "prima di essere chiamati a essere padri spirituali, i preti sono uomini. I giovani vogliono fare grandi cose, e il sacerdozio può essere la risposta che alcuni stanno cercando". Negli ultimi 30 anni il numero di nuovi sacerdoti è drasticamente diminuito. Se nel 1950 l’Arcidiocesi di New York aveva ordinato 50 nuovi preti, l’anno prossimo saranno solo in 5 ha vestire la tonaca per la prima volta. Anche la frequenza con cui i fedeli si recano in chiesa ha registrato un forte calo negli ultimi anni, nonostante il numero di chi si dichiara cattolico si cresciuto del 30 per cento dal 1975 al 2003.
Non è la prima volta che le autorità ecclesiastiche statunitensi prendono questo tipo di iniziativa: nel 1987, in occasione della visita di Papa Giovanni Paolo II, l’Arcidiocesi di Detroit aveva assunto la stessa agenzia pubblicitaria che aveva curato la campagna dell’esercito Usa per promuovere il sacerdozio. Intanto alcuni spettatori non sembrano convinti dell’iniziativa. "Non credo che possa funzionare - ha dichiarato un cattolico di 29 anni all’uscita della sala - L’essere prete è una chiamata, non credo che sia qualcosa che un filmato di 60 secondi possa convincerti a fare".
Nella messa per l’Epifania parole dure di Benedetto XVI sul sistema economico
Conflitti ed egoismi, non si può dire che sia sinonimo di ordine mondiale, tutt’altro"
Il Papa contro la globalizzazione
"Una nebbia che avvolge le nazioni"
CITTA’ DEL VATICANO - Ha scelto una metafora ad effetto papa Benedetto XVI per attaccare la globalizzazione nella messa dell’Epifania, celebrata stamane nella basilica di San Pietro davanti a cardinali, vescovi, membri del corpo diplomatico e semplici fedeli.
"Anche oggi - ha osservato il pontefice - resta vero quanto diceva il profeta: nebbia fitta avvolge le nazioni. Non si può dire infatti che la globalizzazione sia sinonimo di ordine mondiale, tutt’altro". L’umanità, ha denunciato, è "lacerata" da "spinte di divisione e sopraffazione" e "conflitto di egoismi".
"I conflitti per la supremazia economica e l’accaparramento delle risorse energetiche, idriche e delle materie prime - ha sottolineato ancora Ratzinger - rendono difficile il lavoro di quanti, ad ogni livello, si sforzano di costruire un mondo giusto e solidale". "C’è bisogno - ha proseguito - di una speranza più grande, che permetta di preferire il bene comune di tutti al lusso di pochi e alla miseria di molti".
Benedetto XVI ha indicato quindi la strada da percorrere. "La moderazione - ha ricordato - non è solo una regola ascetica, ma anche una via di salvezza per l’umanità". Infatti, "è ormai evidente che soltanto adottando uno stile di vita sobrio, accompagnato dal serio impegno per un’equa distribuzione delle ricchezze, sarà possibile instaurare un ordine di sviluppo giusto e sostenibile".
Un obiettivo, quello di un radicale cambiamento dell’ordine economico, che secondo il Pontefice può essere raggiunto soltanto facendo affidamento sulla fede. Occorre essere sostenuti, ha osservato il Papa, da una "grande speranza", che "può essere solo Dio, e non un qualsiasi dio, ma quel Dio che possiede un volto umano, il Dio che si è manifestato nel Bambino di Betlemme e nel Crocifisso-Risorto".
* la Repubblica, 6 gennaio 2008.