editoriale
Famiglia, perché la storia dà fastidio?
di Lucia Bellaspiga (Avvenire/Agorà, 23.03.2007)
O tempora, o mores... Pare proprio che entrambi - i tempi e i costumi - siano cambiati parecchio negli ultimi mesi: se solo un anno fa avessimo scritto su queste pagine un’ovvietà, come ad esempio che Ulisse e Penelope erano marito e moglie e che la famiglia contava, oltre a loro, pure il figliolo Telemaco, nessuno avrebbe avuto da ridire, proprio perché le ovvietà, come le verità lampanti e indiscutibili, non suscitano dibattito. Ma i tempi (e i costumi) hanno evidentemente avuto un’improvvisa virata, visto che ci è bastato scrivere che la famiglia - intesa come unione di un uomo e una donna uniti in matrimonio, con ruoli ben distinti e di solito dei figli - ha origini di gran lunga precedenti al cristianesimo, per suscitare l’indignazione di intellettuali e media.
Alcuni giornali si sono rivolti ad esperti per poter contraddire, attraverso voci autorevoli, gli altrettanto autorevoli storici che su «Avvenire» avevano citato numerose testimonianze archeologiche e letterarie sull’antichità del matrimonio. Ma perché? Chi ha paura della famiglia?, verrebbe da dire. Il fatto è che il nostro discorso, prettamente storico-archeologico, è stato da altri trascinato su un piano politico-idologico, e sappiamo bene quanto la storia (come indagine documentata ed imparziale) da sempre faccia a pugni proprio con l’ideologia e la politica, ovviamente parziali.
«Nei millenni passati sarà anche esistita la famiglia - hanno ribattuto gli esperti - ma c’erano anche forme di poligamia, famiglie allargate, unioni omosessuali e perfino la pedofilia». Il che è assolutamente vero, ma non intacca minimamente ciò che abbiamo scritto: che la famiglia e il matrimonio esistevano già prima di Cristo. Siamo i primi a dire che poligamia, unioni omosessuali e rapporti pedofili sono stati una realtà - seppure molto minoritaria - in varie epoche e presso molte civiltà, ma questo purtroppo non ci pone affatto in contraddizione.
«Operazione temeraria», ha tuonato Riccardo Chiaberge sul «Sole 24 Ore», parlando di «fini propagandistici» e di «una singolare campagna del quotidiano della Cei». Singolare campagna dire che più di tremila anni fa Penelope e Ulisse erano convolati a giuste nozze? Fino a ieri si chiamava semplice cultura, piuttosto terra terra anzi, bastava una superficiale lettura omerica...
Per smentirci, Chiaberge adduce le sue, di prove: «Nelle Trobriand la patria potestà sui figli spettava allo zio materno, non al padre». Non lo sapevamo e ne prendiamo volentieri atto, però le cose non cambiano: uomini e donne per millenni si sono sposati, sono andati davanti a un’ara, di fronte a qualche dio e sono diventati famiglia, è sempre accaduto. Ancora a Chiaberge, che ricorda poi come i Greci praticavano la pedofilia, diciamo che siamo perfettamente d’accordo. E che anche oggi che la pedofilia dilaga nessuno si sogna di dire che la famiglia quindi non è più di questo mondo.
Luigi Lombardi Satriani, docente di Etnologia alla Sapienza, sul «Corriere» accenna invece ad antiche società poligamiche e ammonisce a non sostenere il contrario «in un clima come l’attuale in cui si combatte erroneamente una guerra di religione intorno all’istituzione matrimoniale monogamica».
Eccolo qua il punto: ci viene il sospetto che proprio di «guerra di religione» si tratti, una guerra non nostra. La storia non si piega alle esigenze dell’ideologia e i Dico potrebbero essere la più giusta delle invenzioni ma questo - se si è seri -non negherebbe comunque l’evidenza: Penelope era moglie di Ulisse, e nemmeno le note scappatelle del marito possono scalfire questa certezza. Con buona pace dei Proci.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
La Chiesa, Martini e i gay
di Marco Politi (il Fatto Quotidiano, 24 marzo 2012)
Nell’arco di neanche un mese tre colpi di maglio sono calati sulla pretesa della Chiesa di bloccare in Italia una legge sulle coppie di fatto. Prima c’è stato il clamoroso funerale di Lucio Dalla a Bologna: celebrato in cattedrale con tutti i crismi, permettendo al compagno omosessuale del defunto omosessuale di commemorarlo a pochi passi dall’altare.
Poi, il 15 marzo, è venuta la sentenza della Corte di Cassazione, che pur respingendo la trascrizione in Italia di un matrimonio omosessuale celebrato all’estero, ha sancito per la coppia gay, in presenza di specifiche situazioni, il diritto a un “trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata”.
ORA SI FA sentire direttamente dall’interno della Chiesa il cardinale Martini, affermando che non ha senso demonizzare le coppie omosex e impedire loro di stringere un patto. Con la pacatezza che lo contraddistingue l’ex arcivescovo di Milano sfida, dunque, quella “dottrina Ratzinger” che consisterebbe nell’obbligo dei politici cattolici di uniformarsi ai “principi non negoziabili” proclamati dalla cattedra vaticana, impedendo il varo di una legislazione sulle unioni civili e meno che mai sulle unioni gay.
Da molti anni Carlo Maria Martini esercita la sua notevole libertà di giudizio, esortando con mitezza la Chiesa a non scambiare il nocciolo della fede con la fossilizzazione di posizioni non sostenibili per il sentire contemporaneo. Vale anche per la posizione da adottare nei confronti dei rapporti omosessuali, dove l’istituzione ecclesiastica è ferma da anni in mezzo al guado. Perché quando era prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede Joseph Ratzinger aveva emanato documenti per esortare al rispetto delle persone omosessuali e ripudiare ogni tipo di discriminazione, irrisione e persecuzione. Ma al tempo stesso aveva ribadito che la pratica omosessuale rappresenta una grave offesa all’ordine morale: di qui la condanna senza appello delle relazioni uomo-uomo oppure donna-donna. Con la conseguenza di sabotare in Italia i tentativi dell’ultimo governo Prodi di approvare una legge sulle coppie di fatto.
Nel libro Credere e conoscere (ed. Einaudi), dove dialoga con il chirurgo cattolico Ignazio Marino esponente del Pd, il cardinale Martini afferma invece che vi sono casi in cui “la buona fede, le esperienze vissute, le abitudini contratte, l’inconscio e probabilmente anche una certa inclinazione nativa possono spingere a scegliere per sé un tipo di vita con un partner dello stesso sesso”. Nel mondo attuale, sostiene il porporato, questo comportamento non può venire “né demonizzato né ostracizzato”. E perciò Martini si dichiara “pronto ad ammettere il valore di un’amicizia duratura e fedele tra due persone dello stesso sesso”.
L’EX ARCIVESCOVO di Milano, peraltro, sottolinea il significato profondo del fatto che Dio ha creato l’uomo e la donna e quindi il valore primario del matrimonio eterosessuale e aggiunge anche di non ritenere un “modello” l’unione di coppia dello stesso sesso. E tuttavia, attento ai bisogni delle persone nella loro umanità, il cardinale afferma che se due partner dello stesso sesso “ambiscono a firmare un patto per dare una certa stabilità alla loro coppia, perché vogliamo assolutamente che non sia?”. Le motivazioni del matrimonio tradizionale, spiega, sono talmente forti che non hanno bisogno di essere puntellate con mezzi straordinari.
D’altronde molti nella Chiesa, vescovi e parroci, la pensano come lui. Anche se non parlano. Nel 2008 la rivista dei gesuiti milanesi Aggiornamenti sociali pubblicò uno studio per dire che - ferma restando la dottrina - dal punto di vista del bene sociale era positivo dare la possibilità alle coppie gay di avere una relazione stabile regolamentata dal diritto. E quindi era giusto legiferare in materia.
I VERTICI ecclesiastici, sulla questione, chiudono occhi e orecchie. Eppure è un segnale che alla televisione, intervenendo a Otto e mezzo, il leader cattolico Pier Ferdinando Casini si sia detto pubblicamente d’accordo con la sentenza della Cassazione, rimarcando che le “coppie omosessuali hanno diritto alla loro affettività e a essere tutelati nei loro diritti”. Casini ha fatto un esempio concreto: “Se convivo da trent’anni con una persona, in tema di asse ereditario bisogna essere sensibile a quella persona che ha convissuto con me”. È uno dei motivi per cui una legge è necessaria. Ed è bene che in parlamento si torni a parlare di alcune proposte di legge sin qui congelate.