CHIESA + CRISTIANA ANTICA + CATTOLICA e + APOSTOLICA
Diocesi Cattolica Ortodossa di Monza e Milano per l’ITALIA
Milano, 6 Febbraio 2010
IN RIFERIMENTO ALLE DICHIARAZIONI FATTE DA ALCUNI VESCOVI DELLA CHIESA CATTOLICA ROMANA, CIRCA LA NEGAZIONE DELL’EUCARISTIA AI DIVORZIATI RISPOSATI O ALLE PERSONE OMOSESSUALI E CONVIVENTI, LA NOSTRA DIOCESI PER MANDATO DELL’ARCIVESCOVO MONS. GIOVANNI CLIMACO MAPELLI E DEL SUO PRESBITERIO COMUNICA PUBBLICAMENTE CHE PRESSO LE COMUNITA’ PARROCCHIALI DELLA NOSTRA DIOCESI QUESTE PERSONE TROVERANNO LA PIENA ACCOGLIENZA E NON SARA’ NEGATA LORO LA GRAZIA DEI SACRAMENTI di CRISTO.
La nostra Chiesa Diocesana, rispettando pienamente la tradizione antica sull’Eucaristia, che risale all ’epoca apostolica e patristica fondamentale e originaria, che non la considerava "premio per i migliori, o per i più buoni", (e che si ritengono "perfetti") ma bensì "viatico di salvezza" e cioè "sacramento della remissione stessa dei peccati per la vita eterna" invita chi è escluso dalla comunione della Chiesa Cattolica Romana a venire nelle nostre Parrocchie dove verrà data loro la piena possibilità di accedere ai sacramenti della grazia di Cristo.
La comunione eucaristica, nelle Chiese di antica origine e tradizione, non veniva negata se non in presenza di "gravi delitti", spesso pubblici e notori, e dopo un periodo penitenziale col discernimento spirituale, ogni persona, attraverso la confessione sacramentale dei peccati poteva accedere alla mensa eucaristica. Queste chiusure totali verso persone divorziate e risposate o persone omosessuali è dovuta all’introduzione canonistica e legalistica introdotta progressivamente nei secoli più tardi e in particolare dal Concilio tridentino (secolo XVI), che hanno alterato l’originale dottrina teologica, risalente agli Apostoli e ai Santi Padri, unica originaria ed autenticamente cattolica e ortodossa.
Purtroppo l’ignoranza teologica in materia sacramentale è molto diffusa non solo tra i fedeli, ma anche tra i Vescovi ed i Preti.
I Padri delle origini chiamavano l’Eucaristia, il "sacramento della misericordia divina", al pari del sacramento stesso della riconciliazione.
Infatti se ad accostarsi ad essa fossero solo i "perfetti", o i "santi" (coloro che si ritengono tali) che necessità avrebbero di comunicarsi al Corpo e Sangue di Cristo, alla Cena del Signore che è "venuto per i malati e non per i sani"?
Se invece da essa vengono allontanati o si sentono indegni di avvicinarsi i "peccatori" o coloro che sanno di essere uomini e donne fallibili ed esposti all’errore e bisognosi della grazia di Cristo, allora Cristo cosa sarebbe venuto a fare nel mondo?
"Prendete e mangiate ... prendete e bevetene tutti..." questo ha detto il Signore nella sua Cena, non ha introdotto selezioni di sorta tra persone, neppure di fronte a Giuda che lo stava per tradire...
Con queste negazioni e queste strane usurpazioni del potere divino del Signore e Maestro, i Vescovi della Chiesa Cattolica Romana, prima che offendere e calpestare i diritti dei fedeli, rischiano di calpestare la grazia stessa dell’amore di Cristo donato ad ogni fratello e sorella.
La nostra Chiesa intende da sempre seguire l’insegnamento vero tramandatoci dal Signore e dalla sua Chiesa apostolica.
dalla SEDE DIOCESANA ARCIVESCOVILE
Mons. + Giovanni Climaco Mapelli
Arcivescovo Primate
tel. 339. 5280021 - 02. 9547340
centrostuditeologici@alice.it
CHIESA CATTOLICA ORTODOSSA dei SANTI CIRILLO e METODIO in MILANO
Via Govone, 56
MILANO
Sul tema, nel sito, si cfr.:
I SOGNI DEL CARDINALE MARTINI (iNTERVISTE E ARTICOLI)
SE LA "CARISSIMA" EU-CARESTIA è figlia DELLA CARITA’ ("CARITAS") è e resta SEMPRE una ELEMOSINA, E L’EU-CHARIS-TIA è e resta sempre una CARITA’ ("Caritas") senza GRAZIA ("CHARItaS"):
I divorziati e l’eucarestia.
La lettera del sindaco Sala e le risposte che dà la Chiesa
È raro che un politico parli della sua vita di fede. Il primo cittadino di Milano lo ha fatto rivelando un’adesione di fede e una ferita
di Luciano Moia (Avvenire, sabato 28 dicembre 2019)
È raro che un politico parli della sua vita di fede. Il sindaco Beppe Sala lo ha fatto rivelando un’adesione e una ferita. Un atto di coraggio e di chiarezza. Che non può che essere apprezzato da chi, come noi, da anni è impegnato a divulgare e promuovere la svolta pastorale voluta da papa Francesco all’insegna dell’accoglienza e della misericordia. Nella confessione spirituale che ha affidato, la vigilia di Natale, alle pagine de "la Repubblica", il sindaco di Milano rivela «di non poter fare a meno del confronto con il Mistero» e di partecipare regolarmente alla Messa domenicale, ma di sentirsi «a disagio rispetto al momento della Comunione, essendo divorziato e in uno stato che non mi consente di accostarmi al Sacramento».
Se una persona seria e preparata come Sala, è costretta ad ammettere un disorientamento spirituale per la sua condizione di divorziato risposato, significa che la strada per trasformare in consapevolezza diffusa le indicazioni uscite dal doppio Sinodo sulla famiglia (2014 e 2015) voluto da papa Francesco e poi dall’esortazione apostolica Amoris laetitia, è ancora lunga.
In quel testo il Papa scrive in modo esplicito che nessuno deve sentirsi condannato per sempre e che la Chiesa è chiamata ad offrire a tutti, compresi i divorziati risposati a cui è dedicato un intero capitolo - l’VIII - la possibilità di vivere pienamente il proprio cammino di fede. In questo cammino si può comprendere anche l’aiuto dei sacramenti (nota 351).
Non è un’opinione. È quanto emerso da un cammino sinodale proseguito per oltre tre anni che il Papa ha sancito con la sua parola. Poi, di fronte alle critiche e ai distinguo, Francesco ha voluto che l’interpretazione da lui considerata più efficace, quella dei vescovi della regione di Buenos Aires, fosse inserita nei cosiddetti Acta apostolica sedis - gli atti ufficiali della Santa Sede - a ribadire che indietro non si torna e che tutte le diocesi del mondo devono incamminarsi lungo quella strada.
Milano non fa eccezione. Inutile far riferimento al rito ambrosiano e alle aperture del cardinale Carlo Maria Martini, che su questi aspetti non ci sono state, in quanto scelte che non si potevano e non si possono pretendere da una singola Chiesa locale.
Francesco, come detto, ha ritenuto necessarie due assemblee mondiali dei vescovi per gettare i semi del cambiamento. Una persona divorziata e risposata che desidera riaccostarsi alla Comunione - spiega il Papa - può chiedere l’aiuto di un sacerdote preparato per avviare un serio esame di coscienza sulle proprie scelte esistenziali.
Sei, in rapidissima sintesi, i punti da non trascurare: quali sforzi sono stati fatti per salvare il precedente matrimonio e ci sono stati tentativi di riconciliazione? La separazione è stata voluta o subita? Che rapporto c’è con il precedente coniuge? Quale comportamento verso i figli? Quali ripercussioni ha avuto la nuova unione sul resto della famiglia? E sulla comunità? Domande spesso laceranti e risposte non codificabili, che possono richiedere anche lunghi tempi di elaborazione e da cui non derivano conseguenze uguali per tutti. Ma anche modalità pastorali efficaci per metterle in pratica.
Trovare e attuare queste buone prassi è faticoso e Sala, con le sue parole, ha dato voce a un disagio e una sofferenza spirituale, ma anche a una speranza, che condivide con tanti altri credenti, divorziati e risposati.
«No alla comunione ai divorziati». Cinque cardinali contro le aperture
Presa di distanza da Kasper, incaricato dal Papa di fare la relazione al Concistoro Müller (ex Sant’Uffizio): «Misericordia non è dispensa dai comandamenti»
di M. Antonietta Calabrò (Corriere della Sera, 17 settembre 2014)
«Non possumus», la celebre risposta di papa Clemente VII a Enrico VIII, all’origine dello scisma della Chiesa anglicana, quando il Pontefice non assecondò la richiesta di scioglimento di un singolo matrimonio, sia pure reale e nonostante le conseguenze, riecheggia più volte in un volume molto atteso in vista del prossimo Sinodo dei vescovi sulla famiglia. Già il titolo dice tutto: Permanere nella verità di Cristo. Matrimonio e comunione nella Chiesa cattolica. Il libro (esce quasi in contemporanea in Italia, il 1° ottobre, editore Cantagalli, e negli Stati Uniti) riunisce assieme gli scritti di cinque cardinali e di altri quattro studiosi, in risposta a quanto sostenuto nella relazione tenuta da un altro cardinale, Walter Kasper, su incarico di papa Francesco davanti al Concistoro straordinario del 20 e 21 febbraio. Allora, Kasper aveva lanciato un appello affinché la Chiesa armonizzasse «fedeltà e misericordia di Dio nella sua azione pastorale riguardo ai divorziati risposati con rito civile». Un punto focale del Concistoro, voluto da Bergoglio proprio in vista del Sinodo che si sta per aprire ad ottobre sulle «sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione».
Lo scopo del libro è rispondere all’invito di Kasper ad un’ulteriore discussione, ma costituisce una netta chiusura alle sue tesi. Il curatore del testo, Robert Dodaro, preside dell’Istituto patristico Augustinianum di Roma, alla fine della sua introduzione espone le conclusioni unitarie del gruppo: «Gli autori di questo volume sono uniti nel sostenere fermamente che il Nuovo Testamento ci mostra Cristo che proibisce senza ambiguità divorzio e successive nuove nozze sulla base del piano originale di Dio sul matrimonio disposto da Dio in Gen. 1,27 e 2,24».
Poi la contestazione del punto centrale: «La soluzione “misericordiosa” al divorzio sostenuta dal cardinale Kasper non è sconosciuta nella Chiesa antica, ma di fatto nessuno degli autori giunti a noi e che noi consideriamo autorevoli la difende. Anzi, quando la accennano, è piuttosto per condannarla come contraria alla Scrittura. Non c’è niente di sorprendente in questa situazione: gli abusi ci possono essere occasionalmente, ma la loro mera esistenza non garantisce che non siano abusi, tanto meno che siano modelli da seguire».
E infine: «La pratica ortodossa orientale attuale della oikonomia nei casi di divorzio e seconde nozze ha origine per lo più nel secondo millennio, e sorge in risposta alla pressione politica degli imperatori bizantini sulla Chiesa». L’ oikonomia è il modo in cui la Chiesa ortodossa gestisce la situazione dei fedeli divorziati ammettendoli alle seconde nozze religiose dopo un periodo di penitenza (in generale, il termine indica una deviazione discrezionale dalla lettera della legge, per adempiere allo spirito della legge e alla carità).
Come si vede, invece, la chiusura è senza appello. Tanto più forte se si considera che tra gli autori c’è il «Guardiano» dell’ortodossia cattolica, Gerhard Ludwig Müller, cioè il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, nominato da Papa Benedetto XVI, nel 2012, e fatto cardinale nel Concistoro di febbraio. Gli altri sono cardinali Raymond Leo Burke, prefetto della Segnatura apostolica; Walter Brandmüller, presidente emerito del Pontificio Comitato di scienze storiche; Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna e uno dei teologi più vicini a san Giovanni Paolo II sui temi della famiglia e Velasio De Paolis, presidente emerito della prefettura degli affari economici.
Oltre al riferimento al «non possumus», c’è un’altra immagine che ritorna nel volume, quella della donna adultera cui Cristo disse, «va e non peccare più» (Gv 8,11). La misericordia di Dio - scrivono gli autori - non ci dispensa dal seguire i suoi comandamenti. Quindi, il matrimonio civile che segue al divorzio implica una forma di adulterio, e rende moralmente impossibile ricevere l’eucarestia (1 Cor. 11,28), a meno che la coppia non pratichi la continenza sessuale. Queste non sono regole inventate dalla Chiesa - affermano -, esse costituiscono la legge divina e la Chiesa non può cambiarle.
Coppie: separati, divorziati e l’Eucaristia.
di p. Nadir Giuseppe Perin *
Nel mese di giugno 2012, a Milano, con la presenza del Papa Benedetto XVI, la Comunità ecclesiale ha celebrato la giornata mondiale della famiglia: “ un Mondo - una Famiglia - un Amore”. Le famiglie presenti sono state numerosissime e provenienti da tutte le parti del mondo.
Ci saranno state anche “famiglie di preti sposati”? Sono convinto di sì.
Il Papa, rispondendo “a braccio” alle domande che gli venivano fatte, si è rivolto alla famiglia, non come categoria astratta, ma alle mamme, ai papà e ai figli, ricordando che “Dio ha creato l’essere umano maschio e femmina; che essi hanno pari dignità, ma caratteristiche proprie e complementari perché i due fossero dono l’uno per l’altro; si valorizzassero reciprocamente e realizzassero una comunità di amore e di vita”.
Il Papa, in modo sintetico e profondo, ha evidenziato che nel matrimonio tra un uomo ed una donna, la coppia realizza una “comunità” (koinonia) quando tra di loro, come cemento che li unisce, c’è l’amore e non perché hanno firmato un “contratto” di matrimonio.
Solo l’amore fa sì che la dualità tra due persone ( uomo e donna) diventi, si trasformi in “unità”, nel rispetto della libertà individuale.
Noi diciamo, infatti, che Dio è uno e trino, perché la natura, cioè l’essenza di Dio è AMORE che viene personificato nelle tre Persone Divine (Padre Figlio e Spirito Santo) che sono uguali e distinte.
Se l’AMORE venisse meno, non ci sarebbe più Dio, ma il nulla.
Così nel matrimonio tra l’uomo e la donna, l’unità è data dall’amore esistente tra i due. Se l’amore “muore”, anche l’unità matrimoniale viene distrutta e muore con essa la comunità di vita matrimoniale.
Il Papa ha parlato anche delle coppie separate e divorziate. E, nei confronti di queste persone ha ribadito la non possibilità per loro di accostarsi alla mensa eucaristica, pur partecipando alla celebrazione della Messa, aggiungendo, nello stesso tempo, che il Papa e la Chiesa li “sostengono” nella loro fatica (?).
Non so che cosa il Papa volesse significare con questa espressione, ma molte sono le domande che mi sono posto e che desidero condividere con voi.
Anzitutto, mi sono chiesto perché il Papa rispondendo alle domande sulle coppie separate e divorziate, in rapporto alla possibilità o meno di accostarsi alla mensa eucaristica nel giorno del Signore, lo ha fatto in maniera “discriminante” ? Quasi che l’Eucaristia nella celebrazione liturgica fosse il “pasto” finale, che viene offerto in premio, dopo l’ascolto della Parola di Dio, a tutti coloro che durante la settimana sono stati “buoni”, perchè hanno osservato la Legge, mentre “ i cattivi” che non hanno osservato la Legge, in questo caso perchè separati e divorziati, vengono privati della possibilità di ricevere l’Eucaristia.
Questo modo di considerare l’Eucaristia come “un sacramento” ha fatto si che il bambino la potesse ricevere quando, raggiunto l’uso della ragione, fosse in grado di capire cosa significasse “fare la comunione” e quindi, in seguito, fosse in grado di soddisfare a tutte quelle clausole imposte per “ricevere degnamente i sacramenti”.
Forse che la madre nutre il suo bambino al quale ha dato la vita, soltanto quando il bambino riesce a capire che in quel latte che sta succhiando dal seno materno, ci sono le proteine, le vitamine, i carboidrati, i sali minerali tanto necessari alla sua crescita e alla sua salute ? O forse lo nutre soltanto quando il bambino è sano, mentre quando è malato si rifiuta ?
E’ questo l’atteggiamento di Dio-Padre nei confronti dell’uomo?
Il vero volto di Dio che Gesù - l’ Unigenito Figlio di Dio - ci ha fatto conoscere, è quello di un Padre che “dona”, fin dalla nascita, a ciascuno dei suoi figli il suo AMORE, affinché tutti possano godere della pienezza di vita. E lo fa senza fare alcuna “distinzione” tra “buoni” e “cattivi”.
Egli, infatti, essendo Padre “fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti” (Mt 5,45).
Inoltre, proprio perché vuole che tutti i suoi figli, nonostante le loro debolezze e “marachelle”, possano vivere la vita in pienezza, non li abbandona a loro stessi, ma li chiama, li raduna, li convoca, li invita , attraverso il suo Spirito, a sedersi a tavola insieme - quale segno della riconciliazione reciproca tra i credenti - per mangiare “il pane della vita” , disceso dal cielo ed ascoltare la sua Parola.
Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” ( GV6,50-51). “Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita” (Gv 6,53). “ Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me ed io in lui” ( Gv 6,56). “Colui che mangia me vivrà per mezzo di me... come io vivo per mezzo del Padre che ha la vita ed ha mandato me” ( Gv 6,57).
Ma questo pane non va mangiato da soli, ma “insieme” agli altri, perchè è “segno della riconciliazione reciproca tra i credenti”.
Lo mette in risalto S. Paolo “ Quando vi radunate per la cena, aspettatevi gli uni gli altri” ( 1Cor 12,33). Questo significa che la koinonia ecclesiale deve tendere all’agape e per questo si esige dai membri della Chiesa il comportamento comunionale del fare le cose insieme, non gli uni senza gli altri, non qualcuno al di sopra degli altri, non gli uni contro gli altri, ma gli uni per gli altri, in solidarietà, in unione, in accordo, nella partecipazione reciproca.
Il legame, infatti, che dovrebbe esistere tra i membri di una stessa famiglia è soltanto quello dell’amore e se uno si ammala non viene “buttato fuori di casa”, ma aiutato a guarire.
Forse che un padre di famiglia, quando tutti i suoi figli sono seduti a tavola, al momento del pranzo, invita qualcuno dei figli, perché“malato”, ad alzarsi da tavola e ad allontanarsi senza mangiare ?
Non è forse vero che tutti dobbiamo nutrirci, per poter continuare a vivere ? Sia chi gode di ottima salute e sia chi è malato? Affinchè chi è sano, possa “mantenersi in salute” e chi è ammalato, possa guarire e “rimettersi in salute”.
In un passo della Didachè (XII, I) è scritto “ riunendovi (synaghein) ogni giorno del Signore, spezzate il pane e rendete grazie dopo aver confessato i vostri peccati”.
“Essere sano”, nello spirito, non significa non aver commesso dei “peccati”, ma vuol dire che dopo “aver peccato”, ci si pente e si chiede perdono al nostro fratello, riconciliandoci con lui.
“Essere malato” significa aver commesso dei peccati, dei quali non ci siamo ancora pentiti e per i quali non abbiamo ancora chiesto perdono, e pertanto non siamo ancora “riconciliati” con il nostro fratello.
E, la Didascalia Apostolorum, specifica che “non possiamo essere chiamati fratelli finchè non c’è pace tra di noi” ( II,49,I)
Gesù stesso, ci dice qual è il suo atteggiamento nei confronti dell’uomo peccatore : “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori” ( Mc 2,17). Tutto ciò che il Padre mi dà verrà a me: colui che viene a me, non lo respingerò” ( Gv 6,32-38).
Trovandosi di fronte a situazioni di sofferenza e di disagio vissute dalle coppie che hanno ormai sperimentato nella loro vita la frantumazione della loro unità matrimoniale, perché l’amore che li teneva uniti è stato spento, definitivamente, separando così - in modo irreversibile - le loro esistenze che Dio aveva, invece, congiunto (Mc 10,9); dalle coppie ormai divise che non riescono a vedere alcuna possibilità di speranza o capacità per “ricominciare” ; dalle coppie alle quali non resta altro che separarsi legalmente, stabilire la modalità dell’affidamento dei figli ( qualora ci fossero) in attesa di arrivare alla sentenza di divorzio e quindi all’annullamento del “matrimonio civile”; dalle coppie che nella ricerca della verità attraverso processi... avvocati....sentenze di tribunali, per conoscere chi dei due sia il vero colpevole della “deflagrazione” del matrimonio e chi, di conseguenza, dovrà “pagare gli alimenti”... considerando che è sempre difficilissimo individuare le cause da attribuire ad un unico colpevole, perché anche se è stata l’ultima goccia che ha fatto “traboccare” il vaso, molte altre gocce, prima di quella, hanno contribuito ad avvelenare la vita dei due sposi e a rendere sempre più amaro il “calice della loro esistenza.
E’ chiaro che per queste persone la vita continua ad essere un campo di battaglia all’ultimo sangue, accompagnato spesso da una serie interminabile di vendette... dispetti... ricatti...quasi sempre a discapito dei figli...che, in queste situazioni, diventano spesso dei “trofei di guerra” o dei “pacchi postali” esplosivi, da spedire all’uno o all’altra, a secondo della convenienza o del danno, della sofferenza e del disagio che si pensa e si vuole causare all’altro o all’altra “ex”.
E qui tornano a proposito le parole di Paolo ai Galati “ Ma se vi mordete e vi divorate a vicenda, badate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!” ( Gal 5,15).
Quale risposta dare alle coppie separate, divorziate che pur vivendo nelle condizioni di disagio psichico e morale, sopra descritte, desiderano in cuor loro, perché credenti, di accostarsi alla mensa eucaristica nel giorno del Signore ? Ma, chi può suggerire quando accostarsi alla mensa eucaristica ? E, intanto, quale atteggiamento deve avere la Comunità ecclesiale nei loro confronti ?
L’atteggiamento di quel ricco signore che, con molta generosità, invita ad entrare in casa : il povero, il sofferente e l’affamato che ha bussato alla sua porta al momento del pranzo, per poi aggiungere che - pur rendendosi conto della loro sofferenza e della loro fame - non può permettere loro di sedersi a tavola con gli altri commensali ?
Eppure, questo accade, ogni giorno, nella comunità ecclesiale, ogni volta che il popolo di Dio viene riunito in assemblea per il culto e per realizzare la comunione con i fratelli e le sorelle nella fede.
In queste assemblee riunite nel giorno del Signore ci sono “troppi ricchi epuloni” ( Lc16,19-30) che portando vestiti di porpora e di lino finissimo salgono al Tempio, come il fariseo, per pregare, dicendo : “ o Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini: ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo” ( Lc 18, 11-12).
Mentre, dall’altra ci sono “troppi poveri” “Lazzaro” che “stanno alla porta, coperti di piaghe, bramosi di sfamarsi con quello che cade dalla tavola del ricco” ( Lc16,19-30) e troppi “pubblicani, che salendo al Tempio a pregare, si “fermano a distanza, non osando nemmeno di alzare gli occhi al cielo e battendosi il petto, dicono : O Dio, abbi pietà di me peccatore” ( Lc 18,13).
Gesù disse queste parabole “per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri”( Lc 18,9).
Se questa è “l’atmosfera” che si respira dentro le nostre chiese, allora, forse, è meglio anche per noi non partecipare all’eucaristia domenicale, piuttosto che farlo, nutrendo rancore o inimicizia verso un fratello. Perché significherebbe cadere nell’ipocrisia religiosa già condannata dai profeti nell’A.T. L’ipocrisia di chi unisce ingiustizia e solennità, odio e liturgia.
Mentre sarebbe necessario ricercare con sempre rinnovato vigore l’unità tra liturgia e vita, tra preghiera ed esistenza e far si che la “lex orandi” diventasse normativa ed ispiratrice della nostra vita di credenti.
Si sa che il tempo, come può acuire il dolore di una ferita, la può anche guarire, ridando equilibrio e serenità alle persone.
Quando, allora, per queste persone separate, divorziate, sarà possibile “accostarsi alla mensa eucaristica”, nell’assemblea del giorno del Signore ?
Solo la persona o le persone separate e divorziate possono essere in grado di rispondere personalmente a quel “quando.... ”
Ma per poterlo fare devono “abitare” prima di tutto la propria coscienza e “mettersi in ascolto” di Dio, poggiando il capo sul suo cuore per sentirne i battiti di amore.
Soltanto dopo questa esperienza di Dio, in questo atteggiamento di ascolto, potranno maturare nel loro spirito delle certezze che serviranno da parametro per decidere sul “quando” ...
Di quali certezze si tratta ?
1) che Dio perchè è AMORE “ non respinge alcuno di coloro che vanno a Lui”(Gv 6,32-38)
2) che lo Spirito di Dio li aiuterà a capire che il “sedersi a tavola insieme”, per “mangiare dello stesso pane”, è “segno di riconciliazione” con i fratelli con i quali formiamo “un cuor solo e un’anima sola” ( At 4,32)
3) che questa “riconciliazione” con i fratelli deve avvenire prima di sedersi a tavola.
Infatti, “se presenti la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia il tuo dono davanti all’altare e va prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono” ( Mt 5,23-24; Mc 11,25).
P. Giuseppe dall’Abruzzo.
* Il dialogo, Mercoledì 20 Giugno,2012
Friburgo, il fantasma di Martin Lutero
Preti in rivolta contro il Papa
di Marco Politi (il Fatto, 21.06.2012)
I preti tedeschi si ribellano al Vaticano. Duecento preti e diaconi della diocesi di Friburgo hanno firmato un appello su Internet, sostenendo la legittimità della comunione ai divorziati risposati. Il luogo è simbolico. La diocesi di Friburgo è retta dall’arcivescovo Robert Zollitsch, presidente della Conferenza episcopale tedesca. È come se a Genova, sede del cardinale Bagnasco presidente della Cei, duecento sacerdoti comunicassero ufficialmente di dare regolarmente l’ostia ai fedeli in secondo matrimonio.
A Friburgo i duecento contestatori dichiarano che verso i divorziati risposati bisogna usare “misericordia” e non nascondono la loro scelta: “Nelle nostre comunità i divorziati risposati prendono parte alla comunione con il nostro consenso. Sono presenti nel consiglio parrocchiale e partecipano ad altri servizi pastorali”. È una contestazione frontale delle istruzioni vaticane, ma soprattutto una rivolta contro l’inazione del pontefice che da anni - già da prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede - si occupava della questione e non ha mai preso una decisione per superare un divieto, che colpisce dolorosamente proprio i fedeli più assidui.
A FRIBURGO il vicario generale della diocesi ha tentato di persuadere il clero a non firmare o a ritirare il consenso. Soltanto due dei firmatari lo hanno ascoltato. In realtà dietro l’appello c’è una galassia di preti in tutta la Germania, ma anche in tante parti del mondo. Italia compresa, dove molti parroci non infieriscono contro i divorziati risposati negando loro l’eucaristia.
Stephan Wahl, uno dei preti più noti in Germania per avere predicato il vangelo alla televisione per dodici anni nella popolare trasmissione “La parola della domenica” (Wort am Sonntag), ha commentato in maniera pregnante: “Come cattolico e come sacerdote mi è insopportabile che, secondo l’attuale normativa (ecclesiastica), è più facile che un sacerdote colpevole di abusi possa distribuire il sacramento (dell’eucaristia) piuttosto che un divorziato riceverlo”. I preti contestatori tedeschi rimarcano di essere ben consapevoli di “agire contro le norme canoniche attualmente in vigore nella Chiesa cattolica romana”, ma sostengono che in base all’attuale Codice di diritto canonico il principio supremo, a cui orientarsi, è la “salvezza delle anime”. Perciò ribadiscono: “Consideriamo urgentemente necessaria una nuova normativa canonica per i divorziati risposati”.
LO STESSO Ratzinger, da teologo, era del parere che di fronte ad un primo matrimonio “spezzatosi da lungo tempo e in maniera irreparabile”, e alla luce di una seconda unione rivelatasi negli anni un’autentica “realtà etica”, fosse giusto - su testimonianza del parroco e della comunità - “concedere la comunione a coloro che vivono un simile secondo matrimonio”. Correva l’anno 1972, quando Ratzinger difendeva tesi del genere.
Da allora il pontificato di Giovanni Paolo II e quello di Benedetto XVI hanno battuto ossessivamente sul tasto dell’indissolubilità del matrimonio, rifiutando qualsiasi soluzione. Benché - come ha fatto notare lo scrittore cattolico Messori durante le giornate della famiglia a Milano, benedette dal Papa - il cattolicesimo sia l’unica tra le confessioni cristiane e le religioni mondiali a negare la possibilità del divorzio. Di una presunta “legge naturale”, in proposito, è inutile parlare.
Il presidente dell’episcopato tedesco Zollitsch, sebbene attaccato a sua volta dai preti tradizionalisti riuniti nella “Rete dei sacerdoti cattolici”, ha deciso dopo qualche esitazione di ricevere una delegazione dei contestatori. Dovrebbe accadere oggi. Un atteggiamento molto diverso da quello del cardinale Scola, il quale - come riferito dall’agenzia Adista - ha impedito nel gennaio scorso al consiglio presbiterale milanese di mettere all’ordine del giorno anche la mera analisi e discussione del tema “divorziati risposati e accesso ai sacramenti”.
Dopo un netto intervento contrario del cardinale la proposta avanzata dai sacerdoti Aristide Fumagalli e Giovanni Giavini ha ottenuto 7 sì, 13 no e 27 astensioni (segno evidente di come tanti preti attendano un cenno dall’alto per parlare finalmente liberamente).
IL CASO di Friburgo è solo la punta dell’iceberg dell’insoddisfazione per lo stallo totale di ogni riforma. Si sono già mobilitati i preti austriaci con l’“Iniziativa dei parroci”. Chiedono la riforma della Chiesa, la fine del cumulo di parrocchie affidate a un solo parroco, l’accesso al sacerdozio di sposati e donne.
L’EU-CHARISTIA. "La parola «Eucaristia» deriva dal verbo greco «eu-charistèō/rendo grazie» che a sua volta proviene dall’avverbio augurale «eu-...-bene» e «chàirō-rallegrarsi/essere contento»" (...)
Pistoia, monsignor Scatizzi invita i preti a non somministrare la comunione agli omosessuali
"Quando conclamata e ostentata è un peccato che li esclude dal sacramento"
Un altro vescovo dice no ai gay
Nella comunità è rivolta sul web
Lo scorso 25 gennaio era toccato al vescovo emerito di Grosseto
Durissimi i commenti fra blog, Facebook e forum dedicati
di MARCO PASQUA *
PISTOIA - Niente comunione ai "gay conclamati", perché "l’omosessualità è un disordine" e i precetti della Chiesa non devono essere contraddetti. Per monsignor Simone Scatizzi, vescovo emerito di Pistoia, i preti dovrebbero rifiutarsi di somministrare la comunione ai gay. Parlando oggi con il sito religioso Pontifex, a proposito degli omosessuali "che proclamano la loro condizione e la praticano", l’esponente cattolico sostiene: "Il principio generale é che la conclamata e ostentata omosessualità é un peccato che esclude la comunione".
Le parole del vescovo fanno il giro del web, suscitando reazioni e sdegno da parte della comunità GLBT, che già aveva registrato, lo scorso 25 gennaio, un’analoga presa di posizione. Parlando con lo stesso sito, infatti, il vescovo emerito di Grosseto, monsignor Giacomo Babini, era stato ancora più esplicito, arrivando anche a chiamare in causa il governatore della Puglia, Nichi Vendola: "La pratica conclamata della omosessualità é un peccato gravissimo, costituisce uno scandalo e bisogna negare la comunione a tutti coloro che la professino, senza alcuna remora, proprio in quanto pastori di anime. Io non darei mai la comunione ad uno come Vendola".
L’ultima presa di posizione, in ordine di tempo, è del 79enne Scatizzi, già protagonista, nel 2005, di un’aspra polemica contro i gay, "colpevoli", a suo dire, della "crisi della virilità". "L’omosessualità in quanto tale é un disordine. E su questo non ci sta discussione", afferma categorico il religioso, salvo poi concedere che "con gli omosessuali é necessario usare delicatezza e misericordia e alla fine il giudice ultimo é Dio, pertanto sulla Terra nessuno é autorizzato ad emettere sentenze".
Il vescovo emerito di Lucera-Troia, monsignor Francesco Zerrillo, sembra andare oltre, arrivando a criticare persino le leggi contro l’omofobia. "Io non le ritengo giuste - ha tuonato il porporato, parlando il 2 febbraio con lo stesso sito - in quanto non é mai assimilabile, dunque omologabile, ciò che é la normalità, ovvero la famiglia eterosessuale fondata da uomo e donna e quella omosessuale che famiglia non é, per la semplicissima ragione che non é in grado di ottemperare alla riproduzione. L’atto sessuale é volto a questo e non alla ricerca di lussuria". Secondo Zerrillo bisognerebbe invitare il gay credente a non chiedere la comunione, "per non alimentare lo scandalo": "Se davanti a me, specie in un centro piccolo in cui tutti sanno tutto di tutto, il dare la comunione ad una persona del genere può causare scandalo é quindi meglio non darla . Sarebbe saggio generalmente prevenire queste cose o al massimo amministrarla e poi dirgli amico non provarci più, per scongiurare uno scandalo ancora maggiore".
Aveva parlato invece di "pratica aberrante" il collega emerito di Grosseto, monsignor Giacomo Babini: "Mi fa ribrezzo parlare di queste cose e trovo la pratica omosessuale aberrante, come la legge sulla omofobia che di fatto incoraggia questo vizio contro natura. I vescovi e i pastori devono parlare chiaro, guai al padre che non corregge suo figlio. Penso che dare le case agli omosessuali, come avvenuto a Venezia, sia uno scandalo, e colui che apertamente rivendica questa sua condizione dà un cattivo esempio e scandalizza". Cosa dovrebbero fare i gay? "Pentirsi di questo orribile difetto", l’invito di Babini.
Durissimi i commenti degli utenti in calce a queste interviste, fatte circolare in maniera virale su Facebook, i forum e i blog. "Una persona non può e non dovrà mai vergognarsi di quello che è. Dio ama tutti indistintamente e lei predica odio, incita le masse ignoranti alla violenza e contribuisce a rendere l’Italia un paese razzista, omofobo, antisemita", scrive un utente, mentre un altro aggiunge: "La chiesa dovrebbe essere simbolo di pace e non di intolleranza, lasci l’anello che porta con tanta prosopopea e riprenda in mano il Vangelo. Volgete lo sguardo alle mele marce che ci sono tra di voi (preti pedofili, ecc.) e non prendetevela con chi, realmente, è capace di amare". "Vi rendete conto, signori, che voi stessi avete detto che Dio è amore? gli omosessuali non hanno bisogno di misericordia o di perdono, vi prego. Ora è veramente troppo", scrive l’utente "frangisca" commentando le parole di Scatizzi. Il quale sembra avere solo un consiglio per gli omosessuali: "Sarebbe opportuno che i gay si lasciassero portare sulla via della guarigione e della conversione".
© la Repubblica, 05 febbraio 2010
Il cardinal Bagnasco, la gente dei caruggi genovesi, i trans
Parola e ascolto tra la gente anche nei vicoli più bui
Come foto di gruppo può sembrare inconsueta: il cardinale Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei, assieme alle suore missionarie di Charles de Foucauld e a un gruppo di transessuali sorridenti nei loro abiti femminili.
di Marina Corradi (Avvenire, 10 Febbraio 2010)
È successo che una visita pastorale ha portato Bagnasco in quella comunità contemplativa missionaria nei caruggi del vecchio Ghetto, e che - oltre a rappresentanti di extracomunitari e senzatetto - anche dei transessuali hanno chiesto di incontrarlo. Bagnasco ha detto di sì. Si è parlato, si è cantato un inno alla Madonna della Guardia. Alla fine quella foto, che forse scandalizzerà qualche benpensante: il cardinale, le suore e delle signore molto bionde, molto truccate, in quella ostentazione di femminilità propria di chi sogna d’essere nato donna.
O forse, dalla parte opposta, qualcuno sorriderà: ben gli sta, a questi cattolici sessuofobi, lo "scherzo" di una foto col presidente dei vescovi insieme a «Regina», «Lucrezia» e le loro amiche. Ma non c’è "scherzo", e non c’è scandalo. Non c’è scherzo, perché i trans hanno portato seriamente le loro ragioni all’arcivescovo.
Hanno detto che sono credenti e che soffrono nel sentirsi discriminati; che sono nati così, e non c’è stata per loro alcuna scelta. E, vera o no che sia questa affermazione, soggettivamente per qualcuno almeno del popolo dei caruggi può essere sincera. Comunque, era in realtà una domanda: ci siamo anche noi, noi fatti così, ascoltateci. E l’arcivescovo si è seduto, e ha ascoltato.
E proprio non c’è scandalo, in quello scatto che allinea le sorelle di Charles de Foucauld e la porpora di Bagnasco con i boa di struzzo di Regina e delle altre: perché andare tra gli uomini, tra i giusti e i peccatori, è il mestiere della Chiesa e dei suoi pastori. Il suo antico, misericordioso mestiere. Fra gli uomini, in mezzo a loro, senza distinzioni fra chi è "a posto" e chi no. Fin da quando, e son passati duemila anni, gli "onesti" del tempo - ce ne sono purtroppo in ogni epoca - si scandalizzavano perché quel tale, quel Gesù, sedeva a tavola con certa gente, e non scacciava le prostitute, anzi le trattava con una misericordia più grande.
Quel Gesù che diceva di non essere venuto per i giusti, ma per i peccatori. (Cioè, per noi tutti). Il cardinale nei caruggi ha dunque sentito le ragioni di Regina, e ha intuito, nelle parole, nelle facce, la lunga sofferenza e la silenziosa vergogna di quei ragazzi che nell’età della adolescenza si scoprono diversi. E cercano di affermare di essere donne coi più vistosi segni di una esasperata femminilità: in vite spesso poi di grande solitudine, spese sull’angolo di una strada. Il cardinale ha ascoltato, poi ha fatto quella prima carità cristiana che è la verità: siamo figli del peccato originale, ha detto, e quindi peccatori. Ha chiamato, dunque, le cose con il loro nome, fuor dalla nebbia del politicamente corretto e del facile buonismo. Poi, ha detto la cosa più importante: che Cristo è morto per tutti.
Che le porte di Dio sono aperte a tutti. Formidabile, antica parola in quella casa nei vicoli di Genova. Cristo morto per tutti. La Sua misericordia abbraccia chiunque lo domandi. E solo Lui sa davvero cosa c’è, in fondo ai cuori. E se sono migliori gli onesti che si scandalizzano e accusano - quanti, anche oggi, sulle pagine dei giornali - o i più conclamati peccatori. Quella foto inconsueta da Genova, che bella. Il pastore che va fra la sua gente, e non dice di no a nessuno. Che sta a ascoltare, afferma la verità, ma annuncia la misericordia. Che fa il grande, straordinario mestiere della Chiesa. Portare Cristo fra gli uomini: anche in fondo ai vicoli più bui.
Marina Corradi
Nov 02, 2009 *
Il 2 ottobre scorso, l’associazione gay-lesbo “I-ken”, presieduta da Carlo Cremona, aveva chiesto un incontro con il cardinale di Napoli Crescenzio Sepe. La risposta non si è fatta attendere e il 24 ottobre alcuni rappresentanti della comunità gay si sono incontrati con il cardinale. E’ la prima volta che, volontariamente, accade qualcosa del genere in Italia, tra figure religiose e gruppi omosessuali. Ma del resto, fino a poco tempo fa, lo stesso religioso era al passo dei tempi, con un suo profilo Facebook, aperto a tutti per discutere e confrontare opinioni diverse. E la riunione in questione, tenutasi in Curia, a Napoli, ha avuto il sapore del dialogo, del confronto di due punti di vista differenti ma rispettosi l’uno dell’altro. Una nota dell’Arcivescovado è stata divulgata:
“Sono state illustrate a sua eminenza le finalità dell’associazione della quale fanno parte persone che vivono un diverso orientamento sessuale. A tale riguardo è stato evidenziato che tale alterità si impatta spesso con interpretazioni culturali e sociali assolutamente superficiali e prevenute, che non poche volte si traducono in atteggiamenti di dileggio e di offesa, se non addirittura di aggressione e violenza, anche in forma grave e delittuosa, come purtroppo si è potuto registrare soprattutto in questi ultimi tempi.”
* http://www.queerblog.it/post/6388/cardinal-sepe-incontra-associazione-gay-a-napoli-lamore-di-dio-e-per-tutti