Al di là della trinità "edipica" - e "mammonica" ("Deus caritas est": Benedetto XVI, 2006)!!!!

LUCETTA SCARAFFIA E MARY ANN GLENDON: CONTRO IL FEMMINISMO, RILANCIANO LA VECCHIA "DIABOLICA ALLEANZA" CON LA CHIESA CATTOLICO-ROMANA. "NUOVA ALLEANZA"?!: A CONDIZIONE CHE ACCANTO A "MARIA" CI SIA "GIUSEPPE"!!! - a c. di Federico La Sala

Uscire dallo "stato di minorità" non significa mangiare un "piatto di lenticchie" ... né "sposare" il figlio!!!
venerdì 26 gennaio 2007.
 

-  Un nuovo femminismo che tuteli la vita e non imiti soltanto i modelli maschili: un faccia a faccia ieri a Roma

-  Donne e Chiesa, nuova alleanza?

-  Nella storia del cristianesimo i primi casi di donne leader sul piano culturale e spirituale.
-  Per superare le incomprensioni è fondamentale proporre modelli di vera ed efficace complementarietà

Da Roma *

La Chiesa va d’accordo con le donne, ma non con il femminismo, se per femminismo intendiamo il movimento che si è sviluppato a partire dagli anni Sessanta e ha incentrato la propria idea di liberazione soprattutto sull’uguaglianza con l’uomo e sulla libertà sessuale e riproduttiva. Ma se con questo femminismo «arrabbiato e dogmatico» non c’è facilità di comunicazione, è un fatto che «l’emancipazione femminile è stata proposta e realizzata con successo soltanto in paesi che, pur secolarizzati, si rifacevano alla tradizione cristiana».

A partire da questa constatazione si è snodata la riflessione della storica Lucetta Scaraffia e di Mary Ann Glendon, docente ad Harvard e presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, che si sono confrontate ieri a Roma nell’incontro su "Femminismo e Chiesa cattolica" organizzato a Palazzo Colonna dal Centro di Orientamento politico. Moderatore è stato Salvatore Rebecchini. Secondo Scaraffia, infatti, il rispetto delle donne è nel dna del cristianesimo, a cominciare dall’importanza delle donne nella vita e nell’insegnamento di Gesù, e nella concezione che ne discende a proposito del matrimonio e della famiglia, rivoluzionaria perché impone ai coniugi diritti e doveri e nello stesso tempo, grazie all’indissolubilità, protegge la donna.

Non un caso, insomma, se «a fronte di una storia politica dell’Occidente in cui la presenza delle donne si conta sulle dita di una mano, la storia della Chiesa è costellata dalla presenza di sante che svolgono ruoli di primaria importanza nella costruzione della tradizione cristiana», e se «proprio all’interno della vita religiosa femminile si siano manifestati i primi casi di donne leaders sul piano spirituale e intellettuale», o se siano in molti casi state le donne a creare opere assistenziali di fondamentale importanza.

Ma oggi il problema si pone in altri termini: tutto questo sembra non bastare come risposta alle domande che le donne pongono alla Chiesa. Così come non sembra bastar e quel femminismo cattolico del Novecento (incarnato da figure come Adelaide Coari, Cristina Giustiniani Bandini ed Armida Barelli) che condivise con il femminismo laico molte battaglie, come il diritto all’istruzione, alla partecipazione politica, l’ingresso nelle professioni, il voto, coniugando tutto questo, però, con il grande significato attribuito alla maternità, elemento fondante della femminilità. E che comunque riuscì a non imboccare quella strada che, secondo Mary Ann Glendon, ha portato il movimento femminista organizzato a «stringere un accordo faustiano con l’industria dell’aborto, con organizzazioni omosessuali e con gruppi che promuovono il controllo delle nascite, dando vita ad una vera e propria coalizione con forti interessi comuni».

Erano gli anni Ottanta, e vent’anni non sono passati invano, visto che, secondo la presidente dell’Accademia pontificia, se si interrogano le donne americane giovani, in quattro casi su cinque dicono di non essere femministe. È fatta la pace tra le donne e la Chiesa, dunque? Non proprio: anche se è vero che molti valori che questa ha sempre difeso oggi vengono guardati con interesse maggiore, alcuni punti restano problematici.

C’è, per esempio, una diffusa richiesta, da parte delle donne, di avere più spazi decisionali all’interno delle strutture ecclesiali. È vero infatti quanto sostiene Mary Ann Glendon, che cioè «oggi donne religiose e laiche svolgono nuovi ruoli all’interno della Chiesa, e da molto la leadership nel campo dell’istruzione e della sanità è stata affidata alle donne ed è anche vero che sono sempre più numerose le donne che siedono nei consigli direttivi delle parrocchie e delle diocesi». Ma è vero anche che lei viene da una Chiesa, quella di Boston, in cui «un terzo dei membri del consiglio direttivo del seminario è costituito da donne», cosa che non succede in molte altre realtà. E dunque è vero anche quello che ha notato Lucetta Scaraffia, che, cioè, «finché non ci saranno donne nei posti chiave della Santa Sede, il problema non sarà risolto».

Il problema è connesso a quello del sacerdozio femminile, al quale peraltro entrambe si sono dette contrarie. Era appunto il femminismo «arrabbiato e dogmatico» quello che voleva l’uguaglianza formale a tutti i costi, ma oggi, sostiene Scaraffia, la difesa della specificità femminile non può essere letta come una difesa reazionaria del passato, «ma piuttosto come evidente preoccupazione per un futuro che vuole tutti trasformati in individui "neutri" che dovrebbero orientarsi verso un modello di vita maschile».

Ma «il bene comune è davvero raggiunto attraverso politiche che promuovono una società unisex? Oppure esistono vantaggi in una società che lascia aperta la porta alla sperimentazione e alla diversità, che lascia spazio a uomini e donne, a laici e religiosi?», si chiede Glendon. Il problema, insomma, non è omologarsi, ma al contrario lasciare spazio a figure e ruoli diversi, «alcuni dei quali possono essere riservati agli uomini», magari poi facendo conoscere le "buone pratiche" e i frutti che nascono dalla collaborazione fra tante diversità.

Avvenire, 16.12.2006


Sull’argomento, nel sito e in rete, si cfr.

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-  CITTADINANZA: EVANGELO E COSTITUZIONE...
-  E IL CIELO SI APRI’. LA NUOVA CITTA’ E IL DIRITTO DEL SOLE ("IUS SOLIS"): AL DI LA’ DEL DIRITTO DEL SANGUE ("IUS SANGUINIS") E DELLA TERRA ("IUS SOLI"). Intorno a una nota di Michele Ainis



GIOVANNI XXIII E GIOVANNI PAOLO II - W O ITALY !!! VIVA L’ITALIA !!! - RESTITUIRE L’ANELLO, L’ONORE E LA GLORIA A GIUSEPPE !!!


19 MARZO: LA FESTA

Oggi la liturgia ci ricorda il padre terreno di Gesù che i Vangeli descrivono come uomo giusto. L’attuale Pontefice coltiva da sempre una profonda devozione per il falegname di Nazareth sposo di Maria

L’anello del Papa, dono a san Giuseppe

Giusto un anno fa Giovanni Paolo II lo inviò alla chiesa della città natale di Wadowice che frequentava sin da bambino

di Luigi Geninazzi (Avvenire, 19.03.2005)

È una devozione particolare quella che lega Giovanni Paolo II a san Giuseppe, «il secondo Patrono del mio Battesimo», come ama spesso ricordare Karol Józef Wojtyla. Fin da bambino si recava spesso coi suoi genitori nella chiesa dei Carmelitani Scalzi «na górka», sulla collina che sorge nel centro della sua città natale di Wadowice.

L’immagine di «San Giuseppe con il Bambino in braccio» sta sopra l’altare maggiore. Fedeli ad una tradizione secolare gli abitanti di Wadowice si preparano alla festa del 19 marzo con una grande novena di preghiera. Per nove mercoledì consecutivi i fedeli si radunano nella chiesa dei Carmelitani scalzi chiedendo una grazia particolare a san Giuseppe.

Il rito si è ripetuto anche quest’anno e «in cima a tutte le suppliche c’era quella per la salute del Papa», tiene a sottolineare padre Silvano Zielinski, priore del convento e custode del Santuario giuseppino. Nei giorni scorsi le tv di tutto il mondo hanno diffuso l’immagine dei compaesani di Wojtyla giunti al Policlinico Gemelli di Roma per sostenere coi loro canti e le loro preghiere il Papa anziano e malato. E prima di tornarsene in Polonia gli hanno lasciato in dono il libro contenente le omelie pronunciate durante la novena del 2004.

Proprio un anno fa Giovanni Paolo II volle donare il suo anello pontificio al santuario di Wadowice. Con una solenne cerimonia, presieduta dall’arcivescovo di Cracovia. cardinale Franciszek Macharski, il 19 marzo del 2004 è avvenuta la decorazione del quadro di san Giuseppe, alla cui mano destra è stato imposto «l’anello del pescatore».

Un regalo che è stato accolto con grande gioia e commozione dagli abitanti di Wadowice che hanno visto in quel gesto la testimonianza di un vincolo spirituale profondo tra Wojtyla e la sua città natale. «Che questo anello ricordi che il Capo dell’Alma famiglia è l’uomo giusto di Nazareth che rimase fedele sino alla fine alla chiamata di Dio» ha scritto il Papa nel messaggio inviato per l’occasione alla città d i Wadowice.

In questo modo ha voluto ispirarsi ad un gesto del suo predecessore Giovanni XXIII, il quale nell’anno d’inaugurazione del Concilio Vaticano II aveva offerto il suo anello papale al quadro di san Giuseppe venerato nella basilica della città polacca di Kalisz.

«Con quel dono è come se il Santo Padre allungasse il suo braccio dalla collina del Vaticano a quella di Wadowice per indicare in san Giuseppe il modello perfetto della fedeltà a Cristo», commenta padre Zielinski. È il segno di un legame profondo su cui più volte è tornato a riflettere Giovanni Paolo II.

Parlando della chiesa di San Giuseppe presso il convento dei Carmelitani scalzi ebbe a dire: «Come nella mia giovinezza mi reco in spirito in questo luogo... dove io stesso ricevetti numerose grazie di cui oggi esprimo riconoscenza al Signore». Era il giugno del 1999 e Giovanni Paolo II tornava nella sua città natale abbandonandosi ad uno struggente amarcord, una lunga serie di aneddoti sul filo dei ricordi.

Il giovane Wojtyla era tra i frequentatori più assidui del convento fondato da san Raffaele Kalinowski, un ufficiale polacco dell’esercito zarista che aiutò i suoi connazionali durante l’insurrezione del 1863, venne esiliato in Siberia ed una volta liberato entrò dell’Ordine dei Carmelitani. Fu così che fin da ragazzo Karol Jozef Wojtyla venne in contatto con la tradizione del Carmelo, «una scuola di spiritualità», la definisce nel messaggio che accompagna la consegna dell’anello pontificio. Una scuola che sull’esempio di Madre Teresa di Gesù gli insegnò a «contemplare in san Giuseppe il modello perfetto dell’intimità con Gesù e con Maria, patrono della preghiera interiore e dell’infaticabile servizio ai fratelli».


-  L’ANNUNCIO A GIUSEPPE E MARIA - DIO E’ AMORE ("DEUS CHARITAS EST": 1 GV., 4.8): LA NUOVA ALLEANZA E LA NUOVA LEGGE. COME IN CIELO COSI’ IN TERRA: RESTITUIRE A GIUSEPPE L’ANELLO DEL PESCATORE - come già Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II - ... E L’ONORE E LA GLORIA DOVUTA. PACEM IN TERRIS ...

-  PROBLEMI DI ESTETICA (E NON SOLO). I VOLTI DELLA GRAZIA. Un saggio di Raffaele Milani

-  CITTADINANZA: EVANGELO E COSTITUZIONE...
-  E IL CIELO SI APRI’. LA NUOVA CITTA’ E IL DIRITTO DEL SOLE ("IUS SOLIS"): AL DI LA’ DEL DIRITTO DEL SANGUE ("IUS SANGUINIS") E DELLA TERRA ("IUS SOLI"). Intorno a una nota di Michele Ainis

-  FEDE E CARITA’ ("CHARITAS"): CREDERE "ALL’AMORE" ("CHARITATI"). Enzo Bianchi si domanda "come si può credere in Dio se non si crede nell’altro?", ma non si rende conto che è il quadro teologico costantiniano e mammonico che va abbandonato!

FLS


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