DONNE, SCIENZA, E RELIGIONI. COME MAI "UN UOMO PIU’ UNA DONNA HA PRODOTTO, PER SECOLI, UN UOMO" (Franca Ongaro Basaglia)? Non è il caso di ripensare i fondamenti?!

IPAZIA, ALEJANDRO AMENABAR, AGORÀ. Materiali per pensare: articoli di Maria Pia Fusco, Gabriella Gallozzi, e Vito Mancuso - a cura di Federico La Sala

Finalmente anche in Italia, «Agorà» il film dedicato all’astronoma e filosofa greca, uccisa da fanatici cristiani nel 391 dopo Cristo.
martedì 20 aprile 2010.
 


-  Esce finalmente anche in Italia, «Agorà» il film
-  dedicato all’astronoma e filosofa greca, uccisa da
-  fanatici cristiani nel 391 dopo Cristo.
-  Lo porta in sala Mikado che parla di «stizza e silenzio» da parte della Chiesa

-  Alejandro Amenábar: Il Vaticano ha nascosto la mia «Ipazia» con una coltre di silenzio
-  «Dopo duemila anni il fanatismo religioso continua ad uccidere»

-  Il regista: «Ho trattato un periodo del cristianesimo mai portato al cinema»
-  La Commissione «Dalla Cei ci è arrivata solo qualche espressione stizzita»

di Gabriella Gallozzi (l’Unità, 20.04.2010)

Stizza e silenzio. Questa la reazione della Commissione della Cei, preposta alla valutazione dei film da destinare alle sale del circuito cattolico, di fronte ad Agorà, la pellicola di Alejandro Amenábar sulla vita di Ipazia, filosofa greca uccisa dagli integralisti cattolici nel 391 dopo Cristo.

Evidentemente alla Commissione di prelati non deve proprio essere andato giù vedere quell’orda di fanatici cristiani assalire e distruggere la storica Biblioteca di Alessandria d’Egitto, simbolo universale della cultura, alla stregua dei talebani che distruggono Buddha secolari ed ogni iconona del sapere. Per non parlare poi del vescovo Cirillo, riconosciuto tra i padri fondatori della chiesa, descritto come uno spietato carnefice che usa la religione per controllare il potere politico e mandare a morte Ipazia, simbolo di tolleranza e fede nella conoscenza. Anche se è storia, è troppo scomoda per la Chiesa quella che racconta Agorà. Tanto che l’uscita del film, così in ritardo rispetto alla sua presentazione allo scorso Cannes, è stata anticipata da infinite polemiche.

POLEMICHE E PRESSIONI

Con tanto di petizione in rete per sollecitarne una distribuzione in Italia. Alla fine è stata Mikado a scegliere di potarlo in sala (esce il 23 in 200 copie), come sottolinea la nuova ad Sonia Raule, sfidando eventuali pressioni vaticane: «non ci siamo posti questo problema», spiega. Ma anzi, al contrario, «abbiamo tentato di aprire un dialogo con l’ambiente cattolico», dice stavolta Andrea Cirla, responsabile marketing della Mikado. Per questo hanno anticipato la proiezione per la Commissione della Cei già alcuni mesi fa. «Da parte loro, però prosegue Cirla ci è arrivata solo qualche espressione stizzita di dissenso. E poi una voluta coltre di silenzio sui loro organi di stampa. Secondo noi un atteggiamento studiato».

Consapevole delle polemiche che avrebbe suscitato il film si dice lo stesso regista: «Quello che abbiamo raccontato spiega l’autore di Mare dentro è un periodo del cristianesimo mai portato al cinema. Ma il film non vuol essere offessivo nei confronti dei cristiani, piuttosto un forte atto di denuncia contro l’intolleranza. Volevo far vedere che la storia di allora non è così diversa dal nostro presente: certo, il cristiano di oggi non uccide, ma altre forme di estremismo sì». Pensate a proposito, prosegue Amenábar, «che Agorà è stato vietato ad Alessandria d’Egitto per timore che potesse scatenare violenze da parte dei musulmani nei confronti della minoranza cristiana. Come vedete la storia si ripete».

DONNE E INTOLLERANZA

Così come la violenza nei confronti delle donne. «I primi obiettivi dell’intolleranza prosegue il regista sono le donne e la scienza. In questo senso la storia di Ipazia ha una forte componente femminista, poiché tiene in sè le due cose: lei è l’unica scienziata, l’unica astronoma tra tanti uomini. Anzi i suoi allievi sono degli uomini e questo è intollerabile per il potere. Forse se fosse stata un uomo non l’avrebbero neanche uccisa». Invece la sua fine è stata atroce: scarnificata viva. Ma Amenábar ha scelto un finale più «soft»: la lapidazione. «Sempre per ricollegarmi all’attualità conclude perché purtroppo questo accade ancora oggi a molte donne, in molte parti del mondo».



-  Agorà
-  Amenábar: "Il martirio di Ipazia è un’accusa contro l’intolleranza"

-  Dalla Mikado: "Lo abbiamo mostrato ad alcuni prelati La reazione è stata il silenzio"
-  Mi affascinava l’idea di rappresentare la scienza attraverso una donna dalla mentalità aperta e tollerante
-  Oggi mi sento un ateo

di Maria Pia Fusco (la Repubblica, 20.04.2010)

ROMA. Uscito sei mesi fa in Spagna, Agora, il film di Alejandro Amenábar sulla filosofa Ipazia (l’attrice Rachel Weisz), vissuta ad Alessandria alla fine del 300 dopo Cristo, sarà nelle sale italiane venerdì con oltre 200 copie. Ipazia fu uccisa con orribile crudeltà dai parabolani, fanatici cristiani che dopo aver distrutto la Biblioteca Alessandrina infierirono contro pagani ed ebrei, per ordine del vescovo Cirillo, oggi onorato come santo e padre della Chiesa. È la ragione per cui quando il film fu presentato a Cannes, l’anno scorso, si diffuse il timore di pressioni da parte del Vaticano per impedirne l’uscita, tanto che su Facebook intellettuali e filosofi aprirono una campagna di sensibilizzazione. Dice oggi Andrea Cirla, responsabile marketing della Mikado che distribuisce Agora, «quando lo abbiamo comprato, prima del doppiaggio, lo abbiamo mostrato a una commissione di giornalisti e prelati del Vaticano, c’è stata una reazione stizzita, poi è scesa una coltre di silenzio. Pensiamo che sia un silenzio studiato».

Amenábar, ha pensato alle reazioni del Vaticano mentre realizzava il film?

«Temevo qualche polemica, perché il film evoca un momento del cristianesimo mai raccontato sullo schermo. Ma non vuole offendere la Chiesa, è contro l’intolleranza e il fanatismo, da qualunque parte provenga. Purtroppo oggi come allora l’intolleranza continua ad uccidere. Non mi aspettavo che ad Alessandria ci fosse il divieto sul film per paura che le minoranze cristiane subiscano aggressioni dalla maggioranza islamica».

Com’è nata l’idea di raccontare Ipazia?

«Il film è nato per caso. Dopo una storia intima come Mare dentro volevo fare qualcosa sul tema dell’astronomia, che mi appassiona da sempre. Durante le ricerche tra tanti grandi come Galileo, Newton o Keplero ho scoperto un solo nome femminile, Ipazia. Un personaggio ideale e non solo per la componente femminista. Mi affascinava l’idea di rappresentare la scienza attraverso una donna che, in un’epoca di intolleranza, voleva diffondere la conoscenza con una mentalità aperta e tollerante. Alle sue lezioni c’erano giovani di ogni religione, anche cristiani».

Che tipo di donna era Ipazia?

«Le cronache dell’epoca raccontano che non si sposò e non ebbe figli e dedicò tutta la sua vita alla filosofia e alla scienza. Ho discusso del personaggio con Rachel Weisz, l’interprete di Ipazia, le ho spiegato che non volevo nessuna implicazione sessuale o amorosa con i suoi studenti perché l’ipotesi più attendibile è che sia morta vergine. Purtroppo non è rimasto nulla dei suoi studi e dei suoi scritti, per cui ho potuto permettermi qualche libertà da questo punto di vista. Ma è un peccato che non sia rimasto niente. Secondo me se non avessero distrutto la Biblioteca alessandrina oggi l’uomo sarebbe arrivato su Marte».

Nel film lei attenua la crudeltà dell’uccisione di Ipazia, ma nei titoli di coda ricorda che il vescovo Cirillo è diventato santo. Perché?

«Secondo le cronache Ipazia fu letteralmente fatta a pezzi, volevo una fine più sopportabile per il pubblico, ho scelto la lapidazione, che fa anche parte della realtà di oggi in alcuni paesi. Quanto a Cirillo è importante per il contesto storico. Di lui sapevo che era un santo, mi ha sconvolto la scoperta di tutto il male che ha fatto mentre era vescovo. Nel film racconto solo il 30 per cento della sua crudeltà. Penso che alla santità sia più vicina Ipazia di lui. Ipazia che, come Cristo, è stata uccisa perché amava il prossimo e parlava con tutti».

Lei è cattolico?

«Ho studiato in un collegio cattolico, conosco la cultura cattolica. Con The others sono passato all’agnosticismo, ora ho capito di essere ateo. Non significa che non creda in qualche entità superiore ma, da ateo, preferisco chiamarla natura».


-  Ma la religione non è storia di violenza

-  Il cristianesimo non è riducibile agli assassini di Ipazia e al loro violento fanatismo
-  I cristiani non erano la massa di fondamentalisti semianalfabeti come nel film

di Vito Mancuso (la Repubblica, 20.04.2010)

È inevitabile affermare che l’omicidio di Ipazia rimarrà sempre una macchia indelebile sul cristianesimo e la sua storia. Ma il cristianesimo non è riducibile agli assassini di Ipazia e al loro violento fanatismo. L’assassinio di Ipazia si affianca a quelli già riconosciuti come tali da Giovanni Paolo II (in particolare il caso Galileo, la tratta degli schiavi, i crimini dell’Inquisizione) e a quelli non ancora riconosciuti pubblicamente, tra cui lo sterminio dei catari, l’assassinio di Ian Hus (6 luglio 1415) e di Giordano Bruno (17 febbraio 1600), esempi eclatanti di una generale persecuzione violenta dei dissidenti bollati come eretici o scismatici.

È infatti importante notare che il più delle volte i crimini di cui si è macchiato il cristianesimo sono avvenuti per motivi dottrinali. Ne viene che la formulazione della dottrina cattolica, quella ancora oggi depositata nel Catechismo firmato da Giovanni Paolo II nel 1992 e da Benedetto XVI nel 2005 in forma compendiata, non sarebbe tale senza quella violenza. Per una religione che fa della sacralità della vita umana da tutelare fino al livello embrionale un principio "non negoziabile", non è certo un problema da poco. Per risolverlo è necessario non solo chiedere pubblicamente perdono a Dio e agli uomini dei crimini commessi, ma anche rivedere profondamente il metodo dell’elaborazione dottrinale, ancora oggi basato sulla repressione del dissenso e della criticità all’interno della teologia.

Sul secondo aspetto spero che nessuno possa pensare che il cristianesimo si riduca a san Cirillo d’Alessandria e ai suoi parabolani. Anzitutto perché lo stesso fondatore del cristianesimo è parte di quella schiera di scomodi testimoni della verità che, come Ipazia, vennero tolti di mezzo dai potenti di turno e dai fanatici al loro servizio. Poi perché già la vicenda di Ipazia presenta un modo di essere cristiano di ben altro livello rispetto a Cirillo e ai parabolani, vale a dire Sinesio di Cirene.

A suo riguardo però non posso fare a meno di criticare il film di Amenábar. Non si tratta tanto del fatto che il vero Sinesio, a differenza del protagonista del film dai bei capelli fluenti, fosse calvo (come si viene a sapere dallo scritto di Sinesio intitolato Encomio della calvizie). Immagino che il regista abbia avuto precise esigenze di immagine che l’hanno indotto a far crescere i capelli a Sinesio. Non si tratta neppure del fatto che il vero Sinesio, prima di essere vescovo e benché fosse vescovo, era sposato e padre di tre figli: anche qui le medesime esigenze di comunicazione hanno portato a semplificare questa interessante dimensione biografica, che pure sarebbe stato molto utile far conoscere allo spettatore.

La mia critica non si rivolge neppure al fatto che Sinesio non poteva essere ad Alessandria al tempo dell’uccisione di Ipazia, perché questa avvenne nel 415 mentre Sinesio era morto due anni prima, nel 413. La mia critica si rivolge piuttosto a come Amenábar utilizza tali inesattezze e anacronismi (dico anacronismi al plurale perché anche l’accusa di stregoneria a Ipazia lo è: la persecuzione per stregoneria da parte della Chiesa fu molto posteriore e raggiunse il suo acme 10 secoli dopo).

Mi riferisco, invece, alla scena che segue il rifiuto da parte del prefetto Oreste di inginocchiarsi davanti a Cirillo che regge una Bibbia. Da quanto ci è dato conoscere leggendo le 156 lettere dell’epistolario, il vero Sinesio non avrebbe mai compiuto un gesto del genere. Era uno spirito tollerante, talora dubbioso, sempre filosofico, mai dogmatico. Lo si vede bene in una lettera indirizzata al fratello nel 410 in cui scrive: «Non mi stancherò mai di ripetere che il saggio non deve forzare le opinioni degli altri, né lasciarsi forzare nelle proprie».

Il vero Sinesio è uno che non vuole "forzare le opinioni degli altri", e quindi la scena che lo ritrae mentre fa inginocchiare Oreste costituisce una forzatura, una distorsione bell’e buona. Mi chiedo a quale scopo. Forse il regista vuole far intendere che tutti i credenti contengono in se stessi un’inevitabile violenta intolleranza?

A prescindere dall’intenzione di Amenábar, la tesi secondo cui nel cuore della religione sia radicata la violenza è falsa. È la stessa storia del cristianesimo ad Alessandria ad attestarlo, una storia ben lungi dall’essere ridotta a quella massa di fondamentalisti semianalfabeti quali nel film vengono presentati i cristiani. Ben prima di Cirillo, Alessandria era stata la patria di una celebre scuola teologica di alta cultura e di raffinata spiritualità, rappresentante di quel cristianesimo pacifico, amico della ragione, della scienza e della filosofia, che lungo la storia annovera nomi come Scoto Eriugena, Pico della Mirandola, Erasmo da Rotterdam, Antonio Rosmini, Teilhard de Chardin e moltissimi altri, tra cui ai nostri giorni, Carlo Maria Martini e Gianfranco Ravasi.

Forse sbaglio a sostenere che il film voglia dare l’impressione che le religioni sono foriere di intolleranza e violenza, mentre solo la scienza e la filosofia aprono alla tolleranza e alla pace. Si tratta, lo ripeto, di una tesi falsa, ampiamente smentita dalla storia del 900. Sarebbero molti gli esempi al riguardo, qui mi limito a una figura che si potrebbe definire un’Ipazia del XX secolo.

Mi riferisco a Pavel Florenskij, matematico e scienziato russo, e insieme filosofo, storico dell’arte, teologo e sacerdote ortodosso, il quale, dopo anni di prigionia nei gulag staliniani, venne ucciso l’8 dicembre 1937 per le sole idee che professava. Ipazia, filosofa e matematica, ad Alessandria nel 415; Florenskij, teologo e matematico, a Leningrado nel 1937: la prima uccisa dall’intolleranza dogmatica della religione, il secondo ucciso dall’intolleranza dogmatica dell’antireligione.

C’è qualche sostanziale differenza? Norberto Bobbio disse che «la vera differenza non è tra chi crede e chi non crede, ma tra chi pensa e chi non pensa». Se il film di Amenábar avesse lasciato intravedere anche questa sottile dialettica, sarebbe stato più vero.


Sul tema, in rete e nel sito, si cfr.:

IPAZIA DI ALESSANDRIA: LA DONNA CHE OSO’ SFIDARE LA CHIESA IN DIFESA DELLA SCIENZA. Sul tema, articoli (di Mariateresa Fumagalli e di Roberta De Monticelli) e altre note

L’"UOMO SUPREMO" DELLA CHIESA CATTOLICA: "Dominus Iesus": RATZINGER, LO "STERMINATORE DI ECUMENISMO". Un ’vecchio’ commento del teologo francescano Leonard Boff.

MATEMATICA E ANTROPOLOGIA, ALTRO CHE MISTERO.

DONNE, UOMINI E VIOLENZA: "Parliamo di FEMMINICIDIO".

DONNE, UOMINI, E POTERE

-  UOMINI E DONNE. SULL’USCITA DALLO STATO DI MINORITA’, OGGI. AL DI LA’ DELL’EDIPO. In memoria di Kurt H. Wolff

-  L’ILLUMINISMO, OGGI. LIBERARE IL CIELO.


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