Democrazia in America ...

USA: ELEZIONI (e non solo). Jimmy CARTER scende in campo e "fa la predica" a George W. BUSH, con un libro: "I NOSTRI VALORI IN PERICOLO". Una recensione di Bernd Greiner, giornalista del "Die Zeit".

venerdì 3 novembre 2006.
 
[...] Carter mette a nudo con molta più determinazione di altri osservatori il nocciolo del conflitto. Non si tratta già di commistione fra politica e religione. Piuttosto gli evangelici, per amore della loro volontà di trovare spiegazioni, puntano alla sostanza della Costituzione repubblicana - in generale sulla divisione dei poteri e in particolare sull’indipendenza della giustizia [...]

Die Zeit, Hamburg, 26 ottobre 2006, n° 44

La democrazia lesa

L’ex presidente americano Jimmy Carter fa la predica al governo di George W. Bush

di Bernd Greiner (traduzione dal tedesco di José F. Padova)

Negli Stati Uniti c’è battaglia elettorale, è tempo d’inasprimenti e della resa dei conti dei partiti e della politica. Che anche gli ex Presidenti chiedano la parola e diano una mano ai partiti di loro attuale preferenza fa parte del gioco e in genere non merita commenti. Quello che invece Jimmy Carter ha ora da dire evoca una realtà più vasta di quella di questi giorni. Egli pone la questione dello stato della democrazia americana e quindi anche della capacità degli USA di fare onore al loro ruolo di potenza politica mondiale.

Come c’era da aspettarsi da un battista dichiarato, Carter dedica ampio spazio alla lotta culturale da tempo intrapresa dai cristiani evangelici. La sua decisione di voltare la schiena alla Southern Baptista Convention dopo decenni di partecipazione come membro ha però a che fare solo marginalmente con le controversie religiose. Carter mette a nudo con molta più determinazione di altri osservatori il nocciolo del conflitto. Non si tratta già di commistione fra politica e religione. Piuttosto gli evangelici, per amore della loro volontà di trovare spiegazioni, puntano alla sostanza della Costituzione repubblicana - in generale sulla divisione dei poteri e in particolare sull’indipendenza della giustizia.

La lettura del libro (Jimmy Carter: Unsere gefährdeten Werte - Amerikas moralische Krise I nostri valori in pericolo. La crisi morale dell’America; tradotto dall’inglese da Ute Mihr, Ursel Schäfer e Heike Schlatterer; Pendo Verlag, München/Zürich 2006; 196 S., 17,90 €) vale anche soltanto per la convincente motivazione di questa correlazione.

Durante la presidenza Carter verso la metà degli anni ’70 la messa in discussione dei checks and balances aveva dato motivo a una violenta controversia. In un primo tempo a buon diritto, quando influenti membri del Congresso si erano precipitati a fianco dei portavoce ideologici - come di recente è dato più volte da osservare. Nell’America odierna al contrario l’opinione pubblica politica ha abdicato. In ogni caso un’opinione pubblica che si serva della forza degli argomenti invece della suggestione delle emozioni.

Da questo prende l’avvio il discorso di Carter sulla «crisi morale» - sullo stato di una repubblica nella quale la partecipazione a concetti diversi e la legittimazione mediante procedure sono diventati beni ben miseri. E nella quale pare frattanto che debba un Presidente in pensione assumere con il suo scritto polemico i compiti che contano piuttosto fra quelli più elevati degli intellettuali. Questi ultimi si sono in maggioranza destreggiati nell’ age of frozen scandal, nel tempo dello scandalo surgelato - così non possono essere annoverati nel campo dei fondamentalisti politici.

Dal sottofondo di questa «rivoluzione» (Carter) l’amministrazione Bush ha potuto stabilire il suo regime autocratico. Circa i danni causati nel corso degli anni vi si legge altrove di molto più dettagliato. Ma Carter intende anche qui porre le sue puntualizzazioni assennatamente, come appare nelle argomentazioni circa la politica atomica e le relazioni trascurate con la Corea del Nord. E inoltre veniamo anche a sapere che Gorge W. Bush nel background dell’attuale guerra in Iraq ha impedito al privato cittadino Carter un viaggio in Siria. Consolarsi con la prossima elezione di un nuovo Presidente alla luce di questo libro appare un’ingenuità. La vera e propria irritazione che si nota nell’intervento di Jimmy Carter sta in questo fatto: nella supposizione che l’America e con essa il resto del mondo non avrebbe alcun problema se il problema fosse soltanto Gorge W. Bush.

Testo originale:

DIE ZEIT

Die lädierte Demokratie

Der ehemalige amerikanische Präsident Jimmy Carter liest der Regierung von George W. Bush die Leviten.

Von Bernd Greiner

Es ist Wahlkampf in den Vereinigten Staaten, die Zeit der Zuspitzung und der parteipolitischen Abrechnung. Dass sich auch ehemalige Präsidenten zu Wort melden und ihrer jeweiligen Partei unter die Arme greifen, gehört zum Geschäft und ist in der Regel nicht weiter der Rede wert. Was indes Jimmy Carter zu sagen hat, weist über den Tag hinaus. Er fragt nämlich nach dem Zustand der amerikanischen Demokratie, mithin auch danach, wie es um die Fähigkeit der USA bestellt ist, ihrer Rolle als weltpolitische Führungsmacht gerecht zu werden. Wie von einem bekennenden Baptisten nicht anders zu erwarten, widmet Carter dem seit geraumer Zeit geführten Kulturkampf der christlichen Evangelikalen großen Raum. Seine Entscheidung, nach jahrzehntelanger Mitgliedschaft der Southern Baptist Convention den Rücken zu kehren, hat freilich nur am Rande mit Glaubensstreitigkeiten zu tun. Entschiedener als viele andere Beobachter legt Carter den Kern des Konflikts bloß. Es geht nicht darum, dass Religiöses mit Politischem vermengt wird. Vielmehr stellen Evangelikale um ihrer Deutungsmacht willen die Substanz der republikanischen Verfassung zur Disposition - Gewaltenteilung im Allgemeinen und Unabhängigkeit der Justiz im Besonderen. Allein wegen der überzeugenden Begründung dieses Zusammenhangs lohnt die Lektüre des Buches. Zu Carters Amtszeit Mitte der 1970er Jahre hätte die Infragestellung der checks and balances zu einer heftigen Kontroverse Anlass gegeben. Erst Recht, wenn den ideologischen Wortführern - wie jüngst mehrfach zu beobachten - einflussreiche Mitglieder des Kongresses zur Seite gesprungen wären. Im heutigen Amerika hingegen hat die politische Öffentlichkeit abgedankt. Jedenfalls eine Öffentlichkeit, die sich der Kraft des Arguments statt der Suggestion von Emotionen bedient. Davon handelt Carters Rede über die »moralische Krise« - vom Zustand einer Republik, in der Partizipation zum Fremdwort und Legitimation durch Verfahren zu einem knappen Gut geworden ist. Und in der es mittlerweile so scheint, als müsste ein Präsident im Ruhestand mit seiner Streitschrift Aufgaben übernehmen, die ehedem zu den vornehmsten Anliegen von Intellektuellen zählten. Letztere haben sich mehrheitlich im age of frozen scandal, in der Zeit des tief gefrorenen Skandals, eingerichtet - so sie denn nicht im Lager der politischen Fundamentalisten zu finden sind. Von dem Hintergrund dieser »Revolution« (Carter) konnte die Bush-Regierung ihr autokratisches Regime etablieren. Über die im Laufe der Jahre angerichteten Schäden ist andernorts Ausführlicheres zu lesen. Aber Carter versteht auch hier, seine Pointen klug zu setzen, wie sich in den Ausführungen zur Atomwaffenpolitik und zum fahrlässigen Umgang mit Nordkorea zeigt. Und nebenbei erfahren wir auch, dass George W. Bush im Umfeld des letzten Irak-Krieges dem Privatmann Carter eine Reise nach Syrien untersagte. Sich mit der alsbaldigen Wahl eines neuen Präsidenten zu trösten scheint angesichts dieses Buches naiv. Darin liegt die eigentliche Irritation von Jimmy Carters Intervention - in der Unterstellung, dass Amerika und mit ihm der Rest der Welt keine Probleme hätte, wenn allein George W. Bush das Problem wäre.

Unsere gefährdeten WertePolitisches BuchAmerikas moralische Krise; aus dem Englischen von Ute Mihr, Ursel Schäfer und Heike SchlattererJimmy CarterBuchPendo

Verlag2006München/Zürich17,90196

DIE ZEIT, 26.10.2006 Nr. 44

44/2006


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