Tracce per una svolta antropologica e politica."Saggi di filosofia sociale ed etica del riconoscimento" di Roberto Finelli

giovedì 22 giugno 2006.
 

SULLE TRACCE DI UNA GRANDE TRASFORMAZIONE

«Tra moderno e postmoderno», un saggio del filosofo Roberto Finelli. Una genealogia del tempo presente rintracciata nel mancato incontro tra il radicalismo del Sessantotto e la cultura politica del movimento operaio

di Roberto Ciccarelli (il manifesto, 21.06.2006)

Quando si torna a parlare del ’68 è utile chiedersi se si tratta di una «operazione nostalgia» destinata a intonare l’inno del «come eravamo»: sempre più spesso, infatti, la stagione dei movimenti fa rima con una metafisica della gioventù che tutto ha detto e nulla ha lasciato ai posteri. Roberto Finelli è uno di quei filosofi che il ’68 lo hanno fatto dall’altra parte della cattedra, ma non per questo hanno rinunciato a vedere le potenzialità di quella stagione, che - questa è la tesi del nuovo libro di Finelli Tra moderno e postmoderno. Saggi di filosofia sociale e di etica del riconoscimento (Pensa, pp 349, euro 19) - rappresenta a tutt’oggi una tragedia: la tragedia del mancato incontro tra la cultura dell’individuazione, elaborata dalle minoranze più creative dei movimenti, e quella dell’eguaglianza rappresentata dalla tradizione del comunismo storico. L’una, che aveva cominciato ad articolare una teoria dei bisogni allargata al valore dell’autenticità, cioè al diritto di ognuno al riconoscimento di un proprio progetto di vita. L’altra che, accanto alla scuola pubblica, e in qualche modo alla prima Rai, aveva svolto un ruolo fondamentale nello sviluppo antropologico (dimenticare Pasolini?) dell’allargamento della democrazia in Italia.

C’è chi sostiene, e non da ieri, che la cultura dei movimenti diede sfogo all’ansia di spoliticizzazione di una società che avrebbe trovato nella «Milano da Bere» l’approdo sicuro per il regime del conformismo di massa in cui viviamo. Finelli è invece tra quelli che pensano che i movimenti siano state le principali vittime di una strategia di neutralizzazione alla quale ha partecipato involontariamente la cultura di un’antropologia della penuria tipica della sinistra italiana. Basata sul soddisfacimento paritario dei bisogni di tutti, questa cultura spinse la politica comunista a permanere nella cornice della valorizzazione dell’eguaglianza, dimenticando però le esigenze di una maggiore individuazione. La mancata fecondazione di queste due culture venne alimentata da una duplice mancanza teorica: al partito degli intellettuali che ragionava sulla triade De Sanctis-Croce-Gramsci, facendosi tentare da un marxismo umanista più che dall’analisi della potenza astratta del capitale, si contrapponeva una tentazione di esaltare l’«operaio massa» o «l’operaio sociale» che, aggiunge Finelli, si rifaceva sia a una matrice positivistico-tecnologica sia a un prometeismo fichtiano-gentiliano.

Per Finelli queste culture hanno percepito, ma solo con ritardo, la natura del passaggio dal moderno al postmoderno del capitale. Un capitale che al giro di boa del millennio si è fatto sempre più impersonale tanto da produrre direttamente anche il simbolico, cioè le rappresentazioni più diffuse del senso comune. L’obiettivo di questo volume è dunque quello, ambizioso, di fornire una nuova grammatica politica e antropologica alla sinistra per comprendere il cambiamento avvenuto negli ultimi anni. A partire da una rinnovata mediazione tra marxismo e psicanalisi (già affermata nella introduzione di Finelli a Psicoanalisi e politica, di Herbert Marcuse pubblicato di recente da Manifestolibri).

Oggi, scrive Finelli, una politica dell’emancipazione non può non fare i conti con i due inconsci che circoscrivono la vita del singolo: quello individuale che nasce dal corpo emozionale e quello sociale che nasce dal capitale come soggetto astratto. In tempi in cui la politica di centrosinistra sembra riassumersi in formule organizzative, Finelli la immagina come una dimensione che si faccia contenitore delle sperimentazioni di una antropologia e di una prassi che legano l’asse verticale (il rapporto tra la mente e il corpo) con l’asse orizzontale (relazione io-altro/i) della soggettività: l’unica soluzione, a suo avviso, che tenga conto degli enormi spazi che attraversano la vita di ciascuno e che, essendo inconsci, sono - come suggerisce Freud - senza linguaggio.


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