La sfida filosofica del papa
In uno dei suoi primi discorsi Joseph Ratzinger ha detto che spetta alla religione occuparsi «dei fondamenti». La sua sfida investe la filosofia, ma nessuno l’ha raccolta. Come si configura questa pretesa e dov’è il suo punto debole? Come quella antica, anche la Chiesa attuale ha la necessità di consolidarsi e di cautelarsi. Si spiega così l’impostazione dogmatica e difensiva del magistero del papa e la sua alleanza con le forze più conservatrici del cattolicesimo, guidate da tendenze fobiche e
di Franca D’Agostini (il manifesto, 08.04.2007)
La cosiddetta situazione «post-secolare» in cui ci troviamo, in particolare in Italia (i parroci in piazza, i vescovi sulle prime pagine dei giornali, la Chiesa come quinto potere e voce di primo piano nella sfera pubblica), ha in fondo una spiegazione piuttosto semplice, se si considera il particolare rapporto tra religione e filosofia che Joseph Ratzinger ha voluto stabilire come cifra del suo operato, in qualità di teologo e in qualità di pontefice.
In uno dei suoi primi discorsi dopo la nomina, Ratzinger ha detto espressamente: «dei fondamenti si occupa la religione». Nessun filosofo ha protestato, che io sappia, e le sue parole sono state accolte con tranquillità e indifferenza anche da tutti gli intellettuali che normalmente si preoccupano di commentare e discutere le posizioni dottrinali del Papa. Eppure, la sfida non poteva essere più esplicita.
Temi al centro del dibattito
Per «fondamenti» si intende (e verosimilmente Ratzinger intende) l’insieme delle teorie di sfondo, preliminari e universali, che orientano la vita associata, e che riguardano l’etica della nascita e della morte, la natura delle relazioni sociali, affettive, sessuali tra esseri umani, l’essere persone o cose, e così via. Come ci è ormai noto, temi di questo tipo sono al centro del dibattito pubblico, e sappiamo anche che le gerarchie cattoliche, coerenti con il programma ratzingeriano, se ne occupano molto alacremente.
Non è facile dire quale settore della cultura laica dovrebbe invece trattare simili argomenti: tutti ne sanno qualcosa (una parte), in modo più o meno scientifico. Ma c’è un’area delle conoscenze che per sua natura dovrebbe essere votata all’elaborazione dei fondamenti, ed è la filosofia, e idealmente dovrebbe farlo elaborando e sintetizzando i risultati delle diverse scienze ed espressioni culturali. La sfida di Ratzinger era dunque filosofica, e specificamente rivolta alla filosofia. Il silenzio con cui è stata accolta la sua dichiarazione dice molto sulla difficile identificabilità pubblica della filosofia come tale (nonostante i molti festival che le vengono dedicati): se avesse detto, poniamo, «delle equazioni di sesto grado si occupa la religione», probabilmente non soltanto i matematici avrebbero obiettato.
Configurazione di una pretesa
Va detto che gli intenti di Ratzinger a questo proposito sono sempre stati espliciti. L’obiettivo è - come lui stesso ama dire riferendosi ai Padri della Chiesa - «l’appropriazione della filosofia» da parte della religione cristiana. Più propriamente diremmo, alla luce delle recenti tendenze: l’occupazione del posto scientifico e culturale della filosofia, resosi vacante, per vari motivi (non ultimo la distrazione, o disaffezione, o addirittura avversione dei filosofi riguardo a parole come «fondamenti»). Ma da dove viene e come si configura questa pretesa, quali sono le sue ragioni, e quale è (se esiste) il punto debole dell’operazione?
Sintetizzando al massimo, la posizione filosofica di Ratzinger ha due aspetti principali: una metafisica (più o meno esplicitamente) neokantiana e storicista; una di ispirazione patristica. Quanto al primo aspetto, per «metafisica neokantiana e storicista» si intende l’adesione a una concezione della realtà così concepita: ciò con cui abbiamo a che fare non è tanto realtà ma storia, narrazione di eventi umani. Ora dal punto di vista di Ratzinger (prevedibilmente) questa narrazione si è arricchita a un certo punto con l’ingresso del nome ebraico di Dio, quindi con l’inaudito fenomeno del Dio incarnato, diventato parola e vita umana.
Tutto ciò ha dato una straordinaria autorità alla storia. Non soltanto la narrazione delle vicende umane-divine è la fonte primaria del nostro ragionare e sapere, e non esiste una realtà «in sé», separata dai discorsi che narrano le vicende di Dio e dell’uomo; ma anche: la verità della storia è la voce stessa dell’in sé, nel senso più alto e specifico del termine, per l’appunto Dio.
Che ne facciamo della scienza?
Certo molti problemi restano in sospeso. Se la fonte di verità è la storia di Dio nel mondo, come la mettiamo con la scienza? La scienza non è forse un’altra voce dell’in sé, o comunque una fonte alternativa di verità (di descrizione della realtà)? La risposta può giungere prontamente: anche la scienza è narrazione, e nella misura in cui si accorda all’altra narrazione, quella privilegiata, tutto funziona nel migliore dei modi; in casi di divergenza, quando si tratta di scegliere tra la storia di Dio e la storia degli sforzi umani di conoscenza, non c’è dubbio: si sceglie Dio.
Ora le ragioni della tesi «i fondamenti sono di competenza della religione» appaiono con evidenza. Dal punto di vista in largo senso neokantiano (che in questo caso vuol dire neokantiano in senso stretto, ma anche neoempirista e storicista: tutte correnti del Novecento accomunate da uno stesso principio di autolimitazione empiristica della ragione) i fondamenti non sono oggetto di un sapere razionale. Di qui l’idea (che in particolare Ratzinger condivide con Habermas) di una natura extrafilosofica (ed extrascientifica) dell’indagine sui fondamenti. Ma qui avviene anche il «rovesciamento» operato da Ratzinger: sì, i fondamenti sono extrafilosofici, dunque di competenza della religione, ma la religione cristiana non è affatto estranea alla ragione, anzi: è la compiuta espressione del logos greco.
Perché mai Ratzinger riesce a dire questo? La risposta si trova nel secondo aspetto della sua posizione filosofica. L’ispirazione patristica percorre tutto il pensiero dell’attuale Pontefice, dalla prolusione d’insediamento all’Università di Bonn del 1959, titolata Il Dio della fede e il Dio dei filosofi ora pubblicata dalle edizioni Marcianum di Venezia (traduzione di E. Coccia, postfazione di H. Sonnemans), fino alla raccolta di scritti del 2003, Fede, verità, tolleranza, passando per l’Introduzione al cristianesimo (1969).
Che cosa vuol dire «ispirazione patristica»?
Essenzialmente, vuol dire tre cose: 1) un’impostazione apologetica e missionaria, ossia una elaborazione della dottrina tutta mirata alla difesa e alla diffusione del messaggio cristiano; 2) un’attenzione specifica alla dogmatica, ossia alla fissazione delle verità istitutive dell’ortodossia; 3) una forma di fondamentale razionalismo, ossia di elaborazione del cristianesimo su base razionale, attraverso appunto «l’appropriazione» del linguaggio filosofico.
Immaginate i primi esponenti delle gerarchie cristiane, gli eredi diretti di Pietro e degli apostoli, e questi tre aspetti vi appariranno con evidenza. Quel che dovevano fare i Padri era difendere l’insegnamento evangelico dai molti nemici ebrei e pagani, e diffondere la dottrina. Ma soprattutto, dovevano fare della dottrina una vera ’dottrina’, ossia creare l’ortodossia, perché la natura sostanzialmente ellittica e aperta del messaggio evangelico autorizzava le ipotesi più strampalate, e ancora prima di essere una vera religione il cristianesimo si trovava a essere lacerato dalle eresie. Come ottenere chiarezza, e soprattutto istituzionalità in queste condizioni? Semplice: richiamandosi alla filosofia, e più precisamente al logos greco, la ragione filosofica che «accomuna tutti».
Che il teologo Ratzinger faccia riferimento alla patristica è ragionevole: lì si pongono le basi, lì è l’alba del cristianesimo. Ma perché il politico-intellettuale Ratzinger ritiene di dover ancora applicare la strategia patristica?
La prima risposta riguarda gli affari interni del cattolicesimo. L’assimilazione del contesto contemporaneo a quello patristico è motivata dall’esigenza di rifondazione rispetto alla deriva pluralistica e libertaria del cristianesimo postconciliare. La Chiesa attuale dunque deve consolidarsi e difendersi, come quella antica. Questo ci spiega l’impostazione eminentemente dogmatica e difensiva del magistero di Ratzinger. Ci spiega anche perché tale magistero, nonostante il grande dispiegamento di competenza filosofica e sensibilità ermeneutica, sia destinato ad allearsi alle forze più tradizionaliste e conservatrici del cattolicesimo, dando spazio e ragione alle loro tendenze fobiche e repressive.
Ma è solo la prima ragione della mossa filosofica compiuta da Ratzinger. La seconda riguarda il rapporto tra Chiesa e Stato, religione e società civile. Anche qui la spiegazione è chiara, e non lascia adito a dubbi. L’obiettivo è far sì che il cristianesimo «si ponga distintamente come un’alternativa epocale» (così dichiarava l’aggiunta del 2000 all’Introduzione al cristianesimo).
Il marxismo - scrive l’attuale Pontefice - è stata l’«unica visione del mondo scientifica corredata di motivazione etica e adatta ad accompagnare l’umanità nel futuro», ma «dopo il trauma del 1989», il marxismo è crollato, e «nessuno crede più alle grandi promesse morali». Il marxismo - leggiamo nell’enciclica Deus caritas est - aveva indicato una soluzione filosofica, ossia fondata scientificamente e razionalmente, della «problematica sociale»: ora «questo sogno è svanito», e in queste condizioni «la dottrina sociale della Chiesa è diventata un’indicazione fondamentale».
Ecco dunque il vero compito dell’«appropriazione della filosofia» da parte del cristianesimo: occorre proporsi come la filosofia prima di cui l’Occidente è da molto tempo privo, e di cui da molto tempo sente il bisogno. Abbiamo perso ogni connected politics, ogni politica ispirata a una visione generale della realtà? Abbiamo perso un orientamento unitario, cognitivo e morale? Ebbene, la religione cristiana ci dà tutto questo. Gli esseri umani politicamente ed eticamente sbandati e privi di ’filosofie prime’ hanno ora bisogno della ratio filosofica cristiana, vera erede della grande tradizione filosofica occidentale.
Sarà valida questa terapia?
Notiamo che la diagnostica è impeccabile: è vero che la politica pragmatizzata e l’etica frammentata in cui vive l’Occidente rendono inoperanti le migliori intenzioni; è vero che i dibattiti attuali (nella scienza, nella cultura, nella politica) sembrano richiedere a gran voce il lavoro di una nuova filosofia prima. Ma siamo sicuri che la terapia proposta sia quella giusta? Il rischio verosimile, che sta puntualmente avverandosi, è che le gerarchie cattoliche si trovino a far la parte dei ciechi che vogliono ad ogni costo guidare altri ciechi a trovare la via.
Eccoci dunque al punto conclusivo, ossia al punto in cui la barca predisposta da Ratzinger per traghettarci nell’epoca della fine delle ideologie fa acqua. Il fatto che la proposta non funzioni, e non possa fornirci, anche con le migliori disposizioni del caso, la filosofia prima di cui presumibilmente necessitiamo, si vede bene considerando i due aspetti della filosofia di Ratzinger. Mettete insieme una metafisica debole e storicista, e un pensiero forte, dotato di progettualità risolute, e di accurate procedure difensive, come la patristica, e avrete quel che già sapete di avere: un pesante e barcollante edificio costruito sulla sabbia o sull’argilla. Sarebbe meglio, sicuramente, la combinazione opposta: una metafisica coraggiosa, con un contegno aperto e anti-dogmatico.
Chi ci dice cosa fare
In ogni caso, la costruzione di Ratzinger soffre l’ipoteca del logos moderno, post-metafisico, più di quanto egli stesso riconosca. Lo storicista Ratzinger non dà definizioni chiare di ciò di cui parla (embrioni umani, donne, celibato e famiglia, vita e morte) ma preferisce rifugiarsi nella tradizione. La catechesi ratzingeriana ripete: «...è una dottrina proposta infallibilmente dalla Chiesa», che «appartiene al deposito della fede della Chiesa», che conferma «il carattere infallibile dell’insegnamento della dottrina della Chiesa». I risultati prevedibili sono due: la fallacia storicista, ossia il derivare le norme dal fatto della convenzione e della tradizione, per esempio: le donne non devono avere accesso al sacerdozio perché non l’hanno mai avuto; l’inconsistenza, ossia il far valere una regola insieme alla sua violazione, per esempio: è sacra la vita di un organismo proto-embrionale ma non è sacra la vita di un condannato a morte in Texas.
È probabile che a Ratzinger sia nota la fragilità filosofica delle posizioni della Chiesa su questi temi, in base alle sue stesse premesse però non ha molte alternative. Per uscire dal circolo vizioso forse i vescovi dovrebbero davvero mettersi a fare i filosofi, ma allora non avrebbero tempo per dirci quel che dobbiamo fare.
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A confronto con Ratzinger
Che fare quando è in gioco la metafisica? *
Il confronto filosofico con le posizioni di Ratzinger, se si eccettuano scritti occasionali, fino ad ora è stato condotto da autori che si muovono nel solco delle sue posizioni di fondo. Un riferimento al tentativo di esautorazione della filosofia da parte della Chiesa ratzingeriana si trova nel libello anonimo «Contro Ratzinger» (Isbn, 2006), che sottolinea la differenza tra il tendenziale storicismo dell’attuale papa e le posizioni filosofiche di Woityla, di formazione fenomenologo.
Il libretto di Giulio Giorello, «Di nessuna chiesa» (Cortina, 2006) si conclude ipotizzando che la risposta al post-secolarismo debba venire da una riaffermazione dei compiti della filosofia come libera elaborazione argomentativa.
Il più celebre incontro filosofico con Ratzinger si deve a Habermas: i testi del loro dialogo sono stati tradotti nel 2005 da Morcelliana («Etica, religione e stato liberale») e nelle edizioni di Reset («Ragione e fede in dialogo»). Habermas ha proposto a Ratzinger un nuovo confronto, in un articolo tradotto sul «Sole 24 ore» e gli ha rimproverato la tendenza a «ri-ellenizzare» la ragione. Ma forse è una tendenza che sta nelle cose, prima che nei discorsi di Ratzinger. Per questo è probabile che Habermas sia destinato a perdere la partita.
Il formalismo della ragione «disellenizzata» prevede «l’astensione in materia metafisica»: ma che fare quando è in gioco la metafisica, ossia sono in discussione le concezioni di fondo che guidano una società?
* il manifesto, 08.04.2007.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
"DUE SOLI" (DANTE): I "DUE PADRONI", I "DUE MONDI", E LA DEMOCRAZIA, OGGI.... *
Democrazia e cristianesimo
Per una democrazia inclusiva
di Dario Antiseri (L’Osservatore Romano, 23 ottobre 2019)
In tema di democrazia una domanda ineludibile è la seguente: l’essere cristiano è compatibile con la laicità dello Stato? O, rovesciando l’interrogativo, lo Stato laico sarebbe stato possibile senza l’avvento del cristianesimo? Nella pratica politica, il relativismo - ha affermato qualche anno fa l’allora cardinale Joseph Ratzinger - è benvenuto perché ci vaccina dalla tentazione utopica. E novità essenziale del cristianesimo per la storia è che «fino a Cristo l’identificazione di religione e Stato, divinità e Stato, era quasi necessaria per dare stabilità allo Stato. Poi l’islam ritorna a questa identificazione tra mondo politico e religioso, col pensiero che solo con il potere politico si può anche moralizzare l’umanità».
In realtà, «da Cristo stesso troviamo subito la posizione contraria: Dio non è di questo mondo, non ha legioni, così dice Cristo, Stalin dice non ha divisioni. Non ha un potere mondano, attira l’umanità a sé non con un potere esterno, politico, militare ma solo col potere della verità che convince, dell’amore che attrae. Egli dice “attirerò tutti a me”. Ma lo dice proprio dalla croce. E così crea questa distinzione tra imperatore e Dio, tra il mondo dell’imperatore al quale conviene lealtà, ma una lealtà critica, e il mondo di Dio, che è assoluto. Mentre non è assoluto lo Stato [...]. I padri hanno pregato per lo Stato riconoscendone la necessità, ma non hanno adorato lo Stato».
Questa, ad avviso di Ratzinger, è «la distinzione decisiva» - una distinzione che rappresenta uno straordinario punto di incontro tra il pensiero cristiano e cultura liberal-democratica. «Io penso - afferma Ratzinger - che la visione liberal-democratica non potesse nascere senza questo avvenimento cristiano che ha diviso i due mondi, così creando una nuova libertà. Lo Stato è importante, si deve ubbidire alle leggi, ma non è l’ultimo potere. La distinzione tra lo Stato e la realtà divina crea lo spazio di una libertà in cui una persona può anche opporsi allo Stato. I martiri sono una testimonianza per questa limitazione del potere assoluto dello Stato. Così è nata una storia di libertà. Anche se poi il pensiero liberal-democratico ha preso le sue strade, l’origine è proprio questa».
Il cristiano de-assolutizza, cioè relativizza, il potere politico; non può servire a due padroni: Dio e il dio-denaro; non può genuflettersi davanti all’altare di una ragione trasformata in dea. E dev’essere fedele al comandamento di amare il prossimo come se stesso. Ed è esattamente in base a questi princìpi che il messaggio cristiano, per dirla con Pëtr J. Čaadaev, «è più che storia, più che psicologia, è la fisiologia dell’uomo europeo». Thomas S. Eliot: «Un singolo europeo può non credere che la Fede cristiana sia vera, e tuttavia tutto ciò che egli dice, e fa, scaturirà dalla parte di cultura cristiana di cui è erede, e da quella trarrà significato». Per questo, è ancora Eliot a parlare, se il cristianesimo se ne va, è l’Europa che scompare: «Se il cristianesimo se ne va, se ne va tutta la nostra cultura; e allora si dovranno attraversare molti secoli di barbarie».
In altre parole, la decadenza dell’Europa è una decadenza spirituale: è l’allontanarsi degli europei dalle idealità cristiane. E quando gli ideali della fede cristiana si sono spenti, l’Europa - annota Röpke - ne ha cercato «un surrogato nelle ideologie politico-sociali (le “religioni sociali”, come le ha definite Alfred Weber): il socialismo, il comunismo e, soprattutto, il nazionalsocialismo».
E oggi che cosa è rimasto nella mente di non pochi cittadini e soprattutto - e purtroppo - di non pochi dei nostri giovani, una volta lontani dalle idealità cristiane? Rimane l’idolatria del potere sugli altri, considerati e trattati come oggetti delle proprie voglie; rimane l’idolatria del denaro quale fonte perenne che alimenta la vasta fenomenologia della corruzione, con migliaia e migliaia di giovani e meno giovani che scorrazzano sul palcoscenico del gran teatro dell’illegalità; si impone una situazione dove alle ragioni della legge si sostituisce la ragione della forza o, più esattamente, la non-ragione di bande violente di intolleranti - di predoni divorati dalla brama di vestirsi da padroni - padroni del narcotraffico e, dunque, padroni della vita e della morte altrui.
di Dario Antiseri
Professore emerito di Epistemologia delle scienze sociali - luiss, Roma
L’Osservatore Romano, 23.10.2019.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
"ERODE" E LE GERARCHIE CATTOLICO-ROMANE CONTRO CRISTO E "CONTRO CESARE. Cristianesimo e totalitarismo nell’epoca dei fascismi".
LA CHIESA DEL SILENZIO E DEL "LATINORUM". Il teologo Ratzinger scrive da papa l’enciclica "Deus caritas est" (2006) e, ancora oggi, nessuno - nemmeno papa Francesco - ne sollecita la correzione del titolo. Che lapsus!!! O, meglio, che progetto!!!
GUARIRE LA NOSTRA TERRA: VERITÀ E RICONCILIAZIONE. Lettera aperta a Israele (già inviata a Karol Wojtyla) sulla necessità di "pensare un altro Abramo"
VIVA L’ITALIA!!! LA QUESTIONE "CATTOLICA" E LO SPIRITO DEI NOSTRI PADRI E E DELLE NOSTRE MADRI COSTITUENTI. Per un ri-orientamento antropologico e teologico-politico.
Federico La Sala
(L’articolo di Franca D’Agostini, sulla sfida filosofica di papa Ratzinger, mi offre lo spunto per qualche considerazione.)
Papa Ratzinger, nonostante la sua fama di pensatore, è più uno storico e un dialettico, che un vero filosofo. Anche se è stato definito il "panzer" della Chiesa, il "rottweiler" di papa Giovanni Paolo II, non ha né il coraggio e tanto meno la forza di carattere per essere una guida carismatica e sicura. Le prove sovrabbondano: Ratisbona, Varsavia (mons. Wielgus), Chiesa ortodossa, ossessione del relativismo, radici cristiane dell’Europa (cf la critica di Tissa Balasuryia), Milingo, Jon Sobrino, ecc. E tutto ciò non è che l’epidermide, il campionario delle sante “papere papali”. Un uomo così equipaggiato con le armi della dottrina e della teologia, sembra aver paura di tutto ciò che viene dalla base, cioè dal "popolo di Dio". Pare condividere più la visione pessimistica di Agostino, che la robusta metafisica positiva di S. Tommaso.
Il battere e ribattere sul "relativismo" nasconde, forse, il timore che la scienza soppianti certa “fede”, che la tecnologia escluda la speranza; che la politica renda superflua la carità. Forse non ci si è resi ancora conto che la storia è nelle mani di Dio prima che del suo "vicario". La modernità (dalla rivoluzione francese) ha fatto fare al genere umano un salto di qualità, che nessuna religione è riuscita a fare: fine della schiavitù e del colonialismo, legalizzazione dei diritti della persona (lavoro, salute, previdenza, ecc.), dei popoli (indipendenza, autodeterminazione, democrazia, ecc.), della dignità della donna e del bambino, condanna della guerra, unione tra i popoli (UE, OUA, Mercosur, ecc.), compartecipazione nella cosa pubblica, ecc. Si tratta di segni dei tempi, che nulla hanno a che fare sia con il relativismo che con le religioni. Perché non ammeterli, valorizzarli, celebrarli come umanità, come uomini, prima che come cristiani? Forse che il cristiano cessa di essere uomo, fratello d’ogni uomo?
Oggigiorno viene da vergognarsi d’essere cattolici con un apparato curiale, che, quanto a diritti umani, sembra fermo alla “stazione del medio-evo”. Infatti: il Vaticano non ha sottoscritto la Convenzione sui diritti dei bambini (New York, 20.11.89); il tribunale ecclesiastico è l’unico al mondo che non permette all’accusato di difendersi pubblicamente; nonostante qualche sforzo la donna è considerata ancora un essere umano di serie B; i bambini, i prediletti di Cristo, sono mietuti dalla falce della pedofilia clericale. La teologia ufficiale è prigioniera di una contraddizione ontologica: sostiene che la corporeità e la sessualità sono espressioni inferiori, animalesche, pericolose, mondane e senza valore, ma al tempo stesso, ne fa il "metro di misura" di tutta la morale, emarginando, discriminando, demonizzando chiunque non rientri nello schema "barbarico" patriarcale. Forse che una madre se ha un figlio divorziato, gay, omosessuale, con l’aids, o altri limiti, lo discrimina o lo butta nella spazzatura?
La verità è sempre “oltre” il nostro sapere, intrinsecamente limitato e contestualizzato. Chi ha un sacro rispetto per la cultura degli altri è più vicino alla verità di chi vuole imporre il proprio modo di pensare a suon di condanne e scomuniche. Il mondo è un pò più ampio del Vaticano, della Germania, dell’Europa e della sua cultura. Che ne sanno gli europei della culture asiatiche, africane, ecc.? Come ci si può permettere di giudicare ciò che non si conosce e di condannare chi se ne fa interprete, essendo nato e cresciuto in quell’humus, che lancia sfide pesanti a certe verità meschine, a certi pregiudizi clericali? Continueremo ad imporre un modo il pensare euro-centrico, ombelico del mondo, a tutti i meridiani e paralleli della terra?
Ma se Ratzinger si è spaventato alle prime avvisaglie dei moti studenteschi (nel 1968 insegnava a Tubinga con Kung), come può essere disponibile ad accogliere il "totaliter aliter" di quel Dio imprevedibile, che conduce i suoi figli per le contrade della storia, che non passano per gli stretti vicoli delle congregazioni romane e le maglie fini del diritto canonico? La lunga carriera (più di 20 anni) nella Congregazione della dottrina della fede pare gli abbia dato l’illusione di essere infallibile ed "inappellabile" anche nelle questioni più dibattute dagli stessi scienziati (bioetica, embrioni, staminali, accanimento terapeutico, ecc.). La verità è tanto discreta che si presenta sempre come proposta: "Se vuoi..." (“Si vis”, dice Gesù), mai come imposizione, condanna, tanto meno come pressione sui politici ossequienti e servili per produrre “leggi cristiane”.
Non ci rendiamo ancora conto che, per essere credibili, bisogna seguire le orme di colui, che "incominciò a fare e poi ad insegnare" (Atti). Sembra che si faccia esattamente il contrario: pretendendo d’insegnare senza praticare. Cosa offre il cattolicesimo ai popoli del terzo mondo derubati delle materie prime, crocifissi dalle leggi di mercato, di cui siamo complici? Gli daremo i papa-boys, l’Opus Dei, Comunione e Liberazione, i padri Pio, i "santo subito", Radio Maria? Come mai perfino i battezzati, che applaudono in piazza, ignorano i dettami papali riguardanti la morale sessuale, la regolazione delle nascite, ecc.? Il Cristo non ha fatto una singola legge per promuovere la “famiglia cristiana” e noi crediamo di risanarla dal di sopra e dal di fuori, moltiplicando lacci e laccioli, premendo sui politici per imporre con la "forza della legge" ciò che non siamo riusciti ad insegnare con la "forza persuasiva dell’esempio". Scapoli sessuofobi non sono certo i migliori consiglieri o esempi per nutrire il focolare domestico! Se le chiese evangeliche fanno più presa di noi, non sarà anche perché sono più vicine al popolo?
Forse ciò che Ratzinger chiama "relativismo" non è altro che "sfiducia e rifiuto" dell’imposizioni dall’alto di retaggi arcaichi a causa del loro fallimento. Le culture asiatiche, africane, indie sono apparse sulla scena della storia diversi millenni prima del cristianesimo e non hanno inventato guerre mondiali, soluzioni finali, inquisizioni, crociate, e conquiste distruttrici di altre civiltà. Come mai buddisti, induisti, scintoisti, animisti, indios (sia pur con i loro limiti tribali) hanno una concezione più tollerante, aperta, accogliente di quella occidentale? Non è stato edificante, mentre si consumava il martirio del popolo libanese, vedere il pontefice strimpellare al pianoforte le musiche predilette di Mozart; è significativo il suo debole per Mozart (musicista brillante, ma superficiale e verboso). Il posto dell’autore della "Deus Caritas est", per essere credibile, non avrebbe dovuto essere là, tra i martoriati dalle bombe intelligenti, per gridare al mondo che la guerra è una pazzia?
Invece la TV (privilegio della parrocchia italiana), quasi ogni giorno, ci mette nel piatto un pensatore frigido, che predilige la dialettica astratta, i catechismi universali, l’unica religione; un capo religioso ossessionato dall’idea di salvare la dottrina più che promuovere, con l’esempio la conversione dei singoli e delle strutture di peccato; un “padre”, che non sa parlare il linguaggio semplice ed universale dei gesti: la carezza significativa, l’abbraccio convincente, l’accoglienza degli ultimi, la difesa degli umiliati ed oppressi. Se è un capo di stato, che si presenta con le guardie svizzere (come è successo a Bari); se ci tiene tanto alle insegne romano-pagane; se il suo apparato lo fa apparire così stratosferico, inaccessibile, estraneo alla vita dei “piccoli”, non rischia di trasformarsi in farsa ed ostentazione il suo sopralluogo in carcere, in ospedale, ecc.? Se la sua predilezione è passeggiare in compagnia di Agostino, discettando di filosofia greca, come potrà immedesimarsi nei problemi della povera gente? E’ per questo che i suoi scritti, inaccessibili ai più, pretendono rifondare "la verità", mentre il Cristo ironizza: "Che cos’è la verità?". Perché non chiederlo ai popoli comprati e venduti dalle multinazionali, di cui anche i cattolici sono clienti e usufruttuari?
Nel discorso d’inaugurazione del pontificato ha lanciato un piano "quasi megalomane" per l’unificazione dei Cristiani, ma si è ridotto a mosse cordiali con gli ultra-conservatori e ad una caparbia rinuncia delle proposte del Concilio Vaticano II. Di fronte ai mali del mondo risponde con qualche messa in latino e canto gregoriano, per tenere buoni i tradizionalisti . Può “il padre di tutti/e” anteporre una dottrina asettica e astratta alle difficoltà della vita quotidiana di coloro che chiama "figli/e"? Se lo fosse davvero come si chinerebbe con empatia su 40 milioni di aidetici, come abbraccerebbe 800 milioni di denutriti e, magari, venderebbe qualche tesoro inutile per sfamarli! Non risolverebbe tutto, ma sarebbe uno schiaffo morale alla lussuria di molti dei suoi prelati e del consumismo dei popoli bianchi e cristiani. No, preferisce invece perseguitare i “dissenzienti” per salvare astruse dottrine che non riempiono né il cuore né la pancia di nessuno.
Nella Chiesa cattolica, oggi, si respira aria greve di regimentazione e centrismo: autocensura, controllo, intimidazione, epurazione. Con la “longa mano” della curia vaticana, dell’Opus Dei e di altri movimenti malati di integralismo. Ne ho fatto esperienza sulla mia pelle. Una sorella, membro di Comunione e Liberazione, mi ha detto: "Ti odio". Le avevo inviato un articolo sugli abusi e sopprusi della pedofilia clericale negli USA. Il mio parroco ad ogni predica non manca mai di condannare il "mondo", chi si permette di svelare le magagne della gerarchia, e chi s’impegna per la giustizia sociale.
Siamo arrivati alla sindrome del famoso "circle the wagons". Gli invasori delle terre degli indiani, quando venivano attaccati, mettevano in cerchio i loro carri e sparavano disperatamente, massacrando intere tribù. Oggi la Chiesa sembra disporre in cerchio i suoi “carri carichi di dottrina e di morale”, nel colonnato del Bernini, e, da questa trincea, non fa che sparare condanne e anatemi. Su chi? Sui suoi figli, che, con Cristicchi cantano in coro: "Pensa", prima di spararci addosso, "pensa"!
Umberto P. Lenzi 14215 - 20th Drive SE Mill Creek, WA 98012 (425) 743-0104
10 Aprile 2007
L’offensiva della Chiesa
di Paolo Flores d’Arcais (la Repubblica, 05.04. 2007)
La modernità che conosciamo, la modernità occidentale che porta alla democrazia, si fonda sull’idea di autonomia dell’uomo. Autos nomos, l’uomo che è legge (nomos) a se stesso (autos). L’uomo è dunque sovrano, stabilisce la propria legge, anziché riceverla dall’Alto e dall’Altro, da un Dio trascendente. L’uomo è libero proprio perché non è più costretto ad obbedire a norme che gli vengono imposte dall’esterno (eteros nomos, eteronomia), ma in realtà dai poteri terreni che quella volontà divina pretendono di incarnare (Papi e/ o Re). La premessa della modernità è l’autonomia, la sua promessa è la sovranità dell’autogoverno.
Il lungo papato di Karol Wojtyla ha costituito una ininterrotta denuncia e critica di questa modernità (modernità incompiuta, si badi: le democrazie realmente esistenti sono ben lungi dal realizzare la sovranità dei cittadini). Il Papa polacco ha denunciato l’illuminismo come l’alambicco che ha prodotto - proprio a partire dalla pretesa dell’autonomia dell’uomo - il nichilismo morale e di conseguenza i totalitarismi del XX secolo e i loro omicidi di massa: Voltaire all’origine dei Lager e del Gulag, insomma!
Tanto Wojtyla quanto il suo successore hanno fatto dunque propria la celebre frase di Dostoevskij: "Se Dio non esiste, tutto è permesso". Joseph Ratzinger, che di Papa Wojtyla è stato del resto il principale ideologo, sta solo radicalizzando l’anatema di Giovanni Paolo II contro la modernità, e lo sta inquadrando in una vera strategia culturale e politica. In una efficace crociata oscurantista, che ha oggi nuove possibilità di successo (almeno parziale) grazie anche al clima di fondamentalismo cristiano che sta accompagnando negli Usa la presidenza Bush.
La chiave di volta di questa strategia è l’idea che - di fronte alla crisi di valori che sta portando il mondo globalizzato al tracollo, attraverso conflitti incontrollabili e sfiducia delle democrazie in se stesse - "solo un Dio ci può salvare". II vero scontro di civiltà vede dunque da una parte le religioni nel loro insieme, e dall’altra l’inevitabile deriva nichilista di ogni società che voglia fare a meno di Dio (e di una "legge naturale" che coincide però puntualmente con la legge di Dio).
Il discorso di Ratisbona, che ha spinto più di un governo islamico a scatenare contro il Papa il fanatismo delle folle, era in realtà un invito ai monoteismi (Islam compreso, e anzi Islam più che mai) a fare fronte comune contro la vera minaccia che incombe sulla civiltà: l’ateismo e l’indifferenza, e insomma un laicismo che pretende di escludere Dio dalla sfera pubblica e dalla elaborazione delle leggi. Ratzinger ovviamente non mette tutte le religioni monoteiste sullo stesso piano: alla religione cristiana nella sua versione "cattolica apostolica romana" riserva il primato che gli verrebbe dalla capacità, che solo il cattolicesimo realizza in modo compiuto, di essere una religione non solo della fede ma anche del logos. Una religione, cioè, capace non solo di assumere la rivelazione divina ma anche di inverare in sé la ragione umana e la sua tradizione, da Socrate in avanti. Una religione del vero illuminismo, della ragione "rettamente intesa"
Ma se la dottrina della Chiesa di Roma e del suo Sommo Pontefice costituiscono una Verità che non è solo di fede ma anche di ragione, ne consegue la pretesa che parlamenti e governi non promulghino leggi in conflitto con tale dottrina, poiché sarebbero leggi in violazione della "natura umana", di quell’animale razionale che è e deve essere l’uomo. E contro natura, come sappiamo, sono secondo la Chiesa cattolica l’aborto, la contraccezione (compreso il preservativo), il divorzio, la ricerca scientifica con cellule staminali, l’omosessualità, e ovviamente l’eutanasia (cioè la decisione di un malato terminale, sottoposto a sofferenze inenarrabili, che la sua tortura non venga prolungata).
In tutti questi ambiti, che con il progresso scientifico vanno allargandosi, Ratzinger continua a ripetere che un parlamento e un governo, che approvassero leggi "contro natura", diventerebbero ipso facto illegittimi, anche se eletti con tutti i crismi della democrazia costituzionale. E’ la stessa posizione che Wojtyla aveva già affermato di fronte al parlamento polacco (il primo eletto democraticamente dopo mezzo secolo!), arrivando a definire l’aborto "il genocidio dei nostri giorni". Pronunciate nel contesto polacco, parole del genere stabiliscono una raccapricciante equazione tra olocausto e aborto, tra una donna che abortisce e una SS che getta un bambino ebreo in un forno crematorio.
Queste cose venivano - ahimè - perdonate a Wojtyla (anche dal mondo laico) per via del suo "pacifismo". Joseph Ratzinger ha invece avviato una fase nuova: è convinto che la crisi delle democrazie offra alla Chiesa maggiori e insperati spazi di influenza, sia presso la classe politica sia presso i cittadini. La strategia è esplicita anche nei tempi e nei luoghi: l’Italia è considerata l’anello debole, dove sperimentare inizialmente questa vera e propria "riconquista", per passare poi alla Spagna, senza perdere le speranze per una futura azione in Germania. La Francia, allo stato attuale, sembra ancora troppo radicata nella sua laicità repubblicana, perché una crociata culturale e politica oscurantista sia ipotizzabile.
Il cuore di questa strategia, cioè il fronte comune delle religioni contro l’illuminismo dell’uomo autonomo, è destinata all’insuccesso. Ogni religione pretende di essere "più vera" delle altre, il conflitto seguito al discorso di Ratisbona non resterà l’unico.
Ma i danni che questa nuova santa alleanza cattolico-islamica (e di parti crescenti dell’ebraismo, oltre che dei protestantesimi di nord e sud America) sta producendo nella sua pars destruens contro la democrazia sono già ingenti. In Italia il 70% dei cittadini si è dichiarato a favore dell’eutanasia, ma la Chiesa è riuscita a bloccare perfino una legge incredibilmente moderata sulle coppie di fatto. E per il 12 maggio è prevista una gigantesca manifestazione clericale di massa benedetta dalla conferenza episcopale italiana. E come da copione, anche quella spagnola annuncia una nuova fase offensiva. Mentre il mondo laico, per disattenzione o per opportunismo, tace (e l’attacco contro la scienza darwiniana intanto dilaga, dalla Casa Bianca alla cattedrale di Vienna).
L’origine della fede
di Pietro Greco *
È appena uscito in Germania per i tipi dell’editore Suv un libro dal titolo «Schöpfung und Evolution», creazione ed evoluzione, ha per tema l’origine della vita e il cambiamento della specie. L’autore è Joseph Ratzinger. Il Papa di Roma.
Non abbiamo letto il volume, che presto sarà disponibile anche in italiano. Ma, se le anticipazioni di stampa sono corrette, si tratta di un libro destinato a far discutere. Per almeno tre ordini di questioni che Benedetto XVI solleva e che sono, per l’appunto, discutibili.
La prima questione riguarda l’origine della vita: il Papa sostiene che da sola la scienza non è in grado di spiegarla e che, a ogni modo, sia all’origine della vita sia all’origine dell’universo (ovvero di “ogni cosa”) non ci può essere il caso, ma deve esserci un progetto - un “disegno” - che riconduce direttamente a Dio.
La seconda questione riguarda la teoria proposta da Darwin per spiegare l’evoluzione biologica: Joseph Ratzinger sostiene che non è completamente dimostrata e neppure è completamente dimostrabile, perché centinaia di migliaia di anni di mutazioni non possono essere riprodotte in esperimenti controllati in laboratorio.
La terza questione riguarda la scienza stessa, strutturalmente incapace di rispondere a questioni filosofiche del tipo: da dove viene e dove sta andando l’universo, da dove viene e dove sta andando l’uomo. Per dare risposte a questi quesiti, sostiene Benedetto XVI, occorre una razionalità che include la scienza, ma che va oltre la scienza.
Questo pensiero è stato più volte espresso dal Papa, ma ha preso la forma compiuta del libro in seguito al discorso tenuto in un seminario chiuso e, finora, segreto su “creazione ed evoluzione” che si è svolto a Roma lo scorso mese di settembre, nell’ambito dei tradizionali incontri del «Circolo degli allievi del professor Joseph Ratzinger».
Le tre questioni sollevate dal Benedetto XVI sono tutte legittime. Ma, come dicevamo, sono tutte piuttosto discutibili. Il Papa ha diritto di dire ciò che vuole. Ma, soprattutto in materia di filosofia naturale, tutti hanno diritto di discutere ciò che il Papa dice.
Prima questione: è vero che la scienza non ha, finora, fornito una spiegazione esaustiva su quello che il biologo darwiniano Theodosius Dobzhanski definiva il primo e più grande “trascendimento evolutivo”: la transizione dal non vivente al vivente. E neppure ha fornito, finora, una spiegazione esaustiva su quell’altro straordinario “trascendimento evolutivo” che è la transizione dal nulla a qualcosa, che è la nascita dell’universo. Ma è anche vero entrambi questi processi non sono affatto “oltre la scienza”, ma al contrario sono oggetto di ricerca da parte degli scienziati. D’altra parte non c’è spiegazione scientifica possibile se non in un quadro naturalistico: l’opzione della creazione divina non può che essere proposta che come atto di fede. Inoltre, non è affatto vero che all’origine della vita e dell’universo, secondo la scienza, ci sia solo il “caso”. Le spiegazioni cercate intorno all’origine dell’universo sono tutte interne ai vincoli non deterministici, ma non per questo completamente aleatori, della fisica quantistica. Le spiegazioni cercate intorno all’origine della vita sono tutte interne ai vincoli stocastici, ma ancora una volta non completamente aleatori, della chimica e della biologia.
Quanto alla seconda questione posta dal Papa, ovvero che la teoria dell’evoluzione biologica di Darwin non è completamente dimostrata né completamente dimostrabile, è ancor più opinabile. Per molti motivi. Una teoria scientifica non è che il modo più economico e logicamente solido per spiegare i fatti noti intorno alla realtà naturale. Può succedere che esistano più modi economici di spiegare i medesimi fatti noti. Ovvero più teorie scientifiche. È successo persino in fisica. Per esempio quando, tra il 1916 e il 1919, esistevano due teorie - quella di Newton e quella di Einstein - per spiegare i medesimi fatti noti sulla gravitazione universale. Poi nel 1919 gli scienziati si sono imbattuti in un fatto nuovo - una certa deviazione della luce di una stella lontana da parte del campo gravitazionale del Sole - che trovava una spiegazione nella teoria di Einstein e non in quella di Newton. Per questo, da allora, la teoria più generale è quella della relatività einsteiniana.
Da molti decenni a questa parte esiste nell’agone scientifico una sola teoria economica in grado di spiegare tutti i fatti noti dell’evoluzione biologica. Questa teoria è corroborata, per usare un termine caro a Karl Popper, da un numero semplicemente enorme di evidenze empiriche indipendenti prodotte in discipline le più diverse: dalla paleontologia alla biologia molecolare. D’altra parte nessun fatto empirico noto è stato finora in grado di falsificare, per usare un altro concetto caro a Popper, la teoria di Darwin. Mentre tutte le altre teorie contrapposte a quella darwiniana o risultano meno economiche o sono state falsificate. È vero che, come sostiene papa Ratzinger, la storia evolutiva della vita non può essere ripetuta in laboratorio, e quindi la teoria di Darwin non può essere tutta verificata mediante esperimenti controllati, come avviene in fisica. Ma, come hanno dimostrato Ernst Mayr e una costellazione di filosofi della biologia, questo non significa affatto che la biologia non sia una scienza. E che le teorie biologiche non siano teorie compiutamente scientifiche.
Anche la terza questione sollevata da benedetto XVI è discutibile. La scienza non ha pretesa alcuna di completezza. Ma pretende che nessun ambito sia precluso alla ricerca. In particolare non possono essere preclusi alla ricerca scientifica neppure quegli ambiti - da dove vengono e dove vanno l’uomo e l’universo - che Joseph Ratzinger pretende esclusivi della filosofia e della teologia: ovvero esclusivi di una ragione che non pretende una verifica empirica. La scienza vuole dire la sua - e sta dicendo la sua - anche in questi ambiti.
E, facendo ciò, per la verità allarga gli orizzonti, non li restringe affatto. Quale sarebbe oggi l’immagine che l’uomo ha di se stesso e dell’universo che lo circonda senza i fatti, le teorie o anche solo le ipotesi proposte dalla scienza in questi ultimi quattro secoli intorno sia all’origine dell’uomo e del mondo sia alla loro evoluzione?
E cosa sarebbe dell’immagine che l’uomo ha di se stesso e dell’universo che lo circonda se la ricerca della verità si limitasse, come ai temi prima di Galileo, a costruzioni logiche sopra «un mondo di carte» invece che a «certe dimostrazioni» verificate da «sensate esperienze»?
Già, Galileo. Nel 1616 il cardinale Roberto Bellarmino consigliò al pioniere della scienza moderna di limitarsi a spiegare «come vada il cielo» e di non cercare di spiegare «come si vada in cielo». Naturalmente vale anche il contrario. Se vogliamo che i rapporti tra scienza e religione non diventino conflittuali, ma siano improntati al reciproco rispetto, è bene che i religiosi si limitino a spiegare «come si vada in cielo» e non cerchino di spiegare agli scienziati «come vada il cielo». Lo stesso Bellarmino venne meno al suo saggio consiglio sulla separazione delle sfere d’intervento. E ne nacque un conflitto tra scienza e religione (cattolica) che a quattrocento anni di distanza non sembra essere stato ancora sanato.
* l’Unità, Pubblicato il: 13.04.07. Modificato il: 13.04.07 alle ore 8.59
IN LUNGHE CATENE DIFFICILI DA SPEZZARE
di AUGUSTO CAVADI *
Per diventare misogino, essere cattolico non e’ necessario. Ma aiuta. Non e’ necessario: infatti i rudimenti della concezione della donna come maschio quasi perfetto me li ha impartiti un padre miscredente, laico, socialista (pre-craxiano: nenniano). Ma aiuta: infatti, quando - con stupore e disappunto da parte dei miei genitori - sono entrato nell’associazionismo cattolico, ho ben presto misurato la distanza fra la rivoluzionarieta’ di certe asserzioni ed il conservatorismo della pratica quotidiana. Da una parte il papa scriveva che l’essere umano puo’ considerarsi "imago Dei" solo in quanto coppia; dall’altra, si dava (e si da’) per scontato che una persona di sesso femminile non possa presiedere una comunita’ celebrante. Il mio esodo - progressivo, ma inarrestabile - dalla cultura cattolica passo’ per un episodio preciso. Un prete piu’ anziano di me - peraltro tra i piu’ preparati della sua generazione - volendo esprimere con forza il suo dissenso da una mia opinione, trovo’ spontaneo apostrofarmi con un inequivoco: "Ma hai proprio un cervello da femmina!". Obiettai solo, con un sorriso amaro, che speravo di averne meta’ femminile e meta’ maschile: in modo che, junghianamente, sarei potuto essere "completo".
So che certe distinzioni risultano fastidiose o, per lo meno, farraginose. Ma non sempre si possono evitare. Per esempio, quella suggerita da un’acuta fucilata di Nietzsche (recentemente definito da Rene’ Girard il piu’ grande teologo dopo san Paolo): c’e’ stato un solo cristiano ed e’ morto sulla croce. Che, tradotto in altri termini, significa: una cosa e’ stata la "buona notizia" annunziata dal maestro nomade di Galilea ed un’altra la dottrina cattolica (e, piu’ in generale, cristiana) che si e’ sviluppata a partire da quel seme. La psicanalista e teologa protestante Hanna Wolff lo ha spiegato in uno dei quattro o cinque libri che mi hanno cambiato la vita (Gesu’, la maschilita’ esemplare, Queriniana, Brescia 1985): il Nazareno (per quanto possiamo cogliere da un’esegesi accurata dei quattro vangeli) ha saputo accettare il femminile dentro di se’ e, proprio per questo, non aver paura del femminile fuori di se’. Egli ha dunque rotto con la tradizione patriarcale precedente, ma la sua rottura e’ stata tanto eclatante che i discepoli non sono riusciti a reggerla: e, subito dopo la sua morte, hanno attivato processi di normalizzazione. Col risultato che, dopo la breve parentesi gesuana, l’antifemminismo ha ripreso vigore, si e’ fatto senso comune e ha improntato di se’ l’occidente cristiano.
Se ci chiediamo se questa mentalita’ della disparita’ ontologica e psicologica fra maschi e femmine (dura a destrutturarsi persino oggi, dopo decenni di femminismo teorico e militante) spieghi, da sola, l’impressionante catena di violenza contro le donne, non possiamo che rispondere negativamente. Che cosa, allora, trasforma una cultura maschilista in pratiche prevaricatrici? Ho l’impressione che entri in gioco non questo o quell’altro fattore, bensi’ un groviglio - difficilmente solubile - di fattori. Tra cui primeggia una connotazione peculiare dell’immagine femminile agli occhi di noi uomini: la diversita’. Sin da bambino, il pianeta-donna ha esercitato nei miei confronti una duplice, contraddittoria, forza: di attrazione e di paura, di curiosita’ e di diffidenza, di desiderio e di minaccia. Per ragioni varie, che solo in minima parte potrei attribuire a meriti miei, maturare come persona ha significato - tra l’altro - sciogliere questa ambiguita’ e lasciar prevalere, di fronte ad ogni diversita’ (le donne, ma anche gli omosessuali, gli immigrati di colore, i portatori di handicap fisici e psichici...), il sapore della familiarita’ rispetto al sentimento di estraneita’. Ovviamente, familiarita’ non equivale ad omologazione. Avvertire cio’ che, in radice, accomuna non implica cecita’ riguardo alle differenze che interpellano le nostre certezze.
Qui, forse, uno dei bivi decisivi. C’e’ chi accetta la sfida della diversita’ (e, nel caso di maschi, del femminile come metafora di ogni diversita’) per mettersi in gioco, per riaffermare alcune convinzioni ma anche liberarsi da pregiudizi e da errati giudizi; e c’e’ chi non la regge e, per quanto sta in lui, tenta di sopprimerla. Non e’ un caso che, di solito, le idiosincrasie s’inanellino in lunghe catene difficili da spezzare: misoginia, omofobia, razzismo... E’ di per se’ evidente che questa mentalita’ sia - gia’ a livello ideologico - violenta. Ma, poiche’ in genere il diverso e’ piu’ debole (fisicamente, economicamente, militarmente...), il pensiero omologante ha mille occasioni per farsi gesto prepotente: stupro, derisione, schiavizzazione... Quando un soggetto allergico alla diversita’ si impossessa - sessualmente o socialmente - dell’altro, ha la sensazione di aver risolto molti problemi in un solo colpo: da una parte ha soddisfatto attrazione, curiosita’, desiderio; dall’altra ha cancellato dal proprio orizzonte ogni fonte di paura, di diffidenza, di minaccia. Ma, proprio nella misura in cui riesce a fagocitare e a spazzar via ogni alterita’, egli desertifica il piccolo mondo che lo circonda e costruisce da se’ la prigione dell’isolamento. Ecco un punto nevralgico: chi progetta ed esercita violenza, nonostante le intenzioni, si condanna alla solitudine. Come i signorotti medievali, deve scavare fossati sempre piu’ profondi per distanziarsi dagli estranei: ma, con cio’, trasforma in gabbie dorate il suo stesso castello. Sara’ proprio perche’ amo la solitudine come opzione, ma la detesterei se la sperimentassi in tempi e modi non programmati, che mi viene abbastanza facile sottrarmi alla tentazione di usare violenza. Cio’ non significa, purtroppo, che di fatto non sia stato troppe volte violento - nel corso della vita - con persone diverse da me per indole, formazione e prospettive (quali, per esempio, delle donne con cui ho condiviso tratti di strada importanti): ma ogni volta che non ho saputo gestire il conflitto, provocando nell’altro/a la decisione di fuggire, l’ho considerata - nonostante le apparenze - una mia sconfitta.
* Fonte: NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 80 del 5 maggio 2007 - articolo apparso su "Mezzocielo", anno XV, n. 1, 2007, dal titolo originale "Un uomo davanti al pianeta donna"