Perché sanno sorridere i cuccioli dell’uomo
Dallo shock della nascita al tepore del primo abbraccio materno,
dal ruolo del Dna nella definizione del carattere, a quello dell’ambiente familiare per stimolare la creatività -Dai primi passi al linguaggio del corpo
Il grande etologo racconta "il sorprendente viaggio intrapreso" dal cucciolo d’uomo
VIAGGIO INTORNO A UN BAMBINO
di Desmond Morris (la Repubblica, 22.10.2008, pp. 1, 35-37)
Sul minuscolo corpicino del bebè gravano milioni di anni di evoluzione umana, che consente alle diverse caratteristiche di svilupparsi in una sequenza specifica. Tutto ciò di cui il piccolo ha bisogno alla nascita è un ambiente accogliente in cui questo possa accadere. L’evoluzione ha dotato il neonato di un fascino irresistibile grazie al quale i genitori non possono fare a meno di occuparsi di lui, accudirlo, nutrirlo e mantenerlo pulito e al caldo. Anche gli adulti più distaccati diventano protettivi e premurosi quando si trovano a stringere fra le braccia quella piccola creatura indifesa, che li fissa con occhi grandi e interrogativi.
Ma oltre a questo non bisogna trascurare la quantità di tempo e lo sforzo che vengono profusi per accudire un neonato. Per gli esseri umani diventare genitori comporta un onere enorme, che dura circa una ventina di anni per figlio e che tuttavia può rivelarsi fonte di grandi gioie. E i bambini sono molto più che semplici cuccioli. Rappresentano anche l’unica nostra via per l’immortalità, nel senso che portano avanti la nostra linea genetica, assicurando la sopravvivenza dei nostri geni anche dopo che la nostra vita sarà giunta al termine. I primi due anni di vita sono di importanza fondamentale per il bebè. Molte delle qualità acquisite in questa delicata fase dello sviluppo lo caratterizzeranno per tutta la sua esistenza. Un piccolo a cui venga offerto un ambiente ricco, vario e stimolante in cui sia incoraggiato a esplorare, e che sia trattato amorevolmente da genitori affidabili, ha le opportunità migliori di sviluppare una sana curiosità, un senso di meraviglia creativa e un’intelligenza attiva nella vita futura. La fragile testolina di un neonato è fornita di tutto ciò di cui avrà bisogno nella vita: è un patrimonio che gli è stato trasmesso geneticamente. Tutto quello che i genitori devono fare per lui è offrirgli il terreno adatto in cui questo patrimonio possa entrare in azione, permettendogli di esprimere appieno il suo potenziale umano. Il segreto è semplicemente lasciare che il vostro amore si esprima liberamente per sfruttare al meglio le proprie potenzialità un bambino ha bisogno di molto affetto e di poter fare completo affidamento su chi si prende cura di lui.
I bambini presentano anche notevoli differenze di personalità, alcune delle quali sono innate e non dipendono dalle condizioni ambientali. Quasi tutti i genitori di una prole numerosa potranno testimoniare che, con loro stessa sorpresa, ciascun figlio ha sviluppato una personalità nettamente distinta da quella dei fratelli. Uno sarà tranquillo e placido, l’altro vivace e socievole e un altro ancora diligente e intraprendente. Uno diventerà l’altruista, l’altro il ribelle e l’altro ancora l’intellettuale. E anche se i bambini sono stati allevati più o meno nello stesso modo e in un ambiente domestico simile, mostreranno comunque questa differenza in maniera piuttosto evidente. Le differenze fisiche e caratteriali derivano dal fatto che ognuno di noi possiede un Dna esclusivo ed è geneticamente diverso da tutti gli altri sei miliardi di uomini che vivono sulla Terra. È questo che ci rende così diversi dagli umanoidi prodotti in serie che popolano certi inquietanti romanzi di fantascienza. Ed è questo che rende così varia la vita sul nostro Pianeta. Eppure benché vi siano migliaia di piccoli dettagli che ci rendono diversi l’uno dall’altro, ve ne sono altrettanti che ci accomunano. Alle caratteristiche innate di ogni bambino che si affaccia alla vita si sommano le influenze provenienti dall’ambiente in cui si trova a crescere, in primo luogo la casa dove trascorre la prima infanzia. Tutti i bambini sono geneticamente programmati per svilupparsi più o meno alla stessa velocità, tuttavia una vita familiare serena può consentire di accelerare alcuni di questi processi di crescita, mentre un ambiente ostile o troppo permissivo può rallentarli. Un bambino ha maggiori possibilità di sviluppare le proprie capacità mentali se vive in un mondo ricco di stimoli piuttosto che in un ambiente monotono o rigido.
I primi attimi
L’ambiente in cui il piccolo nasce è tradizionalmente quello dell’ospedale, dove deve regnare l’efficienza e si deve agire con rapidità, rispettando determinate norme igieniche. Il più celermente possibile il personale medico deve recidere il cordone ombelicale ed esaminare il neonato per individuare eventuali problemi; il piccolo viene poi pesato e avvolto in una coperta calda. Per tutti i neonati che nascono in buone condizioni di salute, un’atmosfera più rilassata e calma contribuisce in maniera molto efficace ad attenuare lo shock della nascita. In base a studi e osservazioni recenti è emerso che i neonati risentono del trauma della nascita in maniera nettamente inferiore se ad accoglierli è un ambiente calmo, immerso in una luce soffusa, in cui non vi sono concitazione ed eccessivi rumori. La luce intensa è sicuramente utile nelle fasi decisive del parto, ma dopo che il bimbo è venuto al mondo e tutto è sotto controllo, abbassare l’illuminazione della sala consente ai suoi occhi di adattarsi in maniera graduale alla loro nuova funzione.
Lasciare che il piccolo rimanga a stretto contatto con il corpo materno, anziché prelevarlo ed esaminarlo immediatamente, contribuisce a ridurre considerevolmente il senso di sofferenza dovuto alla perdita dell’avvolgente bozzolo in cui era stato ospitato fino a pochi istanti prima. Adagiato sul corpo della madre, fra le sue braccia, il bebè percepisce una sorta di continuità con la calda intimità corporea che l’ha accompagnato per nove mesi. Il neonato accolto in un’atmosfera ovattata sembra patire meno il passaggio alla nuova vita. Le urla e gli atteggiamenti di panico tendono a placarsi più rapidamente (...) Verrà poi il tempo di recidere il cordone e di prendere il bambino per lavarlo, pesarlo e coprirlo. Ma se avrà avuto la possibilità di trascorrere alcuni minuti di serena tranquillità stretto nell’abbraccio materno vivrà la separazione in modo meno traumatico. Una volta lavato, il neonato dovrebbe tornare subito fra le braccia della madre e nei giorni successivi mamma e figlio dovrebbero essere separati il meno possibile.
Quando il neonato comincia ad alimentarsi al seno in genere chiude gli occhi e si concentra sulle sensazioni piacevoli date dal sapore e dalla deglutizione del latte. Dopo qualche mese apre gli occhi sempre più spesso ed è in questa fase che avviene un cambiamento: il suo sguardo incontra quello della madre, favorendo ulteriormente il consolidamento del legame affettivo fra i due (...) Per le mamme che non possono allattare i propri figli al seno, il latte artificiale costituisce una valida alternativa. Tuttavia non si può dimenticare che l’alimento materno ha attraversato milioni di anni di evoluzione per soddisfare esattamente le necessità del piccolo: oltre a veicolare anticorpi nei primi giorni di vita, è perfettamente bilanciato dal punto di vista nutrizionale. Il contatto corporeo diretto e l’intimità che l’allattamento al seno comporta contribuiscono a cementare il legame madre-bambino.
Scoprire la vita
Nel giorno della nascita i cuccioli di alcuni animali corrono già in lungo e in largo, mentre quello dell’uomo deve attendere diversi mesi prima di adottare qualsiasi forma di locomozione. Le sue capacità motorie si affinano in maniera molto lenta e graduale, in una sequenza stabilita (...) Fra i 5 e gli otto mesi di vita la maggior parte dei bambini impara a gattonare: la prima vera attività motoria che consente di spostarsi in maniera autonoma. Altri metodi più precoci. come il rotolamento o il trascinamento del corpo con le braccia non consentono spostamenti rapidi, ma muoversi sulle "quattro zampe" può risultare sorprendentemente veloce e permette un’esplorazione del mondo circostante del tutto inedita ed eccitante (...) La possibilità di camminare sugli arti inferiori distingue il cucciolo d’uomo da quelli degli altri animali. Attualmente esistono 4000mila specie di mammiferi al mondo, ma solo una di queste è una vera "camminatrice bipede". Il canguro può essere considerato bipede, ma non cammina, salta. Le scimmie antropomorfe e gli orsi possono procedere per qualche passo reggendosi sugli arti inferiori, ma solo gli esseri umani trascorrono quasi l’intera esistenza in posizione eretta ponendo un piede dietro l’altro (...) I cuccioli d’uomo sono gli unici fra i primati a sorridere ai propri genitori, e questo perché fisicamente sono del tutto inermi. Il piccolo di scimmia si tiene stretto alla madre aggrappandosi al suo pelo, quello umano non è in grado di fare altrettanto e ha disperatamente bisogno di trovare una maniera tutta sua per trattenere la mamma: la soluzione è il sorriso. La mamma, infatti, ha una reazione innata verso questa espressione del viso: non può sottrarsi e si sente appagata quando la vede comparire sul volto di suo figlio. In capo ad un anno questi comincerà a pronunciare le prime parole e a utilizzare un nuovo sistema di comunicazione, ma non smetterà certo di sorridere: si tratta di una caratteristica che lo accompagnerà tutta la vita (...)
Lo sviluppo dell’intelligenza
L’intelligenza è stata definita come la capacità di rielaborare esperienze passate per risolvere problemi nuovi. Perciò un neonato senza esperienza del mondo non può essere definito intelligente nel senso stretto del termine. Ma è comunque vigile, reattivo e ansioso di apprendere: è dotato di un cervello straordinario, costituito da 10 miliardi di neuroni e possiede pertanto il potenziale per diventare, con il tempo, molto intelligente (...) Durante la crescita le cellule del cervello di un bambino sono sottoposte ad un’attività molto più intensa rispetto a quelle di un adulto. Si comportano come una carta assorbente, costantemente impegnate ad assimilare qualsiasi frammento di informazione che possa essere in qualche modo utile. Per organizzare questo flusso cognitivo i neuroni comunicano tra loro attraverso speciali connessioni chiamate sinapsi. Nel cervello di un neonato ognuno dei 10 miliardi di neuroni è collegato a circa 2500 sinapsi. A due anni le sinapsi sono 15.000, più di quante ve ne siano nell’adulto. Il fatto è che nel tempo molte connessioni si perdono: quelle utilizzate più spesso si fortificano, mentre quelle "trascurate" si indeboliscono fino a scomparire (...) Anche se i fattori genetici rivestono grande importanza sembra accertato che un ambiente ricco e vario durante l’infanzia assicuri un livello elevato di intelligenza nella vita futura, fornendo al bambino un enorme vantaggio su un coetaneo inserito in un ambiente meno stimolante. Più il piccolo prova nuove esperienze linguistiche, musicali e visive, nonché interazioni sociali, stimoli mentali e attività fisiche, maggiori saranno le sue possibilità di crescere e diventare un adulto vivace, intelligente, sensibile e perspicace. E quanto più la sua vita quotidiana risulta ricca di esperienze ludiche ed esplorative, tanto maggiori saranno le sue possibilità di diventare un adulto creativo e pieno di fantasia (...) Chiunque, che sia genitore o no, osservi attentamente il sorprendente viaggio intrapreso dal neonato che cresce da un piccolo uovo fertilizzato fino a diventare un incantevole e vivace bambino di due anni, non può che provare meraviglia per l’incredibile complessità dello sviluppo dell’essere umano (la forma di vita più straordinaria che abbia mai respirato sul nostro Pianeta). Non è esagerato asserire che il futuro dell’umanità è nelle mani di chi, con amorevole cura, assicura alle future generazioni di bambini, la possibilità di prosperare in un ambiente che assecondi lo svelarsi e il fiorire delle loro strabilianti qualità naturali.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
L’autore de "La scimmia nuda"
Inno alla gioia di uno scrittore disincantato
di Maria Novella De Luca (la Repubblica, 22.10.2008)
Un inno alla vita che è anche un inno alla gioia. In tempi avari di bambini, di acrobazie scientifiche per concepirli e di corse ad ostacoli per allevarli, alla soglia degli ottant’anni, Desmond Morris, il più grande etologo vivente, ci racconta perché di fronte a quel "piccolo uovo fertilizzato" che diventa neonato e poi bambino, e un giorno a sorpresa dice ma-ma, pa-pà, dobbiamo ancora e sempre stupirci. Autore disincantato del saggio cult degli anni Sessanta "La scimmia nuda", in cui provocatoriamente affermava che l’uomo altro non è che un primate in crisi e senza pelliccia, Desmond Morris nel saggio "Bebè" torna indietro, al grande mistero della nascita e della prima infanzia.
Con una differenza radicale però. I primi due anni di vita del bambino (sempre inteso come cucciolo d’uomo, spesso confrontato con i cuccioli delle specie animali) sono descritti da un’angolazione diversa, e cioè quella del neonato stesso. Pur basandosi su rigorosi criteri scientifici, ed in particolare sui metodi di osservazione della sua esperienza di zoologo con le scimmie, Desmond Morris descrive nel dettaglio che cosa prova un neonato quando viene tirato fuori dall’utero materno, il suo fastidio alla luce, il suo bisogno di tepore, il suo dolore, anche, quando il cordone ombelicale viene reciso.
"Bebè - lo straordinario segreto della vita", (in libreria da oggi, edito da De Agostini), spiega lo shock e la magia del venire al mondo, il big bang della vita con gli occhi di un minuscolo essere sul cui corpicino «gravano milioni di anni di evoluzione umana». Molto però si compie in 48 preziosissimi mesi, e infatti il viaggio di Morris tra i cuccioli d’uomo «gli unici primati a sorridere ai propri genitori», dura due anni, quelli in cui tutto si compie, e il magazzino intellettivo ed emotivo del bambino si forma. Scrive l’etologo inglese: «Durante la crescita le cellule del cervello di un bambino sono sottoposte a un’attività molto più intensa rispetto a quella di un adulto, si comportano come una carta assorbente, costantemente impegnata ad assimilare qualsiasi frammento di informazione che possa essere utile».
E infatti, pur coniugando tra similitudini e differenze i piccoli umani ai piccoli animali, spiegando ad esempio che un bebè si diversifica da una scimmia antropomorfa per la sua capacità di raggiungere e mantenere una posizione eretta, Desmond Morris decodifica anche l’universo non scritto degli stati d’animo, dal sorriso alla paura, dal riso al pianto. Se pensiamo che il primo suono che il feto percepisce nel grembo materno è il battito del cuore della madre, e il ritmo che gli giunge è quello del suo ventre mentre cammina, ecco perché molte madri, scrive Morris «nel tentativo di far addormentare i loro piccoli, inconsciamente iniziano a camminare avanti e indietro stringendoli a sé». Un abbraccio ritmico, dolce «che rievoca l’esperienza della vita nell’utero e infonde un senso di tranquillità che concilia il sonno». Al di là poi di ogni teoria evoluzionistica, e del tono provocatorio e ironico di molti dei suoi saggi, dallo "Zoo umano" a "L’animale donna", in "Bebè", Desmond Morris, non solo etologo, ma anche pittore e nonno di tre nipotini, sembra abbandonare vis polemica e battaglie di pensiero. Come quelle che lo contrapposero alla Chiesa, che nel saggio "La scimmia nuda", lo accusarono di aver ignorato l’esistenza dell’anima umana. «Io sostenni - scrive Morris - che la sola speranza di immortalità per gli esseri umani si trovava nei loro organi riproduttivi...».
Una speranza che adesso invece sembra riporre nei più piccoli, ed infatti è all’intelligenza emotiva dei bambini, al loro sviluppo psicologico, che Morris dedica alcuni tra i capitoli più belli di "Bebè". «... E poi c’è il mondo delle relazioni sociali, che devono essere apprese dai genitori. Se il piccolo ha la fortuna di essere molto amato, è assai probabile che diventerà un adulto capace di affetto». Così le paure, alcune delle quali sono codificate da decenni di studi, ma se vengono ignorate potranno poi creare instabilità: dai rumori al timore di cadere, dall’ansia di perdersi all’angoscia del buio e degli sconosciuti, i cuccioli d’uomo piangono e devono trovare un abbraccio che li consoli. Sono gli anni questi in cui i bambini costruiscono le tabe e giocano a nascondersi, per essere, sempre, ritrovati... Alla fine è proprio con un inno alla vita che Desmond Morris conclude il suo viaggio nella prima infanzia: «In un mondo ideale questa fase della vita dovrebbe essere la più idilliaca in assoluto. Dal rapporto intimo con la madre (...) alle prime esplorazioni nel mondo dei giocattoli (...) i bambini fortunati possono entrare nella vita nel modo più soddisfacente e stimolante».
INFANZIA
Ma quali bimbi inconsapevoli
più svegli di quanto pensiamo
Nuova teoria Usa: superata l’idea che abbiano un cervello poco sviluppato, la loro mente
è aperta e flessibile. Più neuroni rispetto agli adulti, per questo le loro facoltà sono infinite
di ALESSANDRA RETICO *
ROMA - Più intelligenti di quanto crediamo. I bambini piccoli sono così, tutt’altro che inconsapevoli. Fanno operazioni logiche, sono creativi, capiscono il mondo. Gli danno un senso, molti sensi, non escludono niente. La vita la conoscono tutta, perché per loro è tutta nuova e travolgente. I bambini, in qualche modo, sono filosofici. Bella definizione, l’ha usata una psicologa cognitiva americana, Alison Gopnik, che insegna all’Università di Berkeley in California, per il suo libro The philosophical baby appunto.
La tesi è: i bimbi sono molti più coscienti di quanto riusciamo noi a vedere, immersi come sono nella palpitante attività dell’esistenza, quella che tedia o stressa noi. Quella vita lì, da zero a quattro anni grosso modo, non è un magma indistinto di bisogni e necessità e poi nient’altro.
Da piccoli siamo tutto, piuttosto, forse proprio grazie a un po’ di cervello in meno. Nuove tecniche d’indagine hanno scoperto che i bambini piccoli hanno più cellule cerebrali, o neuroni, degli adulti così come le varie parti della loro corteccia cerebrale sono collegate meglio rispetto a quelle della nostra. Significa che nella primissima infanzia si assimilano facilmente una grande quantità di informazioni, che da grandi invece "sfoltiamo" ritenendole inutili. Possediamo un cervello più efficiente, ma meno capace di apprendere del loro, più "irrigidito" nel già noto. Il loro è più aperto e flessibile: hanno molti meno neurotrasmettitori inibitori, le sostanze chimiche che impediscono ai neuroni di attivarsi. Disinibiti, vanno verso ogni cosa e non usano filtri.
Smontano e rimontano il reale. Gopnik cita l’esempio delle macchine. "Sono in grado di valutare le probabilità condizionate, cioè il rapporto tra alcuni blocchi e l’accensione o lo spegnimento della macchina. Ma quando si presenta a un bambino questa complessa serie di relazioni e gli si chiede di mettere in moto o di fermare la macchina, lui fa la cosa giusta. Anche se coscientemente non sa come funzionano le probabilità condizionate, inconsciamente tiene conto delle informazioni".
La psicologa americana ama la seguente metafora: "Se negli adulti l’attenzione funziona come un riflettore, un raggio direzionale che illumina un particolare aspetto della realtà, nei bambini piccoli somiglia più a una lanterna, che getta una luce diffusa su tutto quello che li circonda".
Una passeggiata con un bambino di due anni: vede cose che noi manco notiamo. Ogni momento è una Disneyland, per loro. Noi ci concentriamo, loro si distraggono. Noi magari un obiettivo lo raggiungiamo, loro no, ma si arricchiscono di più: sperduti nella totalità, per questo ipercoscienti. L’attenzione non focalizzata e non utilitaristica favorisce nei bambini una migliore capacità di memoria. Grazie alla corteccia prefrontale, la regione responsabile di varie capacità cognitive, che in loro non è ancora totalmente sviluppata. Hanno una "immaturità" vantaggiosa. Magari le scarpe non riescono ad allacciarle, ma le lingue le imparano in fretta, capiscono le relazioni di causa-effetto e persino la morale: giusto e sbagliato, etico e convenzionale. La nostra maturità porta banalità, e oblìo. Riformuliamoci con un più illuminato cogito ergo sum, baby.
* la Repubblica, 30 agosto 2009
la Repubblica, 30.o8.2009
La psicologa Tilde Giani Gallino
"Intelligenti e creativi perché curiosi"
ROMA - «Immaginare è la loro conoscenza». Tilde Giani Gallino, ordinario di psicologia dello sviluppo all’Università di Torino, lavora da anni sui bambini in età prescolare. Si è occupata dei processi cognitivi ed emotivi infantili, dedicandosi in particolare al gioco e alle rappresentazioni mentali dei piccoli.
Filosofi, bisognerebbe chiamarli piuttosto.
«L’abbiamo sempre sostenuto: sono più intelligenti degli adulti, hanno capacità eccezionali, osservano il mondo e registrano tutto in fretta. La loro è una creatività totale».
In che modo lo dimostrano?
«Anche con quelli che noi impropriamente chiamiamo scarabocchi. Disegnano una loro esperienza e conoscenza, la raccontano anche se non sanno parlare. Sono storie di apprendimento molto intense. Un altro modo è quando imparano a camminare: a loro non interessa il movimento, ma avvicinarsi alle cose più da vicino, per toccarle, sperimentarle».
Poi cosa succede?
«Che perdono quella curiosità "biologica": si adattano alle convenzioni degli adulti, non giudicano più per quello che vedono, acquistano i pregiudizi dei grandi: tutto il mondo diventa già visto». (a.r.)
Ansa» 2008-11-01 13:16
BAMBINI GIA’ A UN ANNO CONOSCONO CENTINAIA PAROLE
ROMA - Non le pronunciano ma, fin dai primi sei mesi di vita, i bambini riescono a mettere nel cassetto del proprio cervello tantissime parole. Infatti, anche se i bambini cominciano a dire le prime parole a un anno, la loro ’’attivita’ linguistica’’ comincia molto prima, a sei mesi circa. Il che significa che quando iniziano a parlare conoscono gia’ centinaia di parole, come spiega uno studio pubblicato sulla rivista ’’Current Directions in Psychological Science’’.
Sono tante, dicono i ricercatori dell’universita’ della Pennsylvania, le capacita’ linguistiche dei neonati. Ad esempio possiedono un’abilita’ unica nel distinguere le differenze fonetiche, che pero’ perdono col passare del tempo. Un piccolo di sei mesi, che sta imparando l’inglese, e’ in grado infatti di distinguere tra i suoni di consonanti simili nell’Hindi che non ci sono in inglese, ma a un anno non e’ piu’ capace di farlo.
I ricercatori hanno dimostrato che durante la prima infanzia i bambini non solo conoscono i vari pezzi che compongono una parola, ma anche l’intera parola. Il che permette loro di incrementare il vocabolario e sviluppare la grammatica. Anche se non sanno il significato della parola, gia’ a otto mesi iniziano a impararne il suono e sono capaci di riconoscerla. Cosi’ come riescono a distinguere tra vocali lunghe e corte e interpretare questa differenza secondo le regole della loro lingua. Dall’eta’ di un anno dunque sanno riconoscere gli errori di pronuncia delle parole, ne imparano la forma e acquisicono informazioni su come queste forme sono usate. Tutti risultati ottenuti osservando come e quanto i piccoli si fermavano a fissare con gli occhi un oggetto chiamato.
Durante gli esperimenti sono stati infatti tracciati e seguiti i movimenti degli occhi mentre i neonati guardavano due oggetti, come un cane e una mela. Cosi’, dopo aver chiamato l’oggetto di fronte al bambino, si vedeva se il bambino lo guardava o meno. In questo modo i ricercatori potevano cambiare leggermente il suono della parola, ad esempio dog (cane) e tog, e vedere se i piccoli guardavano ugualmente verso il cane o meno o se rimanevano indifferenti al cambio. Il risultato e’ stato che i piccoli non guardavano l’oggetto quando era pronunciato in modo sbagliato, confermando cosi’ che dall’eta’ di un anno sanno riconoscere gli errori di pronuncia delle parole, ne imparano la forma e acquisicono informazioni su come queste forme sono usate.
Il linguaggio dei neonati e’ spesso al centro dell’interesse degli esperti. In un recente studio pubblicato nell’edizione on line della rivista dell’Accademia delle Scienze degli Stati Uniti, Pnas, e condotto da un gruppo internazionale coordinato dall’universita’ della British Columbia, e’ stato dimostrato che se le prime parole che imparano i bambini sono mamma e papa’, questo non accade solo perche’ i genitori sono le persone piu’ vicine. La vera ragione, secondo gli esperti, risiede nel cervello e nella sua organizzazione, che lo programma in modo da riconoscere, apprendere e memorizzare piu’ facilmente le parole che contengono sillabe che si ripetono.