Ascoltando le scosse di un missionario come don Battista Cimino, che riesce a trasmettertele raccontandoti delle sue esperienze in Burundi e in Kenya («camminando insieme ad altre persone facevamo attenzione, piegandoci i pantaloni, a non sporcarci di merda, alla fine sono caduto in una pozzanghera di merda»; «c’è tanta sofferenza dovuta alle malattie come la febbre ebola, alle morti causate da infezioni genitali provocate alle donne tramite mutilazioni; c’è tanta miseria e la gente povera quando vede persone come noi è contenta e inizia a parlare, pur sapendo che il più delle volte noi non abbiamo niente da dare in senso materiale»; «è quasi impossibile salvare bambini malati di aids che superano i diciotto mesi»; «abbiamo distribuito milioni e milioni di preservativi ma i poveri non li usano perché a volte non li sanno usare ma soprattutto perché, per loro, un figlio è dono di Dio»; --«la cosa più bella è accarezzare la guancia di un bambino nero», «sono sempre allegri»; «in alcune tribù le donne scoprono il seno come segno di fertilità»), resti fermo, senza parole e inizia una specie di interrogatorio che ti assale e vivi un senso di vergogna, di impotenza, di vuoto. Noi donne e uomini viviamo una cultura occidentale, in un mondo occidentale. In occidente, la donna scopre il seno per far vedere quanto materiale plastico contiene al suo interno; in occidente, tutto misura, tutto quantità.
L’allegria, i valori, il dire “oggi vivo”, l’importanza del corpo/anima della donna e dell’uomo, dove sono andati a finire? L’importanza del corpo e dello spirito non esiste più. Un pubblico occidentale non è interessato ad acquistare corpi che hanno un anima. Si guadagna di più vendendo corpi di carne. Per i primitivi, il corpo in rapporto con gli altri e con la natura garantiva il funzionamento della società. Oggi, il corpo e la sua gestione, sono funzione dell’utilizzazione economica. Lo sviluppo di questa società capitalista vuole un corpo “disciplinato”, il corpo è incassato negli ingranaggi produttivi. Sistemi economici globalizzati chiedono al corpo mobilità, cambiamento incessante e adattamento. Chiedono un corpo camaleontico. L’unica cosa che conta è mostrare e diventare protagonisti di un mercato che distrugge ogni forma di intelligenza e ogni forma di amore, generando così solo paure, insicurezze. In televisione, sui giornali, per vendere un martello ti piazzano un corpo di donna che nasconde il niente.
Chi stiamo diventando? I corpi vengono messi al centro come su un palcoscenico ed ogni corpo recita una delle rappresentazioni che gli vengono fornite, può scegliere fra una miriade di immagini di cui si appropria per costruirsi l’identità, una e molteplice. Una macchina da risucchio. I valori non repressivi, quelli veri, non si riescono a trovare.
Corpi che si allontanano da sentimenti come l’amicizia, l’amore, la fede per la libertà di pensiero, di fratellanza, perché da queste cose non si può guadagnare e ricavarne un dollaro.
Maria Costanza Barberio
Caro Direttore questa di Maria Costanza Barberio è una testimonianza dolorosa e bellissima, un grido che lacera il cielo: noi, occidentali (che sappiamo solo depredare, uccidere, e devastare!!!), dire "oggi vivo"... non sappiamo più dirlo, e nemmeno più pensarlo!!! Ascoltando e ri-ascoltando le parole dell’altro, dell’altra, di noi stessi e di tutti gli esseri (umani e naturali), forse, abbiamo ancora qualche possibilità di collocarci saggiamente nel cerchio della vita (non della morte!) e ri-cominciare a pensare e a parlarci davvero. Ma chi ha più il coraggio e la volontà?!! Non so quanto congruente, ma Le allego una suggestiva poesia (ripresa dalla rivista "lo straniero", n. 66, dicembre 2005/gennaio 2006).... mi sembra che tra le sue parole ci sia come l’accenno (ancora confuso ma già forte) di un ’motivo’ musicale prezioso,di un annuncio e di un avvento di primavera prossima - per tutta la Terra. Mi auguro, gradita. M. saluti, Federico La Sala
di Mahmud Darwish, traduzione dall’arabo di Fawzi Al Delmi
Per descrivere il fiore del mandorlo non mi giovano né enciclopedie né vocabolari... / le parole mi trascinano nelle insidie della retorica, / la retorica ferisce il senso e loda la ferita / come il maschile detta al femminile i suoi sentimenti, / in che modo potrà risplendere allora il fiore del mandorlo nella mia lingua / che ne è l’eco? / Il fiore del mandorlo è trasparente come una risata d’acqua / che dalla timidezza della rugiada sboccia sui rami... / leggero come un bianco motivo musicale... / debole come l’apparire di un’idea che / spunta sulle dita / e inutilmente scriviamo... / denso come un verso di poesia che non può essere scritto / con parole. / Per descrivere il fiore del mandorlo devo visitare / l’inconscio, guidato verso i nomi dei sentimenti / appesi agli alberi. Qual è il suo nome? / Qual è il suo nome nella poetica del nulla? / Devo penetrare la gravità e le parole / per sentirne la leggerezza quando diventano / spettro sussurrante, così io divento loro e loro me, / trasparenti e bianche. / Le parole non sono patria e nemmeno esilio, / sono, invece, la passione del bianco nel descrivere il fiore del mandorlo. / Non neve né cotone, che cos’è dunque nella sua superiorità / alle cose e ai nomi? / Se l’autore riuscisse a comporre un brano / che descriva il fiore del mandorlo, svanirebbe la nebbia / sulle colline e un popolo intero direbbe: / eccole, / ecco le parole del nostro inno nazionale!