Fantascienza e Immaginario. "I sogni di un visionario" (Kant), oggi...

PHILIP KINDRED DICK (1928 -1982), VISIONI DAL FUTURO. UN PROFETA DEL NOSTRO TEMPO - a cura di pfls

"L’ Esegesi 2-3-74": "(v. la IV egloga di Virgilio: l’Età del Ferro lascia il posto all’Età dell’Oro. E il segno del pesce che ho visto era fatto d’oro. E ho visto intorno a me una prigione di ferro, un anello come un magnete)".
giovedì 12 marzo 2020.
 

Venticinque anni fa l’addio al visionario Philip Dick

Il grande scrittore di fantascienza morì il 2 marzo del 1982, proprio nel momento in cui «Blade Runner» stava per consacrarlo profeta del nostro tempo. Scrisse anche molti romanzi non di genere, tra cui, a ventun anni, «Il paradiso maoista», ora tradotto per la prima volta da Fanucci, che anticipa il suo talento nella costruzione di universi inquieti e claustrofobici

di Tommaso Pincio (il manifesto, 02.03.2007)

Nel 1976, dopo essere stato dimesso da un ospedale della California, Philip K. Dick tracciò un breve ma eloquente bilancio: «Mi ritrovo qui, dopo venticinque anni di carriera come scrittore di fantascienza, con la prospettiva di vedermi tagliare acqua, luce e gas se non pago il dovuto entro tre giorni; allora mi domando: a che cosa è servito?» Il bilancio si intitolava Breve e felice vita di uno scrittore di fantascienza. Un titolo profetico, visto che non molto tempo dopo, il 2 marzo 1982, ad appena cinquantaquattro anni lo scrittore sarebbe scomparso, stroncato da una serie di attacchi cardiaci.

Chissà se aveva davvero messo in conto di andarsene prematuramente. Certo è che il tema della morte lo ispirava parecchio, basti pensare a romanzi come Ubik e In senso inverso, dove le persone decedute continuano in qualche modo a esistere alterando il mondo dei vivi. Ma ancora più curioso è forse il fatto che Dick abbia ambientato le sue opere più importanti negli anni ’80 e ’90. Gli anni in cui avrebbe vissuto la sua vecchiaia se non fosse morto anzitempo. Gli anni che lo hanno consacrato come il più grande autore di fantascienza di tutti i tempi.

In principio toccò a un cane

Philip K. Dick pubblicò il suo primo racconto nel 1951, ad appena ventitrè anni. Era la storia di un cane che individua negli uomini che passano a prendere la spazzatura una razza aliena. Il cane fa quel che può per avvertire gli umani ma i suoi tentativi sono fatalmente vani. Il racconto fu pubblicato su Fantasy & Science Fiction, una delle tante riviste pulp che uscivano allora. Malgrado fosse un appassionato del genere, Dick aveva però ben altre ambizioni. Voleva diventare uno scrittore «serio», mainstream come si dice in America. La sua ferma determinazione in questo senso veniva purtroppo sistematicamente mortificata dagli editori, che rispedivano al mittente i suoi manoscritti con lettere di rifiuto.

Sembra abbia scritto decine e decine di romanzi seri. Alcuni furono dati alle stampe postumi. Altri, la maggior parte, sono andati per sempre perduti. I primi tentativi di Dick risalgono addirittura alla fine degli ’40. Nel 1947 abbozzò un romanzo, mai portato a termine, sulla dirompente forza del sesso che egli aveva da poco scoperto. In seguito, probabilmente due anni dopo, scrisse Gather Yourselves Together, ambientato nell’allora emergente Cina maoista (pubblicato ora per la prima volta in Italia con il titolo Il paradiso maoista, Fanucci, trad. Giuseppe Costigliola, pp. 364, euro 16).
-  «C’è un tema vagamente politico» - rileva Lawrence Sutin nella sua fondamentale biografia di Dick (anch’essa edita da Fanucci). I cinesi paragonati ai primi cristiani per via del loro ardore e gli Stati Uniti assimilati alla decadenza della Roma imperiale. In effetti, tutto ciò è poco più che evocato e serve da inconsueto sfondo a un contorto ménages à trois che vede coinvolti tre dipendenti di un’azienda americana che sta essere nazionalizzata dal governo cinese. C’è un uomo cinico e disilluso che a suo tempo ha sottratto la verginità a una ragazza, lasciandola nella più completa amarezza. C’è la ragazza che cerca senza molto riuscirci di superare il trauma. E c’è un giovanotto che viene sedotto dalla ragazza, la quale crede così di prendersi una specie di rivincita.

I dialoghi protratti allo sfinimento e l’uso eccessivo e meccanico del flashback non ne fanno certamente un capolavoro. Al di là delle inevitabili ingenuità stilistiche - stiamo pur sempre parlando di uno scrittore appena ventunenne e per giunta autodidatta - il romanzo si fa comunque leggere e lascia filtrare in controluce un talento visionario per nulla scontato. I conflitti interiori dei personaggi, l’atmosfera cupa e il senso di fine incombente sono già quelli che caratterizzeranno l’opera più matura dello scrittore.

L’elemento più dickiano in assoluto è il contesto nel quale di svolge l’azione. Tutto si consuma in un luogo che, per pochi giorni, è come un limbo astratto dal resto del mondo. I tre personaggi si ritrovano soli in un grande complesso industriale deserto. Tutti i colleghi hanno fatto ritorno in patria, loro sono stati lasciati lì dai dirigenti ad attendere l’arrivo delle truppe cinesi che prenderanno in consegna i locali. È questa dimensione lontana da tutto a scatenare la tensione tra i tre personaggi.

Dick si servirà spesso di questo meccanismo. Romanzi ben più famosi come Occhio nel cielo, Labirinto di morte, Follia per sette clan prendono le mosse in situazioni particolari che vedono un gruppo di persone costrette a passare del tempo assieme in uno spazio irreale o quantomeno isolato dal consorzio sociale, il koinos kosmos o «mondo condiviso» come Dick era solito chiamarlo.

Lo scenario del Paradiso maoista ricorda da vicino Il deserto dei tartari di Buzzati o l’indeterminatezza di certe narrazioni di Kafka, rivela giustamente Carlo Pagetti nella sua introduzione. E, in effetti, tra le tante citazioni presenti nel testo, una tira in ballo proprio un celebre racconto dello scrittore praghese. Vista l’ambientazione, il racconto non può che essere La muraglia cinese. Rimane comunque il fatto che lo scenario claustrofobico e quasi metafisico nel quale i tre protagonisti si aggirano come fantasmi in pena contiene già tutti gli elementi degli inquieti e traballanti universi del Dick fantascientifico, quello che nell’ultimo quarto di secolo è prepotentemente entrato nell’immaginario popolare.

Quel che resta di una ambizione

Lo scrittore morì proprio nel momento in cui Blade Runner stava per consacrarlo profeta del nostro tempo. Ma chissà, forse Dick non voleva affatto essere consacrato. Forse una vita da misconosciuto scrittore di fantascienza non era esattamente ciò in cui sperava da giovane, ma era ciò che il destino gli ha aveva riservato. Per cui tanto valeva tenersela questa vita e farla breve: «È triste ma sto invecchiando. Sto invecchiando. Non mi sono rappacificato con la società ’regolare’, ma allo stesso tempo sono troppo fiacco, troppo sfibrato dalla malattia e dalla paura, per riuscire a far altro che quadrare i conti - cioè pagare la bolletta dell’acqua, del gas, dell’elettricità».


Per approfondimenti:

a) Philip K. Dick, si cfr. Wikipedia

b) Visioni dal futuro. Il caso di Philip K. Dick (F, Chiappetti, Fara Editore, Rimini 2000)

c)Philip Dick, ESEGESI 1 - «Un autolavaggio spirituale«» di Giuliano Spagnul ("La Bottega del Barbieri")

d)RINASCIMENTO ITALIANO, OGGI: LA SCOPERTA DI UNA CAPPELLA SISTINA CON 12 SIBILLE.

e) LO SPIRITO CRITICO E L’AMORE CONOSCITIVO. LA LEZIONE DEL ’68 (E DELL ’89).

f)CREATIVITÀ: KANT E LA CRITICA DELLA SOCIETÀ DELL’UOMO A "UNA" DIMENSIONE. Una sollecitazione a svegliarsi dal sonno dogmatico

g) Sul problema della "feconda immaginazione", si cfr. L’ARCHIVIO DEGLI ERRORI: L’ "IO SONO" DI KANT E L’ "IO SONO" DELL’"UOMO SUPREMO" DEI "VISONARI" DELLA TEOLOGIA POLITICA ATEA E DEVOTA. Note per una rilettura della "Critica della Ragion pura" (e non solo)

h) GUARIRE LA NOSTRA TERRA: VERITÀ E RICONCILIAZIONE. Lettera aperta a Israele (già inviata a Karol Wojtyla) sulla necessità di "pensare un altro Abramo"

Federico La Sala


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