Da un ciclo di incontri tenuti al Teatro Dal Verme*, un libro
La Genesi spiegata da mia figlia
di HAIM BAHARIER **
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CALENDARIO DEGLI INCONTRI. TENUTI:
Dal 29 gennaio al 5 marzo 2006
TEATRO DAL VERME
La Genesi è il primo libro della Torah
Cinque domeniche alle ore 11.00
5 versetti, 5 incontri, 5 percorsi
nel Libro della Genesi
con HAIM BAHARIER
maestro di ermeneutica biblica e di pensiero ebraico
letture di Avigail Baharier
La Bibbia è un testo fondante della cultura occidentale. Si può per fede aderirvi o meno, ma rimane una certezza: un pensiero e un popolo si sono confrontati con questo testo per più di trentacinque secoli. E continuano a farlo.
La Bibbia ci riporta anche alle matrici del pensiero occidentale, alle basi della morale e della giustizia.
Un percorso di avvicinamento al "Libro dei libri" ci è proposto da Haim Baharier attraverso cinque incontri, in ciascuno dei quali, prendendo spunto da un versetto, il Maestro racconta la Genesi a sua figlia e ne suggerisce le diverse letture agli spettatori.
Fedeli alla tradizione ebraica, gli incontri prevedono anche un momento di canto, affidato a Manuela Cantoni Camerini e all’attore Olek Mincer, accompagnati dal musicista e compositore Corrado Fantoni.
Haim Baharier è considerato uno tra i principali studiosi di ermeneutica biblica e di pensiero ebraico. Matematico di formazione, abilitato in Francia alla psicanalisi, è stato allievo dei filosofi Emmanuel Lévinas, Léon Askenazi e di Rabbi Israel di Gur. Al suo pubblico internazionale che lo definisce "il pensatore che fa volare" risponde con un sorriso: "Bisogna imparare le allungatoie e ignorare le scorciatoie".
Calendario
Primo incontro
Domenica 29 gennaio, ore 11.00
Genesi, 1, 16: Elohim fece i due grandi luminari, il luminare maggiore per governare il giorno e il luminare minore per governare la notte, e le stelle.
Il niggun è una melodia senza parole, molto diffusa nel mondo hassidico. Olek Mincer, accompagnato da Corrado Fantoni canta il niggun di Cracovia
Secondo incontro
Domenica 5 febbraio, ore 11.00
Genesi, 1, 6: Elohim disse: "Vi sia un firmamento in mezzo alle acque, che tenga separate le acque dalle acque".
Manuela Cantoni canta il verso 4 del Salmo 93 e lo stornello della comunità di Sannicandro
Terzo incontro
Domenica 12 febbraio, ore 11.00
Genesi, 3, 24: Scacciò l’uomo e pose, ad oriente del giardino di Eden, i cherubini e la fiamma della spada rutilante, per custodire la via all’albero della vita.
Manuela Cantoni e Olek Mincer, accompagnati da Corrado Fantoni interpretano il canto aramaico Yah Ribon, ’Dio Signore dell’Universo’, di Israel ben Moshe di Najara (XVI sec.)
Quarto incontro
Domenica 26 febbraio, ore 11.00
Genesi, 4, 2: Partorì ancora suo fratello, Abele; Abele fu pastore di greggi e Caino lavoratore del suolo.
Manuela Cantoni canta un niggun hassidico anonimo
Quinto incontro
Domenica 5 marzo, ore 11.00
Genesi, 2, 3: Elohim benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni suo lavoro, che Elohim aveva creato per fare.
Manuela Cantoni canta lo Shabbat dell’Alleanza (Esodo, 31, 16-17), rito romano
Manuela Cantoni e Olek Mincer, accompagnati da Corrado Fantoni interpretano: L’accoglimento della Sposa Shabbat di Shlomo Alkabetz, cabalista del XVI secolo
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IL LIBRO:
E il maestro spiegò la Bibbia alla figlia
Haim Baharier, studioso di ermeneutica ebraica, spiega la Genesi attraverso le domande della ventenne Avigail
di Riccardo Maccioni(Avvenire, 23.09.2006)
Sul palcoscenico del teatro gremito, solo lui e la figlia, mentre la grande sala lievemente in penombra partecipa assorta. Lui, Haim Baharier, maestro di ermeneutica ebraica, a sminuzzare il testo, dando voce ora all’esegeta e ora al padre, consapevole che i due ruoli non possono essere divisi. Lei, Avigail, la figlia ventenne, a leggere i versetti biblici e a interrogare il padre-maestro.
Nelle domeniche della scorsa primavera, questo singolare dialogo, ha riempito il Teatro Dal Verme di Milano, risultando uno degli appuntamenti culturali più originali della stagione. Ora da quegli incontri è nato un agile libro: La Genesi spiegata da mia figlia. Si, non «a» ma «da» mia figlia, a sottolineare che nel pensiero ebraico le interpretazioni non sono mai definitive e porre le domande è importante almeno quanto cercare le risposte.
Ma la scelta editoriale tradisce anche un di più, che interpella l’uomo oltre che lo studioso. È l’omaggio del padre ad Avigail, la figlia affetta da sindrome di Down, ma non per questo meno intelligente e felice, che incarna l’idea della debolezza, filo conduttore degli studi biblici di Baharier. «Ci pensai anche quel giorno in ostetricia, nell’ospedale dove nacque mia figlia - scrive l’autore -. Il dottore mi prese per un braccio, mi disse che quel "più" che aspettavo sarebbe stato un "meno". E lì, non so come, con quella fredda passione che piace all’editore, avevo risposto che tanto, tanto più mi sarebbe venuto da quel meno».
Molto della riflessione di Baharier del resto riguarda il concetto di identità claudicante che è insieme carenza e ricchezza. Non un handicap su cui piangere ma la coscienza della propria finitezza e quindi una strada maestra, privilegiata, per orientarsi nella via dello spirito. Baharier la percorre con profondità e leggerezza facendosi guidare dal testo biblico. Pochi versetti per volta, miscelando sapienza ebraica e umana saggezza.
Così il midrash sul sole e la luna che furono creati uguali e solo dopo la luna venne diminuita, serve a Baharier per spiegare il rapporto dell’identità ebraica verso le altre identità, verso le altre civiltà.
E il racconto dell’uccisione di Abele da parte di Caino supera i confini del buono e del cattivo, del debole e del forte, per diventare una riflessione sull’accoglienza, sul senso di colpa che nasce dal non sapere custodire la fratellanza. Cioè il compito che Dio affida all’omicida.
La narrazione non assume mai il tono cattedratico, non è mai lezione in senso tradizionale. Baharier guida il lettore al recupero di qualcosa che ha dentro anche se crede di non conoscerlo.
Secondo una leggenda midrashica infatti «un angelo insegna tutta la Torà alla creatura che attende di nascere. Poi al momento del parto, l’angelo sfiora con un dito il bambino, tra la base del naso e la bocca e cancella tutto il suo sapere. Il bambino nasce puro e ignaro, recando però il segno di quel tocco: il leggero solco in mezzo al labbro superiore, il cosiddetto "filtro"».
Su iniziativa del Franco Parenti, Haim Baharier terrà un nuovo ciclo di conferenze al teatro Dal Verme di Milano, a partire dal gennaio prossimo.
Haim Baharier
La Genesi spiegata
da mia figlia
Garzanti. Pagine 98.
Euro 10
Sul tema, nel sito, si cfr.:
LA FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO DEI "DUE SOLI"...
DAL "CHE COSA" AL "CHI":NUOVA ERMENEUTICA E NUOVO PRINCIPIO DI "CARITÀ"! DELLA TERRA, IL BRILLANTE COLORE.
FLS
Idee.
Haim Baharier: «La responsabilità è una sfida al nulla»
«Secondo alcuni commentatori anche la vecchiaia in origine non esisteva: la scoprì Abramo e ne fece spazio di ospitalità per il figlio Isacco». Il senso della morte secondo la tradizione ebraica
di Alessandro Zaccuri (Avvenire, martedì 29 giugno 2021)
La prima domanda la fa l’intervistato. «Ma lei il kova tembel se l’è messo in testa?», dice Haim Baharier alludendo al suo ultimo libro, Il cappello scemo (Garzanti, pagine 132, euro 16). Si tratta del copricapo da pescatore che un po’ tutti indossavano nei primi tempi dello Stato di Israele. «Per me - scrive Baharier - rappresenta sopra ogni cosa i valori dell’inizio, la memoria di quando scegliemmo di parlare».
Nato a Parigi nel 1947 da genitori scampati ad Auschwitz, matematico e psicoanalista, Baharier sostiene di avere fama di taciturno, almeno tra le mura di casa. In realtà è molto conosciuto per le sue parole, che rispecchiano un’instancabile assiduità nello studio della tradizione ebraica. Parla con la lentezza precisa dei maestri, prediligendo appunto lo stile dell’interrogazione. Un altro suo testo appena pubblicato si presenta in modo programmatico: Generare è rispondere o domandare? (Mimesis, pagine 62, euro 7).
Un punto interrogativo, del resto, campeggia anche nel titolo della lezione che Baharier terrà domani alle ore 21 presso la basilica di Santa Maria Maggiore a Bergamo nell’ambito del festival Filosofi lungo l’Oglio: “Thánatos è il nulla?”. Compito non facile, questo di pronunciarsi sulla morte in una delle città che più duramente è stata colpita dalla pandemia. Ma è proprio nella difficoltà che si apprezza l’importanza dell’interpretazione. «Personalmente - afferma Baharier - trovo molto convincente l’immagine proposta da un giovane maestro spirituale attualmente attivo in Israele. Con il Covid, sostiene, il Creatore ha imprigionato il mondo. Da qui occorre ripartire: dalla chiusura che c’è stata e dall’apertura che possiamo ripensare. Il Creatore non va necessariamente assecondato, ma di sicuro vanno indagate le sue intenzioni».
Secondo lei quali potrebbero essere?
«Forse il fatto che abbiamo troppo politicizzato alcuni temi, come l’accoglienza e la solidarietà, fino a svuotarli di significato. Ci siamo allontananti dal principio autentico che dovrebbe sorreggere la realtà, così come avevamo fatto all’epoca del Diluvio, un altro evento che di per sé non sopporta la commemorazione e pretende di essere interpellato».
L’ostacolo però rimane sempre lo stesso: la morte.
«Che nel disegno originario non è contemplata. Lo dimostra la condizione di amortalità in cui si trova Adamo nel breve periodo in cui vive secondo quanto disposto dal Creatore. Poche ore bibliche, secondo i commentatori, nelle quali si consuma il distacco definitivo dalla condizione di Neanderthal. Nel rifugio di Eden, Adamo prende coscienza della possibilità della morte, facendo conoscenza di thánatos e del suo gemello, hýpnos, il sonno. È un trauma che non si può più ignorare e che va costantemente rielaborato. Adamo, infatti, lo rielabora inventando la trasmissione come superamento della morte: impedendo, insomma, che la morte si identifichi con il nulla. A questo punto sorge un problema. Freud ha formulato per primo l’ipotesi della trasmissibilità delle patologie da una generazione all’altra. Resta da capire se e come si possa trasmettere anche il principio vitale, quello che i greci chiamavano eros. Ma per fare questo bisogna andare oltre eros».
E oltre eros che cosa c’è?
«C’è la responsabilità dell’essere vivente, nell’accezione più ampia di questo termine. Non solamente l’essere umano, ma il Creato intero, nel quale siamo tutti intimamente legati gli uni agli altri. Anche questo della responsabilità non è un compito che si possa assumere alla leggera. Stando alla tradizione biblica, la Torah fu offerta Israele dopo che gli altri popoli della terra l’avevano rifiutata, dato che ne consideravano troppo oneroso questo o quell’aspetto. La risposta di Israele è esemplare: «Faremo e ascolteremo». Sono due elementi decisivi. «Faremo» esprime la disponibilità al cambiamento, mentre «ascolteremo» è l’impegno a fare più di quello che ci capisce per capire veramente quello che si sta facendo. Solo così si sperimenta la dimensione della fiducia, che in ebraico si esprime con la parola emunàh. La radice è la stessa di amèn, al centro sta sempre la lettera mem, la emme, che indica il principio di mediazione».
La Torah, dunque, è mediazione e non precetto?
«Esattamente. L’equivoco di una Torah come prescrizione nasce dall’errata traduzione del termine mitzvah, che in ebraico vale come “comunicazione” e non “precetto”. La differenza è sostanziale: il precetto va rispettato senza discutere, la comunicazione dev’essere interiorizzata. Non per niente, il principio più alto di ogni altro principio, ritenuto impenetrabile perfino da Salomone, è quello della Mucca Rossa».
Vale a dire?
«Nella Torah il grado più elevato di impurità è costituito dal contatto con thánatos, ossia con un cadavere. Per riconquistare la purezza occorre celebrare il rituale della Mucca Rossa. La si macella, la si riduce in cenere, si mischia la cenere all’acqua e in questo modo ci si purifica. Ma le persone che hanno presieduto alla preparazione del rito si sono a loro volta contaminate, perché sono entrate in contatto con il cadavere della Mucca Rossa. La morte, di per sé, non è impura. Impura è la mescolanza tra morte e vita, impuro è il mancato riconoscimento di questa distinzione».
La nostra società, però, è molto incline alla confusione dei piani, non trova?
«Sì, e lo abbiamo visto nella fase più drammatica della pandemia, quando la vecchiaia, che per tanto tempo ci eravamo sforzati di ignorare, è improvvisamente diventata una minaccia. Il punto è che, secondo i cabalisti, da principio la vecchiaia non esisteva. Abramo, per esempio, era avanti negli anni, ma non incanutiva. Invecchiò improvvisamente lungo la strada verso il monte Moria, che stava percorrendo per portare Isacco al sacrificio. Era con il figlio che aveva a lungo atteso, ma del quale non era del tutto soddisfatto. La Genesi lo lascia intuire abbastanza chiaramente: Isacco portava su di sé una fragilità, probabilmente la sindrome di Down. Durante il viaggio, a un certo punto, questo erede che non corrisponde alla promessa chiama Abramo a gran voce: "Padre!". Abramo gli risponde, pronuncia le parole "Sì, figlio" e in quell’istante invecchia. Scopre la vecchiaia, anzi. Dopo che è stato riconosciuto come figlio, Isacco non potrà più essere ucciso. Quanto accade in seguito è la conseguenza della vecchiaia inventata da Abramo, che è una forma di ospitalità, un modo per assumere la responsabilità dell’altro».
La creazione non è un istante ma una trama incompiuta
Pubblichiamo il testo dell’intervento con cui Haim Baharier, studioso ebreo di esegesi biblica, apre oggi il suo dialogo con Alberto Melloni sul tema «Bereshìt / In principio» nell’ambito della giornata conclusiva del festival Torino Spiritualità.
di Haim Baharier (Corriere della Sera, 2 ottobre 2011)
Rabbi Zadoq Hakohen, maestro hassidico, sosteneva: «La verità va perseguita e l’intelligenza deve essere al servizio della verità. Quando però l’intelligenza contraddice la verità, l’intelligenza non va né piegata né soffocata. Occorre dire non so, e studiare». Spaccati tra creazionisti e anticreazionisti, gli studiosi di fine Ottocento non raccolsero la lezione di Zadoq come battuta riconciliante. La diatriba perdura ancora oggi.
Ogni serio studioso sa bene che il problema non è considerare il testo biblico verità o meno. È invece scorgere un percorso tra le boe senza mai considerarle punti fermi, acquisiti una volta per tutte. Si può annegare nelle certezze o aprirsi alla pluralità.
Nel testo della Creazione ciò che sorprende è che né Dio né l’uomo si pongono come entità sfumate; anzi, si presentano come due evidenze che si confermano a vicenda. Quasi volessero deviare il nostro interesse verso ciò che la tradizione ebraica considera l’enigma più grande nell’ambito della creazione: il mondo. Un mondo che nasce prima di tutto come tempo, non come luogo.
Secondo la Torah, cieli e terra vengono poi, una materialità successiva a quel «in principio» ( Genesi , 1,1) che è innanzitutto accensione del tempo. A contropelo rispetto al primo impulso del pensiero che lega a maglie strette spazio e tempo, la Torah viene a dirci che tra il tempo prima e lo spazio dopo, si annida (o si estende, non lo sappiamo poiché lo spazio è ancora di là da venire!) la volontà creatrice.
Chi crea libera per fare posto, si stringe, si ritira. Perché è lo spazio concesso che permette all’altro di vivere in dignità. Si dona l’essere all’altro da sé. Tra tempo e luogo germina non una legge metafisica, ma un imperativo morale.
Potremmo spiegare che la Genesi biblica, Bereshìt in ebraico, custodisce questo principio nella sua lettera iniziale Bet, che ha valore di due: da assumere prima come un due temporale, poi spaziale, in quanto numero minimo per dare un confine, per avere un vicino...
Concetto non facile da digerire e che è anche suggerito da una mishnà secondo la quale il mondo è stato creato con dieci dire. Perché dieci dire, quando - ci immaginiamo - sarebbe bastato un solo colpo d’ interruttore? Si parla del Creatore e Lui non dovrebbe avere di questi problemi. Intuiamo dalle parole parsimoniose della Bibbia quanto poco Egli sprechi.
La mishnà avverte che questi dire molteplici non esprimono una vicinanza tra la parola e l’effetto di questa parola, bensì una distanza tra la parola e ciò che succede a seguito di questa parola, una presa di distanza rispetto a quello che si materializza dal dire. In questa distanza che separa il dire dal fare, lì siamo noi.
Perché? È una forma di protezione della creazione: questa distanza da una parte allontana gli incoscienti, coloro che vogliono distruggere la creazione, costringendoli a percorrere distanze infinite, mentre dall’altra serve ai giusti come percorso: percorso conoscitivo. Distanza che contempla due aspetti: positivo per il giusto che può avvicinarsi alla parola e ai suoi effetti, può interiorizzarli ed elaborarli; cautelativo nei confronti dell’incosciente che, tenuto alla larga, non riesce a combinare tutto il male che vorrebbe. Il nostro habitat è una distanza «di sicurezza».
Dunque creare non è mai una gettata a presa rapida; esiste un pensiero che smaglia e allarga le trame in virtù del quale anche ciò che in apparenza è già fatto, già creato, ci appare incompiuto... Penso a quel mutamento di identità che la Torah attribuisce ad Adamo quando diventa nefesh haià, persona vivente. Dopo che nelle sue narici viene insufflato il vento. Solo allora l’uomo diventa una persona.
Si può essere un uomo e anche un vivente, e non essere una persona, dice la Torah. Bisogna essere attraversati dal vento. Qui sta secondo me la chiave dell’accoglienza: quando scopro che l’altro non è soltanto un essere vivente ma è una persona, quando conosco l’alito che lo muove, i sogni che lo fanno vivere, solo in quel momento accolgo.
«Dal Talmud a Internet: l’ebraismo e il molteplice»
intervista a Haim Baharier
a cura di Guido Caldiron (Liberazione, 3 settembre 2011)
“Ebr@ismo 2.0: dal Talmud a Internet”. La dodicesima edizione della Giornata Europea della Cultura Ebraica, che si svolge domani in 27 paesi europei e 62 località italiane, intende rileggere la storia plurimillenaria dell’ebraismo alla luce dei nuovi strumenti della cultura e della comunicazione. Un invito all’incontro e alla conoscenza che apre le porte di sinagoghe, musei e quartieri ebraici, presentando concerti, mostre e spettacoli teatrali, proponendo percorsi enogastronomici, visite guidate e appuntamenti culturali.
Quest’anno capofila della manifestazione, organizzata dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, sarà Siena (il programma città per città è disponibile sul sito www.ucei.it/giornatadellacultura) dove alle ore 18 si svolgerà la Lectio Magistralis di Haim Baharier, intitolata “Il mondo che viene”. Nato a Parigi da genitori di origine polacca, entrambi passati per Auschwitz, Baharier è stato allievo del filosofo Emmanuel Lévinas e di Léon Askenazi ed è considerato uno dei grandi maestri contemporanei dell’ermeneutica biblica e del pensiero ebraico. Da molti anni vive e lavora a Milano. Per Garzanti ha pubblicato Il tacchino pensante (2006) e La Genesi spiegata da mia figlia (2008).
Dal Talmud a Internet, quale è il senso di questo viaggio nella cultura ebraica?
Ho cercato di dare un nome a questo percorso che vuole essere come un ponte, attingendo alla tradizione: così per accompagnarmi in questo viaggio ho utilizzato un’espressione che in ebraico significa “il mondo che viene”. Su questo concetto i saggi discutono da secoli e secoli e sono emerse due grandi scuole di pensiero: quella che fa capo a Maimonide che ritiene che “il mondo che viene” rimanda a livelli di interiorità che si sono costruiti dentro ciascun essere umano e che, dall’anima, vengono trasmessi per vite future; e quella che fa capo a Nachmanide che definisce come “mondo che viene” quello che fa seguito alla resurrezione dei morti. Gli uomini moderni tendono a sorridere di fronte a simili impostazioni, ma personalmente credo si possa operare una sintesi tra questi due percorsi e immaginare che oggi il punto d’approdo sia definibile nell’idea della “vita perenne della parola”. Il Talmud è la parola, ciò che ci consente di leggere con apertura mentale e riguardo verso l’alterità, una tradizione. Questa lettura diventa tempo, speranza, progetto: io leggo in un certo modo, altri lo faranno a modo loro. Questa è l’idea e il significato del Talmud. E quindi perché non considerare internet come una sorta di secolarizzazione di tutto ciò: la rete fa del resto coesistere e rende possibili tutte le diverse letture nello stesso momento. Perciò l’utilizzo etico e morale di internet riecheggia proprio l’esperienza talmudica e non può che rappresentare per l’identità degli ebrei, ma anche per la terra di Israele, l’orizzonte di una realtà molteplice e di una piena coesistenza tra diversità.
Da dopo la Shoah l’ebraismo viene soprattutto associato alla memoria, immaginare questo ponte verso il futuro rappresenta una sfida in più per la cultura ebraica?
Questo per me è un punto davvero sensibile: sono infatti anni che combatto questa idea della memoria celebrativa. Penso che l’equazione terrificante che è stata imposta che è “memoria, uguale, non si riprodurrà più” sia totalmente inattendibile e non abbiamo dovuto aspettare tanto per vedere che delle “mini-Shoah” accadono in varie parti del mondo malgrado il moltiplicarsi dei musei e delle memorie celebrative. Credo che ci si debba intendere sul significato e il valore della parola memoria nella tradizione ebraica. In particolare la memoria della Shoah dovrebbe essere quella che ci conduce a comprendere come si esce dalla logica dello sterminio e quindi come si può evitare di entrare in questa logica: è questa la memoria.
Nella tradizione ebraica c’è un vero paradigma di questo processo che è la schiavitù d’Egitto che è paragonabile a una Shoah, nel senso che il progetto del Faraone era un vero e proprio etnocidio. E la Torah liquida in poche righe ciò che è successo, lamemoria celebrativa, mentre dedica tutto il suo corpus a spiegare come si esce dall’Egitto, come si esce dalla logica di Auschwitz e come poi questa uscita possa essere teorizzata e trasmessa a tutti i popoli della terra.
RAGIONE E FANTASIA. UN SAGGIO DEL FISICO ROBERT EHRLICH SPIEGA PERCHÉ LE GRANDI RIVOLUZIONI CULTURALI NASCONO CONTRO IL SENSO COMUNE
La pazza idea dei due soli. Una teoria scientifica, o quasi
Anche l’ ipotesi eliocentrica di Copernico pareva folle. Esistono buoni criteri per decidere se un enunciato meriti considerazione
di Giorgio Cosmacini *
C’ era una volta la consolidata credenza che le idee scientifiche dovessero modellarsi sul senso comune, di cui venivano considerate una sorta di elaborato prolungamento concettuale. Dal buon senso alla scienza il passo non era lungo. Classico è l’ esempio della concezione tolemaica geocentrica, basata sulla evidenza sensibile che la terra è ferma e il sole sempre in moto, dall’ alba al tramonto. Fu Copernico, nel 1543, a concepire la «strana» idea dell’ eliocentrismo e della terra in continuo movimento rotante. Che cos’ è una idea «strana»?
Se lo chiede Robert Ehrlich, ricercatore nel campo della fisica delle particelle e docente alla George Mason University, all’ inizio del suo libro Il viaggio nel tempo e altre pazzie (Einaudi) che ha per sottotitolo «Nove strane idee al vaglio della scienza». Scrive di sé l’ autore: «Come fisico, ho sempre avuto una certa simpatia per le idee strane. Non è che i fisici siano più strambi degli altri esseri umani. Alcuni di essi sono ragionevolmente sani di mente. Ma la fisica, per la sua stessa natura, sfida di continuo le convenzioni del nostro mondo dominato dal buon senso e svela segreti dell’ universo che spesso appaiono fantastici alla maggior parte della gente».
Quante volte abbiamo pensato e detto che le bizzarrìe inventate ieri dalla fantascienza sono state percorritrici della realtà documentata oggi dagli scienziati? Anche attualmente circolano «strane» idee: che una maggior diffusione di armi ridurrebbe la criminalità; che il virus Hiv non sarebbe il responsabile dell’ Aids; che l’ esposizione ai raggi del sole e addirittura l’ esporsi a basse dosi di radiazioni ionizzanti (atomiche, nucleari) non sarebbe affatto nocivo, anzi farebbe bene; che il sistema solare avrebbe due soli; che i combustibili «fossili» (carbone, petrolio) avrebbero un’ origine inorganica; che esisterebbero particelle (tachioni) più veloci della luce; che infine - prodigio dei prodigi - il viaggio nel tempo sarebbe possibile. Come con la memoria e con i sogni è possibile raggiungere soggettivamente il passato, così alcuni fisici pensano che The Time Machine, «la macchina del tempo» vaticinata nel 1895 dal romanziere Herbert George Wells, sia una metafora del paradosso teorico di un viaggio nel futuro oggettivamente possibile.
Non si tratta, come potrebbe sembrare a prima vista, di un’ opera di cosiddetto «revisionismo scientifico». L’ autore dà i voti in pagella a ciascuna delle «strane» idee sopra enunciate. Lo fa secondo uno schema di valutazione basato su 10 parametri, indicati nell’ introduzione, tra i quali figurano l’ uso delle statistiche in modo corretto e l’ efficace sostegno di riferimenti adeguati. Da professore obiettivo, è giustamente severo: nessuna delle idee esaminate merita più di un 3 e talune addirittura non si sollevano dallo 0. Una stroncatura globale: c’ era bisogno di dedicarvi un libro? Ce n’ era bisogno, eccome!
Molte sono le idee «strane» che oggi trovano udienza nei notiziari, nelle rubriche televisive e sulla carta stampata. Noi siamo sempre più spesso cimentati, assillati, provocati da idee di volta in volta bizzarre, insensate, miracolistiche, folli. Alcune non reggono alle critiche serrate, altre invece sopravvivono, si affermano, talora diventano accreditate teorie, collocandosi al centro di dibattiti scientifici, sottoposte a «congetture e confutazioni» per dirla alla Popper. Tutte rivelano quanto sia accidentato il percorso dell’ impresa scientifica e quali ne sono le regole, le procedure, i controlli. Il libro non è dunque un mero divertissement intellettuale. È invece un libro che esprime un metodo razionale affidabile per decidere con la nostra testa se una teoria meriti considerazione oppure debba essere liquidata magari con un semplice, sommario sorriso.
Il libro di Robert Ehrlich, «Il viaggio nel tempo e altre pazzie. Nove strane idee al vaglio della scienza», Einaudi, pagine XIX - 248, euro 14,00
Cosmacini Giorgio
(Corriere della Sera - Archivio storico, 6 settembre 2002, Pagina 35).
Come Tatooine, un mondo con due soli scoperto dal telescopio Tess della Nasa
Riconosciuto grazie all’intuizione di uno stagista all’ultimo anno di liceo, dai dati della sonda americana a caccia di esopianeti. Al catalogo si aggiunge anche un altro pianeta simile alla Terra nella fascia di abitabilità ad appena 100 anni luce da noi
di Matteo Marini (la Repubblica, 07 Gennaio 2020)
ALBE, tramonti e soli che si eclissano in una danza stellare quotidiana, è quello che potremmo ammirare nel cielo di Tatooine, il pianeta natale della famiglia Skywalker in Star Wars, un mondo divenuto un’icona nell’immaginario fantascientifico e della cinematografia. Ma è meno fantasioso di quanto possa sembrare. Il telescopio spaziale della Nasa Tess ha infatti scoperto il suo primo pianeta che orbita attorno a una coppia di stelle. E sembra che la presenza di altri mondi con un doppio sole sia una regola più che un’eccezione: già il telescopio Kepler ne aveva trovati 12 in dieci sistemi planetari. Per Tess, lanciato ad aprile 2018, si tratta di una prima volta, e anche per il suo scopritore, uno stagista al suo ultimo anno di liceo. E nell’album del nuovo “cacciatore di pianeti” compare anche il primo di taglia terrestre, che orbita nella cosiddetta “fascia abitabile” e potrebbe avere acqua liquida sulla sua superficie.
Un cielo, due stelle
Al termine del suo ultimo anno di “High school” Wolf Cukier ha svolto uno stage al Goddard Space Flight Center della Nasa, nel Maryland. Il suo compito era quello di esaminare i dati sul calo di luminosità delle stelle prodotti da Tess. Quando ha notato un’anomalia: “Stavo cercando tra i dati quelle che erano state spuntate come binarie ad eclisse, un sistema dove due stelle girano una attorno all’altra e dal nostro punto di osservazione si eclissano a ogni orbita - afferma Cukier nella press release diffusa dalla Nasa - tre giorni dopo l’inizio del mio stage ho visto un segnale da un sistema chiamato TOI 1338, all’inizio pensavo fosse un’eclissi stellare, ma le tempistiche erano sbagliate. È saltato fuori che era un pianeta”.
Cukier è diventato così co-autore dello studio che descrive la scoperta, presentato all’American astronomical meeting di Honolulu: un pianeta che orbita attorno a due stelle, a circa 1.300 anni luce da noi, nella piccola costellazione del Pittore, visibile dall’emisfero australe. Riuscire a distinguere un pianeta nella danza delle due stelle è un compito arduo, perché i segnali confondono gli algoritmi. Per questo l’intuizione del giovane studente è stata cruciale. Per ora, tuttavia, immaginare un doppio tramonto come quello su Tatooine, è piuttosto difficile: TOI 1338 b (ciascun pianeta appena scoperto prende il nome dalla sua stella con l’aggiunta delle lettere dell’alfabeto) ha infatti una massa compresa tra quelle di Nettuno e Saturno. Potrebbe dunque non avere una superficie e un’atmosfera come quelle terrestri per godere dello spettacolo.
Tess è solo all’inizio del lavoro e sta producendo dati a tonnellate. Con quattro camere scruta il cielo, scattando una foto ogni 30 minuti per 27 giorni consecutivi. Quando la luce di una stella si affievolisce, con una certa regolarità, potrebbe essere dovuto a un pianeta che le passa davanti. Con questo metodo (detto “del transito”), Kepler ha scoperto oltre 2.700 pianeti confermati su 4.100 totali.
Un nuovo ’cugino’ della Terra
Dall’ottobre 2018 la seconda missione di Kepler (K2) è stata dichiarata conclusa e il testimone è passato a Tess, che ha al suo attivo appena 37 pianeti. Ma tra questi c’è anche il suo primo mondo simile al nostro. Almeno sulla carta e per i pochi dati disponibili. Orbita attorno a una stella più piccola e fredda del nostro Sole, ad appena 100 anni luce di distanza da noi, quindi relativamente vicino. Si chiama TOI 700 d, è il terzo di questo sistema stellare: “Tess è stato progettato e lanciato apposta per trovare pianeti di taglia terrestre in orbita attorno a stelle vicine - spiega Paul Hertz, astrofisico della Nasa - i pianeti attorno a stelle vicine sono i più facili da seguire con grandi telescopi da Terra e dallo spazio”. La scoperta è stata confermata anche dai dati del telescopio spaziale Spitzer.
TOI 700 d è il più esterno dei tre pianeti attorno a questa stella, il primo e più interno ha la stessa massa della Terra, ma è molto vicino. Il secondo è due e volte e mezzo il nostro pianeta mentre. Il terzo è lui: 20 per cento più grande della Terra e alla distanza giusta perché riceve dalla sua stella circa l’86% di energia che noi riceviamo dal Sole. Abbastanza per alzare la temperatura superficiale al di sopra dello zero. Ma ci sono delle controindicazioni in questo mondo lontano: come gli altri suoi “fratelli” dello stesso sistema, è in rotazione sincrona: significa che mostra al suo sole sempre lo stesso emisfero (come fa la Luna con la Terra). Una rotazione, un giorno dunque, dura 37 dei nostri ma non c’è alternanza di luce e buio. Mentre una faccia è costantemente illuminata, e quindi molto calda, l’altra è ghiacciata, sempre in ombra. Nessuno di noi vorrebbe vivere in un mondo così. Sono molti i pianeti in rotazione sincrona e molto vicini alla loro stella come questo, a cominciare dal sistema di Trappist, che conta almeno due o tre mondi nella fascia di abitabilità. La speranza per una eventuale forma di vita, è quella di incontrare condizioni favorevoli nelle zone di crepuscolo, dove il caldo non è infernale e il gelo non stringe troppo la morsa.
Atmosfera e acqua per la vita
Ma ci sono ancora molti interrogativi a cui rispondere. Il primo e più importante è se abbia o no un’atmosfera. Le nane rosse come TOI 700 sono le stelle più comuni dell’Universo conosciuto. Sono fredde e vivono molti miliardi di anni in più di tutte le altre. Ma sono ‘intemperanti’, spesso producono fiammate, eruzioni, in grado di spazzare via l’atmosfera di un pianeta che non abbia un campo magnetico a fargli da scudo. Tuttavia TOI 700 secondo gli astronomi appare piuttosto tranquilla, ma non sappiamo come si sia comportata negli ultimi miliardi di anni. Il destino di un pianeta nella zona abitabile infatti è legato a molti fattori (prendiamo come esempio Venere, un pianeta nella zona abitabile, con la massa della Terra, ma con un effetto serra che spinge la temperatura a oltre 400 gradi).
Gli studiosi della Nasa hanno già proposto alcuni modelli, ipotesi di come si potrebbe presentare, dal pianeta coperto da un gigantesco oceano come era un tempo Marte, a una Terra ma senza acqua. Per capire meglio questo nuovo ‘cugino’, ancora potenziale “gemello” della Terra, bisognerà attendere nuovi strumenti che possano sbirciare cosa c’è nella sua atmosfera, analizzando lo spettro della luce che filtra e arriva fino a noi.