GEOPOLITICA: "INTELLIGENCE" E STUPIDITA’. Le rivoluzioni che l’Occidente non ha capito ...

TUNISIA, EGITTO, LIBIA: IL GRANDE CAMBIAMENTO E LA CECITA’ DELL’OCCIDENTE. Una riflessione di Kurt Volker e una di Pino Arlacchi - a c. di Federico La Sala

(...) Questa onda di marea non ha a che fare con l’Islam, né con Israele o l’Occidente. Si tratta di una richiesta di diritti e libertà che arriva dall’interno, da una nuova generazione di arabi che vedono come le loro società sono state depredate dai propri governanti.
sabato 26 febbraio 2011.
 


Le rivoluzioni che l’Occidente non ha capito

di Kurt Volker (La Stampa, 26.02.2011) *

Una delle grandi sfide delle analisi nel lavoro di intelligence è la previsione dei grandi cambiamenti. L’analisi più sicura è quasi sempre che le forze che hanno plasmato le cose fino a oggi continueranno. Il mantenimento dello status quo è dunque il risultato più probabile almeno fino al momento in cui lo status quo scompare.

Questo rende cauti i politici. Anche nel pieno di nuovi sviluppi dimostrazioni, crisi economiche, guerre l’aspettativa è che la nave corregga la rotta e le cose tornino alla normalità. Vale la pena quindi aspettare, essere cauti, per vedere chi prende il potere, per tentare di salvaguardare altri interessi di sicurezza nazionale. Perché invischiarsi in una situazione per sostenere una parte, se c’è una buona probabilità che l’altra prevalga?

E tuttavia i grandi cambiamenti inaspettati accadono. La caduta del muro di Berlino. Il crollo dell’Unione Sovietica. E trovarsi dalla parte sbagliata del cambiamento ha i suoi costi. Inoltre, quando il cambiamento è inevitabile, la cautela può prolungare una crisi, mentre l’azione potrebbe portare a una soluzione più rapida, pacifica e benefica.

Il trucco sta nel capire quando è in corso un grande cambiamento e quando è business as usual. Questo è proprio il punto su cui l’Occidente ha costantemente sbagliato riguardo alle rivoluzioni che stanno esplodendo in Medio Oriente. Prima c’è stata la Tunisia, dove la maggior parte degli osservatori riteneva che le manifestazioni non potessero rovesciare un dittatore. Poi c’è stata la presunta unicità della Tunisia, la maggior parte degli osservatori non credeva possibile che il cambio di regime lì potesse significare un cambio di regime altrove. In Egitto, la maggior parte degli osservatori non credeva che le proteste potessero davvero far cadere Mubarak. La maggior parte degli osservatori non credeva che in Libia, con un regime pronto a usare la forza bruta, il cambiamento fosse possibileOgni volta abbiamo sbagliato l’analisi.

Ogni volta siamo stati lenti nel parlare, lenti nel sostenere il cambiamento, lenti nell’agire. Quelli che sono stati disposti a rischiare la vita per la propria libertà in Medio Oriente possono essere perdonati se pensano che gli Stati Uniti e l’Occidente siano stati contro di loro.

Perché abbiamo sbagliato?
-  Primo per la convinzione che i regimi alla fine avrebbero prevalso e allora perché bruciare i ponti?
-  In secondo luogo, soprattutto in Europa, per la paura che ogni cambiamento porti a massicci esodi di rifugiati e flussi migratori.
-  Terzo, per il timore che gli estremisti islamici si impadroniscano delle rivoluzioni e impongano un regime peggiore di quello precedente
-  Quarto, per la preoccupazione che i nuovi regimi potrebbero non onorare gli accordi esistenti con Israele.

-  Quinto per il paternalistico luogo comune che ritiene gli arabi non ancora pronti per la democrazia.
-  E sesto e ultimo punto forse il più significativo perché i governi occidentali semplicemente non capiscono che questa è una rivoluzione basata sui valori umani e su ideali di trasformazione.

Autoritari leader arabi per anni ci hanno detto che l’Islam radicale era l’unica alternativa al loro governo. Hanno usato il conflitto israelo-palestinese come una cortina di fumo per mascherare i loro feroci regimi. Hanno soppresso l’accesso pubblico alle informazioni e alle fonti del pensiero arabo alternativo. Come risultato, noi in Occidente ci siamo convinti che un cambiamento democratico fosse davvero impossibile nonostante i nostri stessi valori.

La maggior parte dei funzionari governativi non legge i messaggi su Twitter. Molti di quelli che li leggono li considerano insignificanti divagazioni popolari rispetto alle posizioni ufficiali e alle azioni del governoEppure, basta leggere i messaggi dei partecipanti e degli osservatori in Medio Oriente per capire che ciò che sta accadendo ora è diverso. La gente sta spazzando via i miti proposti per anni da questi leader autoritari.

Questa onda di marea non ha a che fare con l’Islam, né con Israele o l’Occidente. Si tratta di una richiesta di diritti e libertà che arriva dall’interno, da una nuova generazione di arabi che vedono come le loro società sono state depredate dai propri governanti. Per quanto le istituzioni della democrazia siano state negate per decenni, l’aspirazione dello spirito umano alla libertà rimane universale e intatta. Questo è ciò che la nostra prudente politica e le analisi di intelligence non sono riuscite a capire.

Il bisogno di cambiamento nella regione non sparirà nel nulla. E poiché è in linea con i nostri valori più profondi, l’Occidente avrebbe dovuto sostenerlo dall’inizio.

Per quanto sia difficile fare queste previsioni ora dobbiamo capire che questo non è business as usual questo è il grande cambiamento. I nostri timori per la stabilità, la sicurezza dell’area e l’estremismo islamico hanno più probabilità di avverarsi se resistiamo a questi cambiamenti piuttosto che se li appoggiamo. E le opportunità per un reale progresso su questi stessi temi la stabilità, la pace regionale, la sicurezza globale, la lotta all’estremismo sono di gran lunga maggiori in un Medio Oriente democratico. Le conseguenze ridimensioneranno sia la guerra in Afghanistan sia quella in Iraq.

* Ex ambasciatore americano alla Nato è senior fellow e direttore del Centro per le relazioni transatlantiche presso la Johns Hopkins University School of Advanced International Studies e consulente senior presso McLarty Associates (Traduzione di Carla Reschia)


Occidente cieco

di Pino Arlacchi (l’Unità, 22.02.2011)

Dalla Libia giungono notizie drammatiche e contraddittorie. Il dittatore ha deciso di concludere nel sangue la sua avventura quarantennale e, mentre scrivo, il quadro cambia di ora in ora. Ma quali che siano i tempi e gli esiti della rivolta del popolo libico, è chiara e consolidata la direzione dei processi in atto nel mondo arabo: siamo in presenza di un’ondata paragonabile a quella che, negli anni Ottanta, portò la democrazia in America latina e, negli anni Novanta, nell’Europa dell’Est. Siamo in presenza di eventi di portata storica.

Come Occidente ci siamo arrivati impreparati. Alcuni governi attribuiscono la responsabilità di ciò agli organismi di intelligence. In effetti i precedenti non mancano. È noto che la Cia non riuscì a vedere il crollo del comunismo e che non si è stati capaci di avvertire lo shock petrolifero, l’ascesa della Cina, l’odierna virata a sinistra dell’America Latina. Potremmo compilare una lista molto lunga.

Ma non includeremmo la sorpresa di queste ultime settimane. No, questa volta la colpa non è di 007 incapaci, ma di un errore di prospettiva culturale. Abbiamo vissuto nell’idea dello scontro di civiltà con l’Islam e col suo inevitabile corollario: l’incompatibilità tra l’Islam e la democrazia. Ci siamo cullati nella presuntuosa convinzione d’essere, noi occidentali, i monopolisti della democrazia fino a escludere, nelle scelte di politica internazionale, quella che continuavamo a predicare: la sua universalità. E ora siamo qua, a bocca aperta, a guardare eventi enormi che, in realtà, non sono affatto sorprendenti.

E non è finita. Perché un po’ per cinismo, ma probabilmente anche per stupidità, c’è chi si ostina a trasferire quel pregiudizio di “incompatibilità” tra democrazia e Islam al presente: minimizza quanto è accaduto in Tunisia, in Egitto, e sta accadendo in Libia, e sostiene che questi processi alla fine consegneranno quei paesi ai Fratelli musulmani e al fondamentalismo islamico.

È la parola d’ordine della destra internazionale adottata con passiva disciplina dal nostro governo che fa breccia anche tra commentatori prudenti e moderati. Alcuni giorni fa sul Corriere della sera c’era chi si domandava se in fondo non era meglio la “stabilità” garantita dai governi autoritari di queste potenziali “democrazie estremiste” governate da partiti islamici.

C’è da chiedersi di quale “stabilità” parlino. Il Medio Oriente è da cinquant’anni l’area più instabile e conflittuale del mondo. La guerra internazionale più sanguinosa degli ultimi trent’anni si è combattuta tra Iran e Iraq con un milione di morti. E abbiamo forse dimenticato gli eventi tragici che si sono prodotti in Iran prima sotto lo Shah e poi sotto Komeini? E le ripetute invasioni del Libano? E le guerre in Afghanistan e in Iraq con l’annessa invasione del Kuwait?

Dobbiamo opporci con fermezza a questo mix di cecità e colpevole oblio che produce alla fine gli imbarazzanti balbettii del ministro Frattini, ancora una volta l’ultimo a capire. La democrazia è il piu grande fattore di stabilità e di pace di lungo periodo. Le democrazie riducono i budget militari, cioè gli strumenti della guerra. Sono il metodo della non violenza applicato ai rapporti interni e internazionali. È stato così in passato e sarà così anche nel mondo arabo.


SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:

LA TUNISIA E IL «PROFETA» BELAID. In grave pericolo la transizione democratica. Una nota di Annamaria Rivera

-  RIPENSARE L’ EUROPA!!! CHE COSA SIGNIFICA ESSERE "EU-ROPEUO". Per la rinascita dell’EUROPA, e dell’ITALIA. La buona-esortazione del BRASILE.

-  EUROPA. PER IL "RISCHIARAMENTO" ("AUFKLARUNG") NECESSARIO...
-  FREUD, KANT, E L’IDEOLOGIA DEL SUPERUOMO. ALLA RADICE DEI SOGNI DELLA TEOLOGIA POLITICA EUROPEA ATEA E DEVOTA. Un breve saggio di Federico La Sala, con prefazione di Riccardo Pozzo.

FLS



Forum