Pianeta Terra. "Pietà per il mondo, venga il nuovo sapere" (Michel Serres: Distacco, 1986)

ITALIA: GIORNO DELLA MEMORIA (LEGGE 211, 20 LUGLIO 2000). LAGER DI WIETZENDORF, 1944. Basilica di S. Ambrogio, Natale 2000: il Presepio degli Internati Militari Italiani. In memoria di Enzo Paci e a onore del Cardinale Martini. Una nota del prof. Federico La Sala

lunedì 8 settembre 2008.
 

di Federico La Sala *

Al di là dell’etica edipica, generale e "cattolica", e dello spirito del capitalismo: cambiamo il paradigma che finora ha governato il mondo...

L’enigma della Sfinge e il segreto della Piramide vuol essere un ’manifesto’ sul coraggio di servirsi della propria intelligenza, oggi - per diventare uomini liberi e donne libere, cittadini sovrani e cittadine sovrane, non imprenditori e imprenditrici, sfruttatori e sfruttatrici, della propria o dell’altrui ’forza-lavoro’. Esso riprende il discorso avviato in La mente accogliente. Tracce per una svolta antropologica (Antonio Pellicani editore, Roma 1991) e in Della Terra, il brillante colore (Edizioni Ripostes, Roma-Salerno 1996) e propone una nuova prospettiva di ricerca e una possibile via di uscita da duemila e più anni di labirinto: una ontologia chiasmatica, segnata da una relazione non più azzoppata e accecata dalla cupidigia del sapere-potere edipico-capitalistico, ma da una relazione illuminata dal sapere-potere dell’amore, umano e politico, di sé, dell’altro e dell’altra.

Al fondo di questo lavoro, come di quelli precedenti, c’è la persuasione che “il campo - tavolo da gioco, la ben rotonda sfera entro e su cui ancora stiamo a giocare” (cfr. Le “regole del gioco” dell’Occidente, in La mente accogliente..., cit., pp. 162-189), sta diventando sempre di più un campo di sterminio, e c’è la volontà di contribuire al crescente e vasto sforzo di ritrovare le ragioni e le radici del nostro stesso esistere e di riaffermare - al di là della necessità e del caso - la libera scelta per l’essere, non per il nulla.

Uscire dai cerchi di filo spinato che delimitano dappertutto il nostro presente storico è la scommessa. Come fecero i militari italiani internati nel lager tedesco di Wietzendorf (cfr. il Presepio del lager - Natale 1944, ricostruito nella Basilica di sant’Ambrogio, nel Natale 2000) e fece Enzo Paci, anch’egli in un lager tedesco [nello stesso: con Paul Ricoeur, Mikel Dufrenne, Giovannino Guareschi e Altri - fls] nel 1944 (cfr. Nicodemo o della nascita, in Della Terra..., cit., pp. 120-125), oggi non possiamo che riaprire la mente e il cuore alle domande fondamentali e cercare di dare a noi stessi e a noi stesse le risposte giuste: Come nascono i bambini? Come nascono le bambine? Qual è il principio di tutti gli esseri umani? Come si diventa esseri umani? Come io sono diventato Io? Cosa significa che io sono il figlio, la figlia, dell’UNiOne di due esseri umani?... Essi avevano cominciato a capire l’enigma antropologico dell’Egitto dei Faraoni, delle loro Piramidi e delle loro Sfingi, e il ’segreto’ di Betlemme, del presepio di Greccio (1223) e di Francesco e Chiara di Assisi.

Presepe Wietzendorf - 25.6 Kb

Presepe Wietzendorf

Sull’orlo dell’abisso, non ci resta che venir fuori dallo stato (cartesiano-hegeliano) di sonnambulismo: seguire il filo del corpo (l’ombelico!), riacchiappare il senso della vita, e riattivare la memoria delle origini. Con Kant, con Feuerbach, con Marx, con Nietzsche, con Freud, con Rosenzweig, con Buber, e con Kafka ... si tratta di capire il significato della “spada” impugnata dalla “Statua della Libertà”, ritrovare “la fotografia dei genitori” (cfr. America) e riconciliarci con lo spirito di quei due esseri umani, di quei due io, che hanno fatto UNO e dato il via alla più grande rivoluzione culturale mai verificatasi sulla Terra - la nascita di noi stessi e di noi stesse e dell’intero genere umano - e riprendere il nostro cammino di esseri liberi e sovrani, figli della Terra e dello Spirito di D(ue)IO. Camminare eretti, senza zoppicare e con gli occhi aperti, è possibile. Non è un’utopia. (Milano, 20.01.2001 d.C.).

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* Cfr. Federico La Sala, L’enigma della Sfinge e il segreto della Piramide. Considerazioni attuali sulla fine della preistoria, in forma di lettera aperta (a Primo Moroni, a Karol Wojtyla, e p. c., a Nelson Mandela), Edizioni Ripostes, Roma-Salerno 2001, pp. 7-8.


Sul tema, in rete, si cfr.:

-   HUSSERL CONTRO L’HOMUNCULUS: LA ’LEZIONE’ DI ENZO PACI AI METAFISICI VISIONARI (ATEI E DEVOTI) DI IERI (E DI OGGI). Una ’traccia’ dal "Diario fenomenologico")

-  VIVA L’ITALIA!!! LA QUESTIONE "CATTOLICA" E LO SPIRITO DEI NOSTRI PADRI E E DELLE NOSTRE MADRI COSTITUENTI. Per un ri-orientamento antropologico e teologico-politico.



SARTRE. Atto unico contro i dominatori

di CLAUDIO TOGNONATO (Il manifesto, 21.04.2004)

Natale del 1940 siamo nel campo di concentramento di Treviri dove Jean-Paul Sartre è rinchiuso dopo la sua cattura a Padoux, Lorena, nel nordest della Francia. Inviato al fronte, la guerra è stata per Sartre una lunga attesa che finirà senza nemmeno sparare un colpo. Sarà fatto prigioniero il 21 giugno 1940, proprio il giorno del suo compleanno, e dopo qualche mese verrà trasferito in Germania, ma riuscirà a evadere nove mesi dopo con un falso certificato medico che fa riferimento alla cecità a un occhio, accompagnato da un contraffatto documento d’identità in cui si fa passare per civile.

Dai campi di concentramento nazisti non si evade facilmente, ma il giovane Sartre, che non si limita a essere soltanto un teorico della libertà, riesce a fuggire. La fuga però, era in realtà cominciata durante la stessa prigionia dove si dedica interamente a leggere, scrivere e preparare opere come L’Essere e il Nulla o la trilogia I cammini della libertà. Organizza un seminario su Heidegger, scrive il suo diario (I taccuini della strana guerra), mantiene una copiosa corrispondenza con Simone de Beauvoir alla quale scrive: «se la guerra continuasse a questo ritmo lento e cullante, credo che al momento della pace avrei scritto tre romanzi e dodici opere filosofiche».

Questo periodo di forzata «chiusura» si rivelerà, infatti, fondamentale per permettere quella offensiva esistenzialista che furono gli anni Quaranta e Cinquanta.

Una articolata macchina filosofica, politica e letteraria preparata, confesserà più tardi, «per fornire una ideologia al dopoguerra». È qui, nella baracca «degli intellettuali» e a richiesta di due preti prigionieri divenuti amici, dove Sartre accetta di scrivere e rappresentare una pièce di teatro, Bariona o il figlio del tuono (Christian Marinotti Edizioni, pp. 117, ? 14,50) che solo ora vede la sua prima edizione italiana.

Bariona, un atto unico in sette quadri, è ambientato all’epoca della dominazione romana sulla Giudea. Nel campo di concentramento nazista di Treviri, ai margini della stessa città che diede i natali, nel 1818, a Karl Marx, Sartre sceglie di schierarsi dalla parte degli oppressi, dalla parte degli ebrei. Bariona è il capo di un povero villaggio di montagna che per opporsi e protestare contro l’innalzamento delle tasse decide una sorta di malthusiano «sciopero della natalità»: non si faranno più figli, non ci sarà più nessuno per pagare le tasse, il paese scomparirà e gli esattori romani resteranno a mani vuote.

Bariona sa che non può contrastare gli oppressori, sa che la ribellione di un piccolo paese sarebbe stata soffocata nel sangue e propone allora la lenta estinzione come forma estrema di lotta. Anche quando scopre che sua moglie è incinta Bariona non esita e cerca di convincerla che generare la vita è perpetuare la sofferenza umana. Ma ecco che a un gruppo di pastori appare un angelo che annuncia che a Betlemme è nato il Messia.

L’intero paese, prima fedele al suo capo, ora gli si rivolta contro. Bariona, il figlio del tuono, rifiuta di recarsi a Betlemme e proclama la libertà dell’uomo davanti a Dio: «Quand’anche l’Eterno mi avesse mostrato il suo volto tra le nuvole io rifiuterei ugualmente di sentirlo poiché sono libero, e contro un uomo libero, Dio stesso non può nulla».

A questo punto entrano in scena i Re Magi in viaggio verso Betlemme e Baldassarre (impersonato nella recita dallo stesso Sartre) si rivolge a Bariona in un lungo monologo per dirgli: «Tu soffri e pertanto il tuo dovere è di sperare (...) l’uomo è sempre molto di più di quello che è. Vedi questo uomo, tutto appesantito dalla sua carne, radicato sul luogo dai suoi due grandi piedi e tu dici, stendendo la mano per toccarlo: è là. E ciò non è vero: ovunque sia, un uomo, Bariona, è sempre altrove».

Tutto il villaggio decide di mettersi in viaggio per Betlemme tranne Bariona, che partirà solo in un secondo momento e per una scorciatoia con l’idea di uccidere il Messia. Arrivato a Betlemme di nuovo si troverà di fronte Baldassarre-Sartre che in un altro monologo (tutto sartiano) lo convincerà del contrario. Baldassarre dirà che la sofferenza è umana, ma non bisogna ruminarla né rassegnarsi, conviene piuttosto «accettarla come se vi fosse dovuta ed è sconveniente parlarne troppo, foss’anche con sé stessi» (...) «tu non sei la tua sofferenza. Qualunque cosa tu faccia la superi infinitamente, poiché è proprio ciò che tu vuoi che essa sia.»

La sofferenza non è più rassegnazione, ma l’accettazione della propria contingenza. Bariona si sentirà allora libero e responsabile della sua scelta. Marcerà contro i soldati di Erode, cercherà di rallentare il massacro di neonati per permettere la fuga di Gesù e morirà prima di vedere nascere suo figlio in un finale dove si coniugano la lotta contro l’oppressore e l’accettazione della vita.

Perché questo lavoro teatrale è rimasto in un secondo piano, non solo in Italia, ma in tutto il mondo? perché non è stata inserito a pieno titolo nel teatro di situazioni? perché la prima pièce di teatro scritta da Sartre è diventata l’ultima?

La risposta a queste domande va forse ricercata nel carattere anomalo e perfino discordante di questa che costituisce un’avant première nel contesto della vastissima opera sartriana. Una prima risposta si trova nella lettera che precede il testo, datata 31 ottobre 1962, in cui Sartre precisa: «Se ho preso il mio soggetto nella mitologia del Cristianesimo, ciò non significa che la direzione del mio pensiero sia cambiata, fu un momento, durante la cattività. Si trattava semplicemente, d’accordo con i preti prigionieri, di trovare un soggetto che potesse realizzare, in quella sera di Natale, l’unione più vasta di cristiani e di non credenti».

Questa avvertenza indica in modo esplicito una chiara presa di distanza dal testo. Si dovrà aspettare fino al 1962 perché Sartre autorizzi l’edizione di Bariona limitata di cinquecento copie fuori commercio e destinate in gran parte ai suoi compagni di prigionia; poi ce ne sarà una seconda, nel 1967, anch’essa fuori commercio. La prima pubblicazione «regolare» è riportata in appendice, a pagina 565 de Les écrits de Sartre, cronologie, bibliographie commentée (1970) di Michel Contat e Michel Ribalka.

Nella nostra (sempre più) cattolica Italia la pièce è stata prontamente recensita dal Corriere della Sera e da Famiglia Cristiana - con titoli quali «Sartre, l’ateo che decise di inchinarsi a Gesù» o «L’ateo che scoprì la Speranza» -, leggendo in questo libro ciò che più volte Sartre stesso ha esplicitamente negato. «A vedermi scrivere un mistero, alcuni avranno potuto vedere che attraversassi una crisi spirituale. No! Un medesimo rifiuto del nazismo mi legava ai preti prigionieri nel campo.» Questo è il movente che lo porta a scrivere una pièce su «un soggetto della mitologia cristiana» come dirà con evidente distacco negli anni Sessanta.

Contat e Ribalka annotano che Sartre non ha mai avuto un’opinione molto alta della sua pièce, la considerava un lavoro non riuscito, scritto in pochi giorni e in circostanze molto particolari: «la pièce non era né buona né ben rappresentata: un lavoro di dilettanti, direbbero i critici, e non è stato altro che il prodotto delle circostanze».

Sono proprio le «circostanze» che portano Sartre a scrivere Bariona, dalla quale ne ricaverà un’interessante esperienza per il futuro: «attraverso le luci mi sono rivolto ai miei compagni per parlare della loro situazione di prigionieri, li ho visti all’improvviso attenti e silenziosi e mi sono reso conto di ciò che era il teatro: un grande fenomeno collettivo, religioso.»

Questa prima esperienza lascerà il segno e pochi anni dopo diventerà autore di teatro. Prima ancora di L’Essere e il nulla (1943), scriverà Le Mosche (1943), e in seguito una lunga serie di pièces: Porte chiuse (1945), Morti senza sepoltura (1946), La sgualdrina timorata (1946), Il gioco è fatto (1947), Le mani sporche (1948), L’ingranaggio (1946), Il diavolo e il buon Dio (1948), Kean (1954), Nekrassov (1956), I sequestrati d’Altona (1960). Sartre confesserà (Le Parole) che il suo motto fu sempre «mai un giorno senza una riga» e il lungo elenco delle sue opere ne è una testimonianza.

E’ noto come Sartre sia sempre stato molto critico con se stesso e i suoi lavori. La scarsa considerazione riservata a Bariona ne è una prova, forse eccessiva. Se quel testo fosse stato scritto nella serenità del suo appartamento parigino sarebbe stato sicuramente diverso, più rifinito e più libero, ma il bisogno, urgente e prevalente, di consegnare un messaggio di libertà ai suoi compagni di prigionia ha prevalso sulla forma e la cura del testo.

Nell’introduzione italiana alla pièce Antonio Delogu indica un punto fondamentale che lega la stesura di Bariona all’insieme dell’opera sartriana, l’impegno. Impegno inteso dal filosofo francese «come una missione da vivere con la stessa onestà con cui un cristiano viveva la propria vocazione». Due diverse vocazioni, due impegni fusi nella lotta


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