Eco-nomia

LIBERTA’, FELICITA’ ... ED ECONOMIA (1967) - di John Kenneth Galbraith - selezione a cura del reverendo riverito venerabile e non venale san Federico La Sala

lunedì 1 maggio 2006.
 

LA LIBERTA’, LA FELICITA’ ... E ANCHE L’ECONOMIA (1967)

Alcuni brani "storici" del’economista recentemente scomparso, su grandi temi della vita, straordinariamente anticipatori. The Atlantic Monthly, giugno 1967. Titolo originale: Liberty, Happiness... and the Economy - Scelto e tradotto per eddyburg_Mall da Fabrizio Bottini

Tra la fine del secolo scorso e primi decenni di questo, nessun soggetto è stato tanto discusso quanto il futuro del capitalismo. Economisti, uomini di competenze non precisate, filosofi della politica, ecclesiastici acculturati, anche George Bernard Shaw, tutti hanno dato il contributo della propria personale rivelazione. Tutti concordavano sul fatto che il sistema economico era in uno stato di sviluppo, e che nel tempo si sarebbe trasformato in qualcosa di sperabilmente migliore, certamente differente ...

Il prossimo passo sarà un riconoscimento generale delle convergenze dei due moderni sistemi industriali, anche se essi sono etichettati in modo diverso, come socialismo o capitalismo. E dobbiamo anche presumere che questa sia una buona cosa. Col tempo, risolverà il problema dell’inevitabile conflitto sulla base di differenze inconciliabili ...

Le due domande che sorgono più di frequente su un sistema economico sono se serva i bisogni materiali dell’uomo, e se si concilia con la sua libertà e felicità generali. Ci sono pochi dubbi, sulla capacità del moderno sistema industriale di fornire l’uomo di beni ...

La prospettiva della libertà è di gran lunga più interessante. Si è sempre immaginato, soprattutto da parte dei conservatori, che collegare tutta, o in gran parte, l’attività economica allo stato, significhi mettere in pericolo la libertà ...

Ma il problema non è la libertà dell’uomo d’affari. Si può considerare regola generale il fatto che chi parla di più della libertà usa meno quella che ha. L’uomo d’affari che la considera di più è un disciplinato uomo d’apparato. Il generale in pensione che ora tiene conferenze sulla minaccia dell’irregimentazione comunista era invariabilmente una pedina che subordinava la propria esistenza ai regolamenti militari. Il Segretario di Stato che parla con più sentimento del mondo libero è quello che più ammira il conformismo del proprio pensiero.

Il pericolo maggiore è la subordinazione del pensiero alle necessità del moderno sistema industriale. Come ci convince dei prodotti che compriamo, o come ci persuade sulle politiche necessarie alla sua evoluzione, nello stesso modo ci adatta ai suoi valori e obiettivi. Questi consistono nel fatto che la tecnologia va sempre bene, che la crescita economica è sempre buona, che le imprese devono sempre espandersi, che il consumo di beni è la principale fonte di felicità, che la pigrizia è perversa, che niente deve interferire alla priorità che accordiamo alla tecnica, alla crescita, all’incremento dei consumi.

Se continuiamo a credere che gli scopi del moderno sistema industriale e le politiche pubbliche che lo servono vanno di pari passo con la nostra vita in tutti i suoi aspetti, allora le nostre esistenze saranno al servizio di questi obiettivi. Ciò che è coerente a questi fini l’avremo o ci sarà consentito; tutto il resto sarà proibito. I nostri desideri saranno gestiti secondo i bisogni del sistema industriale; lo stato nelle sue politiche civili e militari sarà pesantemente influenzato dai bisogni dell’industria; l’istruzione verrà adattata a bisogni simili; il tipo di disciplina richiesto dal sistema industriale sarà la morale corrente della comunità. Tutti gli altri scopi saranno presentati come un lusso, o poco importanti, o antisociali. Saremo tutti mentalmente servi del sistema industriale. Potrà anche essere la servitù benevola di chi cura la casa e a cui viene insegnato ad amare il padrone e la padrona, a credere che i loro interessi siano anche i suoi. Ma non si tratt a esattamente di libertà.

D’altra parte, se il sistema industriale è visto solo come una porzione, e facendoci noi sempre più ricchi una porzione che diminuisce, della nostra vita, c’è molto meno da preoccuparsi. Saranno gli obiettivi estetici ad avere il posto d’onore; chi li perseguirà non sarà soggetto agli scopi del sistema industriale; lo stesso sistema industriale sarà subordinato ai fini più alti della vita. La preparazione intellettuale sarà fine a sé stessa, e non mero servizio al sistema industriale. Gli uomini non saranno più intrappolati nella convinzione che oltre la produzione di beni e reddito attraverso metodi sempre più avanzati non c’è altro, nella vita ...

C’è il bisogno di subordinare l’economia ai fini dell’estetica per sacrificare l’efficienza, inclusa quella dell’organizzazione, alla bellezza. Né si devono dire sciocchezze sulla bellezza che, nel lungo termine, paga. Non deve pagare ... É attraverso lo stato che la società deve affermare la superiorità dei fini dell’estetica su quelli dell’economia, e in particolare dell’ambiente sui costi. É allo stato che dobbiamo guardare per la libertà di scelta individuale su come impegnarci; per un equilibrio fra la formazione umanistica e l’addestramento tecnico che serve principalmente il sistema industriale; e deve essere lo stato ad eliminare l’immagine di una politica internazionale che sostiene la tecnologia al prezzo di pericoli inaccettabili. Se lo stato deve servire questi fini, il modo scientifico e dell’istruzione, e la più ampia comunità intellettuale, devono essere consapevoli del proprio potere, dell’occasione che si presenta, e usarlo. Non c’è nessun altro.

di John Kenneth Galbraith (http://eddyburg.it, 02.05.2006)


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