Il declino di una nazione: Diario del saccheggio argentino
di Pasquale Colizzi*
Certe volte serve una prospettiva storica per riuscire a capire, accorgersi di quanto marcio stava scorrendo sotto i piedi e se ne aveva solo un vago sentore. Per l’Argentina del grande cineasta Fernando Solanas nemmeno questa è servita a molto. Nel ’68 fece uscire L’ora dei forni, un’opera militante complessa e articolata, un "film-saggio" come lo definì lui stesso. Per oggetto la sua patria, i programmi neocolonialisti delle multinazionali, la violenza rivoluzionaria liberatoria e un omaggio al Che morto nei giorni delle riprese. Poi l’autore nel ’73 intervenne, in questa opera aperta, per inserire una finestra su Peròn e su quella che doveva sembrare una nuova stagione per l’Argentina. Che non si realizzò. La corruzione politica e le sue bugie e il saccheggio delle risorse nazionali da parte di banche e gruppi stranieri stava continuando.
Menem e la tv
Dopo l’esilio in Europa e opere più nostalgiche, il regista sudamericano è tornato a raccontare il suo paese senza lo schermo di una storia di fiction. L’Argentina ha vissuto cinquant’anni di situazioni sempre più difficili, disperate, inconcepibili. Diario del saccheggio, presentato a Berlino nel 2004 (e una seconda parte, Argentina latente, ancora in lavorazione) è un resoconto-denuncia-saggio divulgativo di folgorante chiarezza. Dalla dittatura del generale Vileda alla rivolta popolare del 2001, passando per De La Rua e Menem, racconta le trame occulte (ma poi quanto?) della "mafiocrazia", l’alleanza tra potere politico, forze sindacali, giudici corrotti, banche straniere, multinazionali e istituti finanziari internazionali che ha portato alla privatizzazione forsennata, alla svendita delle imprese, al tracollo economico e alla fame di un paese che era definito "il granaio del mondo". Un crimine contro l’umanità in tempo di pace, ha detto Solanas.
Come è potuto accadere? Continue promesse politiche disattese e sporche connivenze con i potentati economici stranieri. Che hanno speculato sulla "invenzione" del debito pubblico (oggi per metà è in mano a banche straniere) e al momento buono si sono dichiarate insolvibibili. Requisendo i risparmi di milioni di argentini. Mentre multinazionali e aziende estere - complice il Menem grande festaiolo e intrattanitore del popolo - hanno acquistato a 1/10 del prezzo i gioielli statali. Le francesi Vivendi e Suez l’acqua (lasciando 800mila persone a secco), l’Iberia ha rilevato la compagnia aerea di bandiera, ha scaricato i debiti sullo stato argentino, poi l’ha svenduta. E ancora le ferrovie, privatizzate, oggi non funzionano più: da 36 a 8mila kilometri di rete, crollo occupazionale sempre a carico dello stato. Infine il fiore all’occhiello, il petrolio della Y.P.F. Mentre Messico e Venezuela nazionalizzavano le risorse di idrocarburi, Menem ha regalato un patriomonio nazionale alla Repsoil che, per un canone di 25 anni, paga quanto l’azienda riusciva a ricavare in 9 mesi di attività.
Genocidio sociale, ripete la voce narrante di Solanas, perpetrato sulle spalle degli argentini che ogni anno in 35mila morivano di fame mentre la disoccupazione diventava dirompente e le tariffe le più alte del mondo. Una realtà capovolta, incoraggiata però dalla Banca Mondiale e dal Fondo monetario internazionale e gestita da Menem, per ultimo, che alla vigilia del suo ritiro fece approvare una riforma costituzionale che dava enormi poteri al capo dello stato. Ma il documento non è pessimista. Lo dimostrano le immagini del dicembre 2001, la rivolta popolare fatta di disperata violenza (e decine di morti) ma anche di coperchi battuti a tempo, di voglia di pulizia, di equità, di giustizia. Una inchiesta giudiziaria ha sfiorato molti e assolto tutti. Solanas vuole essere ottimista: è possibile riprendersi alcune aziende statali, mettere al centro della politica i bisogni primari degli argentini, correggere la politica di privatizzazioni e liberismo forsennato che ha causato una devastazione sociale senza precedenti. Del resto il doc di Avi Lewis e Naomi Klein, The take, dimostrava che anche l’autogestione era una risposta allo Stato predatore e latitante. Adesso si spera di voltare pagina con il presidente Néstor Kirchner. L’auspicio è che nella prospettiva storica, ancora una volta, non accada che sia il popolo a pagare il prezzo più alto.
* www.unita.it, 23.06.06
NOTE AL FILM (Fernando Solanas, 2004)
La tragedia che noi argentini abbiamo vissuto con la caduta del governo del presidente Fernando De La Rua mi ha spinto a tornare alle origini, quando la ricerca di una identità politica e cinematografica e la resistenza alla dittatura militare mi convinsero, negli anni Sessanta, a realizzare L’ora dei forni (1968).
Ora, la situazione è cambiata. In peggio.
Come è possibile che nel “granaio del mondo” si soffra la fame?
L’Argentina è stata devastata da una nuova forma di aggressione, silenziosa e sistematica, che ha lasciato sul campo più vittime di quelle provocate dalla dittatura militare e dalla guerra delle Malvine.
Nel nome della globalizzazione e del più selvaggio liberismo, le ricette economiche degli organismi finanziari internazionali hanno portato al genocidio sociale e al depauperamento della nazione.
Il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, assieme ai loro mandanti, sono stati i principali complici dei governi di Carlos Menem e di De La Rua.
Nel tentativo di accaparrarsi le straordinarie ricchezze dell’Argentina, hanno imposto piani neorazzisti che sopprimevano i più elementari diritti sociali, condannando milioni di persone alla denutrizione, ad una vecchiaia prematura, a infermità incurabili.
Si è trattato di un crimine contro l’umanità in tempo di pace.
Ancora una volta, la realtà mi ha obbligato a ricontestualizzare le immagini per comporre un affresco vivo su ciò che abbiamo subìto negli ultimi trent’anni: dalla dittatura del generale Videla alla rivolta popolare del dicembre 2001.
Ho iniziato lavorando ad una struttura tematica che, vista l’ampiezza dell’argomento, consta di due grandi parti. La prima Diario del saccheggio, affronta la crisi argentina e i suoi responsabili; la seconda, le vittime della devastazione, i milioni di poveri e di disoccupati e i modi da questi utilizzati per affrontare la crisi.
Non ho ancora terminato questo secondo canto, intitolato Argentina latente. Racconta storie molto forti, di uomini e donne che hanno resistito con solidarietà e speranza. Ogni capitolo è dedicato ad un personaggio - protagonista che narra la sua personale lotta per la sopravvivenza.
Per molti mesi, in fase di montaggio, ho lavorato alla progressione drammaturgica di Diario del saccheggio, dividendolo in capitoli. Desideravo che la narrazione risultasse cristallina, che lo spettatore potesse ricostruire la storia a suo piacimento, come se si trattasse di un puzzle. Cercavo inoltre di riprendere la ricerca del film - saggio, storico e ideologico, iniziata ai tempi de L’ora dei forni.
Il film colpisce non solo per la sua carica emotiva ma anche perché narra storie vere: le trame segrete della mafiocrazia argentina e l’alleanza spuria tra le corporazioni politico - sindacali, il potere giudiziario, le banche, le multinazionali e gli istituti finanziari internazionali.
E’ una vicenda universale che non tocca solo l’Argentina. Il pubblico vuole comprendere ciò che accade nel mondo contemporaneo e, proprio per questo, il film funge da “acceleratore” delle questioni. E’ una sorta di lotta della memoria contro l’oblio. La globalizzazione, infatti, impone la banalizzazione dell’informazione, disperde, confonde, crea pericolose zone di amnesia collettiva.
L’opera ha una decisa vocazione pedagogica. Credo sia la sua forza. E’ concepita come un viaggio, una deambulazione attraverso l’allucinante realtà argentina. La macchina da presa si muove in maniera oggettiva, cercando di descrivere gli astratti scenari del potere: banche, corridoi, saloni, la Casa Rosada, il Congresso... Sebbene si narrino fatti noti, il materiale d’archivio e il montaggio sembrano svelare una storia sconosciuta ai più.
Questa volta ho raccontato un periodo storico di cui sono stato uno dei protagonisti. Nel 1989, per primo, ho denunciato il tradimento del presidente Menem nei confronti dell’elettorato argentino e gli atti aberranti commessi in nome delle privatizzazioni. E nel 1991, per aver divulgato le mie idee, ho anche subìto un attentato.
Memoria del saccheggio è il mio personale contributo al dibattito internazionale attualmente in corso, certo come sono che “un altro mondo è possibile” di fronte ad una globalizzazione sempre più disumana e disumanizzante.
Fernando Solanas (2004)
www.fandango.it