Quanti errori, sua santità
La risposta dei leader religiosi musulmani al discorso di Ratisbona
da Agenzia ADISTA n 76 del 28-10-2006 *
DOC-1785. AMMAN-ADISTA. Apprezzamento, sì, per la lotta di Benedetto XVI contro materialismo e positivismo, ma soprattutto dissenso e critiche, seppure espressi in uno spirito di "buona volontà" e di collaborazione, nei confronti delle tante semplificazioni - quando non proprio errori - operate dal papa nel contestatissimo discorso di Ratisbona sul rapporto tra ragione e fede (v. Adista n./06). È questo il contenuto di una lettera aperta al papa firmata da 38 tra i massimi esponenti dell’islam mondiale, fatta pervenire a Ratzinger tramite la nunziatura di Amman, in Giordania, e poi pubblicata integralmente dalla rivista Islamica Magazine (www.islamicamagazine.com). Una mossa assolutamente inedita, questa, nella storia dei rapporti tra le religioni, frutto di un’iniziativa condivisa dalle otto scuole di pensiero e di giurisprudenza islamiche. Tra i firmatari vi sono il gran muftì d’Egitto, l’ex vicepresidente della Mauritania, oltre ai gran muftì di Russia, Bosnia, Croazia, Kosovo, Slovenia, Istanbul, Uzbekistan e Oman, all’ayatollah Muhammad Ali Tashkiri dell’Iran e a svariati studiosi (anche dell’Occidente) tra cui una donna.
Con parole pacate ma ferme, i firmatari della lunga lettera si soffermano sui punti che sono stati dal papa semplificati o travisati, come la data a cui risalirebbe la sura 2,256 del Corano ("Nessuna costrizione nelle cose di fede"); il concetto di assoluta trascendenza di Dio, che farebbe di Allah un Dio "capriccioso" estraneo alle categorie umane; il rapporto tra fede e ragione; il significato reale del termine jihad; la conversione forzata, che, al contrario, è considerata dall’islam un’iniziativa umana sgradita a Dio; il "nuovo" "cattivo e disumano" portato da Maometto, secondo l’imperatore bizantino menzionato dal papa, quando Maometto affermava invece di non portare nulla di nuovo; la citazione di "esperti" che gli studiosi islamici non riconoscono come tali.
La lettera aperta deve aver creato qualche imbarazzo in Vaticano, visto che L’Osservatore Romano non ha dedicato una riga al documento e il quotidiano dei vescovi italiani Avvenire, il 15 ottobre scorso, ha pubblicato un articolo che mette soltanto in luce le parole di apprezzamento espresse dai firmatari nei confronti del papa omettendo completamente la ben più consistente ed articolata parte critica. Di seguito il testo integrale della lettera, in una nostra traduzione dall’inglese. (ludovica eugenio)
LETTERA APERTA A SUA SANTITÀ PAPA BENEDETTO XVI
Nel nome di Dio il compassionevole, il misericordioso, dialogate con belle maniere con la gente della Scrittura... (Il Sacro Corano, al-Ankabut, 29,46)
Sua Santità,
riguardo alla sua conferenza all’Università di Ratisbona in Germania il 12 settembre 2006, riteniamo opportuno, in uno spirito di aperto scambio, fare alcune considerazioni sul Suo utilizzo di un dibattito tra l’imperatore Manuele II Paleologo e un "dotto persiano" come punto di partenza per un discorso sul rapporto tra ragione e fede. Mentre plaudiamo ai Suoi sforzi di contrastare il dominio del positivismo e del materialismo nella vita umana, dobbiamo rilevare alcuni errori nel modo in cui Lei ha citato l’islam come contrappunto all’uso corretto della ragione, così come nelle affermazioni a supporto dei Suoi argomenti.
Nessuna costrizione nelle cose di fede
Lei ha affermato che, "secondo gli esperti", il versetto che inizia con "nessuna costrizione nelle cose di fede" (al-Baqarah 2, 256) risale al primo periodo, quando il Profeta "era ancora senza potere e minacciato", ma questo è sbagliato. Infatti questo versetto notoriamente appartiene al pe-riodo della rivelazione coranica corrispondente all’ascesa politica e militare della giovane comunità musulmana. Nessuna costrizione nelle cose di fede non era un comando ai musulmani affinché rimanessero saldi di fronte al desiderio dei loro oppressori di obbligarli a rinunciare alla loro fede, ma era un invito ai musulmani stessi, una volta raggiunto il potere, a non forzare il cuore di alcuno affinché credesse. Nessuna costrizione nelle cose di fede si rivolge a coloro che si trovano in una posizione di potere, non di debolezza.
I primi commenti al Corano (come quello di Al-Tabari) spiegano che alcuni musulmani di Medina volevano obbligare i figli a convertirsi dal giudaismo o dal cristianesimo all’islam, e questo versetto era proprio diretto a loro, affinché non cercassero di forzare i loro figli a convertirsi al-l’islam. Inoltre, i musulmani sono guidati anche da versetti come: "La verità proviene dal vostro Signore: creda chi vuole e chi vuole neghi" (al-Kahf 18,29); e "O miscredenti! Io non adoro quel che voi adorate e voi non siete adoratori di quel che io adoro. Io non sono adoratore di quel che voi avete adorato e voi non siete adoratori di quel che io adoro: a voi la vostra religione, a me la mia" (al-Kafirum 109, 1-6).
La trascendenza di Dio
Lei afferma anche che "per la dottrina musulmana, Dio è assolutamente trascendente", una semplificazione che può essere fuoviante. Il Corano afferma "Niente è simile a Lui" (al-Shura 42,11) ma afferma anche "Egli è la luce dei cieli e della terra" (al-Nur 24,35) e "Siamo più vicini a lui della sua vena giugulare" (Qaf 50,16) e "Egli è il Primo, l’Ultimo, il Palese e l’Occulto" (al-Hadid 57,3) e "Egli è con voi ovunque voi siate" (al-Hadid 57,4) e "Ovunque vi volgiate, ivi è il Volto di Allah" (al-Baqarah, 2, 115). Inoltre, ricordiamo il detto del profeta, che afferma che Dio dice "E quando Io lo amerò (il credente), Io sarò le orecchie attraverso cui ascolterà, gli occhi attraverso cui vedrà, le mani attraverso cui afferrerà, e i piedi attraverso cui camminerà". (Sahih al-Bukhari, n. 6502, Kitab al-Riqaq).
Nella tradizione spirituale, teologica e filosofica islamica, il pensatore da Lei citato, Ibn Hazm (morto nel 1069) è una figura di valore ma molto marginale, appartenente alla scuola di giurisprudenza Zahiri che oggi non è seguita da nessuno nel mondo islamico. Se si guarda alle formulazioni classiche della dottrina della trascendenza, molto più importanti per i musulmani sono figure come al-Ghazali (morto nel 1111) e molti altri, molto più influenti e rappresentativi della fede islamica di quanto lo sia Ibn Hazm.
Lei afferma che, poiché l’imperatore è "cresciuto nella filosofia greca", l’idea che "Dio non si compiace del sangue" è "evidente" per lui, per il quale l’insegnamento musulmano sulla trascendenza di Dio viene avanzato come contro-esempio. Affermare che per i musulmani "La volontà di Dio non è legata a nessuna delle nostre categorie" costituisce allo stesso modo una semplificazione che può portare ad un fraintendimento. Dio ha molti nomi nell’islam, tra cui il Misericordioso, il Giusto, Colui che vede, Colui che ascolta, il Sapiente, Colui che ama e l’Amabile.
La loro convinzione profonda nell’unicità di Dio e nel fatto che "Niente è simile a Lui" (al-Ikhlas 112,4) non ha portato i musulmani a negare l’attribuzione da parte di Dio di queste categorie a se stesso e ad (alcune delle) sue creature (lasciamo da parte per ora la questione delle "categorie", termine che richiede un approfondimento in questo contesto). Dal momento che questo riguarda la Sua Volontà, concludere che i musulmani credono in un Dio capriccioso che potrebbe o non potrebbe ordinarci di compiere il male significa dimenticare che Dio nel Corano dice che "in verità Allah ha ordinato la giustizia e la benevolenza e la generosità nei confronti dei parenti. Ha proibito la dissolutezza, ciò che è riprovevole e la ribellione.
Egli vi ammonisce affinché ve ne ricordiate" (al-Nahl, 16,90). Allo stesso modo, significa dimenticare che Dio nel Corano afferma "Egli si è imposto la misericordia" (al- An’am, 6,12; cfr. anche 6,54) e anche "la Mia misericordia abbraccia ogni cosa" (al-A’raf, 7,156). La parola utilizzata per "misericordia", rahmah, può essere tradotta anche come amore, gentilezza e compassione. Da rahmah deriva la formula sacra che i musulmani ripetono ogni giorno, "Nel nome di Dio, il misericordioso, il compassionevole". Non è evidente che il versare sangue innocente va contro la misericordia e la compassione?
L’uso della ragione
La tradizione islamica è ricca nella sua esplorazione della natura dell’intelligenza umana e della sua relazione con la Natura di Dio e la sua volontà, e comprende la questione di cosa sia evidente e cosa no.
Tuttavia, la dicotomia tra "ragione" da una parte e "fede" dall’altra non esiste esattamente nella stessa forma nel pensiero islamico. I musulmani hanno affrontato piuttosto il potere e i limiti dell’intelli-genza umana a modo loro, riconoscendo una gerarchia di conoscenza della quale la ragione è parte determinante.
Vi sono due estremi che la tradizione intellettuale islamica è riuscita in generale ad evitare: uno è quello di fare della capacità analitica l’arbitro ultimo della verità, e l’altro è di negare il potere della comprensione umana nell’affrontare le questioni ultime. Cosa ancora più importante, nelle loro forme maggioritarie e mature le riflessioni intellettuali dei musulmani nel corso della storia hanno conservato una consonanza tra le verità della rivelazione coranica e le esigenze dell’intelligenza umana, senza sacrificare le une alle altre.
Dio dice: "Mostreremo loro i Nostri segni nell’universo e nelle loro stesse persone, finché non sia loro chiaro che questa è la Verità" (Fussilat, 41,53). La ragione stessa è uno tra i molti segni in noi che Dio ci invita a contemplare, e con cui contemplare, come via per conoscere la verità.
Che cos’è la "Guerra Santa"?
Vorremmo rilevare che "guerra santa" è un termine che non esiste nelle lingue islamiche. Jihad, e questo va sottolineato, significa lotta, e in particolare lotta sulla strada verso Dio. Questa lotta può assumere varie forme, tra cui l’uso della forza. Anche se la jihad può essere sacra nel senso di essere finalizzata ad un ideale sacro, non è necessariamente una "guerra".
Inoltre, è da notare che Manuele II Paleologo afferma che la "violenza" va contro la natura di Dio, quando invece Cristo stesso ha usato la violenza contro i cambiavalute nel tempio, e ha detto "Non pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra; io non sono venuto a portare la pace, ma la spada..." (Mt 10, 34-36). Quando Dio ha fatto annegare il faraone, andava contro la sua natura? Forse l’imperatore intendeva dire che crudeltà, brutalità e aggressione sono contro la volontà di Dio, nel qual caso la legge classica e tradizionale della Jihad nell’islam gli darebbe pienamente ragione.
Lei dice che "naturalmente, l’imperatore conosceva anche le disposizioni, sviluppate successivamente e fissate nel Corano, circa la guerra santa". Tuttavia, come abbiamo rilevato sopra riguardo al "Nessuna costrizione nelle cose di fede", le suddette istruzioni non erano affatto più tarde. Inoltre, le affermazioni dell’imperatore sulla conversione violenta mostrano che egli non sapeva che cosa fossero e che cosa fossero sempre state quelle istruzioni.
Le norme autorevoli e tradizionali islamiche sulla guerra possono essere sintetizzate come segue:
1. I civili non possono essere bersagli consentiti o legittimi. Da allora questo principio è stato sottolineato esplicitamente più volte dal profeta, dai suoi compagni, e dalla tradizione erudita.
2. La fede religiosa da sola non può rendere nessuno oggetto di attacco. La comunità originaria musulmana combatteva contro i pagani che li avevano espulsi dalle loro case, li avevano perseguitati, torturati e uccisi. Perciò, le conquiste islamiche erano di natura politica.
3. I musulmani possono e devono vivere pacificamente con i loro vicini. "Se inclinano alla pace, inclina anche tu ad essa e riponi la tua fiducia in Allah" (al-Anfal, 8,61). Tuttavia, ciò non esclude la legittima difesa e la conservazione della sovranità.
I musulmani si impegnano ad osservare queste regole come si impegnano a non commettere furti e adulterio. Se una religione regolamenta la guerra e descrive le circostanze in cui essa è necessaria e giusta, questo non fa di essa una religione bellica, così come le norme che regolano la sessualità non rendono la religione lasciva. Se qualcuno ha trascurato una tradizione lunga e consolidata a favore di sogni utopici in cui il fine giustifica i mezzi, lo ha fatto di propria volontà e senza il sigillo di Dio, del Suo Profeta o della tradizione erudita.
Dio dice nel Sacro Corano: "Non vi spinga all’iniquità l’odio per un certo popolo. Siate equi: l’equità è consona alla devozione" (al-Ma’idah, 5,8). In questo contesto dobbiamo affermare che l’assassinio del 17 settembre di una innocente suora cattolica in Somalia, ed altri similari atti di violenza individuale arbitraria, "in reazione" alla Sua conferenza all’Università di Ratisbona, sono del tutto non-islamici e li condanniamo totalmente.
Conversione forzata
L’idea che i musulmani abbiano l’ordine di diffondere la loro fede "con la spada" o che l’islam in realtà sia stato diffuso ampiamente "con la spada" non è confermata da un esame attento. È vero però che l’islam, come entità politica, si è diffuso in parte in seguito alla conquista, ma la gran parte della sua espansione è venuta dalla predicazione e dall’atti-vità missionaria. L’insegnamento islamico non prescriveva che le popolazioni conquistate fossero forzate o costrette alla conversione.
Molte delle prime zone conquistate dai musulmani, al contrario, sono rimaste per lo più non musulmane per secoli. Se i musulmani avessero voluto convertire tutti con la forza, nel mondo islamico non sarebbe rimasta in piedi una chiesa o una sinagoga. Il comando Nessuna costrizione nelle cose della fede ha oggi lo stesso significato di allora. Il semplice fatto che una persona non sia islamica non ha mai costituito un casus belli nella legge o nella fede islamica.
Come nel caso delle regole della guerra, la storia mostra come alcuni musulmani hanno violato i principi islamici riguardo alla conversione forzata e il modo di trattare le altre comunità religiose, ma la storia mostra anche che si tratta dell’eccezione che conferma la regola. Siamo assolutamente d’accordo sul fatto che obbligare gli altri a credere - se ciò fosse davvero possibile - non è gradito a Dio e che a Dio non è gradito il sangue. Invece, noi crediamo e i musulmani hanno sempre creduto, che "chiunque uccida un uomo che non abbia ucciso a sua volta o che non abbia sparso la corruzione sulla terra, sarà come se avesse ucciso l’umani-tà intera" (al-Ma’idah, 5,32).
Qualcosa di nuovo?
Lei cita l’affermazione dell’imperatore secondo cui ciò che il Profeta ha portato "di nuovo" erano "cose cattive e disumane, come la sua presunta direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava". Ciò che l’imperatore non riusciva a capire - a parte il fatto (come detto sopra) che un comando del genere non è mai esistito nell’islam - è che il Profeta non aveva mai detto di portare qualcosa di fondamentalmente nuovo.
Dio afferma nel Sacro Corano: "Non ti sarà detto altro che quel che fu detto ai messaggeri che ti precedettero" (Fussilat, 41,43) e "Non costituisco un’innovazione rispetto agli inviati né conosco quel che avverrà a me e a voi. Non faccio che seguire quello che mi è stato rivelato. Non sono che un ammonitore esplicito" (al-Ahqaf, 46,9). Quindi la fede nell’unico Dio non è proprietà di una sola comunità religiosa. Secondo il credo islamico, tutti i veri profeti hanno predicato la stessa verità a popoli diversi in tempi diversi. Le leggi possono cambiare, ma la verità è permanente.
"Gli Esperti"
Ad un certo punto, Lei fa un riferimento non meglio specificato a degli "esperti" (sull’islam) e poi cita due studiosi cattolici, il professor (Adel) Theodore Khoury e il (professore associato) Roger Arnaldez.
Qui è sufficiente dire che mentre molti musulmani ritengono che vi siano ottimi non musulmani e cattolici che possono veramente essere considerati "esperti" sull’islam, i musulmani non hanno, per quanto ne sappiamo, dato la loro approvazione agli "esperti" che Lei menziona, né li hanno riconosciuti come rappresentanti delle loro opinioni.
Il 25 settembre 2006 Lei ha reiterato la sua importante dichiarazione resa a Colonia il 20 agosto 2005 secondo cui "il dialogo interreligioso e interculturale fra cristiani e musulmani non può ridursi a una scelta del momento. Si tratta effettivamente di una necessità vitale, da cui dipende in gran parte il nostro futuro". Pur concordando pienamente con Lei, ci sembra che buona parte dell’obiettivo del dialogo interreligioso consista nello sforzarsi di ascoltare e di considerare le voci autentiche di coloro con cui dialoghiamo e non soltanto quelle della nostra stessa convinzione.
Cristianesimo e islam
Il cristianesimo e l’islam sono la prima e la seconda religione al mondo e nella storia per numero di aderenti. È noto che cristiani e musulmani rappresentano rispettivamente più di un terzo e più di un quinto dell’umanità. Insieme raccolgono più del 55% della popolazione mondiale, rendendo la relazione tra loro il fattore più importante che contribuisce ad una pace significativa nel mondo. Come leader di più di un miliardo di cattolici ed esempio morale per molti altri, la Sua è certamente la voce individuale più influente nel continuare a condurre questa relazione verso una reciproca comprensione.
Condividiamo il Suo desiderio di un dialogo franco e sincero, e riconosciamo la Sua importanza in un mondo sempre più interconnesso. Su questo dialogo franco e sincero speriamo di continuare a costruire relazioni pacifiche e amichevoli, basate sul reciproco rispetto, la giustizia e i punti comuni essenziali nella nostra comune tradizione abramitica, in particolare "i due massimi comandamenti" di Mc 12, 29-31 (e, in altra forma, in Mt 22, 37-40): "Il Signore Dio nostro è l’unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c’è altro comandamento più importante di questi".
I musulmani quindi apprezzano le seguenti parole del Concilio Vaticano II: "La Chiesa guarda anche con stima i musulmani che adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini. Essi cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anche nascosti, come vi si è sottomesso anche Abramo, a cui la fede islamica volentieri si riferisce. Benché essi non riconoscano Gesù come Dio, lo venerano tuttavia come profeta; onorano la sua madre vergine, Maria, e talvolta pure la invocano con devozione. Inoltre attendono il giorno del giudizio, quando Dio retribuirà tutti gli uomini risuscitati. Così pure hanno in stima la vita morale e rendono culto a Dio, soprattutto con la preghiera, le elemosine e il digiuno" (Nostra Aetate).
E allo stesso modo le parole del compianto Giovanni Paolo II, per il quale molti musulmani avevano un grande riguardo e molta stima: "Con gioia noi cristiani riconosciamo i valori religiosi che abbiamo in comune con l’islam. Vorrei oggi riprendere quello che alcuni anni fa dissi ai giovani musulmani a Casablanca: ‘Noi crediamo nello stesso Dio, l’unico Dio, il Dio vivente, il Dio che crea i mondi e porta le sue creature alla loro perfezione’" (Insegnamenti, VIII/2 [1985], p. 497, citato durante un’udienza generale il 5/5/99).
I musulmani hanno anche apprezzato la Sua personale inedita espressione di dispiacere, e la sua chiarificazione e assicurazione (il 17/9) del fatto che la sua citazione non rifletteva la Sua personale opinione, così come la conferma da parte del segretario di Stato card. Tarcisio Bertone (il 16/9) del documento conciliare Nostra Aetate. Infine, i musulmani hanno apprezzato che (il 25/9) di fronte ad un folto gruppo di ambasciatori di Paesi musulmani, Lei abbia espresso "totale e profondo rispetto per tutti i musulmani". Speriamo che noi tutti eviteremo gli errori del passato e vivremo insieme nel futuro in pace, reciproca accettazione e rispetto.
E ogni lode appartiene a Dio, e non vi è potere né forza se non per mezzo di Dio.
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www.ildialogo.org, Martedì, 24 ottobre 2006
Firmata al termine dell’incontro
La dichiarazione conclusiva del primo seminario del forum cattolico-musulmano
Pubblichiamo in una nostra traduzione italiana il testo della dichiarazione comune firmata a conclusione dell’incontro del forum cattolico-musulmano. *
Il forum cattolico-musulmano è stato creato dal Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso e da una Delegazione dei 138 firmatari musulmani della Lettera aperta intitolata Una Parola Comune, alla luce di tale documento e della risposta di Sua Santità Benedetto XVI tramite il suo segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone.
Il suo primo seminario si è svolto a Roma dal 4 al 6 novembre 2008. Sono intervenuti 24 partecipanti e cinque consiglieri di ciascuna delle due religioni. Il tema del seminario è stato "Amore di Dio, amore del prossimo". Il dibattito, condotto in un caldo spirito conviviale, si è concentrato su due grandi temi: "fondamenti teologici e spirituali", "dignità umana e rispetto reciproco".
Sono emersi punti di similitudine e di diversità che riflettono lo specifico genio distintivo delle due religioni.
1. Per i cristiani la fonte e l’esempio dell’amore di Dio e del prossimo è l’amore di Dio per suo Padre, per l’umanità e per ogni persona. "Dio è amore" (1 Giovanni, 4, 16) e "Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna" (Giovanni, 3, 16). L’amore di Dio è posto nel cuore dell’uomo per mezzo dello Spirito Santo. È Dio che per primo ci ama permettendoci in tal modo di amarlo a nostra volta. L’amore non danneggia il prossimo nostro, piuttosto cerca di fare all’altro ciò che vorremmo fosse fatto a noi (cfr. 1 Corinzi, 13, 4-17). L’amore è il fondamento e la somma di tutti i comandamenti (cfr. Galati, 5, 14). L’amore del prossimo non si può separare dall’amore di Dio, perché è un’espressione del nostro amore verso Dio. Questo è il nuovo comandamento "che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati" (Giovanni, 15, 12). Radicato nell’amore sacrificale di Cristo, l’amore cristiano perdona e non esclude alcuno. Quindi include anche i propri nemici. Non dovrebbero essere solo parole, ma fatti (cfr. 1 Giovanni, 4, 18). Questo è il segno della sua autenticità.
Per i musulmani, come esposto nella lettera Una Parola Comune, l’amore è una forza trascendente e imperitura, che guida e trasforma il rispetto umano reciproco. Questo amore, come indicato dal Santo e amato profeta Maometto, precede l’amore umano per il Dio uno e trino. Un hadit mostra che la compassione amorevole di Dio per l’umanità è persino più grande di quella di una madre per il proprio figlio (Muslim, Bab al-Tawba: 21). Quindi esiste prima e indipendentemente dalla risposta umana dell’unico che è "amorevole". Questo amore e questa compassione sono così immensi che Dio è intervenuto per guidare e salvare l’umanità in modo perfetto, molte volte e in molti luoghi, inviando profeti e scritture. L’ultimo di questi libri, il Corano, ritrae un mondo di segni, un cosmo meraviglioso di maestria divina, che suscita il nostro amore e la nostra devozione assoluti affinché "coloro che credono hanno per Allah un amore ben più grande" (2: 165) e "in verità il Compassionevole concederà il suo amore a coloro che credono e compiono il bene" (19: 96). In un hadit leggiamo che "Nessuno di voi ha fede finquando non ama il suo prossimo come ama se stesso" (Bukhari, Bab al-Iman: 13).
2. La vita umana è un dono preziosissimo di Dio a ogni persona, dovrebbe essere quindi preservata e onorata in tutte le sue fasi.
3. La dignità umana deriva dal fatto che ogni persona è creata da un Dio amorevole per amore, le sono stati offerti i doni della ragione e del libero arbitrio e, quindi, le è stato permesso di amare Dio e gli altri. Sulla solida base di questi principi la persona esige il rispetto della sua dignità originaria e della sua vocazione umana. Quindi ha diritto al pieno riconoscimento della propria identità e della propria libertà di individuo, comunità e governo, con il sostegno della legislazione civile che garantisce pari diritti e piena cittadinanza.
4. Affermiamo che la creazione dell’umanità da parte di Dio presenta due grandi aspetti: la persona umana maschio e femmina e ci impegniamo insieme a garantire che la dignità e il rispetto umani vengano estesi sia agli uomini sia alle donne su una base paritaria.
5. L’amore autentico del prossimo implica il rispetto della persona e delle sue scelte in questioni di coscienza e di religione. Esso include il diritto di individui e comunità a praticare la propria religione in privato e in pubblico.
6. Le minoranze religiose hanno il diritto di essere rispettate nelle proprie convinzioni e pratiche religiose. Hanno anche diritto ai propri luoghi di culto e le loro figure e i loro simboli fondanti che considerano sacri non dovrebbero subire alcuna forma di scherno o di irrisione.
7. In quanto credenti cattolici e musulmani siamo consapevoli degli inviti e dell’imperativo a testimoniare la dimensione trascendente della vita attraverso una spiritualità alimentata dalla preghiera, in un mondo che sta diventando sempre più secolarizzato e materialistico.
8. Affermiamo che nessuna religione né i suoi seguaci dovrebbero essere esclusi dalla società. Ognuno dovrebbe poter rendere il suo contributo indispensabile al bene della società, in particolare nel servizio ai più bisognosi.
9. Riconosciamo che la creazione di Dio nella sua pluralità di culture, civiltà, lingue e popoli è una fonte di ricchezza e quindi non dovrebbe mai divenire causa di tensione e di conflitto.
10. Siamo convinti del fatto che cattolici e musulmani hanno il dovere di offrire ai propri fedeli una sana educazione nei valori morali, religiosi, civili e umani e di promuovere una attenta informazione sulla religione dell’altro.
11. Professiamo che cattolici e musulmani sono chiamati a essere strumenti di amore e di armonia tra i credenti e per tutta l’umanità, rinunciando a qualsiasi oppressione, violenza aggressiva e atti terroristici, in particolare quelli perpetrati in nome della religione, e a sostenere il principio di giustizia per tutti.
12. Esortiamo i credenti a operare per un sistema finanziario etico in cui i meccanismi normativi prendano in considerazione la situazione dei poveri e degli svantaggiati, siano essi individui o nazioni indebitate. Esortiamo i privilegiati del mondo a considerare la piaga di quanti sono colpiti più gravemente dall’attuale crisi nella produzione e nella distribuzione alimentare, e chiediamo ai credenti di tutte le denominazioni e a tutte le persone di buona volontà di cooperare per alleviare la sofferenza di chi ha fame e di eliminare le cause di quest’ultima.
13. I giovani sono il futuro delle comunità religiose e delle società in generale. Vivranno sempre di più in società multiculturali e multireligiose. È essenziale che siano ben formati nelle proprie tradizioni religiose e ben informati sulle altre culture e religioni.
14. Abbiamo concordato di prendere in considerazione la possibilità di creare un Comitato cattolico-musulmano permanente, che coordini le risposte ai conflitti e ad altre situazioni di emergenza, e di organizzare un secondo seminario in un Paese a maggioranza musulmana ancora da definire.
15. Attendiamo dunque il secondo seminario del Forum cattolico-musulmano che si svolgerà entro due anni, in un Paese a maggioranza musulmana ancora da definire.
Tutti i partecipanti sono stati grati a Dio per il dono di questo tempo trascorso insieme e per questo scambio proficuo. Alla fine del seminario, Sua Santità Papa Benedetto XVI e, dopo gli interventi del professor Seyyed Hossein Nasr e del Grand Mufti Mustafa Ceric, ha parlato al gruppo. Tutti i presenti hanno espresso soddisfazione per i risultati del seminario e la loro aspettativa di un dialogo più proficuo.
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Benedetto XVI riceve i partecipanti al primo forum cattolico-musulmano "Persecuzioni ingiustificabili, ancora più se portate avanti in nome di Dio"
Il Papa all’Islam: "Superiamo pregiudizi e fraintendimenti"
A fine udienza Ratzinger ha stretto la mano a Tariq Ramadan *
CITTÀ DEL VATICANO - "Uniamo i nostri sforzi per superare tutti i fraintendimenti e i disaccordi. Risolviamoci a superare i pregiudizi passati e correggere le immagini spesso distorte degli altri che anche oggi creano difficoltà alle nostre relazioni; lavoriamo per educare tutti, specialmente i giovani, a costruire un futuro comune". Questo l’appello di Benedetto XVI nel corso dell’udienza concessa ai partecipanti del Forum cattolico-musulmano che riunisce in Vaticano esperti ed esponenti delle due grandi religioni.
Islamici e cristiani devono "lavorare insieme - ha aggiunto Benedetto XVI - per promuovere rispetto reciproco per la dignità della persona umana e i diritti fondamentali" anche se le reciproche "visioni antropologiche e teologie giustificano questo in modo differente". E ancora: "Solo partendo dal riconoscimento della centralità della persona umana e dalla dignità di ogni essere umano, rispettando e promuovendo la vita possiamo trovare un terreno comune" per un mondo in cui le "differenze siano pacificamente affrontate, e sia neutralizzato il potere devastante delle ideologie".
Quindi papa Ratzinger ha levato ancora una volta la sua voce contro le persecuzioni di matrice religiosa: "I leader politici e religiosi hanno il dovere di assicurare il libero esercizio dei diritti nel pieno rispetto della libertà di ogni individuo e della libertà di coscienza e di religione". Le "persecuzioni" sono "atti inaccettabili e ingiustificabili, ancora più deplorevoli se portati avanti in nome di Dio" ha ribadito il Papa senza citare esplicitamente l’Iraq né altri paesi islamici dove manca la libertà religiosa.
Il seminario è stato promosso dal Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso in seguito alla Lettera al Papa dei 138 intellettuali musulmani, testo che chiuse le polemiche suscitate dalla condanna del fondamentalismo pronunciata da Ratzinger a Ratisbona il 12 settembre 2006. Tra i presenti anche Tariq Ramadan, noto scrittore ed esponente musulmano sostenitore di una integrazione degli immigrati nel Vecchio continente e della nascita di un Islam europeo con connotati propri.
Il Papa, che al termine dell’udienza si è intrattenuto con i partecipanti stringendo la mano anche a Ramadan, ha inoltre auspicato che le varie occasioni di dialogo non siano "limitate a piccoli gruppi di esperti e tecnici, ma passino al servizio di tutti, per portare frutto nella vita di tutti i giorni". Benedetto XVI ha anche affermato che cattolici e islamici, "adorando un unico Dio" devono "mostrare insieme, con il reciproco rispetto e solidarietà, che si considerano membri di una sola famiglia", la famiglia umana creata da Dio. E questo anche se "siamo consapevoli che come musulmani e cristiani abbiamo diversi approcci sugli argomenti riguardanti Dio".
* la Repubblica, 6 novembre 2008
IDEE.
Parla Samir Khalil: a giorni partecipa all’incontro con alcuni esponenti musulmani che firmarono la «lettera dei 138» al Papa
L’alfabeto della convivenza
«Le differenze teologiche non si cancellano, ma dobbiamo lavorare per trovare forme di convivenza efficaci nei Paesi islamici e in Occidente. Nella libertà»
DI GIORGIO PAOLUCCI (Avvenire, 1.11.2008)
Un incontro per conoscersi di più. E per trovare forme di convivenza efficaci tra i seguaci delle due fedi religiose che insieme totalizzano più della metà della popolazione del pianeta. Dal 4 al 6 novembre una delegazione della Chiesa cattolica incontrerà a Roma alcuni tra i firmatari della lettera scritta un anno fa da 138 esponenti musulmani a Benedetto XVI e ai rappresentanti di altre confessioni cristiane. Samir Khalil Samir, gesuita di origini egiziane e con passaporto italiano che vive e insegna all’università di Beirut, uno dei massimi conoscitori di cose islamiche, farà parte della delegazione vaticana.
Padre Samir, il tema principale dell’incontro è «amore di Dio, amore del prossimo». Quali implicazioni pratiche può avere la discussione su un tema così impegnativo?
«L’argomento rappresenta una vera sfida per entrambe le comunità. Mi sembra molto calzante la frase della lettera di San Giacomo: ’A che serve dire che ami Dio che non vedi, se non ami i tuoi fratelli che vedi?’. L’amore non è una teoria, si esprime in atti concreti. Nel dialogo che avremo nei prossimi giorni dovremo affrontare con coraggio le difficoltà che cristiani e musulmani incontrano nel testimoniare che la loro religione si esprime nell’amore».
Invece spesso si usa la religione per giustificare il ricorso alla violenza.
«Oppure si formulano generiche condanne della violenza, ma se ne ammette la liceità quando si pensa di difendere Dio e la verità. Dio si difende con la buona testimonianza della fede, con la ragione e con le parole, non con la sopraffazione. Parlare al cuore dell’altro, dove stanno le esigenze elementari che accomunano ogni uomo, suscitare in lui la parte migliore di sé: ecco il modo migliore per disarmarlo. Il ricorso alla violenza, invece, eccita nell’altro ciò che ha di peggiore, provoca una reazione istintiva, e l’altro risponderà alla violenza con la violenza. E così si innesca una dinamica che non serve a risolvere le ragioni del conflitto ma le rende più acute, allontana i contendenti anziché avvicinarli. Come dimostra tristemente quello che accade da decenni in Medio Oriente».
Una delle piste di lavoro previste negli incontri dei prossimi giorni riguarda la «dignità umana e il rispetto reciproco». Sarà inevitabile affrontare il nodo dei diritti umani e del loro rispetto, non crede?
«L’affermazione della dignità umana, per non restare qualcosa di teorico, implica il rispetto dei diritti umani. Che riguardano, ad esempio, il rapporto tra uomo e donna, tra i fedeli di differenti religioni, tra credenti e non credenti. Alla radice di tutto c’è l’uso corretto della ragione naturale: grazie ad essa l’uomo può operare le sue scelte usando la libertà e facendola prevalere sull’istinto. E la libertà di coscienza è fondamento di tutte le altre libertà, è qualcosa che ’viene prima’».
Ma in molti Paesi islamici chi cambia religione rischia la morte o comunque gravi conseguenze.
«Col mondo musulmano c’è un problema derivante dal fatto che, partendo dal principio che l’islam è la migliore delle tre religioni rivelate e che le religioni rivelate sono migliori di qualunque altra scelta religiosa o filosofica, si afferma che chi ha già conosciuto il meglio non può ’tornare indietro’: farebbe qualcosa che è contro natura. Da qui deriva la condanna di chi vuole abbandonare la fede islamica. È necessario approfondire tutti insieme che la libertà è un dono fatto da Dio all’uomo perché la eserciti, e questo esercizio può arrivare fino al punto di scegliere una strada diversa da quella in cui si è nati, o perfino di rifiutare Dio. Se non avesse la possibilità di scegliere, l’uomo sarebbe un animale. Dunque, se Dio accetta anche di essere rifiutato pur di non privare l’uomo della libertà, come può l’uomo pretendere di togliere a un suo simile l’uso della libertà che ha ricevuto in dono? Sarebbe come sostituirsi a Dio».
C’è chi guarda con un po’ di scetticismo agli incontri di dialogo islamocristiano, temendo che si riducano ad appuntamenti per specialisti che non hanno riverberi concreti nei rapporti tra le due comunità. Che ne pensa?
«Bisogna chiarire preliminarmente che quello che si terrà tra pochi giorni non sarà un ’vertice’ a livello specificamente teologico. Le differenze tra le due fedi sono evidenti e non possono essere cancellate. Il problema che vogliamo affrontare è piuttosto come poter vivere meglio insieme, sia nei Paesi islamici sia in Occidente, dove le comunità musulmane crescono numericamente e si sono radicate. Dobbiamo chiederci come trovare una base comune per costruire insieme una società dove ognuno possa praticare la propria fede nella libertà e nel rispetto dell’altro, e dove l’appartenenza religiosa non diventi un fattore discriminante per essere considerati cittadini a pieno titolo del Paese in cui si vive».
In che misura i 138 saggi musulmani firmatari della lettera-appello al Papa e ad altri leader cristiani sono realmente rappresentativi dell’islam?
«Tra loro ci sono sunniti, sciiti, ismailiti, sufi. Provengono da 43 nazioni. C’è una pluralità di voci, che di per sé è un dato significativo. Ma pretendere che parlino con una sola voce sarebbe come snaturare una delle caratteristiche dell’islam, che è appunto quella di non avere un’autorità unanimemente riconosciuta. Questo non preclude la possibilità di fare un pezzo di cammino insieme e di raggiungere un consenso almeno su alcuni aspetti che verranno messi sul tappeto. L’obiettivo, migliorare le possibilità di convivenza, è troppo importante. Non solo per cristiani e musulmani, ma per l’umanità intera».
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L’INCONTRO
Confronto sull’amore di Dio e del prossimo
Il 4 e 5 novembre una delegazione delle 138 autorità musulmane che il 13 ottobre 2007 avevano inviato al Papa e ai responsabili di altre confessioni cristiane una lettera intitolata ’Una parola comune tra noi e voi’ (capeggiata dal principe di Giordania Ghazi bin Muhammad bin Talal), incontrerà i rappresentanti della Chiesa cattolica guidati dal cardinale Tauran, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso.
Il tema generale è ’Amore di Dio, amore del prossimo’, con due approfondimenti: ’Fondamenti teologici e spirituali’ e ’Dignità umana e rispetto reciproco’. Il 6 novembre i partecipanti saranno ricevuti da Benedetto XVI. Il 19 novembre 2007 il Papa, attraverso il segretario di Stato cardinale Bertone, aveva risposto alla lettera dei 138: senza minimizzare le differenze tra le due fedi, venivano indicati alcuni terreni di confronto: il rispetto della dignità di ogni persona, la conoscenza obiettiva della fede dell’altro, la condivisione dell’esperienza religiosa, la promozione del rispetto e della reciproca accettazione tra le giovani generazioni. Poi era seguito l’invito per l’incontro a Roma.