Santo Padre sul lettino: Freud, ego te absolvo
Nel nuovo film di Moretti un Papa depresso in psicoanalisi
Disciplina eretica. Le gerarchie ecclesiastiche si sentivano defraudate del monopolio sulle anime
Così da Pacelli in poi la Chiesa e la scienza dell’inconscio hanno fatto la pace dopo un conflitto durato mezzo secolo
Montini riconobbe la possibilità di un aiuto psicoanalitico per i sacerdoti in difficoltà
di Fabio Martini (La Stampa, 13.04.2011)
Neppure la brusca ascesa al potere di Adolf Hitler bastò a far cambiare idea a Sigmund Freud: «I nazisti? Non li temo. Piuttosto aiutatemi a combattere la mia grande nemica, la Chiesa cattolica». L’ebreo Freud che sceglie Hitler come male minore esprime una convinzione destinata a incontrare la dura replica della storia, eppure proprio quella «preferenza» forzosa restituisce il senso dello scontro asperrimo che divideva Chiesa cattolica e psicoanalisi. Un conflitto che in Italia sarebbe durato 70 anni e che era stato ingaggiato ai primi del Novecento dalle gerarchie vaticane contro gli psicoanalisti, «colpevoli» - ma nessuno si esprimerà in questi termini - di aver infranto il monopolio cattolico nella confessione e nella introspezione delle anime.
E dunque, anche per effetto di questo storico antagonismo, appare intrigante il plot di Habemus Papam, il film di Nanni Moretti che dopodomani uscirà nei cinema e che racconta la storia di un Papa depresso alla ricerca di sollievo sul lettino di uno psicoanalista.
Eppure, dentro la lunga guerra ideologica della Chiesa contro il freudismo, c’è una interessante storia «interna» - un filone ancora inesplorato dagli studiosi - e che riguarda il personale interesse di singoli Papi per la psicoanalisi. Con interventi pubblici e curiosità intellettuali coltivate in privato, Papi diversissimi tra loro come Pio XII, Giovanni XXIII e Paolo VI - pur mantenendo le distanze - si sono trovati spesso più avanti dell’Istituzione. Aprendo in modo carsico la strada verso una progressiva, non dichiarata revisione ideologica, che già da qualche anno ha sdoganato la psicoanalisi anche in Vaticano.
Disciplina, almeno in Italia, eretica come poche altre. Agli albori, non solo la Chiesa ma tutti i poteri costituiti la avversano. L’idealismo crociano, il fascismo e nel secondo dopoguerra il Pci di influenza sovietica. Tanto è vero che all’inizio degli Anni Trenta i pionieri, non per caso, sono due ebrei - Edoardo Weiss ed Emilio Servadio - e due antifascisti socialisti, Cesare Musatti e Nicola Perrotti.
La Chiesa è diffidentissima perché, da subito, intuisce nella psicoanalisi una pericolosa concorrente. Certo, ne denuncia il «pansessualismo» e il «materialismo», ma di quelle teorie ancora più inquieta la cifra ideologica, l’ambizione «totalitaria», un’attitudine che oltretutto finisce col rubare alla Chiesa il monopolio dell’anima e quell’infinito rosario di segreti personali, fino ad allora custoditi in confessionale. E crolla persino il monopolio sull’attività onirica, rispetto alla quale la Chiesa aveva elaborato, ben prima di Freud, una sua «Interpretazione». I sogni? Attraverso di loro, è il diavolo che vuole catturare l’anima.
E infatti la psicoanalisi, in Italia soffocata sul nascere dal fascismo, nel secondo dopoguerra ritrova subito la durissima ostilità della Chiesa, al punto che nel 1952, sul Bollettino del clero romano, si arriva a qualificare addirittura come «peccato mortale» ogni pratica psicoanalitica. Una scomunica apparentemente senza appello, eppure, proprio in quell’anno - in piena Guerra fredda uno spiraglio viene aperto nientedimenochè da Pio XII. Rigidissimo sul piano dottrinario e politico, papa Pacelli è incuriosito da quel che si muove nel campo della medicina, della scienza, della tecnologia.
Nel suo sforzo di riportare nell’alveo della Chiesa tutto ciò che è moderno, il Papa «positivista», durante il congresso di Istopatologia del sistema nervoso, interviene, sostenendo che «è inesatto sostenere che il metodo pansessuale di una certa scuola di psicoanalisi sia parte indispensabile di ogni psicoterapia degna di tal nome». Parole possibiliste quelle del Papa, che, come farà osservare subito padre Agostino Gemelli, non avevano comportato «nessuna condanna, per alcun sistema».
E qualche anno più tardi, sia pure in forma privata, Giovanni XXIII - secondo la testimonianza dello psicoterapeuta svizzero Durand - si mostrò interessatissimo e commosso da alcuni casi di nevrosi, al punto che un segretario del «Papa buono» avviò studi sulla psicoanalisi per la dottrina matrimoniale.
Eppure, a dispetto di questi spiragli, la cultura prevalente nelle istituzioni ecclesiastiche restava fortemente repressiva. Tanto è vero che nel luglio del 1961 il Sant’Uffizio produce un Monitum, nel quale si arriva a proibire ai sacerdoti di accedere alle cure psicoanalitiche.
E toccherà proprio a un papa, Paolo VI, sciogliere quell’interdetto: nella enciclica Sacerdotalis coelibatus del 1967 riconosce la possibilità di un aiuto psicoanalitico per i sacerdoti in difficoltà, un placet che teoricamente consentirebbe anche a un papa vero, non solo a quello di Moretti, di accomodarsi sul lettino. E sarà proprio papa Montini, sette anni più tardi, a far cadere l’ultimo muro, esprimendo stima «per questa oramai celebre corrente di studi antropologici, la psicoanalisi». Papa che ne comprende la profondità, perché a sua volta attraversato da una grande angoscia, quella che gli farà pronunciare durante i funerali di Aldo Moro un’omelia che allude ad una crisi di coscienza: «Tu, Dio, non hai esaudito la nostra supplica per l’incolumità di Aldo Moro...».
Sul tema, nel sito, si cfr.:
A FREUD (Freiberg, 6 maggio 1856 - Londra, 23 settembre 1939), GLORIA ETERNA!!!
I neonati e il deficit di accudimento
La psicoterapia insegna a capirli
Vissuti Deficit dell’infanzia
di Silvia Vegetti Finzi (Corriere della Sera, 21.05.2011)
N el suo ultimo film, «Habemus Papam» , il regista Nanni Moretti presenta con lieve ironia la figura, interpretata da Margherita Buy (sua moglie e collega nella sceneggiatura), di una psicoanalista nota per rinviare tutti i sintomi nevrotici alla medesima causa. Anche al Pontefice appena eletto, bloccato da un profondo senso di inadeguatezza di fronte a un incarico così impegnativo, diagnostica: «Penso che lei abbia sofferto di un deficit di accudimento primario» .
Rievoca questo episodio la psicoterapeuta Sara Micotti, responsabile scientifico del settore di Psicoterapia familiare del Centro Benedetta d’Intino Onlus di Milano, fondato e diretto da Cristina Mondadori. Sara Micotti si riferisce alle più recenti conoscenze sulle relazioni tra genitori e figli. Poiché gli artisti, come osserva Sigmund Freud, sono capaci di cogliere prima degli altri elementi di verità, quella sindrome, non solo esiste davvero, ma ora la si cura il più presto possibile.
Tra i problemi più diffusi delle coppie di giovani genitori vi è infatti l’impreparazione con cui affrontano l’incontro con il nuovo nato. Cresciuti spesso come figli unici, non hanno mai visto da vicino una creatura di pochi giorni e rimangono sconcertati dall’espressione impenetrabile del volto, dalla fragilità delle piccole membra e dalla incredibile forza delle pulsioni istintuali che le agitano. Eppure quell’esserino li ha uniti, ancor prima di nascere, nell’impresa di diventare padre e madre.
È significativo, in proposito, che l’Ospedale «Buzzi» di Milano, dove ha operato il grande psicoanalista Franco Fornari, abbia introdotto nelle cartelle cliniche dei neonati anche le ecografie del feto, immagini che i futuri genitori hanno visto e commentato con trepidazione. Ora il padre si sente già tale prima del parto, una mutazione antropologica di cui non sappiamo ancora cogliere tutte le conseguenze, ma che sta modificando profondamente le relazioni familiari. Di conseguenza, l’attenzione degli psicoterapeuti infantili, tradizionalmente concentrata sul rapporto tra la madre e il figlio, coinvolge ora anche i papà, altrettanto importanti nel creare il clima emotivo dell’attesa e del lieto evento.
Perché possa accogliere con fiducia il nuovo nato la donna deve sentirsi contenuta dal partner, mentre l’uomo, per fargli spazio nella mente e nel cuore, deve sentirsi riconosciuto da lei come padre. Ma, benché diffusa, la condivisione delle cure materne suscita ancora negli uomini sentimenti di inadeguatezza Per superare il timore di danneggiare un essere fragile e vulnerabile come il neonato hanno bisogno di essere incoraggiati e confermati. Vi è il rischio, altrimenti, che la loro insicurezza si trasmetta ai figli, che cresceranno timorosi di deludere e di sbagliare.
Sino a poco tempo fa lo studio delle relazioni parentali si basava sulle comunicazioni verbali, ma da quando la sonda analitica è scesa sino a intercettare gli scambi che accadono nel periodo perinatale, i mesi che trascorrono prima e dopo il parto, le terapie sono diventate sempre più precoci, brevi e interattive.
La psicoterapeuta infantile non si limita a curare il disagio del bambino ma prende in considerazione la rete di affetti e di pensieri in cui s’inscrive ancor prima di nascere. Sullo stato d’animo con cui i genitori lo accolgono si proiettano le ombre lunghe delle vicende personali, in particolare il modo con cui hanno vissuto l’infanzia ed elaborato i primi, inevitabili traumi.
Talvolta madre e figlio rimangono così coinvolti nella indistinzione originaria che il padre si sente escluso dal loro legame. L’intervento consiste allora nel costruire una geometria della famiglia ove ognuno trovi il suo posto e veda riconosciuta la funzione che gli compete, sempre relativa a quella degli altri. Una volta stabilite le giuste distanze e chiariti gli equivoci, le energie vitali riprendono a scorrere nelle vene delle relazioni familiari.
Le conoscenze acquisite sulle relazioni precoci suggeriscono, oltre ad anticipare l’intervento terapeutico, di prevenire il disagio infantile sostenendo, sin dall’attesa, i genitori in difficoltà. Non si tratta di ammaestrarli ma di sollecitare le loro potenzialità, di sensibilizzarli a cogliere e interpretare anche i segnali non linguistici. La prima mossa, nei confronti del neonato, consiste nel mutare la sua posizione: da oggetto delle proiezioni parentali a soggetto della sua vita, da «parlato» a «parlante» . Considerarlo da subito una persona, non solo ne promuove l’evoluzione, ma aiuta i genitori a crescere con lui, insieme.
Il papa fragile di Nanni Moretti
di Marco Politi (il Fatto Quotidiano, 15 aprile 2011)
Non è una fiction, ma un apologo sul potere, la solitudine, il bisogno (e la mancanza) di affetto. Un film spesso folgorante. Dove Michel Piccoli, che intere generazioni hanno conosciuto come impeccabile e algido seduttore, ora incanta nel ruolo di un pontefice che annaspa in cerca di umanità. Esplorare il labirinto vaticano è un’operazione delicata. Ne vengono fuori in genere polpettoni a grandi tinte o bozzetti edificanti dal tono clerical-nasale. Nanni Moretti nel suo Habemus Papam spariglia le carte, perché non vuole ricreare in cartapesta un presepe ecclesiale, ma pungola gli spettatori a seguire l’avventura di un personaggio, si potrebbe dire di un’anima. Il Papa inadeguato. Il Papa che urla “Non ce la faccio” e si rifiuta di apparire sulla Loggia delle Benedizioni.
Sono gli artisti, i giullari a cogliere spesso il senso delle cose e a gettare in faccia tra lazzi e sberleffi la verità. Quando morì papa Luciani, il vignettista di Le Monde, Plantu, disegnò un’enorme cupola che si abbatteva e schiacciava lo sventurato prete veneto diventato inopinatamente pontefice di Santa Romana Chiesa. Nanni Moretti, nel film che ha pensato come commedia, ma che è diventato molto di più (pur rimanendo godibilissimo), rilancia una sensazione che si è diffusa nella massa dei credenti e diversamente credenti: fare la guida, in nome di Cristo, di oltre un miliardo e cento milioni di cattolici è un macigno quasi impossibile da portare da solo. Lo disse espressamente - alla vigilia dell’ultimo conclave da cui uscì eletto Benedetto XVI - un veterano fra i cardinali, Roger Etchegaray: “Nel mondo globalizzato fare il Papa è diventato un compito sovrumano”.
Non poteva saperlo Moretti, perché mentre lui girava, il pontefice si confidava al giornalista tedesco Peter Seewald. Ma anche Ratzinger prima di affacciarsi alla Loggia ha cacciato un grido silenzioso rivolgendosi a Dio: “Cosa fai di me? Adesso Tu hai la responsabilità. Tu mi devi condurre! Io non ce la faccio. Se Tu mi hai voluto, allora Tu mi devi anche aiutare”. Lo si può leggere nell’ultimo libro-intervista papale “Luce nel mondo”. Una emozionante confessione su quel tema dell’inadeguatezza, che fa da filo conduttore del film. Gli artisti sono precisamente questo: antenne che captano la realtà spesso nascosta nel brusio del quotidiano.
E la realtà è che oggi non basta più sedersi sul trono di Pietro per comandare su un gregge di fedeli. Oggi bisogna convincere. Arrivare alla mente e ai cuori di uomini e donne, magari per essere contestati e discussi, ma arrivare... Non servono esseri sovrumani, c’è sete di esseri umani. Lo aveva già capito Paolo VI, quando sottolineava che l’epoca contemporanea non vuole più maestri (con il ditino alzato, si potrebbe aggiungere), ma si aspetta “testimoni”. Ed è questo - detto tra parentesi - precisamente il dilemma dell’attuale pontificato. Fino a che punto chi parla dalla Basilica vaticana riesce a trasmettere un senso di affettività per entrare in contatto con uomini e donne nel loro difficile cammino esistenziale?
“Ha dei legami affettivi?”, chiede la psicanalista Margherita Buy al papa Piccoli in fuga per le strade di Roma. “No”, risponde candido il neo-pontefice. Aggiungendo ancora più candidamente: “È la mia vita”. Qui Moretti, abituato a curiosare negli angoli della psiche, tocca delicatamente uno dei nodi più drammatici della condizione del prete oggi. La solitudine. Il deserto affettivo, che porta tanto clero all’aridità, all’alcolismo, alla pornografia, ai rapporti selvaggi etero oppure omosessuali, al carrierismo, al consumismo, all’accumulo nascosto di tesoretti economici, al nepotismo sfrenato. Non è un disconoscere i preti validi sulla breccia, è un riconoscere la durezza nascosta della loro situazione.
Non è un caso allora che il co-protagonista occulto della storia di Habemus Papam sia la Donna, che Wojtyla e Ratzinger hanno voluto escludere per sempre dalla sfera del sacro e che -nonostante alati discorsi - si continua a tenere lontana anche dalla sfera decisionale e partecipativa della Chiesa. Sono sempre donne quelle che rivolgono un gesto di tenerezza, di aiuto e di “guarigione” a papa Michel, marchiato da “deficit di accudimento”.
Alla fine Moretti, che interpreta uno psicanalista in Vaticano, riesce a produrre contemporaneamente un’opera ironicamente laica e al fondo cristiana. Non c’è bisogno che un regista si prefigga un messaggio. Anzi, è meglio di no. Ma di suo - “sein, sein”, come gigioneggia quando affabula in tedesco - Moretti ha posto la questione dell’inadeguatezza-umiltà, che tocca la sorte di molte vite quotidiane, ma dovrebbe attrarre anche l’interesse di molte esistenze monsignorili. Egualmente tocca le corde del cattolicesimo profondo l’appello a un mutamento della Chiesa perché diventi capace di trasmettere un’immagine di amore e comprensione.
E fortunatamente il regista non ha fatto l’errore di voler teorizzare un programma e meno che mai di volerlo attribuire al protagonista. Con mano lieve, tra uno svizzero che si ingozza di dolci papali e un cardinale pallavolista, si è limitato a socchiudere la finestra sul desiderio di moltissimi credenti (e, paradossalmente, anche di tanti non credenti). Se don Georg Gaenswein vuole regalare una bella serata a Benedetto XVI, porti nell’appartamento papale un video di Habemus Papam. Ratzinger di solito ama rivedere di sera qualche vecchio Don Camillo e Peppone. Lo intrigherà guardare un pontefice, che si affaccia alla Loggia esclamando: “Ci vogliono cambiamenti, ci vuole una Chiesa che incontri tutti”. E poi si dimette.
oops!
di Mirella Camera
in “a latere...” (http://alatere.myblog.it) del 13 aprile 2011 *
Annunciato con squilli di tromba in tutto il mondo cattolico, Youcat (furbo acronimo di Youth catechism), il mini-catechismo che Benedetto XVI vuole dedicare ai giovani, dopo essere apparso per pochi giorni in libreria è stato ritirato in fretta e furia. Motivo? Un “errore” di traduzione nella versione italiana, che alla domanda 420: "Può una coppia cristiana fare ricorso ai metodi anticoncezionali?" risponde: "Sì, una coppia cristiana può e deve essere responsabile nella sua facoltà di poter donare la vita".
Nella versione originale non si parla di “anticoncezionali” ma di “controllo del numero dei figli”. Detto a latere, questo è il secondo errore di traduzione che mette in imbarazzo la gerarchia: l’altro era relativo, guarda caso, all’uso del condom da parte di “una prostituta” che poi nell’originale dell’intervista al papa si è rivelato essere “un prostituto”. Si vede che la lingua batte dove il dente duole.
Ma andiamo avanti. Questo mostra, ancora una volta, la distanza siderale che c’è tra l’insegnamento dottrinale e la vita reale delle persone.
L’intenzione e la volontà di pianificare il numero di figli è definita dalla Chiesa cattolica nei suoi documenti ufficiali “paternità responsabile”. Ci sarebbe da chiedersi perché non “maternità responsabile”, che sarebbe molto più logico, vista la parte che ha la donna nella faccenda. O, meglio ancora, “genitorialità responsabile” in modo che siano ben chiari i soggetti della decisione. Comunque sia, questa volontà è ritenuta cosa responsabile, quindi buona e giusta.
E’ sui mezzi che scatta una feroce idiosincrasia, come se questi fossero di per sé molto più importanti dell’intenzione stessa. La spirale no, e fin qui possiamo capire: agisce sulle cellule già fecondate, quindi sarebbe una sorta di proto-aborto. Ma la pillola neanche, perché "distorce la natura e gli obiettivi del sesso". E il preservativo, innocuo aggeggio di lattice che ha solo una funzione di barriera meccanica e che più povero di così non potrebbe essere? Nemmeno quello, perché banalizza la sessualità. Anzi, contro il preservativo la Chiesa ha scatenato una vera guerra come se fosse uno strumento del diavolo, visto che lo vieta persino in caso di Aids fra coniugi.
Salvo, a sorpresa, sentirsi dire dal papa stesso che può essere concesso in un rapporto omosessuale a pagamento. Forse perché in quel caso l’intenzione di regolare le nascite proprio non si pone?
Al posto di tutti questi mezzi, normalmente usati con efficacia dai non osservanti, la Chiesa propone solo l’astinenza sessuale, magari guidata dai cosiddetti “metodi naturali”; che in realtà sono metodi molto macchinosi, di gestione a volte irrealizzabile nella vita reale di una famiglia e per nulla sicuri (metodi Billings, Ogino-Knaus, temperatura basale).
Che si tratti di catechismo per i giovani o di quello degli adulti, su questo tema, sulla sessualità in genere e su moltissimi altri argomenti la Chiesa cattolica dovrebbe fare un profondo ripensamento. Di forma ma soprattutto di contenuto. Se ne parla da anni e lo chiedono in molti, non certo eretici o secolarizzati persi. Ma la risposta è sempre un arroccamento nella Dottrina.
Se il papa pensa che presentando un catechismo in formato quiz con una simpatica copertina gialla si venga incontro alle domande dei credenti di nuova generazione, sbaglia di grosso. Sarà infallibile ma sbaglia. Per passare il testimone della fede ai ragazzi non gli si dà in mano una sorta di manuale d’uso, come se dovessero mettere in moto la loro fede alla maniera di un frullatore o di un microonde. Manuale oltretutto vecchio e datato, le cui affermazioni sono desunte da una logica filosofica tramontata da secoli (il tomismo) e che non risponde più alle domande di oggi.
Tra i primi atti di Benedetto XVI c’è stata la consegna del Compendio, un catechismo "leggero" cheevidentemente lui considera strumento imprescindibile per un credente. Ora la replica con i giovani. Ma non sarebbe molto meglio dare il Vangelo?
* Fonte: Fine settimana.org
Sul tema, nel sito, si cfr.:
Youcat, intraducibile catechismo
di Philippe Clanché
in “www.temoignagechretien.fr” del 14 aprile 2011 (traduzione: www.finesettimana.org)
Il libro avrebbe dovuto essere l’oggetto di richiamo degli zainetti dei partecipanti alle prossime GMG di Madrid. Youcat (“Youth Catechism”, catechismo per i giovani) - previsto in 750 000 copie in 15 lingue - è stato battezzato nel dolore mercoledì 13 aprile a Roma.
Il progetto veniva dalla Germania dove dei giovani cattolici hanno redatto un documento che in 520 domande-risposte presentava le grandi linee della fede e delle pratiche cattoliche in una lingua comprensibile alle nuove generazioni. Purtroppo le diverse traduzioni hanno conosciuto sorti funeste, raffreddando alquanto l’entusiasmo generale.
Da alcuni giorni correva voce di un ammorbidimento della dottrina ufficiale sull’uso dei mezzi contraccettivi da parte della coppia. E questo a causa di una frase dell’articolo 420 della versione italiana di Youcat. Vi si legge una risposta positiva alla domanda: “Può una coppia fare ricorso ai metodi anticoncezionali?” Invece nella traduzione inglese si legge: “Una coppia cristiana sposata può controllare il numero dei suoi figli [regulate the number of children they have]”. Una formulazione nettamente più in linea con la norma vaticana, in corso dal 1968 (!) e dall’enciclica Humanae Vitae.
Una sfumatura non da poco. Tanto che i vescovi italiani hanno esitato a sbarazzarsi delle migliaia di copi stampate, per decidere, alla fine, che il libro sarà distribuito con una nota correttiva. Che preciserà che l’espressione “metodi anticoncezionali” deve essere letta come “regolazione delle nascite”.
eutanasia
Sempre nella versione italiana, sarà soppressa nella prossima versione una frase che potrebbe far pensare all’accettazione da parte della Chiesa cattolica dell’“eutanasia passiva”. Il testo originale (tedesco) usa il termine “Sterbehilfe”, letteralmente “aiuto alla morte”, dal significato più ampio del senso normalmente dato a eutanasia.
Ancora ieri, nel corso della conferenza stampa per il lancio del libro presso la sala stampa della Santa Sede, i vescovi italiani non erano i soli a mostrarsi scontenti. I loro colleghi francesi, vittime di una altro grosso errore di trascrizione, hanno preso una decisione più radicale: 30.000 copie dello Youcat francese andranno al macero.
In questo caso non si tratta di regolazione delle nascite, ma di relazioni interreligiose. La semplice dimenticanza di una negazione è stata la causa dello strafalcione. Nel libro si leggeva l’affermazione “riconoscere la libertà religiosa significa riconoscere che tutte le religioni sono uguali”, invece della formulazione corretta “riconoscere la libertà religiosa non significa riconoscere che tutte le religioni sono uguali”.
In un’epoca di lotta ratzingeriana contro il relativismo in materia religiosa e morale, particolarmente tra i giovani, la svista appariva troppo grave. L’apertura al dialogo interreligioso, riaffermata recentemente da Benedetto XVI (1) non permette di mettere tutte le credenze sullo stesso piano. E pazienza per i soldi buttati al vento e per l’umiliazione. Da Roma, Mons. Christophe Dufour, presidente della Commissione episcopale per la catechesi, e padre André Dupleix, vicesegretario generale dell’episcopato, dicono di aver scelto di gettare tutti i libri, con l’accordo degli editori, il trio Bayard/Mame/Cerf. I quali, in tutta fretta, hanno dovuto annullare la conferenza stampa di Parigi.
umorismo
Sempre flemmatico e abituato ad inghiottire i rospi di una comunicazione spesso accidentata, Federico Lombardi, portavoce della Santa Sede, ha reagito con umorismo: “La lingua tedesca è veramente difficile, lo abbiamo constatato a diverse riprese”. Il gesuita si riferiva al libro-intervista del papa Luce del mondo, uscito alla fine del 2010. Si è discusso per giorni per sapere se l’esempio del papa di giustificazione eccezionale dell’uso delpreservativo riguardasse un prostituto (versione originale tedesca) o una prostituta (traduzione italiana). Una polemica che oggi appare assolutamente aneddotica davanti alle disavventure di Youcat.
I difensori dell’istituzione vaticana vedranno in questa faccenda la prova dell’estrema modestia della Chiesa, incapace, per mancanza di mezzi, di gestire perfettamente una pubblicazione poliglotta. Il che è vero. I suoi detrattori ne dedurranno che Roma eviterebbe questo genere di incidenti se accettasse di decentralizzare la realizzazione dei suoi testi ufficiali, dando prova di maggiore fiducia per le Chiese locali. Ma non è il caso di preoccuparsi. Quest’estate, nell’entusiasmo e nel caldo di Madrid, i giovani avranno dimenticato da tempo il parto doloroso di Youcat.
(1) Convoca i rappresentanti di tutte le fedi ad Assisi il 27 ottobre per commemorare i 25 anni dell’incontro storico organizzato da Giovanni Paolo II
(traduzione: www.finesettimana.org)
Il teologo David Berger:
“Papa Benedetto XVI è gay”
Secondo lo studioso “quando si parla tra studiosi in privato, tutti concordano sull’omosessualità di Ratzinger”. Indignati i cattolici
di Emiliana Costa *
“Papa Ratzinger è gay”. La scioccante dichiarazione è di David Berger, il teologo tedesco che nel novembre scorso era salito alla ribalta delle cronache per aver fatto coming out e aver lanciato input pruriginosi sull’omosessualità di molti preti nella chiesa cattolica. A distanza di pochi mesi, Berger è tornato con un pettegolezzo choc sulle inclinazioni sessuali di Benedetto XVI. E lo ha fatto dalle colonne del mensile gay “Fresh”.
Secondo il teologo “quando si parla tra studiosi in privato, tutti concordano sull’omosessualità di Ratzinger. Lui viene da una cultura clericale nella quale il tema dell’amore per persone dello stesso sesso era totalmente tabù. Quello che odia in sé lo proietta sugli altri e lo disprezza”.
Nel suo libro “Una sola illusione: un teologo gay nella Chiesa cattolica”ci sarebbero anche le dichiarazioni della giornalista Valeska von Roques, secondo cui Benedetto XVI durante la sua attività di cardinale avrebbe avuto storie omosessuali con alcune guardie svizzere.
“Il Papa - ha aggiunto Berger - è costantemente preoccupato dell’omosessualità, la prima cosa che ha fatto nel 2005 è stato un documento contro i preti gay, per lui sono pericolosi”. Secondo il teologo, Benedetto XVI avrebbe avuto contatti regolari con cardinali omosessuali.
Mentre sul web, la notizia rimbalza da un portale all’altro, il mondo cattolico si indigna davanti a simili dichiarazioni. Il sito cattolico kath.net sostiene che quella di Berger sia pura diffamazione di un uomo potente come papa Ratzinger. Anzi alcuni sono molto taglienti e ribattono che la tesi di Berger dimostrerebbe come l’omosessualità spenga il cervello.
Kreuz.net definisce Berger una “latrina omosessuale”, in quanto “avrebbe insultato il Papa nello squallido mensile omosessuale descrivendolo come un sodomita”.
* REPORTER: Emiliana Costa, 15 aprile 2011
La vertigine del santo potere tra autocandidature e sofferte accettazioni
di Giancarlo Zizola (la Repubblica, 18 aprile 2011)
Esausto da sei mesi di durissima lotta, durante i quali sono morti quattro cardinali, il conclave del 1740 si accinge ad ascoltare il discorso del Cardinale di Bologna, Prospero Lambertini. «Volete un santo?» dice sobriamente, sotto il Giudizio della Sistina. «Eleggete Gotti. Volete un politico? Eleggete Aldrovandi. Volete un buon uomo? Eleggete me». Al termine dello scrutinio, dopo appena un’ora, il suo nome ricorre in 49 schede su 50 ed egli prende il nome di Benedetto XIV. Col suo stile semplice, ha spazzato via la retorica barocca che associa il trono pontificio al terrore del Sacro, e i giochi diplomatici che mirano a usarlo come un potere tra i poteri. «Anche se tutta la verità è racchiusa nel mio seno», ripete con la discrezione caratteristica dei Grandi «io non ne trovo la chiave».
L’autocandidatura di Lambertini fa eccezione. Lo è rispetto ai candidati rinascimentali che si compravano il soglio a suon di fiorini, mobilitavano gli armigeri del proprio partito e trattavano i voti «apud latrinas», secondo le cronache del conclave del 1458. Ma rompe anche con la mitologia tutta moderna dei candidati che aborrono dalla carica, vanno in crisi quando gli scrutini si orientano a loro favore e soffrono, secondo la vulgata, perché capiscono in quel momento che le loro spalle sono inadeguate alla carica. «Un momento di terrore» così era designato quell’istante, fra terra e cielo, che trapassa ogni volta il gesto cruciale del Cristo di Michelangelo.
Per questo i rituali della gloria che avvolgono l’elezione sono bilanciati dai rituali dell’umiliazione, la cenere sul capo dell ’eletto, lo straccio imbevuto di aceto in cima ad una canna tenuta alta sul suo viso durante l ’incoronazione. Fino alla litania «Sic transit gloria mundi» ripetuta senza posa dal cerimoniere.
Anche questo approccio afflittivo del papato che fa paura, della croce mostruosa su spalle sempre troppo fragili, che solo la grazia divina potrà soccorrere, o la psicanalisi di Nanni Moretti sedare, riflette in fondo lo stereotipo di un papato come proiezione di una potenza che trascende la storia, anche se traduce il senso di un abbandono fiducioso, mistico in alcuni, ai disegni celesti.
È ancora il papa che Gérard Bassière fa scappare dal Vaticano e immagina al volante di un taxi a Parigi, inseguito dalle polizie di mezzo mondo, dai telegrammi del segretario di Stato e dalle preghiere delle monache di tutti i chiostri dell’universo. Oppure il papa di un sogno impossibile, come il Celestino V dell’Avventura di un povero cristiano di Ignazio Silone. Anche l’Asdrubale I di Luca Desiato sogna di farsi rubare la tiara, perdere la reliquia di San Pietro, abitare nell’inferno di una borgata. E quanto al Giovanni XXIV di Guido Morselli è più un amministratore delegato che un pastore, si muove tra Università Gregoriana formato Mit e l’Ippac (Istituto per la promozione della psicanalisi cattolica). Un aperitivo di Habemus papam.
Invece Pier Paolo Pasolini vede uno sbocco negli stessi segni della sconfitta della Chiesa come apparato di potere, quelle crepe danno il via libera ad un processo di rinnovamento dei suoi rapporti col mondo e immagina un papa che vada a sistemarsi coi suoi collaboratori «in qualche scantinato di Tormarancio o del Tuscolano, non lontano dalle catacombe di San Damiano o Santa Priscilla». Al contrario, il papa di Gabriel García Márquez in Autunno del Patriarca ricalca l’icona del fastoso Potente seduto «col suo anello al dito sulla sua poltrona d’oro» in atto di regalare tramite i suoi calzettai privati dodici dozzine di calze di porpora al dittatore sudamericano, al quale però nega alla fine la canonizzazione della madre, scatenando una guerra.
Il cardinale Sarto aveva perfino paura del treno. Considerava le auto arnesi diabolici. «Se lei non accetta l’elezione il Signore potrebbe permettere un incidente ferroviario in cui Vostra Eminenza potrebbe restare vittima insieme a tanti altri. Lei avrebbe davanti a Dio la responsabilità di tante vittime». L’intimidazione del cardinale Satolli, secondo le cronache, ebbe effetto: Sarto alzò le braccia: «Sia fatta la volontà di Dio». Così fu eletto Pio X, che farà vittime d’altro genere nella lotta indiscriminata ai Modernisti.
L’elezione di Benedetto XV fu di stretta misura. La curia che non amava Giacomo Della Chiesa gli inflisse l’umiliazione di sospettarlo di avere votato per se stesso.Si riuscì a identificare la sua scheda e solo allora la manovra del partito curiale fu sconfitta. Della Chiesa aveva votato per un altro. Non meno aspra la battaglia nel conclave di Pio XI. Il cardinale Ratti, una volta eletto, preferì non rispondere alla domanda rituale del decano. Fece conoscere in seguito la sua accettazione e il nome. Quanto a Pacelli, eletto in un conclave fulmineo, la sua risposta fu col salmo. «Miserere mei Deus».
La reazione di Roncalli non appare affatto angosciata. «Eccomi pronto, o Signore, per vivere e morire con te». Votato come papa «di transizione», Giovanni XXIII deciderà con la stessa pace la grande svolta del Concilio Vaticano II nella Chiesa del Novecento. Di qui parte un processo ecclesiale che focalizza l’alternativa tra un papato come funzione o come carisma, tra potere e servizio. Un dilemma che emerge drammaticamente con l’elezione di Albino Luciani, quando fu chiaro che egli la subiva come uno shock, che «non voleva accettare» riferì König, il cardinale di Vienna. «Ma una volta accettato, si rasserenò». Il trauma era tale da togliergli il fiato, la sua voce era appena percettibile quando diceva di volersi chiamare «Giovanni Paolo I». Scrollava di continuo la testa, ricevendo i cardinali in sagrestia: «Dio vi perdoni. Sono un umile papa, un povero papa. Spero che aiuterete questo povero Cristo, il vicario di Cristo, a portare la croce».
Era di nuovo il senso di una fragilità, di una sproporzione umana, forse di una vertigine, ma questa volta forse aveva a che fare con le «lacrime di Pietro», un tema assai vivo nella tradizione ortodossa, che assume i contorni fisici, storici della figura del capo degli apostoli, ardente nella professione di fede nel Cristo ma anche suo traditore.
È il tema della crocifissione di Pietro con i piedi in alto, per simboleggiare un’autorità decapitata dalla potenza e scesa deliberatamente fino a mescolarsi alla terra calpestata dai miseri, come l’ha immortalata Caravaggio a Santa Maria del Popolo.
Per cui le frustrazioni, le crisi ascetiche, le angosce e le psicosi dei papabili potrebbero coprire forse i lettini psicanalitici di Moretti e essere registrati in attivo nei pallottolieri del Regno dei Cieli, ma finché un papa non decide di uscire dal pigro alibi della «riforma spirituale» della Chiesa e fare le riforme strutturali della sua carica assolutista, finché non si dà esito all’ipotesi di cambiamento della monarchia pontificia, con la sua curia, come aveva chiesto il Vaticano II e proposto lo stesso Wojtyla nell’enciclica Ut unum sint, il servizio petrino resterà malservito dal sistema storico incrostato sui suoi fianchi. Esso lo riveste di mantelli così pesanti da renderlo insostenibile per un uomo solo, per quanto soggettivamente dotato. E il papa se non viene assistito da un consiglio permanente rappresentativo dei vescovi dei vari continenti si trova troppo solo per svolgere la sua missione di governo, esposto alle pressioni della burocrazia centrale e isolato dal movimento della storia e dalla sua stessa Chiesa.