[...] [...] Si può giustificare - scrive Navarro-Valls - moralmente la guerra e, dalla stessa posizione etica, avere un programma di tutela della vita oppure sostenere la stabilità della famiglia? Penso che questo sia il vero grande quesito da risolvere [...] Non è un caso che il giurista tedesco Kelsen abbia affermato che "il senso più profondo della democrazia è che ciascuno voglia la libertà non soltanto per sé ma anche per gli altri". E ciò è possibile solo all’interno di un ethos in cui tutte le persone e, soprattutto, tutti gli aspetti della vita trovino il loro posto in un sistema coerente [...] Cercare la prospettiva del bene di tutti e del tutto si rivela, alla fine, sempre un percorso difficile, ma anche l’unico valido veramente [...]
Kissinger consiglia Ratzinger. E Navarro-Valls ‘scende in campo’ ... a favore di Tettamanzi?!!
Una nota
di Federico La Sala
Nel 4° Convegno Ecclesiale Nazionale di Verona (16-20 0ttobre 2006), il cardinale Tettamanzi, alla fine della sua Prolusione, ha dato la parola non a sant’Ignazio di Loyola (e ai ‘soldati’ della Compagnia di Gesù) ma a un vescovo martire dei primi tempi (69 ca. - ben prima del confine costantiniano stabilito da Papa Ratzinger) della Chiesa, sant’Ignazio di Antiochia, e ha invitato tutti e tutte ad ascoltare e a ricordare:
“Quelli che fanno professione di appartenere a Cristo si riconosceranno dalle loro opere. Ora non si tratta di fare una professione di fede a parole, ma di perseverare nella pratica della fede fino alla fine. E’ meglio essere cristiano senza dirlo, che proclamarlo senza esserlo (Lettera agli Efesini)”.
Il richiamo è suonato come un rimprovero e un monito solenne - quasi come un “Verrà un giorno...” (forse) di manzoniana memoria.
Oggi, 06.11.2006, su “la Repubblica” (pp. 1/20), è apparso uno ‘strano’ intervento, dal titolo “L’America e l’ethos asimmetrico. La doppia morale del paese”, firmato da Joaquin Navarro-Valls*. A leggerlo, benché si parli degli Stati Uniti d’America (e dell’Europa - ma non della politica della stessa Chiesa: “Kissinger consiglia Ratzinger”, La Stampa del 04/11.2006) la mente è tornata stranamente e immediatamente indietro, a pochi giorni fa, a Verona!!!
Il tema e il problema dell’articolo, infatti, è proprio quello della “coerenza”:
“ [...] Si può giustificare - scrive Navarro-Valls - moralmente la guerra e, dalla stessa posizione etica, avere un programma di tutela della vita oppure sostenere la stabilità della famiglia? Penso che questo sia il vero grande quesito da risolvere [...] Non è un caso che il giurista tedesco Kelsen abbia affermato che "il senso più profondo della democrazia è che ciascuno voglia la libertà non soltanto per sé ma anche per gli altri". E ciò è possibile solo all’interno di un ethos in cui tutte le persone e, soprattutto, tutti gli aspetti della vita trovino il loro posto in un sistema coerente [...] Cercare la prospettiva del bene di tutti e del tutto si rivela, alla fine, sempre un percorso difficile, ma anche l’unico valido veramente, proprio perché, come sosteneva Pieper, il tutto non è mai soltanto la somma delle parti.”!!!
Cosa si cerca di dire in e con questo ‘messaggio’, e che vuol dire questo invito a essere “coerente” - e a Chi è rivolto?! A tutti e a tutte, e a tutte le Istituzioni, compresa la gerarchia della stessa Chiesa cattolica?! Certo è che, come l’America, e la stessa Chiesa cattolico-romana, “L’Europa stessa si trova divisa da analoghe questioni di coerenza”.
Che cosa si cerca di dire a se stessi e al prossimo, che cosa si cerca di comunicare dentro e fuori le mura del Vaticano?! Che forse, da qui e in avanti - da oggi in poi, il ‘papa vero’ e la ‘vera guida’ della Chiesa cattolico-romana è il cardinale Dionigi Tettamanzi?!!
Molto bene, ne prendiamo atto ... e, coerentementente, cercheremo di non “zoppicare” più (accogliendo il ‘vecchio’ invito di Elia e di Sigmund Freud) e, soprattutto, di non parlare né con la “lingua bi-forcuta”, né di seguire la “doppia morale” e la “doppia verità”. Così sia! W O ITALY !!!
Federico la Sala
P.S. Come giustamente è stato detto: Se anche parlerò le lingue degli uomini e degli angeli, e non avrò l’Amore (Agape - Charitas), sarò simile ad echeggiante bronzo.... cfr., sul sito, la nota sul RETTIFICARE I NOMI, e la nota sul RIPARTIRE DAL "PRESEPE" ; e, infine, la nota sulla politica occidentale da sacro romano impero
Federico La Sala
*
Il conflitto tra i valori morali della nazione e il consenso pubblico alla guerra in Iraq
L’America e l’ethos asimmetrico, la doppia morale del paese
di JOAQUIN NAVARRO-VALLS (la Repubblica, 06.11.2006, pp. 1/20)
Nello scontro elettorale per le elezioni americane di mezzo termine, la strategia dei Repubblicani è stata quella di muovere accuse di carattere etico ai candidati antagonisti, denunciando atteggiamenti personali e modi di vita ritenuti in contrasto con il sentire profondo del popolo americano. Anche l’imbarazzo suscitato da Kerry per la sua uscita ironica sulla guerra ha evidenziato questo contrasto di valori presente nella società americana: da un lato, i valori militari di difesa della libertà e, dall’altro, gli altri valori irrinunciabili dell’ethos nazionale. L’argomento centrale della campagna è stato, come era ovvio immaginarsi, il giudizio sulla guerra in Iraq. Dopo un primo periodo di grande condivisione della politica di Bush, in seguito all’11 settembre, il consenso dell’opinione pubblica è andato progressivamente calando.
L’opinione pubblica americana, soprattutto negli ultimi mesi, si è formata un giudizio complessivamente negativo della politica tenuta dal Governo. Praticamente, ormai, quasi più nessuno è pronto a negare che si tratti di una vera e propria catastrofe. Si discute semmai sulle modalità con cui pensare ai tempi per un disimpegno definitivo.
Ma è chiaro che parlare della guerra in Iraq come "catastrophic failure" non è un giudizio etico sulla guerra stessa, bensì una valutazione geopolitica o semplicemente militare. E proprio questo pone una domanda inevitabile, e senza risposta sul piano puramente tattico: è davvero possibile separare totalmente il giudizio su questi accadimenti dai presupposti di un ethos in altri campi continuamente invocato?
Il fatto sconcertante è che un repubblicano forse riconoscerebbe volentieri la sconfitta etica che viene ottenuta attraverso la relativizzazione della famiglia o l’uso di cellule staminali embrionali per la ricerca, mentre non sarebbe facilmente pronto a riconoscere l’aspetto etico insito nella decisione di iniziare questa guerra e nelle azioni laceranti che questa guerra continua a occasionare. Anzi, forse, per alcuni "teo-con" appoggiare la guerra è un fatto in sé etico che sta su un piano molto superiore rispetto alla difesa dell’ambiente o alla costruzione di scuole nel Terzo Mondo.
Il problema centrale è che la questione della pace non può essere considerata un tema secondario dal punto di vista dei valori. Non è possibile ritenere che vi siano istanze etiche che giustifichino interventi militari che producono morte e distruzione di vite umane tranne che in circostanze molto precise contenute nello stesso ethos. Queste circostanze non concorrevano nel momento di decidere l’inizio di quella guerra e il divenire del conflitto lo ha posto ulteriormente in chiara evidenza. La pace è il fondamento e il fine a cui deve tendere una politica autenticamente attenta al diritto. E non può essere sacrificata a altre regole o interessi.
Anche un giurista classico come Grozio, che ha riflettuto a fondo sull’aspetto ineluttabile della guerra, ha sempre riconosciuto che il fine della politica deve essere la pace tra gli uomini. Tutto questo vale sul piano etico anche quando può essere difficile realizzarlo in pratica.
In questo senso, è ovvio che per i conservatori è stato molto importante mettere in rilievo i contenuti eticamente labili dell’opposizione, che vengono valutati come parte di una visione della vita scissa dall’etica. Si deve rilevare, però, che la decisione di cominciare una guerra non è giustificata senza che una solida considerazione etica più che consigliarla la renda eticamente obbligata.
La lotta tra Repubblicani e Democratici ha ricavato da problemi etici di questo tipo conclusioni rilevanti di carattere pratico. Gli argomenti contrari a certe forme di ricerca da parte dei conservatori mirano proprio ad evidenziare l’aspetto eticamente intollerabile delle prospettive opposte, mentre i Democratici vedono in queste tecniche di sperimentazione un chiaro progresso della libertà e della civiltà.
L’importanza che il dibattito etico ha avuto nella campagna elettorale è particolarmente evidente se si pensa ad alcuni avvenimenti, come, ad esempio, la perdita di consensi che ha subito il candidato democratico James Webb in Virginia a causa di alcune tesi - reputate dai repubblicani "immorali" - presenti in uno dei sui romanzi. Ora, tutto ciò è eticamente congruente e compatibile con la recente scelta del governo di edificare un muro per proteggere i confini del sud dall’immigrazione clandestina proveniente dal Messico?
D’altra parte, osservando il contenuto delle proposte dell’opposizione si vede chiaramente quanto essa sia portatrice di un ethos proprio. In questo senso, il recente caso del Missouri chiarisce molto bene la situazione. È chiaro, infatti, che la difesa della salute, del diritto pubblico all’educazione, del salario minimo, di un ambiente ecologico sono tutti contenuti eticamente decisivi per una proposta progressista attenta alle questioni dei diritti civili.
In definitiva, si deve riconoscere che la contrapposizione tra gli schieramenti ha assunto il senso complessivo di uno scontro etico tra visioni del mondo, animando la lotta politica dei partiti e dei candidati in competizione, e si deve riconoscere che il carattere quasi perfettamente bipolare della politica americana ha trasformato la scelta elettorale dei cittadini in un’opzione tra modelli alternativi. Un ethos è autenticamente tale, però, quando riesce a conformare una visione intera della vita, altrimenti perde ogni credibilità.
Un ethos asimmetrico, settoriale, manca di razionalità. Una visione etica settorializzata, fatta a macchie di leopardo, assomiglia ad una persona che dice la verità solo ogni tanto e vuole essere creduta sempre. Non si può utilizzare un valore etico contro un altro, allo stesso modo in cui non si può distruggere la vita per difendere la vita.
Aristotele, nell’Etica Nicomachea, ci aveva insegnato come le forze - ma non i principi - che concorrono a promuovere e conservare la vita sono le stesse che possono distruggerla. Tutto dipende dai criteri che si adottano e dalle azioni che ne conseguono. Questo fatto avviene proprio perché questi criteri sono per l’uomo il suo ethos, che o è congruente in tutto oppure rivela tutta la sua debolezza.
Si può giustificare moralmente la guerra e, dalla stessa posizione etica, avere un programma di tutela della vita oppure sostenere la stabilità della famiglia? Penso che questo sia il vero grande quesito da risolvere.
L’ethos che muove verso la guerra dovrebbe essere lo stesso ethos che muove verso la ricerca della pace, e quello di chi difende la vita dovrebbe essere lo stesso di chi difende il diritto alla vita di malati inguaribili.
Non è un caso che il giurista tedesco Kelsen abbia affermato che "il senso più profondo della democrazia è che ciascuno voglia la libertà non soltanto per sé ma anche per gli altri". E ciò è possibile solo all’interno di un ethos in cui tutte le persone e, soprattutto, tutti gli aspetti della vita trovino il loro posto in un sistema coerente.
In fondo, Hobbes non aveva torto a ritenere che il vero presupposto della guerra è l’unilateralità e la parzialità delle prospettive, perché essa porta a contrapporre un interesse parziale ad un altro, disconoscendo l’ethos comune. E senza uno sguardo agli aspetti fondamentali che sono comuni a tutti si distrugge la validità etica di ciò che viene proposto da ciascuno. Come non vedere in questo un elemento di dissoluzione che minaccia la stessa politica?
Ecco che l’inseparabilità di tutti i problemi attuali della società, insieme con la difficoltà di affrontarli tutti insieme, senza incoerenze esasperate, è proprio ciò che sta immobilizzando le decisioni politiche, e non soltanto quelle americane. L’Europa stessa si trova divisa da analoghe questioni di coerenza.
Cercare la prospettiva del bene di tutti e del tutto si rivela, alla fine, sempre un percorso difficile, ma anche l’unico valido veramente, proprio perché, come sosteneva Pieper, il tutto non è mai soltanto la somma delle parti. (6 novembre 2006)
"UT UNUM SINT": Contro il delirio di onnipotenza di ogni malinteso "monoteismo", rimeditare la lezione di Sigmund Freud e della Costituzione italiana ....
L’AVVENIRE DELLA ILLUSIONE VATICANA : DEBOLE O FORTE, LA TEOCRAZIA E’ SEMPRE PARENTE STRETTA DI FASCISMI, NAZISMI E BERLUSCONISMI. Una nota di Paolo Flores D’Arcais (...) Joaquìn Navarro-Valls ha pubblicamente confessato il programma di "teocrazia debole" che la Chiesa gerarchica di Karol Wojtyla prima, e quella di Joseph Ratzinger oggi, stanno tenacemente perseguendo. Con esiti fin qui fallimentari nel mondo, ma di peculiare successo nella "eccezione" Italia (...)
OPINIONI
Preti pedofili? La Chiesa sia credibile
Una macchia che coinvolge il 3% del clero: la stessa percentuale dei ministri di culto di altre confessioni che finiscono in tribunale ma sono ignorati dai giornali
di FILIPPO DI GIACOMO (La Stampa, 1/6/2007)
E’ la Chiesa Cattolica la "grande prostituta" del mondo»? Il pregiudizio urlato dal leader degli unionisti calvinisti dell’Ulster davanti a Giovanni Paolo II, nell’emiciclo di Strasburgo l’11 ottobre 1988, fa parte dei vari linciaggi subiti attraverso i secoli dalla gerarchia e dal clero cattolici. Un pregiudizio antico quanto il cristianesimo, particolarmente coltivato e diversamente declinato in ambiente anglosassone da quando la riforma protestante prima e l’illuminismo poi gli hanno anche attribuito un valore confessionale e nazionalistico con un mix gradito alla politica.
Un pregiudizio tira l’altro e, man mano che la marea immonda dei preti cattolici accusati di pedofilia montava, sui media anglosassoni negli ultimi due decenni si è letto spesso: «è la Chiesa il vero pedofilo». Una macchia, attribuita alla persistenza della legge sul celibato per i sacerdoti cattolici di rito latino, ed estesa, proprio per questo, a decine di migliaia di chierici. In realtà, fonti non confessionali stabiliscono allo 0,3 per cento del clero la percentuale di infamia che si riferisce alla Chiesa Cattolica. Una percentuale del tutto simile a quella che colpisce i ministri di culto di altre confessioni religiose i quali forse perché non cattolici e perché operanti in terre anglosassoni, finiscono in tribunale ma vengono ignorati dai giornali.
L’infamia di una parte
Una percentuale notevolmente inferiore alle condanne per pedofilia inflitte agli educatori e agli insegnanti delle scuole pubbliche statunitensi e irlandesi, i due Paesi dove la pruderie di Sex crimes and the Vatican - il video che ha tanto eccitato Santoro e i suoi - ha pescato, casualmente, nel torbido. È stato il Wall Street Journal, in un editoriale di qualche anno fa, a elencare, per stigmatizzare e rigettare, la spendibilità politica a stelle e strisce della «grande prostituta». Sull’Unità del 29 maggio una intervistatrice chiedeva a uno scrittore anticattolico irlandese: «Di cattolicissimi restiamo solo noi italiani: ci faccia sognare, ci dica, come è avvenuto nel suo paese il crollo del cattolicesimo?». Il giornale per il quale scrive la giornalista con i sogni, in teoria, si rivolge a un elettorato che in un recente sondaggio si è dichiarato «credente» al 70% e «praticante» per quasi il 30%.
Se qualcuno spera di tradurre politicamente l’infamia di una parte del corpo clericale della Chiesa, moderando così la spinta verso il centro intravista nelle ultime (e nelle future) tornate elettorali, vuol dire che, almeno politicamente, non abbiamo più argomenti.
Il «mistero dell’iniquità»
E che, nello specifico del problema pedofilia, ancora non vogliamo dire realisticamente nulla; visto che, secondo i dati dell’Onu, è un problema che colpisce circa 150 milioni tra bambini e bambine. Le vere inchieste, quelle per cui vale la pena mettere in campo la libertà di stampa, dovrebbero riguardare fenomeni come il turismo sessuale, la pedopornografia, lo sfruttamento sessuale di minori...
Proprio per questo motivo, è particolarmente importante che la Chiesa ci dica con tutta sincerità come mai è successo che, anche al suo interno, quel «mistero di iniquità» che Giovanni Paolo II aveva riconosciuto nel mondo ha così pervicacemente colpito. Dovrà dirci ancora, con parole credibili, come farà a ricostruire quella fiducia tradita che tanti papà e mamme avevano riposto nella loro Chiesa. Perché, al di là di ogni fatto confessionale, l’immonda macchia della pedofilia ha gettato sulla testimonianza della Chiesa quel «tradimento» definito e stigmatizzato con dolore da Giovanni Paolo II, il Giovedì Santo del 2002, il giorno del sacerdozio ma anche il giorno di Giuda, in una memorabile omelia. Un tradimento, del tutto simile a quello di Giuda, dell’umano che è in tutti noi.
Povero papa, non sa più quel che dice *
Il 7 novembre 2006, poco dopo mezzogiorno, la sala stampa vaticana ha diffuso un discorso in francese attribuito a Benedetto XVI e così presentato:
"Dal 7 al 9 novembre, in Vaticano, il Santo Padre, insieme ad alcuni Rappresentanti della Curia Romana, incontra i Vescovi della Svizzera. L’incontro vuole costituire la conclusione della Visita ’ad Limina’ del febbraio 2005 che non potè aver luogo a causa del ricovero al Policlinico Gemelli del Santo Padre Giovanni Paolo II. La Riunione di questi giorni intende quindi riprendere e approfondire i temi di riflessione emersi dai colloqui che i Vescovi svizzeri ebbero nel 2005 con i vari Dicasteri della Curia Romana. Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha rivolto questa mattina, nella Sala Bologna del Palazzo Apostolico Vaticano, ai membri dell’Episcopato elvetico".
Trovi questo discorso riprodotto integralmente in www.chiesa.
Poi però, a metà pomeriggio, questo stesso discorso è sparito dal bollettino web della sala stampa vaticana.
Che in serata ha messo in rete quest’altro comunicato:
"Il Discorso del Santo Padre, pubblicato questa mattina sul Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede in occasione dell’incontro con i Vescovi della Svizzera, non è stato pronunciato. Esso rifletteva il contenuto di una bozza preparata precedentemente in relazione alla Visita ad Limina dei Vescovi Svizzeri svoltasi nel 2005. Domani verranno pubblicati sia l’Omelia pronunciata ’a braccio’ da Sua Santità Benedetto XVI nel corso della Santa Messa di questa mattina, sia il Discorso introduttivo che il Santo Padre ha rivolto, sempre ’a braccio’, in tedesco, ai Vescovi della Svizzera nella prima riunione del loro incontro".
L’omelia e il discorso autentici pronunciati da Benedetto XVI sono ora in linea nel sito della Santa Sede.
E’ scontato aggiungere che questa è l’ennesima prova del disordine comunicativo che avvolge Benedetto XVI da quando è stato eletto papa. Disordine che non appare sanato neppure dopo il cambio del segretario di stato e del direttore della sala stampa.
Nei giorni scorsi, un ben più grave cortocircuito è stato quello provocato dall’editoriale della "Civiltà Cattolica" del 21 ottobre, dedicato all’islam e in palese contraddizione con la lezione di Benedetto XVI a Ratisbona. Vedi in www.chiesa il servizio: "Il jihad trova uno strano avvocato: ’La Civiltà Cattolica’".
Come è noto, le bozze della "Civiltà Cattolica" sono riviste dalla segreteria di stato prima d’essere stampate. Sarebbe interessante sapere chi e perché - tra i funzionari vaticani - ha dato il via libera all’editoriale in questione.
Sull’islam, tra i gesuiti della "Civiltà Cattolica" esistono posizioni molto divergenti. Padre Piersandro Vanzan, ad esempio, ne ha di diametralmente opposte a quelle dell’editoriale del 21 ottobre. Le ha esposte in un lungo saggio uscito la scorsa primavera sulla prestigiosa rivista cattolica "Studium" e rilanciato in www.chiesa in un servizio col titolo: "Oriana Fallaci s’è iscritta alla Compagnia di Gesù".
Blog di Sandro Magister -07 novembre 2006
Tettamanzi a scuola di grammatica, dal professor Alici
Nel dar conto su "Avvenire" del 4 novembre di un seminario dell’Azione Cattolica Italiana assieme agli istituti Paolo VI, Bachelet, Toniolo e alla rivista "Dialoghi", il presidente nazionale dell’ACI, Luigi Alici, ha detto chiaro che cosa intende per valori "non negoziabili".
Come si sa, quello dei valori non negoziabili è un terreno minato, in politica. Specie a sinistra e a proposito della triade vita-famiglia-scuola martellata da Benedetto XVI e dal cardinale Camillo Ruini.
Da bravo filosofo, Alici ha spiegato la questione con chiarezza cartesiana, o meglio, tomista.
Il presidente dell’ACI ha affermato anzitutto come "accanto a valori negoziabili (ad esempio valori economici o sociali, che accettano per principio una negoziazione degli interessi), si può parlare di valori non negoziabili almeno a due livelli: prima di tutto per indicare una forma originaria di morale naturale, che costituisce una specie di patrimonio dell’umanità, di cui si alimentano l’ethos condiviso e la civiltà giuridica; in secondo luogo per attestare un nucleo di principi ’identitari’, che includono anche il credo religioso, cui si aderisce con un atto di fede, connotato in forme comunitarie e quindi con una ricaduta pubblica".
Nel primo caso, quello della morale naturale, "l’appello ai valori non negoziabili (come vita, famiglia ed educazione) non è necessariamente confessionale e chiama in causa l’esercizio critico della ragione umana". In questo senso "non negoziabile" non significa "non argomentabile". Al contrario: "La tutela di questi valori esige un impegno argomentativo costante per credenti e non credenti".
Nel secondo caso, quello del credo religioso, i valori non negoziabili "debbono poter essere liberamente testimoniati nella vita pubblica, e per questo domandano riconoscimento e rispetto reciproco".
Alici ha però messo in guardia dal separare i due livelli: "Quando infatti perdiamo la consapevolezza di un legame originario tra il disegno creatore di Dio e la nostra ragione umana, esponiamo il vissuto religioso al pericolo di un arbitrio irrazionalistico, in cui può attecchire il germe dell’intolleranza e della violenza".
In queste ultime parole c’è un’eco evidente della lezione di Benedetto XVI a Ratisbona.
Custodire e raccordare il doppio livello naturale e di fede dei "valori non negoziabili" è per Alici la "grammatica di base" del dialogo tra Chiesa e società.
In tale prospettiva, il presidente dell’ACI ha assicurato che, dopo la collaborazione con "Scienza & Vita" e l’attivazione di un’area specifica dedicata a "Famiglia e Vita", l’Azione Cattolica intende "continuare su questa strada il suo servizio alla società e alla Chiesa, cercando di raccogliere e rilanciare la ’questione antropologica’, emersa con forza al convegno ecclesiale di Verona".
Con nelle righe finali questo scatto di orgoglio:
"E’ il nostro modo di stare dalla parte della vita, nonostante qualche improvvida e inspiegabile uscita giornalistica abbia voluto sostenere il contrario".
L’allusione è all’accusa scagliata contro l’Azione Cattolica di Milano - e indirettamente contro il cardinale Dionigi Tettamanzi - di battere la fiacca sul terreno della bioetica: accusa espressa a Verona e poi in un’intervista a "la Repubblica" del 27 ottobre dal presidente del Movimento per la Vita di Milano, Paolo Sorbi.
PRETI SPOSATI, RETROMARCIA DEL CARD. HUMMES *
ROMA - Non appena sbarcato a Fiumicino proveniente da San Paolo del Brasile, il cardinale Claudio Hummes ha voluto mettere subito le cose in chiaro: "Non ho nessuna nuova dottrina del celibato dei sacerdoti. Quello che dico si rifà alla Dottrina Sociale della Chiesa". Poi a scanso di equivoci, ha aggiunto: "Il Papa guida la Chiesa e io sono al suo servizio volentieri".
Poche parole per smorzare sul nascere il polverone originato da una intervista rilasciata a un giornale brasiliano che dava ampio risalto al fatto che il celibato sacerdotale non è un dogma. Il nuovo prefetto della Congregazione per il Clero scelto da Papa Ratzinger per sostituire il colombiano Dario Castrillon Hoyos andato in pensione per raggiunti limiti di età, inizia l’incarico in curia costretto a spiegare meglio cosa intendeva dire sulla dibattuta questione dell’abolizione del celibato. Tema, questo, che ciclicamente torna d’attualità. In questi mesi è affiorato con prepotenza per le prese di posizione di monsignor Milingo che in America - dove si trova con la moglie Maria Sung - ha fondato un movimento impegnato per l’abolizione del celibato. Il mese scorso il Papa aveva affrontato l’argomento convocando un summit con tutti i capi dicastero del Vaticano e dal quale era emerso che all’orizzonte non ci sono cambiamenti sostanziali. Anzi.
L’occasione era stata propizia per esprimere la validità della norma celibataria anche per fronteggiare la sfida della secolarizzazione. Il cardinale Hummes prossimo a insediarsi al timone del dicastero che governa tutti i sacerdoti del mondo, qualche ora più tardi al suo arrivo, ha concordato con la Segreteria di Stato una dichiarazione per non lasciare spazio ai dubbi e, di conseguenza, stroncare sul nascere ogni tipo di speranze. L’abolizione del celibato sacerdotale "non è attualmente all’ordine del giorno delle autorità ecclesiastiche".
Il celibato non si tocca e almeno con Papa Ratzinger non vi saranno aperture di sorta. Anche se non è un dogma è una prassi così antica che è impossibile venga ritoccata. Lo ha spiegato bene il cardinale Julian Herranz, uno dei massimi giuristi d’Oltretevere e presidente del Pontificio Consiglio per l’interpretazione dei Testi Legislativi.
"Il celibato sacerdotale è legge da 17 lunghi secoli. Fermo restando che una cosa sono i dogmi e un’altra le leggi - che di per sé (e non solo per la Chiesa) possono anche essere sottoposte a modifiche - ciò non significa che sia opportuno o conveniente farlo". "Le ragioni che vengono date da coloro che vorrebbero procedere a modificare il celibato sono sbagliate: non è vero, infatti, che vi saranno più sacerdoti se si abolisce questa norma. Basta vedere cosa succede all’interno delle chiese protestanti che nonostante abbiano soppresso il celibato 5 secoli fa, hanno molte meno vocazioni che non la Chiesa cattolica. Penso, dunque, che l’abolizione del celibato impoverirebbe tremendamente la vita della Chiesa. La gente ama di più un sacerdote che ha fatto della sua vita una donazione completa. Il mondo non è tutto eros e sesso".
* ANSA » 2006-12-03 18:07