"Mockumentary"

"La vera leggenda di Tony Vilar", Antonio Ragusa. L’italiano che cantò al mondo “Cuando calienta el sol”. Giuseppe Gagliardi e Peppe Voltarelli ci hanno messo circa due anni per riportarne a galla la storia.

martedì 21 novembre 2006.
 

Presto in sala un “mockumentary” firmato da Giuseppe Gagliardi

Una storia che non si sa se è vera e un bel po’ di coraggio. Sono gli ingredienti de “La vera leggenda di Tony Vilar” in uscita nelle sale italiane a giorni. Di quale storia si tratti e cosa significhi “mockumentary” lo raccontiamo nel resto di questa pagina. Il coraggio invece è quello delle giovani produzioni Tico Film Company e Avocado Pictures che hanno deciso di investire su un progetto campato, se non in aria, poco più in basso. Certo, c’erano i buoni precedenti del regista Giuseppe Gagliardi e del suo bel documentario “Doichlanda” e anche quelli dell’autore-interprete Peppe Voltarelli, per anni frontman della band di culto Il Parto delle Nuvole Pesanti. Ma, a parte questo, ci voleva solo del coraggio e del vero spirito di avventura per partire per le Americhe con in mano una bozza di progetto e poco di più. Il risultato (costato circa 200mila euro) è un film molto, ma molto divertente, innovativo, benevolmente canzonatorio e generoso. Coraggiosi anche i distributori della Metacinema, a cui auguriamo il successo che si meritano.

Ro. Ro.

La storia di Antonio Ragusa, in arte Tony Vilar, emigrato in Argentina nel ’52. Un enorme successo e poi l’improvvisa scomparsa. Oggi sappiamo perché

L’italiano che cantò al mondo “Cuando calienta el sol”

di Roberta Ronconi *

Lungo la banchina del porto di Genova il bastimento Corrientes attende paziente il suo carico di italiani carichi di fagotti e figli.

Un racconto che inizia da lontano...

E’ il 1952, il padre tira Antonio per la giacchetta, perché il ragazzino ha 14 anni e non ne vuole sapere di lasciare sua madre e il paese, Carolei, un buco di terra calabrese. Piange e strepita, Tonino, ma c’è poco da scegliere, ormai è deciso da tempo che lui e suo padre avrebbero raggiunto il fratello maggiore, 18 anni, scappato dall’Italia subito dopo la fine della guerra. Per fame e per non smettere di sperare.

La sorte sembra accanirsi con Antonio, e quella barca gigante su cui non vuole salire è pure bardata a lutto per la morte della signora de los descamisados, Evita Evita, la piangono i marinai e tutti gli italiani a bordo pensano si tratti di una santa di quel luogo lontano. Solo una cosa consola quel ragazzino piagnucoloso e sempre affamato: la sua chitarrina. Gliela avevano regalata che era davvero piccolo e passava il tempo in balcone a cantare. Padre Cintuzzo della parrocchia aveva convinto i suoi a fargli studiare un po’ di musica e a prestargli il monello ad ogni matrimonio e messa cantata. Ora, con quella chitarra sulla “Corrientes” Antonio riesce a dimenticare un po’ dei suoi guai, ad alleggerire l’atmosfera funebre che si respira sui ponti e anche a rimediare qualche pasto più sostanzioso degli altri poveracci ammassati sulla nave.

Quando sbarca nel porto di Buenos Aires, gli incubi di Antonio per un momento sembrano svanire e l’anima gli si placa. La città è grande, piena di case alte, ci sarà da divertirsi. Ma poi il fratello carica in macchina lui e suo padre e comincia ad allontanarsi dalla città. Le case si fanno sempre più piccole, poi sembrano poco più che catapecchie. E quando il fratello finalmente si ferma, di case non ce ne sono praticamente più. Un deserto di terra e cespugli, e qua e là qualche fabbricato di legni e lamiere. Antonio è arrivato a quello che sarà il suo paese per diversi anni, San Giusto. Il puntino nella sterminata pampa argentina che lo vedrà trasformarsi da povero ragazzino migrante di nome Antonio Ragusa, nel più famoso cantante melodico di tutto il Sudamerica. Di nome, Tony Vilar.

... e che oggi diventa un film

Giuseppe Gagliardi e Peppe Voltarelli ci hanno messo circa due anni per riportare a galla la storia di Tony Vilar, il crooner italiano che nel 1961 rese famoso nel mondo un successo come Cuando calienta el sol e che dominò le classifiche di tutta l’America Latina per una manciata di anni, dal 1959 al ’65 circa, anno in cui sparì improvvisamente dalle scene.

Entrambi calabresi, Gagliardi regista e Voltarelli musicista quasi per caso due anni fa si sono incontrati con il nome di Tony Vilar e con la sua storia. Talmente assurda, talmente mirabolante, talmente evocativa per loro figli della stessa terra di Tony, da spingerli a trasformarla in un film. Nasce così La vera leggenda di Tony Vilar, da venerdì prossimo nelle sale italiane. Un mockumentary è il nome preciso del genere cui il film appartiene, tra documento e ricostruzione fantastica, nato - il genere - nel 1957 quando la Bbc mandò in onda un serissimo reportage (guarda caso sull’Italia) in cui venivano mostrati alcuni contadini intenti a raccogliere spaghetti dagli alberi. Già, perché quel “mock” (da “to mock”, prendere in giro, scherzare) al posto di “doc” sta proprio ad indicare l’ironia con cui si può guardare alle vicende umane, anche con il cinema. Gagliardi e Voltarelli seguono dunque Vilar nelle sue vicende, ricostruendo con occhio tra il sarcastico e il benevolo le storie degli emigrati italiani e delle loro comunità oltreoceano, in particolare quelle della Boca di Buenos Aires e del Bronx newyorkese. I due pezzi di mondo in cui Tony ha vissuto tutta la sua vita, prima e dopo la fama.

Tutta la verità, oltre la leggenda

Ma riprendiamo la nostra storia da San Giusto, dove abbiamo lasciato un Antonio ragazzino, di nuovo disperato per essere finito, dalle calde anche se povere braccia della sua Carolei a quel deserto di polvere e baracche alla periferia del niente, dove vivono solo un gruppetto di italiani e qualche indios. Sono proprio questi ultimi, soprattutto i loro figli, a insegnare ad Antonio a parlare spagnolo nei momenti liberi dal lavoro di muratore accanto al padre e al fratello. Sempre la chitarrina appresso, la voglia di cantare finisce per vincere sulla tristezza e per fare del ragazzino italiano una piccola celebrità tra i dieci gatti del paese. Quel tanto che basta perché, pochi anni dopo, quando una domenica arriva l’orchestra Charleston, nessuno gli rifiuti di entrare gratis in cambio di un paio di canzoncine dal palco. «Come ti chiami, ragazzino?», gli chiede il presentatore. «Antonio, Antonio Ragusa». «Ma che scherzi, mica ti vorrai presentare con quel nome da morto di fame italiano! Trovatene un altro, e subito». «Va bene, allora Tony... Tony qualcosa... Tony Vilar».

Da qui, la storia di Antonio somiglia a quella di tanti altri. Qualcuno lo porta a Buenos Aires, un altro lo presenta a qualcun altro, poi un’audizione, poi un’attesa, e infine una speranza. Tony, da ragazzino vivace si è nel frattempo trasformato in un cantante disposto a tutto. Gli amici degli amici gli fanno le audizioni e lui lì che canta e balla anche, perché no, mentre quelli parlano e fumano sigari. Sembrano non sentirlo nemmeno, ma evidentemente non è così, perché quando ha finito di dimenarsi gli dicono che lui è un tipo giusto per la televisione.

Arriva il successo. Il paradiso e l’inferno

In una sola settimana dell’anno di grazia 1959, Vilar debutta su Canalsiette nel programma della domenica, incide il suo primo 45 giri Clarito de luna (“Tintarella di luna”) e scala le classifiche delle hit radiofoniche. La vita gli cambia in fretta e i successi si susseguono uno dopo l’altro. Incide la sua Bailando, poi il pezzo rockettaro di Celentano Non esiste l’amor, e quindi arriva Y los cielos joraron che gli fa fare il boom in tutta L’Argentina, il Venezuela, la Colmbia, il Cile. Centinaia di migliaia di dischi venduti, donne che impazziscono per lui, soldi a palate, macchine di lusso, tre concerti a serata, autori che lo pregano di cantare le loro canzoni. Quando bussano alla sua porta gli Hermanos Rigual con la loro canzoncina in tempo di bolero, Tony non gli dà neanche retta. Troppo lenta, troppo stupida, roba da vecchi. Il discografico insiste e lui è costretto a portarsela a casa, magari per provarci sopra un ritmo un po’ più da rock lento. Niente di che, ma magari così può funzionare, qualcuno alla fine la ascolterà se la canta lui. Nessuno si aspettava cosa sarebbe successo all’uscita di Cuando calienta el sol, nessuno poteva prevedere quell’ira di dio in tutto il mondo.

Siamo alla fine del 1961. Per altri cinque anni la stella di Vilar non fa che aumentare di splendore, i giornali di gossip si riempiono delle sue avventure amorose e delle foto di Tony con le amate macchinone, la Chrysler del’33 con cui andava agli studi televisivi, la Cadillac, la Ford, le due decappottabili per le giornate di sole...

Un successo grande come una montagna, e pesante come due.

Pochi anni ed è lì con la sua Mabel, la subrette più bella d’Argentina che lui ha appena sposato, nello studio del programma tv “Barahùnda”, quando l’amico regista gli si avvicina e all’orecchio gli dice che, sotto le luci dello studio, la sua nuca si rivela eccessivamente sprovvista di capelli. Bisognerà farci qualcosa. Tony si agita, cade in panico, chiede aiuto ai truccatori che gli consigliano l’uso di un toupé, un posticcio per limitare il danno. La fatica intanto aumenta, i capelli cadono e Tony ormai del suo parrucchino non può più fare senza, nemmeno durante i concerti. Stadi gremiti di giovani e soprattutto ragazzine, lui è il loro idolo incontrastato, Iglesias ante-litteram bello e romantico, ogni volta che cerca di entrare o di uscire dal palco la gente lo assale, mani si allungano, tentano di sfiorarlo, carezzarlo, afferrarlo. E quella mano affannata sulla sua testa, sui suoi capelli, sul toupé che in un attimo si stacca e va via... E’ una notte calda a Cordoba, ma Tony resta come ghiacciato e nudo in mezzo a quella folla impazzita, abbassa gli occhi e fugge via. Alle due di notte Mabel lo acolta piangere al telefono, e giurare che non canterà più, mai più.

E oggi, la storia comincia di nuovo

Quaranta anni dopo - quasi mezzo secolo di vita passato a vendere le amate macchine prima a Buenos Aires poi a New York - Antonio questa storia la può finalmente raccontare. Soprattutto ai quei due giovani calabresi che sono andati a ripescarlo a Morris Park Avenue, chiedendo notizie di lui agli amici della comunità: Frankie Bastone, Tony Pizza, Connie Catalano, tipi che in confronto De Niro sembra una macchietta. O viceversa. In realtà pochi sapevano di lui e del suo passato e di Tony Vilar si erano completamente perse le tracce.

Con La vera leggenda di Tony Vilar Gagliardi e Voltarelli a Tony hanno restituito non solo la memoria, ma anche la vita così come piace a lui e che non sperava più di ritrovare. Presentato con grande clamore alla Festa del cinema di Roma (grazie alla quale - carramba! - Tony è tornato in Italia dopo cinquantasette anni assieme alla seconda amatissima moglie Lucia), il film è stato invitato a far parte della prestigiosa selezione del Tribeca Film Festival e le sorprese, per film e interprete, potrebbero non essere ancora finite.

Ah, sapete un’altra cosa che abbiamo scoperto durante questa nostra ricostruzione della vita di Tony? Che su quel bastimento, il Corrientes di cui parlavamo all’inizio di questa lunga storia, lo stesso anno e allo stesso porto ci salì anche un tal Klaus Altmann, meccanico di origine tedesca. Così risultava almeno dal passaporto, falso. Il suo nome vero era Klaus Barbie, criminale nazista appena messo in salvo da un prete, tale don Draganovic, ex colonnello ustascia poi fondatore della Confraternita Croata del Collegio di San Girolamo degli Illirici.

Ma questa è decisamente un’altra storia.

* Liberazione, 19.11.2006


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