Angela Napoli: "Non escludo che deputate si siano prostituite"
Accusa shock della deputata di Futuro e Libertà, conseguenza di una legge elettorale che costringe le donne, per essere in lista, "ad assecondare il padrone di turno". Insorge la componente femminile del Pdl: "Intervenga la presidenza della Camera". Perina: "Napoli caduta in trappola" *
CATANZARO - "Non escludo che senatrici o deputate siano state elette dopo essersi prostituite". E’ la dichiarazione shock di Angela Napoli, deputata di Futuro e Libertà e componente della commissione parlamentare antimafia, in una analisi delle conseguenze dell’attuale legge elettorale durante un’intervista a Klaus Davi. Immediata la reazione indignata delle deputate del Pdl. Mentre Flavia Perina critica la Napoli: "E’ caduta in una trappola".
"Se non c’è meritocrazia...". "Purtroppo può essere vero - ribadisce la Napoli a Klaus Davi - e questo porta alla necessità di cambiare l’attuale legge elettorale. E’ chiaro che, essendo nominati, se non si punta sulla scelta meritocratica, la donna spesso è costretta, per avere una determinata posizione in lista, anche a prostituirsi o comunque ad assecondare quelle che sono le volontà del padrone di turno". In una nota, Angela Napoli definisce "ipocrita" anche il ddl del ministro Mara Carfagna che prevede il carcere per i clienti delle prostitute. "Se veramente diventasse legge, sarebbero non tanti, ma tantissimi i parlamentari arrestati. Salvo che i parlamentari beccati con prostitute se la cavino con l’immunità, mentre un operaio o un camionista finirebbero per pagare nella solita logica di casta, come sempre avviene".
Perina: "Napoli nella trappola di Davi". Critica con Angela Napoli è Flavia Perina, anche lei deputata di Futuro e Libertà e direttrice de Il Secolo. "Prostituirsi per fare carriera in politica? Ci sono tanti modi per farlo e la maggior parte di essi non c’entra niente con il sesso e con le donne - scrive in una nota -. E ci sono tanti modi per denunciarlo senza violare la dignità delle donne elette in parlamento. Angela Napoli è caduta nella trappola di Klaus Davi, che dà visibilità alla sua trasmissione confondendo abitualmente i temi della sessualità e della politica".
Insorgono le deputate del Pdl. ’’Mi vergogno terribilmente per le affermazioni di Angela Napoli - afferma la deputata Barbara Saltamartini, responsabile delle Pari opportunita’ del Pdl -. Mi aspetto che i membri di Futuro e Libertà si dissocino pubblicamente da queste infami accuse che gettano fango e discredito su tutte le donne, di qualsivoglia forza politica, elette dal 2006 ad oggi’’. "E’ tristemente ridicolo - aggiunge Saltamartini - che la collega lanci accuse di questa risma solo per sponsorizzare la modifica della legge elettorale".
Per Jole Santelli, vicepresidente dei deputati del Pdl, "le parole di Angela Napoli offendono l’intero Parlamento e non solo le colleghe parlamentari. Il presidente della Camera deve immediatamente intervenire nel censurare le gravi affermazioni dell’onorevole Napoli ed entrambi i presidenti dei due rami del Parlamento tutelare la dignità delle parlamentari e della stessa istituzione che rappresentano".
Anche Alessandra Mussolini sposa la linea della "vergogna" e il richiamo alle istituzioni interne al Parlamento perché intervengano. "Queste parole - dice - offendono le deputate di tutti i gruppi parlamentari e chiedo la convocazione immediata dell’ufficio di presidenza della Camera dei deputati per prendere i provvedimenti del caso".
Passa alle vie legali Melania Rizzoli, Pdl. ’’E’ mia intenzione incaricare l’avvocato Giulia Bongiorno a querelare la collega deputata Angela Napoli per la sua dichiarazione diffamatoria" che, non riportando nomi, "è lesiva indistintamente di tutte le deputate e senatrici’’. "Siamo tutte prostitute - aggiunge la Rizzoli -, avendo ognuna di noi pari dignità di fronte al Parlamento. A meno che la deputata Angela Napoli non abbia il coraggio di fare i nomi e i cognomi delle deputate e senatrici che lei ritiene siano stato elette per l’attività da lei denunciata’’.
Sempre dal Pdl, ecco il contrattacco di Beatrice Lorenzin. "Attaccare le donne, facendo leva su un facile pregiudizio maschilista e gossipparo, è la strada scelta da queste sedicenti paladine della causa femminile che hanno trovato l’ultimo ricovero in Fli e che nei fatti si sono dimostrate, per comportamenti politici, totalmente estranee alla promozione e alla tutela della causa femminile, fuori e dentro il partito".
Delusa Maria Alessandra Gallone, senatrice Pdl. " L’ho sempre ammirata come donna impegnata in politica ed è deludente leggere oggi le sue accuse infamanti. Non meriterebbe alcun commento. Pur di assecondare i voleri del capo in tema di riforma della legge elettorale, infanga le colleghe parlamentari e finge di non sapere che anche con il vecchio sistema si poteva essere nominati nei cosiddetti collegi blindati. Ben venga il merito delle donne, ma non passa certamente attraverso la via dell’offesa gratuita e volgare’’.
Fini: "Parole gravi, Napoli si scusi". Chiamato in causa, il presidente della Camera, Gianfranco Fini, raccoglie la sollecitazione delle indignate deputate e bacchetta Angela Napoli. ’’Ledere la dignità delle deputate con accuse generalizzate quanto teoriche, e quindi indimostrabili, non può essere consentito - dice Fini in una nota - nè per il rispetto che si deve al Parlamento nè per la considerazione che si deve avere per tante donne che, al pari dei colleghi di genere maschile, fanno politica con passione e disinteresse. Mi auguro che l’onorevole Angela Napoli, proprio perché a pieno titolo rappresenta da anni questo di genere di impegno politico, ammetta la gravità delle sue parole e se ne scusi’’.
* la Repubblica, 08 settembre 2010
Sul tema, nel sito, si cfr.:
Le mie dimissioni da Futuro e Libertà *
FLI:ANGELA NAPOLI LASCIA PARTITO, BOCCHINO LESO MIA DIGNITA’ SBRICIOLATI TUTTI I PRINCIPI SU CUI FONDATA NASCITA PARTITO (ANSA) - CATANZARO, 24 NOV
La deputata Angela Napoli lascia Futuro e liberta’, partito del quale e’ stata uno dei fondatori e del quale era coordinatrice regionale della Calabria. ’E’ una decisione che ho preso in primo luogo - ha detto Napoli incontrando i giornalisti - per il comportamento del vicepresidente del partito, Italo Bocchino, che ho ritenuto lesivo della mia dignita’ e di quella dei numerosi iscritti e militanti calabresi’.
’Una volta - ha aggiunto - Bocchino e’ venuto in Calabria ad avallare l’ingresso di Futuro e liberta’ nell’Amministrazione provinciale di Crotone contro il mio consenso e contro quello della maggioranza del coordinamento regionale del partito. Nello stesso giorno, inoltre, e’ andato a Reggio a fare una conferenza stampa insieme al presidente della Regione, Scopelliti, quando era stata gia’ insediata la Commissione d’accesso nel Comune’.
Secondo Angela Napoli, inoltre, ’ieri lo stesso Bocchino ha di nuovo allungato la mano all’ex ministro Alfano dicendogli che ci si puo’ ricompattare all’insegna delle legalita’. Lo stesso Alfano ha avallato non solo personaggi interni al suo partito collusi con la mafia, ma e’ venuto a Reggio a sostenere il presidente Scopelliti mentre stava per essere definita la situazione che e’ poi sfociata nello scioglimento del Comune di Reggio Calabria per contiguita’ mafiosa. Non mi sembra che si possa tendere la mano ad Afano se adotta questi comportamenti.
Ho visto sbriciolarsi tutti i principi su cui si e’ fondata la nascita di Futuro e liberta’. E soprattutto ho visto la mancata ottemperanza da parte di alcuni esponenti ai contenuti del ’Manifesto dei valori’ che e’ servito come fondamenta per la nascita del partito.
’Rimarro’ da indipendente nel gruppo parlamentare di Futuro e liberta’ - ha concluso l’on.Napoli - per potere avanti la mia battaglia fine alla fine della legislatura. Anche perche’ sono sempre andata d’accordo col presidente del gruppo Della Vedova e coi colleghi parlamentari e non mi andrebbe di vedermi seduta in questi ultimi tre mesi di legislatura accanto a personaggi come Scilipoti’. (ANSA).
Il Porcellum e i porcellini
di Giovanni Sartori (Corriere della Sera, 14.10.2012)
Il testo della nuova legge elettorale sinora lungamente sudata nella sua gestazione nella commissione Affari costituzionali del Senato passerà ora (con calma, si intende) all’esame dell’Aula. Non è una proposta unanime. È una proposta di impianto proporzionale che al Pd di Bersani non piace (secondo me a ragione). Ma Bersani non si oppone come altri facendo fuoco e fiamme. E così la proposta arriverà, finalmente, all’Aula del Senato. Lì il testo passerà così com’è? Forse, perché il Senato non prevede il voto segreto e quindi lì è più difficile fare vigliaccate. Se ne vedremo di belle sarà allora a Montecitorio, dove invece il voto segreto è consentito.
In attesa di quel voto segreto, facciamo il punto. Il Porcellum, la legge elettorale di Calderoli, fu un atto di tracotanza: l’allora alleanza di ferro Berlusconi-Bossi bastava ad assicurare il passaggio di una legge truffa che è purtroppo ancora vigente. Questa volta la legge in gestazione è invece un calcolino di paure (di essere rottamati) e di allettamenti demagogici. Ma la paura non è, spesso, buona consigliera. E nemmeno lo è la demagogia sfrenata. Difatti il testo faticosamente partorito in Senato è pieno di stranezze forse intese a salvare i «rottamandi», ma non per questo di stranezze intelligenti. Ne indicherò tre.
Un primo problema per tutti i sistemi elettorali proporzionali, o prevalentemente tali, è di bloccare la frammentazione dei partiti (che è, piaccia o non piaccia, la causa prima della ingovernabilità, come nel suo secondo governo Prodi ha forse capito, visto che si è trovato a dover fare ogni giorno «la quadra» con 13 partiti e con un governo di oltre cento governanti.
Un po’ troppi, no? Comunque sia, per bloccare la frammentazione occorre (Germania docet) uno sbarramento che elimini i partitini, i nanetti. Invece, udite udite, i nostri legislatori ora propongono uno sbarramento del 5 per cento che per i partiti coalizzati scende al 4 per cento. Invece, se uno sbarramento deve funzionare, le coalizioni elettorali tra i partiti devono essere vietate. Questa è una condizione inderogabile e anche molto ovvia. Possibile che i nostri legislatori non ci arrivino? Analogo è il discorso sul premio di maggioranza. Il progetto prevede un premio del 12,5 per cento. È una misura di premio accettabile, ma di nuovo viziata dal fatto che può essere attribuito non solo al partito ma anche a una coalizione. No, e poi no. Nei sistemi parlamentari le coalizioni si fanno in parlamento, non prima. E si possono anche cambiare. Pertanto il premio va attribuito soltanto al partito che ottiene più voti.
Un ultimo punto è sulle preferenze. Quando le avevamo (fino agli anni 90) Mario Segni le fece abolire per referendum, davvero a furor di popolo. Ora, da qualche anno, giornali, tv e partiti sbavano sulle preferenze. Senza preferenze, si proclama, il popolo è spodestato. La domanda resta: le preferenze ricreano davvero il «popolo sovrano»? A suo tempo si sapeva che in Sicilia le preferenze erano manovrate dalla mafia. Ora si scopre che vengono comprate anche a Milano. E allora? Una soluzione ci sarebbe. La propongo da anni, ovviamente
Lo scandalo del Porcellum
di Carlo Galli (la Repubblica, 10.07.2012)
I primi sei mesi dell’anno sembrano passati invano dal punto di vista delle riforme. I partiti non le fanno, insensibili all’emergenza civile e democratica in cui versa il Paese, esito temibile ma sempre più vicino di una crisi economica di cui prova a farsi carico Monti, e di una crisi politica il cui solo interprete credibile è il capo dello Stato. Napolitano sta cercando nei modi a sua disposizione - cioè esercitando una moral suasion di grande impegno e di largo respiro - di fare del nostro sistema politico una democrazia decidente.
Sta cercando di trasformare le chiacchiere in azione, il gretto e miope interesse di parte in contributo all’interesse nazionale. Miope è infatti quell’interesse che spinge i partiti - ma soprattutto il Pdl e la Lega - a cercare di confezionarsi una legge elettorale su misura (come fu peraltro il Porcellum di Calderoli, ideato per attenuare - con successo, come si vide - gli effetti della vittoria elettorale di Prodi nel 2006); col risultato di estenuarsi in trattative riservate (ultima debole figura degli arcana imperii) dalle quali escono proposte mostruose, subito abortite perché non vitali, che vogliono mettere insieme le frattaglie di questo e di quel sistema elettorale, combinando ciò che non può essere combinato - tutto va bene, purché alla fine sia salvo il supremo valore di ciascun partito: la propria sopravvivenza, senza la quale pereat mundus, vada in rovina tutto quanto -. La pretesa di garantire tutto e tutti - di neutralizzare la volontà dei cittadini, di minimizzare l’esito delle elezioni, poiché non le si può proprio evitare - porta con sé naturalmente la ridda dei veti incrociati e in ultima istanza la paralisi: ossia, la conferma del Porcellum (forse con qualche marginale aggiustamento sulle preferenze), che assurge così a emblema dell’impotenza del sistema dei partiti, e anche a simbolo dei loro desideri più profondi: nominare il Parlamento, divorare la rappresentanza del popolo.
È, questa, una nuova edizione della logica della tela di Penelope, fondata sul meccanismo del "rilancio": poiché non si può dire semplicemente No al cambiamento, è meglio spostare il confronto ad altezze del tutto impraticabili, come fa il Pdl: per il quale la riforma elettorale deve essere preceduta da una modifica costituzionale della forma di governo, cioè dall’introduzione del presidenzialismo su base elettiva; che è come rinviare il fattibile a quando sarò realizzato l’infattibile. Ovvero, è fingere di darsi molto da fare perché nulla cambi. Una pratica miope, appunto, perché non vede che un’autentica riforma elettorale è l’unica via ancora percorribile per rilegittimare la politica - come sul versante economico la ripresa può legittimare i tagli della spesa pubblica -; che, insomma, la sopravvivenza dei partiti è garantita, eventualmente, dall’introdurre soluzioni che diano ai cittadini qualche motivo e qualche stimolo per votarli, e non certo dal permanere, offensivo e deprimente, di uno status quo che dimostrerebbe al di là di ogni ragionevole dubbio che l’Italia non ha un ceto politico ma, davvero, una corporazione, una Casta, destinata in quanto tale a perire sotto la marea montante dell’astensionismo e del grillismo. E a trascinare con sé il Paese.
Che il capo dello Stato indichi non solo l’obiettivo (una riforma reale, presto) ma anche la via (larghe intese fin che si può, e poi decisione a maggioranza in Parlamento - procedura del resto correttissima -), significa che Napolitano ha percepito che la melina dei partiti non è una tattica da cui ci si debba aspettare un fulmineo contropiede capace di portare a casa il risultato, ma è segno di una stanchezza radicale della nostra politica, di una vera impotenza del potere; e significa anche che l’ultima scintilla di energia del sistema politico sta in lui, nella sua persona e nella sua carica. E infatti la sta usando per spronare ceti dirigenti riottosi, pezzi di élite riluttanti, a fare quello che dovrebbe essere il loro dovere: assumersi finalmente qualche responsabilità a fronte del potere che è stato loro demandato, di cui pare non sappiano fare uso politico, ma solo privato (cioè, in questo caso, partitico).
Il ceto politico è una parte importante delle élite di un Paese. Il fatto che - nella sua maggioranza - non sappia affrontare alcun rischio, né assumersi alcuna responsabilità, né riconoscersi in un orizzonte generale a cui chiamare il Paese, ma pensi solo (e malamente) a se stesso, non è che una parte del nostro più grave problema: l’assenza (o la presenza minoritaria) di élite degne di questo nome, lo sfrangiarsi dell’establishment in innumerevoli cordate che parlano ormai solo il dialetto locale delle categorie e ignorano la lingua nazionale della politica. Quella che parla Napolitano, e che per gli uomini di buona volontà è davvero l’ultima chiamata.
Domani in Cassazione le oltre 600mila firme contro il Porcellum
Parisi: «Risultato straordinario». Adesioni raccolte in meno di un mese
L’Asinello polemico con il Pd: la direzione non votò a favore dei quesiti
Domani saranno depositate in Cassazione le firme per il referendum abrogativo della legge elettorale. Dal comitato promotore: «Superata quota 600mila». Parisi: «E adesso vediamo che succede in Parlamento».
di Maria Zegarelli (l’Unità, 29.09.2011)
«La pistola è sul tavolo e adesso possiamo dire che è carica». Oltre 600mila pallottole. Come a dire che il Porcellum ha il destino segnato. Arturo Parisi, anima e motore del referendum contro l’attuale legge elettorale, è più che soddisfatto per come è andata questa raccolta di firme che, dice, «ha dello straordinario». Per il deputato democratico è una delle poche cose positive in questa giornata parlamentare che è un’altra delle pagine nere di questa legislatura. Mentre parla Parisi aspetta il suo turno per andare a votare la sfiducia al ministro Francesco Saverio Romano, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa. «In poco meno di un mese abbiamo raccolto molte più delle 500mila firme necessarie dice -. Il “Generale agosto” ha fermato ben altre armate». Non questa, che è sopravvissuta al periodo delle ferie e ha tenuto il campo malgrado la fretta con cui si è preparata la battaglia. E così domani mattina i sei leader dei partiti promotori (Idv, Sel, I democratici di Parisi, i referendari di Segni, Pli e Unione dei Popolari) depositeranno le firme in Cassazione per la convalida aprendo l’autostrada alla consultazione referendaria.
Quante firme sono state raccolte? «Dalla quantità di pacchi che ho visto nella sede di Santi Apostoli direi tante», risponde Parisi. Andrea Armaro, de I Democratici, dice che sono oltre seicentomila (100mila in più di quelle richieste dalla legge). Sono tutte là, stipate negli scatoloni dentro il salone dove si riunirono i 45 fondatori del Pd, quello stesso dove Romano Prodi riuniva l’Ulivo e l’Unione. Un tempo che sembra lontanissimo.
QUOTE RISPETTATE
Ogni partito ha rispettato, anzi è andato oltre, la quota che doveva raggiungere: 150mila firme Idv e Sel, 100mila l’Asinello di Parisi, 150mila insieme Pli, Referendari e Unione dei popolari. Esulta Antonio Di Pietro: «La raccolta firme contro l’attuale legge elettorale e per sostenere la proposta d`iniziativa popolare per l`abolizione delle Province ha superato ogni aspettativa. Solo l`Italia dei Valori, nonostante lo scetticismo di molti e il bavaglio imposto all`informazione dal governo, ne ha raccolte quasi 500mila». Dal Comitato c’è chi, sorridendo, ridimensiona: «Se fosse davvero così vorrebbe dire che ne avremmo quasi un milione di firme...». Non si smorza invece, la polemica con il Pd. «È difficile dire per il Pd di aver raccolto le firme annota Armaro visto che né il segretario né D’Alema hanno firmato. E appena il 19 luglio scorso la direzione ha votato all’unanimità contro l’iniziativa referendaria di Parisi».
Parisi intanto si gode il doppio risultato: «Il referendum ha rianimato anche l’interesse del parlamento per la riforma elettorale e questo era il nostro obiettivo. Il fatto che abbia firmato lo stesso presidente della Commissione Affari Costituzionali al Senato, Vizzini, dicendo che solo il referendum avrebbe riavviato il dibattito ha un significato preciso. Come la dichiarazione di Angelino Alfano che ora dice di voler restituire ai cittadini un diritto che il suo stesso partito gli ha sottratto con il referendum».
Vero è che Parisi ad Alfano attribuisce una credibilità prossima allo zero: «Chi ha voluto il Porcellum e ha messo a repentaglio la nostra democrazia, può essere assunto a interlocutore solo se accompagnato da avvocato e carabinieri», ma è anche vero che a questo punto il tema torna in primo piano. Il Pd ha una sua proposta, sistema francese con doppio turno, mentre il Pdl pensa al sistema spagnolo rivisto, (partita aperta con la Lega), mentre è già fallita l’intesa che voleva costruire con l’Udc di Casini proprio sulla legge elettorale in vista di future alleanze.
«Io firmo» punta a raccogliere 500 mila firme entro settembre. Tra i promotori Passigli, Sartori, Cheli
Adesioni eccellenti, da Abbado a Hack, da Piano a Eco, da De Mauro a Carandini, da Pollini a Loy
Un’altra onda referendaria per portarsi via il Porcellum
Lo tsunami referendario potrà affondare anche la pessima legge elettorale? Ci credono Passigli, Sartori & co che hanno presentato ieri
«Io firmo, riprendiamoci il voto»: quattro quesiti per cambiare il sistema politico.
di R. Bru. (l’Unità, 17.06.2011)
L’onda alta del referendum può portarsi via anche il Porcellum? L’idea è semplice, l’obiettivo ambizioso, ma non impossibile: 500 mila firme entro la fine di settembre. Quattro punti per intervenire chirurgicamente sulla legge elettorale: togliere di mezzo le liste bloccate che confinano dentro il recinto dei partiti la scelta dei candidati lasciando fuori gli elettori, eliminare il premio di maggioreanza, che attribuisce tutto il potere ad una minoranza, fissare una soglia di sbarramento al 4%, vietare l’indicazione del nome del candidato premier sulla scheda, perché questa scelta deve essere rigorosamente attribuita, come prevede la Costituzione, al capo dello Stato. La parola, insomma, torni ai cittadini.
L’iniziativa «Io firmo, riprendiamoci il voto» è stata lanciata ieri dal Comitato per il referendum sulla legge elettorale, che già vede una rosa di adesione che sembra comporre il gotha delle eccellenze italiane: da Claudio Abbado ad Alberto Asor Rosa, da Andrea Carandini a Umberto Eco, da Rosetta Loy a Carlo ed Inge Feltrinelli, da Tullio De Mauro a Dacia Maraini, da Renzo Piano a Maurizio Pollini, da Corrado Stajano a Innocenzo Cipolletta, da Benedetta Tobagi a Margherita Hack.
Spiega Stefano Passigli, uno dei promotori del referendum, che «ogni tentativo di modificare la legge è destinato a fallire», perché gli effetti del Porcellum sono proprio la frammentazione politica, le coalizioni disomogenee e ingovernabili, il trasformismo. Qualcosa che è molto lontano dal sogno maggioritario alla anglosassone sognata da Mario Segni nei roventi anni novanta.
Ecco allora questa mobilitazione trasversale, volta a tagliare di netto i quattro punti più controversi della legge Calderoli. Che, lo ricordiamo, è in vigore dal dicembre 2005 e fu battezzata non a caso «Porcellum» dal politologo Giovanni Sartori, oggi tra i promotori del nuovo referendum: è lui a ricordare «uno dei maggiori vizi della legge», ossia il premio di maggioranza dato a una minoranza. «Falsa tutto il sistema politico: le leggi elettorali trasformano i voti in seggi e questa legge li trasforma male». Lui ritiene adatto all’Italia «il doppio turno alla francese o quello tedesco».
Ma perché ricorrere ad un referendum? Con la sua consueta franchezza, Sartori non ha dubbi che sia «l’unico rimedio contro l’inerzia dei partiti in materia di legge elettorale». Alla fine, è il costituzionalista Enzo Cheli a riservare l’affondo più netto: «Dopo la legge Acerbo (quella del 1923, voluta da Mussolini allo scopo di assicurare al partito fascista una maggioranza granitica, ndr), è la peggiore legge elettorale della storia italiana: intere aree sociali buttate fuori dal parlamento, mentre il premio di maggioranza dato ad una coalizione al di là di una soglia minima è a rischio costituzionalità».
Bene. Ma un problema, che già ha cominciato a causare qualche polemica, c’è. Ed è il fatto che, quel che ne uscirebbe sarebbe una legge proporzionale, che butterebbe a mare vent’anni di maggioritario. Infatti, il padre del maggioritario italiano, Mario Segni, protesta con durezza: «Il referendum Passigli è il ritorno alla peggiore partitocrazia». Arturo Parisi è d’accordo: «Che la legge elettorale introdotta da Berlusconi debba essere abrogata al più presto è fuori discussione. Ma una cosa è abrogarla per andare avanti verso una democrazia compiuta. Un’altra è abrogarla per tornare indietro alla stabile instabilità della prima repubblica».
I nuovi referendari la mettono così: l’iniziativa intende essere uno stimolo per spingere il parlamento a modificare il Porcellum, colpevole di aver sprofondato l’Italia «in un finto bipolarismo che riversa la frammentazione politica in ciascuno dei due schieramenti garantendo solo l’ingovernabilità del paese». E poi, chiude Passigli, «nel nostro referendum la soglia al 4% senza eccezione alcuna ridurrebbe a sei il numero dei partiti attuali». Detta così sembra semplice, ma l’ex senatore rivela che per riuscire a modificare la legge elettorale con lo strumento referendario è stato necessario un complicatissimo lavoro di «tagli e cuci»: i quattro quesiti sono formulati in modo da apporre alla legge 90 modifiche. Di tutto, per affondare il Porcellum.
Referendum
Tre quesiti contro la legge porcata
«Sì agli eletti, no ai nominati». Abolire le liste bloccate, cancellare il premio di maggioranza e l’indicazione del candidato premier, la Camera eletta col proporzionale con una soglia di sbarramento unica al 4%
I parlamentari non sarebbero più nominati dalle segreterie dei partiti, ma scelti con la preferenza unica
di pa.za.( il Fatto, 17.06.2011)
Tre quesiti per cambiare il porcellum, la “peggiore delle leggi elettorali possibili”. È partita ieri una nuova campagna referendaria, dopo il successo dei Sì su acqua, nucleare e legittimo impedimento. Questa volta, la legge da abrogare è quella che traduce in seggi i voti degli elettori, senza dare ai cittadini la possibilità di scegliere i propri rappresentanti. Dunque: “Riprendiamoci il voto”.
Come si fa?
Primo, abolire le liste bloccate e chiudere con il Parlamento dei “nominati”, dove il rischio “trasformismo” è moltiplicato all’ennesima potenza: l’eletto non risponde all’elettore ma a chi gli garantisce il mantenimento del seggio.
Secondo, l’abrogazione del premio di maggioranza che con la “porcata” (Calderoli dixit) viene attribuito alla lista che ottiene anche un solo voto in più rispetto alle altre. Un “vizio”, ha spiegato ieri il politologo Giovanni Sartori, che “falsa tutto, perchè dà un premio di maggioranza a una minoranza”.
Terzo, cancellare le “deroghe” alla soglia di sbarramento (ora varia se i partiti sono coalizzati o meno) e tornare al 4% valido per tutti, per evitare il proliferare dì mini-partiti. Quarto, eliminare l’indicazione del candidato premier: il Porcellum ha inserito un meccanismo dei sistemi presidenziali, senza che ci siano gli adeguati contrappesi.
Nel Comitato promotore ci sono esperti di diritto e di scienza della politica (Stefano Passigli, Enzo Cheli, Giovanni Sartori, Gustavo Visentini ) che sanno perfettamente che dal referendum non uscirebbe la migliore legge elettorale possibile, ma “qualsiasi innovazione” è meglio che restare fermi. Che poi è quello che sta facendo il Parlamento. Sartori non esista a parlare di “inerzia” e pure di “malafede”. Tutti, comunque, si augurano che alla Camera e al Senato si trovi presto un accordo, perché “la via parlamentare” resta quella maestra.
La campagna referendaria può servire da stimolo, anche se al Comitato sono consapevoli che non saranno i big dei partiti ad aiutarli nella raccolta firme. L’unica reazione positiva è arrivata dall’Udc, sostenitrice del proporzionale.
I fan del bipolarismo del Pd, invece, l’hanno già bocciata. Si tornerebbe “alla stabile instabilità della prima Repubblica”, dice Arturo Parisi; è una proposta “in direzione opposta a quelle del Pd” anche per il costituzionalista e senatore democratico Stefano Ceccanti. Contro i referendari anche i Radicali.
In compenso, hanno aderito alla proposta, tra gli altri, Umberto Eco, Alberto Asor Rosa, Dacia Maraini, Innocenzo Cipolletta, Renzo Piano. Si comincia dalla settimana prossima. I moduli sono scaricabili da www.referendumleggeelettora le.it . Obiettivo: 500 mila firme entro fine settembre. (pa.za.)
I firmatari: Claudio Abbado, Salvatore Accardo, Maurizio Pollini, Tullio De Mauro, Mario Pirani, Umberto Ambrosoli, Alberto Asor Rosa, Gae Aulenti, Andrea Carandini, Luigi Brioschi, Vittorio Gregotti, Renzo Piano, Carlo Federico Grosso, Benedetta Tobagi, Franco Cardini, Luciano Canfora, Margherita Hack, Carlo Feltrinelli, Inge Feltrinelli, Rosetta Loy, Giovanni Sartori...
LEGGE ELETTORALE: ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo
di Avv Natalina Raffaelli - natalinaraffaelli@tin.it - 3 marzo 2011 *
Invitiamo tutti i cittadini a essere presenti all’udienza pubblica del Tribunale di Milano il 16 marzo alle ore 15 per testimoniare la loro volontà di tornare ad essere parte attiva e decisiva della vita e delle sorti del Paese
Il 16 marzo, alle ore 15, innanzi al Tribunale di Milano in pubblica udienza sarà discussa la causa promossa da alcuni cittadini elettori italiani per rivendicare il loro diritto ad esprimere il proprio voto in modo eguale, libero e diretto, così come garantito dalla Carta Costituzionale, dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e dalla Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo.
La legge n.270 del 21.12.2005, tristemente nota come “legge porcellum”, viola gravemente il diritto dei cittadini italiani a scegliere liberamente i propri rappresentanti in Parlamento.
Gli articoli 48, 56 e 58 della Costituzione, che disciplinano l’esercizio del diritto di voto, si inseriscono nel principio generale posto dall’ articolo 1, secondo comma, della Costituzione, secondo il quale ”la sovranità appartiene al popolo”, che trova in essi la propria immediata e compiuta applicazione, quanto alle “forme” e i “limiti” per l’esercizio del diritto di voto.
In particolare, l’articolo 48 della Costituzione al fine di garantire il libero esercizio del diritto di voto dispone al secondo comma: “Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico” ed al quarto comma: “Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge”;
il primo comma dell’articolo 56 della Costituzione dispone “La Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto” e il primo comma dell’articolo 58 della Costituzione dispone: “I senatori sono eletti a suffragio universale e diretto dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età”.
Suffragio diretto significa che non vi debbono essere intermediazioni tra il corpo elettorale (il singolo elettore) e i suoi rappresentanti (gli eletti): gli elettori debbono poter scegliere direttamente i propri rappresentanti.
Il fatto poi che lo stesso articolo 56 della Costituzione, quarto comma, stabilisca che la ripartizione dei seggi della Camera si effettua in base alla popolazione di ogni singola circoscrizione elettorale (“..... dividendo il numero degli abitanti della Repubblica ..... per seicentodiciotto e distribuendo i seggi ...sulla base dei quozienti interi .....) conferma il principio, costituzionalmente garantito, di rappresentanza diretta degli eletti nei confronti del corpo elettorale; e, ugualmente, il fatto che l’articolo 48, secondo comma, della Costituzione stabilisca che il voto è “personale”, vuol dire che l’esercizio del diritto di voto non può essere delegato, né ceduto ad altri.
La nuova disciplina sottrae del tutto all’elettore la potestà di esprimere il proprio voto di preferenza per i candidati compresi nella lista votata e si pone in contrasto con l’articolo 48 della Costituzione, relativamente alla cui valenza la Corte Costituzionale, con la sentenza 2/10 luglio 1968 n. 96 ha testualmente statuito che “in materia di elettorato attivo l’art. 48, secondo comma, della Costituzione ha carattere universale e i principi, con esso enunciati, vanno osservati in ogni caso in cui il relativo diritto debba essere esercitato”.
Essa risulta in contrasto pure col secondo comma dell’art. 48 della Costituzione (il voto è ...... eguale), laddove, per come chiarito dalla stessa Corte Costituzionale nella sentenza n.15/2008, “l’assenza di una soglia minima per l’assegnazione del premio di maggioranza è carenza riscontrabile già nella normativa vigente che, giova ricordarlo, non impone coalizioni, ma le rende possibili”, e la possibilità che una coalizione di piccoli partiti possa superare con minimo scarto liste singole corrispondenti a partiti più consistenti non coalizzati e accedere in tal modo, con una bassa percentuale di voti, al premio di maggioranza, che funge da “moltiplicatore” ai fini dell’assegnazione dei seggi e del numero dei rappresentanti in Parlamento dei voti ottenuti da ciascuna delle liste coalizzate, di fatto attribuendo minor peso e rilevanza al voto espresso per le coalizioni perdenti (disuguaglianza del voto).
L’istituto del collegamento tra liste, attraverso il meccanismo del collegamento, consente ai partiti maggiori di incidere profondamente sul risultato elettorale e sulla effettiva rappresentanza del corpo elettorale e di distorcerne la volontà fino ad escludere dal parlamento, attraverso il rifiuto dell collegamento, una lista o più liste politiche che non hanno raggiunto la soglia di sbarramento del 4% su base nazionale, e a riconoscere, invece, una vasta rappresentanza a liste collegate, che rappresentano però percentuali irrisorie e di assoluta minoranza dell’elettorato.
Il sistema elettorale introdotto dalla l.n.270/2005 ha sottratto del tutto all’elettore la potestà di esprimere il proprio voto di preferenza, impedendogli così completamente di scegliere tra i candidati che si presentano per essere eletti quello cui dare il proprio consenso: il rapporto fiduciario tra elettore ed eletto insito nel voto di preferenza risulta dunque definitivamente soppresso. Si badi bene: non vengono qui in discussione le modalità di espressione della preferenza, cioè se uninominale o proporzionale, nelle quali comunque viene consentita una scelta diretta tra i diversi candidati; ciò che si denuncia è che l’attuale sistema elettorale italiano, per come dimostrano anche gli esempi sopra illustrati impedisce qualsiasi collegamento diretto tra elettore ed eletto, al punto che l’elettore non ha alcun potere nel determinare l’elezione dei singoli candidati inseriti in lista, rimessa esclusivamente ai capi del partito o dei partiti legati in coalizione.
La lista bloccata costringe l’elettore ad accettare ciecamente la scelta già fatta dagli organi di partito mediante l’ordine di inserimento dei candidati nella lista presentata e quella che faranno, all’esito della consultazione elettorale, sulla base di interessi, convenienze e connivenze del tutto personali e particolari, tra i candidati eletti in diverse circoscrizioni: a lui è rimessa solo la scelta tra il “prendere” ( e così andare a votare per “non si sa chi”) o “lasciare” (e rinunciare così ad un diritto-dovere fondamentale di ogni ordinamento democratico).
Questa situazione è particolarmente grave, stante anche l’ormai diffusa connivenza tra mafia e politica, tra criminalità organizzata e politica, contro la quale gli elettori non hanno più alcuno strumento a disposizione per poterla contrastare mediante un effettivo e concreto voto di preferenza, che consentirebbe di rifiutare i soggetti compromessi
Infine, le legge elettorale vigente, limitando fortemente il diritto di voto dei cittadini, appare incostituzionale per violazione dell’art.117 Cost., che impone il rispetto delle norme e dei principi del diritto internazionale e dei trattati sottoscritti, poiché risulta contraria all’art. 3 del Protocollo n.1 allegato alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e a quanto stabilito nel Codice di buona condotta in materia elettorale della Commissione di Venezia (§ 2, b), secondo cui gli elementi fondamentali del diritto elettorale interno non devono essere modificati nell’imminenza della consultazione elettorale e dovrebbero essere oggetto di una legge di rango costituzionale o di rango superiore alla legge ordinaria e il voto di ciascun cittadino deve essere “uguale”, “diretto”, “libero” ed “effettivo”.
Per tali motivi alcuni cittadini italiani hanno inteso fare ricorso ai Tribunali ordinari italiani perché, previa declaratoria di incostituzionalità della legge n. 270/2005, sia riconosciuto il diritto garantito dalla Costituzione italiana ad un voto diretto, uguale, libero ed effettivo per scegliere i propri rappresentanti in Parlamento, e alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo perché sia dichiarata la violazione di quel loro diritto, così come riconosciuto dall’art.3 del Protocollo n.1 allegato alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
L’esito delle azioni intraprese è però di grande e fondamentale importanza per tutti i cittadini italiani, che invitiamo tutti a essere presenti all’udienza pubblica del Tribunale di Milano il 16 marzo per testimoniare la loro volontà di tornare ad essere parte attiva e decisiva della vita e delle sorti del Paese.
L’eventuale rimessione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale della legge elettorale per i motivi denunciati costringerebbe il Parlamento a modificarla, impedendo così di andare al voto con le stesse norme.
* LIBERA CITTADINANZA: http://www.liberacittadinanza.it/articoli/legge-elettorale-ricorso-alla-corte-europea-dei
Fini: «parole gravi, si scusi». E lei obbedisce
Angela Napoli: «Alcune deputate e senatrici elette perché si sono prostituite»
La deputata finiana a Klauscondicio. L’ira delle (ex) colleghe del Pdl
MILANO - E’ bufera nella componente femminile del Pdl. Tutto parte dalle dichiarazioni fatte dalla deputata ex Pdl ora Fli Angela Napoli che intervistata da Klaus Davi su Klauscondicio sottolinea: «Non escludo che senatrici o deputate siano state elette dopo essersi prostituite. Purtroppo può essere vero e questo porta alla necessità di cambiare l’attuale legge elettorale». Per la deputata «E’ chiaro che, essendo nominati se non si punta sulla scelta meritocratica, la donna spesso è costretta, per avere una determinata posizione in lista, anche a prostituirsi o comunque ad assecondare quelle che sono le volontà del padrone di turno».
LA REAZIONE DELLE PARLAMENTARI DEL PDL - Apriti cielo. C’è un’immediata reazione da parte delle deputate del Pdl che minacciano querele. Dalla Mussolini, alla Lorenzin, dalla Saltamartini, alla Golfo tutte chiedono le scuse della collega.
FINI - Ad intervenire poi è lo stesso Gianfranco Fini che in una nota bacchetta la sua deputata: «Ledere la dignità delle deputate con accuse generalizzate quanto teoriche, e quindi indimostrabili, non può essere consentito nè‚ per il rispetto che si deve al Parlamento nè‚ per la considerazione che si deve avere per tante donne che, al pari dei colleghi di genere maschile, fanno politica con passione e disinteresse. Mi auguro che l’onorevole Angela Napoli, proprio perchè‚ a pieno titolo rappresenta da anni questo di genere di impegno politico, ammetta la gravità delle sue parole e se ne scusi».
LE SCUSE - Dopo il rimbrotto di Fini arrivano così anche le scuse della sua deputata. «L’intervista, che ha spaziato su numerosi argomenti, - spiega la Napoli - conteneva mie dichiarazioni molto più importanti rispetto a quelle relative all’attuale legge elettorale, dove, tra l’altro, alla domanda del conduttore se ritenevo che alcune colleghe sarebbero state elette dopo essersi prostituite, ho risposto: "non lo escludo". Non penso che con tale affermazione io abbia inteso criminalizzare le colleghe del Parlamento italiano, ne ritengo che debbano sentirsi da me oltraggiate coloro, e sono convinta la stragrande maggioranza, che hanno conseguito meritoriamente il seggio parlamentare e, comunque, me ne scuso. Ritengo che in questo momento la politica italiana necessiti di un confronto su ben altri ed importanti argomenti e, pertanto, chiudo alle varie provocazionì che in queste ore continuano a essere lanciate».
Redazione online
Un appello perché, prima di votare, si cambi questa brutta legge elettorale
di Rino Formica e Emanuele Macaluso (Corriere della Sera, 08.09.2010)
Illustri Presidenti,
i nostri padri costituenti prima di dare inizio alla elaborazione del testo costituzionale affrontarono due temi dirimenti e pregiudiziali: 1. La forma di Stato; 2. La struttura formale della Carta.
Sul primo punto si votò l’o.d.g. Petrassi (no al Governo presidenziale e no al Governo direttoriale sì ad un sistema parlamentare). Sul 2˚punto si aprì una discussione intorno a 3 o.d.g. (Bozzi, Calamandrei e Dossetti). L’Assemblea approvò l’o.d.g. Bozzi integrato dai suggerimenti di Togliatti e di Piccioni («il testo della Costituzione dovrà contenere nei suoi articoli disposizioni concrete di carattere normativo e istituzionale, anche nel campo economico e sociale»).
I Costituenti, per tenere insieme la costruzione di un ordinamento istituzionale democratico ed equilibrato, previdero poteri bilanciati da sostenere con un sistema di garanzie regolato sul principio della rappresentanza proporzionale della volontà popolare. (La Costituente votò un o.d.g. di Antonio Giolitti in tal senso).
Noi che scriviamo questa lettera siamo in condizioni di poter parlare con scienza e coscienza di esperienza vissuta e partecipata, perché abbiamo attraversato tutte le fasi pacifiche e drammatiche della vita repubblicana dalla Costituente ad oggi. Non vogliamo affrontare i temi caldi che attualmente incidono sull’equilibrio costituzionale: la crisi dello Stato nazionale; la crisi del partito politico e della democrazia organizzata; il lento svanire della democrazia parlamentare.
Vogliamo cogliere l’occasione che ci offre la discussione in corso sulla possibile fine anticipata della legislatura per porre alle più alte cariche istituzionali un problema ineludibile: o si cambia la legge elettorale in senso proporzionalistico o si cambiano i quorum di garanzie degli artt.64 (regolamenti della Camera), art.83 (elezione Presidente della Repubblica), art.135 (elezione giudici della Corte Costituzionale), art.138 (procedura di revisione costituzionale).
La questione non è nuova, ma oggi il conflitto tra quorum di garanzia costituzionale e legge elettorale maggioritaria, è più grave del passato a causa della debolezza delle forze politiche e per la crisi del bipolarismo bipartitico. La stessa sconcezza della nomina diretta dei parlamentari da parte dei capi partito appare come una infelice irrisione di ogni principio di libera determinazione della volontà popolare.
Dalla Costituente (1946) alla XI legislatura (1992) la rappresentanza parlamentare è stata eletta con leggi proporzionali. Il tema dei quorum di garanzia è nato con il Referendum abrogativo del 18 aprile 1993 su la legge elettorale del Senato.
Il Gruppo Socialista, pochi giorni dopo quel voto, presentò il 14 maggio 1993 la proposta di legge costituzionale (atto Camera n.2665) per l’abrogazione del terzo comma dell’art.138. Il 3 novembre 1993 il testo approdò in Aula. Tutti i Gruppi si dichiararono d’accordo con l’eccezione di Rifondazione comunista e i Radicali. Il testo fu approvato con 341 voti a favore e 7 voti contrari. Lo scioglimento delle Camere affossò la modifica dell’art. 138. Il 28 febbraio 1995 il centro-sinistra presentò una organica proposta di legge costituzionale (atto Camera n.2115) per la modifica degli artt. 64, 83, 135 e 138. Tutti gli altri Gruppi presentarono proposte di modifiche del 138. La discussione si svolse su tutte le proposte, il 2 e 3 agosto 1995 ed ebbe il parere favorevole del Governo. Ma anche in questo caso l’anticipato scioglimento delle Camere (1996) affossò le modifiche costituzionali.
Sul tema cadde il silenzio interrotto da una proposta alla Camera nella fine della XV legislatura e nella riproposizione del testo al Senato all’inizio dell’attuale legislatura (4 giugno 2008) a firma Oscar Luigi Scalfaro (atto Senato n.741). L’argomento è ancora una modifica del quorum dell’art. 138, e ancora una volta si osserva che la nuova legge per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica con premio di maggioranza, consente a maggioranze relative di elettori di diventare maggioranze assolute dei deputati e dei senatori; pertanto la quota di voti parlamentari necessaria per l’approvazione in seconda deliberazione di riforme costituzionali (metà più uno degli eletti) è, per così dire, «a portata di mano» per cambiare le regole e i principi della Costituzione secondo le opinioni o, peggio, le convenienze dei vincitori nell’ultima competizione elettorale.
A questo punto c’è da chiedersi: perché le forze politiche che da 17 anni hanno sempre votato alla quasi unanimità in prima lettura le proposte di modifica dei quorum di garanzia costituzionale come necessario bilanciamento alla introduzione delle leggi elettorali maggioritarie, hanno accantonato la questione?
A questa domanda si può dare una sola risposta: nel potere costituito è prevalsa la convinzione che l’attenuarsi delle garanzie costituzionali può essere giocata come arma politica aggiuntiva da una parte politica contro l’altra.
Noi ci rivolgiamo a Voi come supremi garanti della democrazia italiana, perché sia posto al Parlamento, prima dello scioglimento delle Camere, il tema per deliberare o una modifica in senso proporzionalista della legge elettorale o una modifica dei quorum di garanzia costituzionale.
Il tempo stringe e non consente oziose e inconcludenti discussioni. La nostra generazione si ribellò alla notte buia della dittatura, ed ha avuto l’onore di partecipare alla costruzione di una grande democrazia moderna. Noi temiamo che disattenzione o, peggio, fatalistica rassegnazione, possa distruggere un’opera preziosa per tutti.
"Il Porcellum ha trasformato la democrazia in oligarchia cancelliamo quest’aberrazione"
intervista a Gustavo Zagrebelsky,
a cura di Liana Milella (la Repubblica, 08 settembre 2010)
Il calderoliano Porcellum «rovescia la democrazia in oligarchia». Dunque va messo da parte prima di un nuovo voto. «Basta una leggina fatta di due frasi: "È abrogato il Porcellum ed è riportato in vigore il Mattarellum"». Perché, ragiona l’ex presidente della Consulta Gustavo Zagrebelsky, altrimenti l’attuale legge elettorale continuerà a «ferire la Costituzione» e ad espropriare i cittadini del loro diritto di scegliere da chi essere rappresentati. Per salvare «quella piccola cosa che è la democrazia» si mobilita l’associazione Libertà e Giustizia.
Ironizza Ellekappa, nella vignetta che campeggia sul sito: «Siamo seri, non si può andare a votare con una legge elettorale che grugnisce». Ci spiega il perché dell’iniziativa?
«Non si è mai vista in democrazia una legge elettorale in cui gli elettori non possano scegliere i propri rappresentanti, ma siano semplicemente chiamati ad "abboccare" alle designazioni fatte dalle segreterie dei partiti. Leggi di questo genere esistono solo nelle dittature di partito. Se questa non è un’aberrazione, non so cos’altro potrebbe essere».
Una legge che delega alle segreterie dei partiti, a solo cinque uomini in Italia come dice Fini, la nomina di mille parlamentari, espropria i cittadini del diritto di indicare i propri rappresentanti?
«Certamente. Ma non solo. Rovescia la democrazia in oligarchia. Che cos’è l’oligarchia se non il regime in cui i pochi che stanno in alto chiamano a sé e cooptano i propri uomini di fiducia? La democrazia non richiederebbe che i rappresentanti in Parlamento siano invece uomini di fiducia dei cittadini?».
Ma quando la legge Calderoli fu votata si disse che serviva per evitare campagne elettorali costose e per bloccare le interferenze di lobby criminali sulla scelta di deputati e senatori. Questi argomenti le paiono validi?
«Sono funzionali a un sistema oligarchico, non democratico. Potrebbero essere presi sul serio se si potesse dimostrare che l’attuale illimitato potere delle segreterie dei partiti di scegliere i candidati sia stato usato per selezionare una classe dirigente di persone oneste e competenti, degne di ricoprire la funzione parlamentare. Non generalizziamo, ma possiamo dire che effettivamente sia accaduto così? Ovvio che i problemi esistono, ma devono essere risolti diversamente, per esempio stabilendo limiti rigorosi alle spese elettorali e regole di trasparenza sui finanziamenti. La penetrazione di interessi criminali nella politica, poi, può essere addirittura facilitata dalla gestione oligarchica delle candidature».
A questa legge si può imputare la "colpa" di aver acuito la distanza tra cittadini e politica e di aver favorito l’astensionismo?
«Sì. Una legge come quella attuale è la dimostrazione che la classe dirigente vuole proteggersi dall’ingresso sulla scena della politica della cosiddetta società civile. Chiariamoci il concetto. Società civile non sono i salotti, le lobby, i gruppi organizzati per interessi settoriali. La società civile è l’insieme dei gruppi, delle associazioni, di coloro che liberamente, come ad esempio nel grande mondo del volontariato, dedicano gratuitamente passione ed energie al bene comune. Costoro chiedono giustamente "rappresentanza", ma la legge attuale li allontana dalla presenza in politica».
In un meccanismo come quello inventato nel 2005 lei individua un vulnus costituzionale?
«Sì. Nel solo fatto che, come giustamente si dice, deputati e senatori siano designati dall’alto e non eletti dai cittadini, c’è una violazione della sovranità popolare (articolo 1 della Costituzione). In più, il sistema attuale fa dei parlamentari degli agenti dei capi di partito che li hanno messi in lista, e non i rappresentanti della nazione come dovrebbe essere, secondo l’articolo 67 della Costituzione. Infine, un Parlamento così fatto è totalmente privo di autonomia e di autorevolezza rispetto a coloro che ve li hanno messi. Ciò che è accaduto in questi giorni, quando il presidente del Consiglio promette candidature in cambio di adesioni al Pdl, non dimostra forse, nel modo più chiaro, che i posti in Parlamento sono considerati proprietà di chi comanda, il quale li può distribuire come vuole?».
Libertà e Giustizia si mobilita «per restituire ai cittadini il diritto di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento». Com’è nata l’idea?
«È nata per tutte le ragioni dette finora. È una mobilitazione per la democrazia. La speranza è creare un movimento trasversale e corale tra tutti coloro che hanno a cuore questa piccola cosa che è la democrazia. Non abbiamo nessuna idea, né ci preoccupa averla, su chi potrebbe avvantaggiarsi e chi invece sarebbe danneggiato dall’abrogazione della legge elettorale vigente. In gioco c’è ben altro che il successo di questo o quel partito. C’è la difesa della democrazia».
Ogni volta che si ragiona di riforma del sistema elettorale si apre una contesa tra sostenitori di diverse soluzioni, quella tedesca, francese, spagnola o inglese. Un guazzabuglio dal quale non si esce mai. Lei cosa suggerirebbe per arrivare almeno a un compromesso decente?
«La situazione attuale è di emergenza. Giustizia e Libertà ha lanciato tempo fa questo slogan: "Mai più al voto con questa legge elettorale". Ogni altra soluzione sarebbe migliore. Tuttavia, se ciascuna forza politica interessata alla riforma elettorale si muoverà per conto proprio secondo la sua strategia politica, il risultato sarà inevitabilmente l’impasse, e ci terremo la legge che si dice di voler cambiare».
E invece c’è una via d’uscita?
«Il suggerimento minimalista è di rivolgersi indietro alla legge precedente, il cosiddetto Mattarellum. Era una legge criticabile, ma certamente rappresenterebbe oggi il meno peggio. Sarebbe già qualcosa di importante. Si trattava di un compromesso tra logica maggioritaria e logica proporzionalistica che potrebbe soddisfare, almeno parzialmente, tutti quanti. Poi, se i tempi lo consentiranno, si potrà lavorare fuori dell’emergenza, per un nuovo sistema elettorale. Per raggiungere questo risultato, al quale le Camere prima dello scioglimento dovrebbero dedicarsi, basterebbe una leggina fatta di due frasi: "È abrogato il Porcellum ed è riportato in vigore il Mattarellum"».
LA POLEMICA Stracquadanio: "Legittimo prostituirsi se si vuole fare carriera"
Il deputato del Pdl: "Se anche una deputata o un deputato facessero coming out e ammettessero di essersi venduti per fare carriera o per un posto in lizza non sarebbe una ragione sufficiente per lasciare la Camera o il Senato".
ROMA - "E’ assolutamente legittimo che per fare carriera ognuno di noi utilizzi quel che ha, l’intelligenza o la bellezza che siano. E’ invece sbagliato pensare che chi è dotato di un bel corpo sia necessariamente un cretino. Oggi la politica ha anche una dimensione pubblica. Ci si presenta anche fisicamente agli elettori. Dire il contrario è stupido moralismo". Così Giorgio Stracquadanio 1, deputato Pdl, ospite del programma Klauscondicio commenta le affermazioni fatte qualche giorno fa dalla deputata Fli Angela Napoli, che aveva denunciato la "prostituzione" di alcune colleghe in cambio di nomine politiche 2. "Se anche una deputata o un deputato facessero coming out e ammettessero di essersi venduti per fare carriera o per un posto in lizza - insiste Stracquadanio - non sarebbe una ragione sufficiente per lasciare la Camera o il Senato".
Le parole del deputato del Pdl provocano un coro di sdegnate reazioni. La prima è quella della stessa Napoli. "Frasi offensive per le donne e in particolare per coloro che fanno politica, la cui carriera dovrebbe essere valutata esclusivamente sul merito’’ dice l’esponente di Futuro e Liberta’, membro della commissione parlamentare antimafia. "Sul fatto che chiunque sia libero di usare il proprio corpo come meglio crede, e dunque di fare carriera anche prostituendosi ha ragione Stracquadanio, dove invece Straquadanio ha torto marcio sta nel fatto che una simile proposta deve essere respinta seccamente al mittente da chi la riceve, in particolare se si tratta di posti in lista o al governo da assegnare" dichiara Silvana Mura deputata di Idv.
* la Repubblica, 13 settembre 2010
Dal letto allo scranno
Finalmente abbiamo trovato un ideologo all’altezza del compito. Se per ottenere pari opportunità decenni di femminismo non sono serviti; se quella marcia delle donne cominciata nel ‘46 con il voto (la prima volta è stata al referendum monarchia-repubblica) è sembrata tornare indietro, grazie ai lettoni di Putin e dintorni, a passi da gigante; se trent’anni di fatiche sui posti di lavoro hanno appena scalfito il soffitto di cristallo che pesa sulla testa delle donne, non demoralizzatevi. A dare alle donne il posto che meritano ci pensa lui, tale Giorgio Sdracquadanio, non si capisce come, eletto al Parlamento.
Intervistato in tv, ha detto che ognuno, per fare carriera, è giusto che usi il meglio che ha. E che se una donna ritiene di usare il suo corpo, è legittimo che lo faccia. Insomma, andare a letto con qualcuno in cambio di un posto in lista, va bene.
Condivido: ogni donna, come ogni persona, può fare quel che le pare. Quello che mi fa spaventa non sono le donne; sono gli uomini che in cambio di sesso sono disposti ad aprire le porte di quel loro mondo ancora molto esclusivo. E mi spaventano le regole che quegli uomini sono riusciti ad imporre. La riforma della legge elettorale, quella che può ridare ai cittadini il diritto di scegliere i propri rappresentanti, non può più essere rinviata.
Con questa legge il vero rischio che corriamo non è di avere le escort in parlamento; è di avere gente come questo signor Stracquadanio.
LEGGE ELETTORALE
La tentazione del Cavaliere
lo scambio fra lodo e Mattarellum
Berlusconi potrebbe tornare al Mattarellum solo se il Pd accetta di votare il lodo Alfano in veste costituzionale. Otterrebbe i due terzi, eviterebbe il referendum e bloccherebbe al più presto tutti i suoi processi milanesi
di LIANA MILELLA *
A MARE il Porcellum, pur di salvare se stesso. Il ritorno al Mattarellum, ma solo se il Pd accetta di votare il lodo Alfano in veste costituzionale, in modo da ottenere i due terzi, evitare il referendum e bloccare al più presto - aprile calcolano gli uomini di Berlusconi - tutti i suoi processi milanesi. Stavolta definitivamente. Senza più patemi. Tranquillo fino allo scadere della legislatura. È questa la tela segreta, il grande scambio tra scudo e legge elettorale, che in queste ore sta tessendo palazzo Chigi. Nella quale l’atteggiamento e la posizione di Fini rivestono, per il Cavaliere, un ruolo fondamentale. Un suo sì, "ma pieno, rotondo e senza scherzi", allo scudo rappresenta un primo passo essenziale. Perché, ragiona il premier con il Guardasigilli Angelino Alfano, "dell’intesa sul lodo dobbiamo essere sicuri al cento per cento, altrimenti è meglio che io faccia saltare tutto adesso per votare in primavera".
Il Porcellum, la legge "porcata" come la battezzò il leghista Calderoli, gli ha regalato il potere assoluto di mettere in lista chi gli pare e consegnarlo come un pacco regalo agli italiani, ma Berlusconi è deciso a buttarla via tentando uno scambio con il Pd. Che sfrutta un dato di fatto, la voglia profonda dei Democratici di tornare al sistema inventato dall’ex ministro Sergio Mattarella. Come dimostra la notizia che i pd Arturo Parisi e Stefano Ceccanti ieri si vantavano di aver già raccolto 187 firme, 80 senatori e 107 deputati, per sostenere quella "semplice legge" ipotizzata dall’ex presidente della Consulta Gustavo Zagrebelsky e una legislatura fa depositata dall’ex pm Felice Casson. Due righe, "è abrogato il Porcellum, si torna al Mattarellum". Sui mal di pancia del Pd punta Berlusconi, convinto, mentre ne ragiona con i suoi, che lo scambio tra lodo Alfano e abolizione del Porcellum non sia affatto un sogno impossibile.
A chi, delegato a svolgere il ruolo di ambasciatore, gli obietta che "mai e poi mai i Democratici voterebbero per una legge che considerano ad personam", lui fornisce l’argomento utile da spendere: "Ditegli che solo così potranno cambiarla, altrimenti si torna a votare con quella". Fa di conto, il Cavaliere. Dà per scontata l’adesione dell’Udc e comincia a convincersi che anche Fini sullo scudo stia facendo sul serio. Al presidente della Camera, che già quest’estate si interrogava su quale potesse essere la via d’uscita per risolvere i problemi giudiziari del premier e chiedeva consigli, in quel di Ansedonia, alla sua consigliera per la giustizia Giulia Bongiorno, lei aveva risposto che l’unica via, la più "pulita", era quella della sospensione dei processi per la durata del mandato, ma da perseguire con legge costituzionale. Fini dunque non gioca, e ieri Italo Bocchino lo ha confermato ad Angelino Alfano.
Incontro casuale, si dice. Due padri che portano a scuola, per l’inizio dell’anno, la figlia e il figlio. Guarda caso pure nella stessa classe. Poi una merenda, tra scorte e telecamere, al bar Ruschena, lungotevere all’angolo della Cassazione. Un’ora e più di colloquio. Su Repubblica la notizia che Fini dà mandato alla Bongiorno di dare il via libera all’accelerazione del lodo. Bocchino conferma che il suo capo fa sul serio. Quella "è una strada che rispetta le regole, non scassa il sistema, riguarda solo un processo e non ne manda a capofitto centinaia come il processo breve".
E allora non resta che far di conto. Verificare i tempi. Incrociare il progetto con la decisione della Consulta sul legittimo impedimento (il 14 dicembre). L’ipotesi di cambiare quella legge, su cui pure Alfano ha ragionato, non pare spendibile. Una versione che la attenuasse, ha spiegato l’avvocato del premier Niccolò Ghedini, danneggerebbe soltanto il suo assistito. La tattica decisa è un’altra. Che i berluscones spiegano così: "Metteremo la Corte di fronte al fatto compiuto che il Parlamento sta approvando a tappe forzate la legge costituzionale, per cui la legge ponte, il legittimo impedimento, è comunque destinata a scomparire". Per questo contano i tempi, cui è delegato a lavorare Carlo Vizzini, il presidente della commissione Affari costituzionali e relatore del lodo. Che ieri ha sottoposto al capogruppo pdl Maurizio Gasparri l’ipotesi di un incontro congiunto tra Camera e Senato per verificare la stesura di un testo definitivo.
Su questo si gioca la corsa a tappe forzate. Sì rapido al Senato, aula ad inizio ottobre, entro dicembre il secondo voto alla Camera. Tre mesi obbligatori di attesa. Poi la terza e quarta lettura. Legge pronta ad aprile. E qui, calcola Vizzini, "dovrebbero essere necessari 190, al massimo 200 giorni, per andare al referendum, qualora fosse necessario". Ma Berlusconi lavora per evitarlo mettendosi d’accordo col Pd. Se non ci riuscisse ecco il referendum in autunno, che lui considera già vinto visto che spenderà la sua faccia. A quel punto starà per scadere il legittimo impedimento. Ma a vederlo da fuori è un puzzle con molti, troppi incastri.
* la Repubblica, 14 settembre 2010
Speriamo non sia femmina
di Ida Dominijanni (il manifesto, 14.09. 2010)
Dunque pare che secondo l’onorevole Giorgio Stracquadanio, uno di quelli che dice sempre la verità profonda del berlusconismo, prostituirsi per fare carriera politica non sia un problema: è ammesso, "legittimo" e non censurabile. Ognuno usa quello che ha, spiega il nostro, «intelligenza o bellezza», o magari tutt’e due perché non è detto che chi è bello sia stupido (e neanche il viceversa, basta guardare lui): sono fatti privati, «ognuno deve disporre del proprio corpo come meglio crede e se non c’è violenza non c’è problema». E se invece ci sono soldi, posti e potere? Domanda superflua, Stracquadanio non la capirebbe nemmeno, e del resto in casa sua (e non solo in casa sua) non la capisce nessuno dal velina-gate in poi.
Ma l’improvvida uscita dell’onorevole è un’ottima sintesi della concezione della libertà targata Berlusconi e quindi tanto vale insistere. Fra la libertà di disporre del proprio corpo e la libertà di venderlo per averne in cambio posti, favori e carriere c’è di mezzo il mare, un mare che si chiama mercato, denaro, scambio di potere fra diseguali, ricatto. Non solo non è la stessa cosa, ma le due cose neanche si toccano: si escludono. Da una parte c’è il desiderio, dall’altra la forma di merce, e fra desiderio e forma di merce sarebbe il caso di ricominciare a fare qualche distinzione: a sinistra potrebbero provarci, invece di cadere ogni volta, quest’ultima compresa, nella trappola del derby fra disinvolti e moralisti.
Fra le molte coliche e contorsioni in cui si dibatte il berlusconismo morente, ce n’è una quasi incomprensibile, l’ostinata compulsione a battere e ribattere sul tasto della sessualità, che è esattamente quello che ne ha firmato la condanna a morte. Il premier e le veline candidate, il premier e il sesso a pagamento, il premier e il «ciarpame politico» delle «vergini che si offrono al drago»: cominciò tutto da lì, vale ricordarlo, non da Gianfranco Fini. Eppure lo stesso premier batte e ribatte compulsivamente ancora su quel tasto, come fosse un tasto imprescindibile del suo armamentario populista. Ormai tanto visibilmente provato nell’immagine quanto disorientato sul da farsi, domenica, alla festa di Atreju, quell’armamentario l’ha tirato fuori tutto, come in una prova generale della campagna elettorale prossima ventura.
Un’autocitazione dietro l’altra dai suoi discorsi del ’94 e seguenti, come se l’Italia si fosse fermata al suo avvento: il libro nero del comunismo, gli ammiccamenti al nazismo in salsa di barzelletta, il monumento a se stesso come esempio e prospettiva di vita per i giovani, il Pdl come «popolo» e non partito, i giornali da evitare come la peste...e dentro questo album di foto stantìe la più stantìa di tutte, la sua foto di conquistatore ricco, intraprendente e irresistibile. «Io c’ho la fila di quelle che mi vogliono sposare: sono simpatico, ho un po’ di grana, la leggenda dice che ci so fare, e in più pensano che sono vecchio, muoio subito e loro ereditano». Pensano ma si sbagliano, perché lui è sempre lo stesso e le sue gag sono sempre le stesse, compresa quella irrinunciabile di chiedere il numero di telefono a una ragazza che prova a fargli una domanda politica.
Ridicolo. Compulsivo. Consunto. Decrepito. Eppure, lo sappiamo, Berlusconi ha sempre una carta di riserva, che sta sempre fuori dal mazzo della politica. E non va affatto sottovalutata la sua frase di domenica portata in prima pagina da «Libero» di ieri, «Largo ai giovani e alle donne», che potrebbe preludere, e non è la prima volta che si dice, a un’investitura della figlia Marina alla successione.
Indirettamente avvalorata, secondo il quotidiano, dalle ripetute interviste rilasciate al «Corriere della Sera» negli ultimi mesi dalla stessa Marina. «La Principessa e la Trota», scrive «Libero» alludendo a una destra del futuro in mano ai figli di Berlusconi e Bossi: largo alle dinastie, come in ogni regno che si rispetti. Altro che posta in gioco costituzionale: mentre parlavano del legittimo impedimento stavano ripristinando la monarchia e non ce ne siamo accorti.
Ma qui non è solo questione di monarchia. Attenzione, perché è proprio da quel suo continuo e compulsivo battere sul tasto delle donne e della sessualità che Berlusconi potrebbe estrarre stavolta la carta fuori mazzo: una donna candidata premier al posto suo. La figlia o chi per lei. Altro che ciarpame politico, altro che le veline a Strasburgo, altro che i festini e le farfalline di Palazzo Grazioli e di Villa Certosa: passerebbe alla storia come il primo uomo politico italiano che ha ceduto il passo a una donna. Un vero Cavaliere. E un vero schiaffo alla sinistra, l’ennesimo.