almeno 6 mila persone hanno cercato rifugio nelle chiese e nelle stazioni di polizia
La grande fuga dall’ondata xenofoba
Il Sudafrica precipita nel caos
Sono cittadini dello Zimbabwe, scappati attanagliati dalla fame e minacciati dalla violenza politica *
DAL NOSTRO INVIATO NAIROBI - Fuggi fuggi generale degli emigranti dal Sudafrica dopo le violenze cominciate sabato, che hanno lasciato sul terreno 22 morti a Johannesburg. I disperati che negli ultimi mesi avevano cercato un rifugio nel più ricco Paese del continente a caccia di un lavoro cercano disperatamente di mettersi in salvo. Si calcola che almeno 6 mila persone abbiano cercato rifugio nelle chiese e nelle stazioni di polizia.
Sono soprattutto cittadini dello Zimbabwe, scappati da una crisi economica senza precedenti, attanagliati dalla fame e minacciati dalla violenza politica. L’ondata xenofoba, però, non risparmia nessuno. Soprattutto nigeriani, congolesi, pachistani, gente del Malawi. A Città del Capo è stata presa di mira la comunità somala che gestisce una gran quantità di piccoli commerci. «Nella mia chiesa ospito almeno 1500 persone - ha detto il vescovo metodista Paul Verryn - . Abbiamo già dovuto respingere due assalti. E’ una guerra di poveri contro poveri». Gli stranieri, come sempre accade, sono accusati di portar via gli affari e il lavoro. Fanno da capro espiatorio e scontano gli effetti della crisi sociale ed economica che ha colpito il Sudafrica dove la disoccupazione ha raggiunto il 30 per cento, il costo della vita è salito vertiginosamente, non si trovano case, la criminalità è aumentata in maniera esponenziale e il divario tra ricchi e poveri è diventato impressionante.
Ogni giorno, specie a Johannesburg, vengono consumate impunemente rapine e stupri. Le gang - scrivono i giornali - attendono con ansia il 2010, anno in cui il Sudafrica ospiterà i mondiali di calcio. Ieri mattina lo Star, il più diffuso giornale sudafricano, ha pubblicato in prima pagina la raccapricciante fotografia di un uomo bruciato vivo. Ma il monito non è servito a nulla. Le violenze sono continuate per tutto il giorno, soprattutto nelle città e nei villaggi verso il confine con lo Zimbabwe, dove in continuazione passano decine di persone scavalcando reti ormai ridotte a un colabrodo. Bande di giovani armati di coltelli e bastoni hanno attaccato, saccheggiato e bruciato i negozi e le case degli stranieri.
Il capo della polizia, dopo aver annunciato che i suoi uomini hanno arrestato almeno 600 persone, ha gettato acqua sul fuoco: «Non parlate di xenofobia - ha detto ai giornalisti - qui si tratta di criminalità comune». Le due cose, probabilmente, sono strettamente collegate. Fame e povertà generano violenza. Mentre il presidente sudafricano Thabo Mbeki ha annunciato un’inchiesta «per capire cos’ha provocato l’ondata di violenza», Jacob Zuma, presidente del partito al potere, l’African National Congress e futuro candidato alla presidenza l’hanno prossimo, è andato giù pesante con dichiarazioni che hanno marcato la distanza politica che separa i due uomini (nella corsa alla nomination Zuma ha battuto il candidato di Mbeki): «Dobbiamo vergognarci del nostro comportamento - ha detto - . Noi sudafricani durante l’apartheid abbiamo trovato rifugio in Paesi stranieri e siamo stati trattati benissimo. Chi scappa da condizioni disperate deve essere accolto con comprensione». Una stilettata a Mbeki. Il presidente sul problema dello Zimbabwe - Paese precipitato nel barato di una terribile crisi economica grazie al dittatore Robert Mugabe - ha sempre tenuto un atteggiamento conciliante, mentre Zuma ritiene che debba essere risolto al più presto perché destabilizza il mezzogiorno del continente.
Massimo A. Alberizzi malberizzi@corriere.it
* Corriere della Sera, 20 maggio 2008
Sudafrica (Wikipedia).
Sudafrica, 62 morti e 670 feriti nelle violenze xenofobe *
Dall’inizio delle violenze contro i migranti in Sud Africa, cioè dall11 maggio, sono state uccise almeno 62 persone, 670 le persone ferite, 35mila i profughi. Inoltre, tra i 12 e i 15mila mozambicani hanno riattraversato il confine per tornare nelle loro case. La polizia ha arrestato più di 1433 persone coinvolte negli attacchi xenofobi. «Il numero dei decessi è salito da 56 a 62», ha precisato il portavoce nazionale della polizia, Sally de Beer, perché «alcuni feriti sono morti in ospedale». «Ma nessun grave incidente si è verificato di recente», ha concluso. La situazione è tornata gradualmente sotto controllo alla fine della scorsa settimana.
Le violenze contro gli immigrati, in gran parte provenienti da Zimbabwe, Malati e Monzambico, erano cominciate l’11 maggio in una township di Johannesburg e si erano poi estesi a tutte le province del paese. Gli scontri più violenti si sono verificati nell’accampamento informale Ramaphosa. Solo in questo pezzo di terra sudafricano, quello che gli «esperti» chiamano slum o «informal settlemet», sono stati uccisi circa trenta stranieri. La violenza si è concentrata soprattutto in Gauteng, Johannesburg ma si è rapidamente diffusa in altre aree del Paese, come Città del Capo, Mpumalanga e Kwa Zulu Natal.
Decine di migliaia di persone - 35mila secondo il governo, 100mila secondo le Ong locali - sono fuggite dalle bidonville per paura degli attacchi. Une parte dei migranti sono rientrati nei loro Paesi, il Mozambico ha accolto più di 30mila tra profughi e rimpatriati. Altri si sono rifugiati nei commissariati, nei centri sociali, o in campi di fortuna. La maggior parte dei luoghi dove hanno trovato rifugio gli stranieri in fuga versano però in condizioni igieniche estremamente precarie, secondo le Ong sul terreno come Medici senza frontiera. Il governo del Sudafrica allestirà perciò sette campi profughi, che potranno ospitare fino a 70mila persone.
L’esperto sul razzismo del Consiglio dell’Onu per i diritti umani ha condannato «nei termini più forti» le recenti violenze xenofobe in Sudafrica. Il relatore dell’Onu sulle forme contemporanee di razzismo, xenofobia e intolleranza, Doudou Diene, ha esortato le autorità sudafricane a portare i responsabili davanti alla giustizia e a «stimolare una riflessione comune sulle cause profonde di questo fenomeno». Sarà inoltre necessario affrontare un dibattito sull’integrazione degli immigrati e dei rifugiati, ha osservato Diene.
Il governo ha risposto che saranno insediati dei tribunali speciali per giudicare gli autori delle violenze. La causa è imputata alla frustrazione dei sudafricani poveri, che attendono a 14 anni dalla fine dell’Apartheid un miglioramento delle loro condizioni di vita. Nonostante il Sudafrica sia la prima potenza economica di tutto il continente, il 43% della sua popolazione vive con meno di due dollari al giorno. È il risultato delle politiche liberiste adottate dal governo. Nell’ultimo anno si sono persi circa un milione di posti di lavoro; Cosatu, il principale sindacato del Sudafrica, stima la percentuale di disoccupazione attorno al 45 per cento. Nell’area di Città del Capo due famiglie «nere» su tre non hanno abbastanza cibo per sopravvivere; il salario reale dei lavoratori si è ridotto del 10 per cento mentre quello dei manager è stato aumentato del 42 per cento. Il dato più allarmante è che negli ultimi anni a dieci milioni di persone è stato interrotto il servizio di acqua e luce e a più di due milioni è stato eseguito uno sfratto. La disparità tra ricchi e poveri è tremenda: il Sud Africa dopo il Brasile, è il paese più ineguale del mondo.
* l’Unità, Pubblicato il: 31.05.08, Modificato il: 31.05.08 alle ore 13.12
Razzismo
I fantasmi del Sudafrica
di Paolo Naso, giornalista e docente di scienza politica alla Sapienza di Roma
Un vento xenofobo soffia sul Sudafrica e in pochi giorni ha già prodotto decine di vittime. Gli episodi più gravi si sono registrati ad Alexandra e a Johannesburg dove la Central Methodist Church che ospita un migliaio di immigrati provenienti in massima parte dallo Zimbabwe, è stata presa d’assalto da una folla di persone determinate a cacciarli dal loro "rifugio" e dalla città. L’intervento della polizia ha scongiurato il peggio ma è evidente che la situazione rimane tesa.
Dai quartieri più poveri e desolati del Sudafrica, gli stessi nei quali più brutali sono stati gli effetti dell’apartheid, si leva un’ondata di protesta contro i circa 3 milioni di immigrati provenienti dai paesi più vicini afflitti da carestie, guerre civili, violenze etniche. Insomma, due disperazioni messe l’una contro l’altra: quella di chi subisce ancora gli effetti del razzismo di stato dell’apartheid e quella di chi paga l’instabilità economica e politica di tante regioni dell’Africa.
Ma rispetto ad altre crisi del continente nero, questo caso ha una sua specificità: il Sudafrica è un paese largamente cristiano, con una maggioranza protestante e segnato da una vicenda - l’apartheid, il suo crollo e la costruzione di un paese finalmente multietnico - nella quale le chiese hanno svolto un ruolo di primo piano.
Sono in molti a ritenere che il processo "verità e riconciliazione", saldamente guidato dal vescovo anglicano e Premio Nobel per la pace Desmond Tutu, abbia salvato il paese da un bagno di sangue. Attraverso i tribunali di "verità e riconciliazione", il Sudafrica è riuscito a fare i conti con la propria storia e le proprie terribili sofferenze, senza confondere vittime e carnefici, oppressi ed oppressori. Ma al tempo stesso, in quei tribunali nei quali sono sfilate tante persone per riconoscere i loro errori o per condividere le loro sofferenze, si è anche costruita una verità condivisa che ha consentito al paese di guardare con fiducia al suo futuro e di aprire una nuova stagione della sua storia. Finalmente democratica e multietnica.
In quel processo le chiese, comprese quelle protestanti maggiormente compromesse con la teologia dell’apartheid, svolsero un ruolo importante: confessarono il loro peccato e si misero al servizio di un cammino di riconciliazione nazionale. La crisi di questi giorni propone alle chiese sudafricane una sfida analoga: svolgere un ruolo attivo per fermare questa brutta "guerra tra poveri" ed adoperarsi per costruire una cultura dell’accoglienza e della solidarietà. Lo stanno facendo in queste ore: "Vi prego, vi prego fermatevi. Noi non ci comportiamo in questo modo. Quelli sono nostri fratelli e nostre sorelle", implora pubblicamente Desmod Tutu. "Ci impegniamo a lavorare con le istituzioni e con tutti coloro che vivono nelle aree a rischio per promuovere la sicurezza e condizioni di vita sostenibili, sia per i sudafricani che per gli immigrati", gli fa eco Eddie Makue, segretario generale del Consiglio delle chiese del Sudafrica - un organismo che raccoglie 26 chiese protestanti del paese, sia bianche che nere - che cita i passi della Bibbia che sottolineano la "responsabilità dei credenti di mostrare ospitalità agli stranieri e di proteggere i membri della società più vulnerabili, compresi coloro che arrivano da un altro paese".
Un altro dirigente del Consiglio delle chiese del Sud Africa, Gift Moerane, ammonisce a non cadere nella trappola di "trasformare gli immigrati, o qualsiasi altro gruppo altrettanto vulnerabile, in capri espiatori per i difficili e complessi problemi che essi sono costretti ad affrontare". "Scontiamo la frustrazione delle aspettative popolari per una profonda trasformazione e gli effetti di una serie di fattori che hanno fermato lo sviluppo dei paesi confinanti dove si sono create delle élite che hanno concentrato nelle loro mani il potere politico ed economico", commenta un altro pastore sudafricano, Andre Bartlett.
E le chiese non si limitano ad analizzare i problemi. Si attivano, entrano nei quartieri a rischio e provano a calmare gli animi, a ragionare sugli effetti catastrofici di questa ondata di violenza contro gli stranieri. Insomma svolgono una preziosa azione di mediazione. Avrà successo soltanto se il governo saprà rassicurare le fasce sociali dei sudafricani più poveri e disperati, quelle nate e cresciute nelle township dell’apartheid, se vedranno che il nuovo Sudafrica si fa carico delle loro paure e delle loro speranze. (NEV 21/2008)
da: http://www.fedevangelica.it/articolo-2.asp?var=202
* Il Dialogo, Giovedì, 22 maggio 2008
La Stampa, 21/5/2008 (19:21)
LA VIOLENZA CONTRO GLI IMMIGRATI DILAGA
Sudafrica: 42 vittime della violenza xenofoba, interviene l’esercito
I soldati rafforzeranno le ronde della polizia. La Fifa preoccupata: il Paese nel 2010 ospiterà i mondiali di calcio La situazione è in queste ore di relativa calma, ma il bilancio di dieci giorni di violenze xenofobe rivolte contro gli immigrati di altri Paesi africani, nella regione di Johannesburg, in Sudafrica, è salito a 42 morti, a cui si devono aggiungere 16.000 sfollati.
Stasera la polizia sudafricana ha diffuso un bilancio ufficiale che conferma questa cifra e annuncia anche arresti. Di fronte al precipitare della situazione, in giornata il presidente sudafricano Thabo Mbeki ha approvato il dispiegamento dell’esercito. I soldati andranno a rafforzare i reparti di polizia che già presidiano, anche con reparti di elite, i quartieri più turbolenti soprattutto nella zona di Johannesburg.
Ieri sera ci sono stati attacchi a immigrati nigeriani a Durban, sulla costa sud orientale, che hanno fatto temere un contagio dei linciaggi a macchia d’olio. A Johannesburg la situazione oggi è stata abbastanza calma nei quartieri più diseredati, quelli dove l’11 maggio sono iniziate le violenze e dove per oltre una settimana ha imperversato una crudele caccia agli stranieri, accusati di portare disoccupazione e criminalità. Bersaglio degli attacchi sono soprattutto immigrati dello Zimbabwe e del Mozambico, che in queste ore stanno partendo in massa per tornare nei loro Paesi.
La notte scorsa le violenze si sono spostate a Durban, il capoluogo della provincia sud orientale del Kwazulu-Natal, patria dell’etnia maggioritaria Zulu. A Umbilo, quartiere povero della grande città portuale sull’Oceano Indiano, alcuni negozi appartenenti a immigrati nigeriani sono stati attaccati da una piccola folla inferocita. «Una folla di circa 200 persone si è radunata nelle strade, brandendo bottiglie e bastoni, e ha aggredito delle persone», ha detto alla France Presse Phindile Radebe, la portavoce della polizia del Kwazulu-Natal.
Secondo media locali, sei immigrati africani sono stati feriti. «C’è un timore reale che la violenza si estenda fin qui», ha detto Mary de Haas, che dal 1980 tiene sotto osservazione la violenza nel Kwazulu-Natal. «Ci sono già stati in passato attacchi a stranieri», ha aggiunto. Secondo un responsabile dell’amministrazione provinciale, Bheki Cele, dietro le violenze xenofobe a Durban si nasconde però un disegno politico. Cele ha puntato il dito contro membri dell’Inkhata, storico partito nazionalista Zulu e storico rivale dell’African national congress (Anc) di Nelson Mandela.
Winnie Mandela, la controversa ex moglie del padre del Sudafrica democratico e membro del comitato esecutivo dell’Anc, ha detto che il governo ha scoperto un complotto che prevede attacchi ai treni dei lavoratori pendolari. La situazione in Sudafrica, dove devono tenersi i mondiali di calcio del 2010, desta preoccupazione anche nella Fifa. «I problemi che attraversa attualmente il Paese ci toccano in modo particolare - ha detto all’Ansa a Zurigo la federazione internazionale Calcio - e speriamo che la Coppa del mondo e il suo potere di unificazione permetteranno di sormontare questi dissensi». «Siamo convinti - ha aggiunto la Fifa - che le autorità sudafricane faranno tutto il possibile per risolvere questo conflitto».
Sudafrica, attacchi a immigrati
Salito a 42 il numero dei morti
JOHANNESBURG - E’ salito ad almeno 42 morti accerati il bilancio delle violenze a sfondo xenofobo in Sudafrica, dove da giorni gli immigrati da altri Paesi del continente sono bersaglio di attacchi tanto sanguinosi quanto sistematici, concentrati soprattutto nell’area intorno a Johannesburg. Lo ha reso noto l’agenzia d stampa Sapa, secondo cui gli sfollati costretti alla fuga ammontano come minimo a sedicimila. Di fronte al precipitare della situazione, in giornata il presidente sudafricano Thabo Mbeki ha approvato il dispiegamento dell’Esercito.
(la Repubblica, 21-05-2008)
LE VIOLENZE TRA LOCALI E IMMIGRATI A JOHANNESBURG
Xenofobia in salsa sudafricana e sospetti di complotto
di GIULIO ALBANESE (Avvenire, 21.05.2008)
Leggendo i giornali sudafricani in questi giorni viene da pensare quanto sia vero che «tutto il mondo è Paese». In effetti, le rimostranze dei ceti meno abbienti nei quartieri popolari di Johannesburg che accusano gli immigrati - provenienti in gran parte da Zimbabwe e Mozambico - di togliere loro il lavoro e di incrementare il tasso di criminalità in Sudafrica, sono per certi versi le stesse del quartiere Ponticelli a Napoli. Una sorta di guerra tra poveri che sta contagiando ampi strati della popolazione. L’unica differenza sta nell’intensità degli scontri che a Johannesburg hanno causato oltre 24 morti e 300 arresti, mentre nelle periferie delle nostre città non si è registrato un simile bollettino di guerra. Il tanto agognato «rinascimento africano», che doveva caratterizzare la svolta del dopo apartheid, non pare avere ancora generato i risultati promessi sia dal «padre della patria» Nelson Mandela, sia dal suo delfino ed attuale presidente, Thabo Mbeki. Stiamo parlando di un Paese che, quanto a risorse naturali e potenzialità umane, potrebbe raggiungere livelli di benessere pari se non addirittura superiori agli standard occidentali, se non fosse ancora ostaggio di una irrisolta questione sociale, legata in gran parte ai suoi trascorsi coloniali.
Se da una parte è innegabile la crescita dell’economia nazionale con un prodotto interno lordo che nel 2006 ha segnato un tasso di crescita del 5%, dall’altra si registra un crescente divario tra ricchi e poveri, per non parlare dei tassi di mortalità infantile dovuti in gran parte all’Aids, che secondo l’Unicef sono quasi raddoppiati durante gli ultimi 10 anni, mentre il livello di disoccupazione è attestato attorno al 25%. Nel frattempo i giovani senza lavoro, angosciati dalla preoccupazione di sbarcare il lunario, vanno a ingrossare le file della criminalità comune.
Sta di fatto che il rapporto 2006-2007 della polizia sudafricana rileva un incremento del 3,5% negli omicidi, del 118% nelle rapine a mano armata alle banche, del 25,4% nei furti di appartamenti e del 6% nei sequestri di veicoli. Basti pensare che già dagli anni ’90, su alcuni modelli di autovetture, sono stati installati sistemi di autodifesa (addirittura lanciafiamme) per i conducenti, contro ogni forma di aggressione. Emblematico è il caso di Lucky Dube, star sudafricana della musica reggae, freddato a Johannesburg nell’ottobre scorso da due uomini armati, che gli hanno sparato mentre si trovava al volante.
Detto questo, è chiaro che la xenofobia di questi giorni è sintomatica dello scontento popolare generato dalla crescente disoccupazione e soprattutto dalla mancanza di interventi da parte dello Stato nell’arginare lo sfruttamento degli immigrati, assunti e pagati molto meno degli stessi sudafricani. Un fenomeno sperequativo che richiama alla mente un certo caporalato che affligge alcune realtà territoriali italiane.
Ma come spesso accade in simili circostanze, quando il malcontento popolare diventa strumento di coercizione dei poteri occulti, alcuni osservatori a Johannesburg non hanno escluso che dietro le quinte qualcuno stia complottando contro il governo di Mbeki. Forse per mettere in difficoltà chi più di altri in questi anni ha tentato di mediare e per certi versi ha difeso il regime del vicino di casa, Robert Mugabe. Una politica, quella di Pretoria, all’insegna del temporeggiamento, che ha acuito il flusso migratorio di profughi dallo Zimbabwe con una lunga serie di complicazioni a livello d’integrazione.