Che cosa è la mafia, ordigni, agguati, stragi, sangue e impotenza? Dove sta la mafia, in Calabria, Sicilia, Puglia, Campania, nei viaggi ispettivi e venduti di Bocca, nelle serie televisive con Bova e Sperandeo o nelle lacrime finte dei capi e complici?
E, ancora, possiamo affermare, come usa, che la Sila è territorio incontaminato, che la criminalità non c’è arrivata e la situazione è sempre tranquilla da muoversi liberamente, senza il terrore d’essere colpiti e atterrati, interrati? Ci basta la teoria più robusta o la pratica dei Violante, dei Caselli, per non scivolare coi martiri nella retorica del cuore, a escludere con certezza che nella città dei santi e di Gioacchino non v’è traccia - o seme - dell’altro Stato?
Possiamo appropriarci delle dichiarazioni del sindaco Succurro all’amico e collega Gian Antonio Stella, sulla salubrità della nostra area, preservata, a suo dire, dai tentacoli della mafia? Possiamo gioire, in quanto nessuno ci vieta di parlare e lo Stato italiano ci assicura, attraverso enti e uffici meridionali, diritti e servizi?
Se le condizioni sono quelle d’un posto civile e democratico, quindi, qual è il motivo per cui nessuno articola pubblicamente il suo grave disagio, vomitandolo per strada, invece, al bar, a scuola, dalla parrucchiera, dal medico, dovunque si riesca a cambiare la verità e infangare l’antipatico e insopportabile vicino, fino a coprirgli il capo d’insulti?
Sì, San Giovanni in Fiore è finita nel teorema, nella miseria delle storielle piccanti, delle corna, le gesta erotiche o virili, gli scandali da Malèna, l’ossessione dei tossici o satanisti (“satanici”, secondo qualcuno), che spargono per i boschi teste d’ovino, code canine e peli di scimmia. Nel mentre, l’apparato dell’indecenza può chiudere e inventare i propri lavori, con la certezza che, in regime di mafia, tutto sarà coperto dal migliore silenzio; il quale non turba, scuote, preoccupa.
Fa male, di contro, urta, colpisce, destabilizza, la denuncia della realtà, la domanda di chi pensa, l’obiettiva richiesta di giustizia, la posizione critica, la rivolta delle coscienze. Perché c’è la mafia, a San Giovanni in Fiore, c’è e si vede. C’è la ‘ndrangheta, che letteralmente significa “società di uomini rispettabili”. Vige un sistema d’assoluto confinamento di quanti, carichi di tensione morale, manifestano la loro inquietudine, i dubbi, le ragioni, la rabbia, l’orgoglio della propria formazione, che non si piega ai compromessi, agli accordi davanti a un porco condito e servito, all’autorità della scuola pubblica, alle persuasioni parentali, al buonismo dei nuovi, falsi cattolici, in linea per interessi e quieto vivere.
C’è la mafia, a San Giovanni in Fiore, c’è e si vede. Non è quella che mura i bambini o li scioglie nell’acido, che colpisce improvvisamente e con armi devastanti, come a Isola o Cutro, che polverizza fatiche e famiglie, uomini e pensieri.
È quella che, ben più nascosta, cinica e scientifica, decide abusi, illegalità e rovine. È quella che sfrutta i disoccupati, la quale permette che muratori lavorino senza assicurazione e previdenza e commessi guadagnino una miseria, certificando per forza il minimo sindacale; mentre, funzionari pubblici s’arricchiscono con gli extra d’opere inutili, vuote, indecenti.
È quella che concede, autorizza, nasconde. È quella che gestisce la cosa pubblica sull’odio e la simpatia, il dispetto e il vantaggio - senza basi democratiche, correttezza politica, etica civica, sociale, umana.
È quella dentro le istituzioni, che le ha pervertite, trasformandole in luoghi d’affari loschi e subordinazione assoluta. Ancora oggi, per un diritto, bisogna consegnare la busta, tariffe aggiornate al costo della vita e al valore dell’euro. Ancora oggi, bisogna raccomandarsi e attendere, perfino per una banale informazione, come se gli Urp e la riforma amministrativa non si fossero mai pensati o rappresentassero uno scandalo, uno sbaglio.
Ancora oggi, si va avanti così, senza poter programmare né sognare né credere. Perché lo Stato non c’è, da noi, e forse è sceso solo per illudere con la Riforma agraria e altre provvidenze, con la Cassa e i redditi minimi, le visite e parole fugaci di segretari e presidenti a caccia di voti, le inaugurazioni di osservatori e planetari, le verifiche ministeriali. C’è la mafia, c’è, a San Giovanni in Fiore. Ed è finanche diventata normale, indispensabile, legittima, esemplare.
È quella che si fa case magnificamente abusive, poiché nessuno porrà ostacoli, ricorrerà al giudice o si rivolgerà ad altri organi deputati, ammesso un qualche loro intervento di facciata. È quella che preserva consiglieri, assessori, che presto gli assegna commissioni e soldi a cascata, con arricchimenti immediati, espansioni, altri investimenti.
È quella che ha trovato il sistema - formalmente legale, sostanzialmente illegale - d’allargare patrimoni immobiliari e moltiplicare conti bancari; è quella che ha speculato su tutto, l’edilizia, la miseria, la semplicità e il bisogno della gente, le misure d’assistenza sociale, il lavoro, l’emigrazione.
C’è la mafia, a San Giovanni in Fiore, radicata profondamente e distribuita in modo capillare. L’omertà ci fa mafiosi, picciotti, carogne. Se non cominciamo a parlare e combattere questo sistema, riunendo le nostre energie, tutto sarà gestito e deciso da Cosa nostra, finanche i nostri bisogni fisiologici.
Emiliano Morrone
SULLE NUOVE CONDANNE DI SIX TOWN
“Six Towns”, quelle condanne sono una lezione per chi ha negato la realtà dei fatti
di Emiliano Morrone (Iacchite, 25 Ottobre 2019)
Ho appena letto delle condanne di alcuni imputati nel processo relativo all’inchiesta “Six Town” della Dda di Catanzaro, che ha certificato, direi confermato, la presenza della ‘ndrangheta a San Giovanni in Fiore (Cosenza) e dintorni, di cui scrivevo nel 2007 con Francesco Saverio Alessio e Biagio Simonetta, tra insulti dal versante della politica, offese e perfino forme di intimidazione.
Non sono affatto felice di queste condanne, perché dei giovani dovranno passare in carcere un pezzo importante della loro vita, che invece avrebbero potuto trascorrere in libertà insieme ai rispettivi cari. Né mi interessa più, soffrendo per la loro sorte, che a distanza di 12 anni sia emersa quella verità che con Saverio e Biagio raccontavamo in grande solitudine, con dolore e inquietudine personali. Rifletto, piuttosto, sul fatto che il nostro territorio non ha dato opportunità di lavoro e realizzazione a molti ragazzi. Alcuni sono partiti dalla Calabria, altri hanno scelto la strada sbagliata. E medito sulle responsabilità di una classe politica che ha spesso seguito le logiche della clientela e dei favoricchi, che ha ignorato lo spopolamento crescente come il fenomeno criminale, che non ha guardato al futuro, al bene della collettività.
Vorrei nominare ad uno ad uno quei politici, quei soggetti arroganti che a lungo, anche per cieco opportunismo, hanno negato senza ritegno la realtà dei fatti, accusando me, Saverio e Biagio di rovinare l’immagine del luogo. Non lo faccio perché non ha più senso: non serve commentare l’evidenza, e ormai la nostra gente ha capito chi bada all’interesse generale e chi si fa i cazzi suoi. Un pensiero, però, lo voglio rivolgere alle persone che adesso la giustizia ha punito, esprimendo loro umana considerazione con la speranza che nel tempo possano riabilitarsi e ritornare senza pregiudizi nella comunità di appartenenza. In fondo pure loro sono - per certi versi - vittime di quell’affarismo politico che qui ha prodotto povertà e disagio sociale.
La ’ndrangheta crotonese domina la Sila
di Arcangelo Badolati *
I tentacoli della ’ndrangheta sulla montagna. La feroce criminalità crotonese ha da anni allargato i propri interessi lungo il massiccio silano.
La città più importante - San Giovanni in Fiore - è stata per un periodo il rifugio prediletto e sicuro di Guirino Iona, irriducibile e sanguinario boss di Belvedere Spinello. E nei boschi di faggi che da Aprigliano risalgono fino al luogo in cui visse l’abate Gioacchino, vennero arrestati, nella notte tra il 3 e il 4 novembre del 2008, i due più temuti esponenti del "locale" mafioso di Cirò: Cataldo Marincola e Silvio Farao.
Vivevano nascosti in una casa colonica e avevano scelto l’impenetrabile bosco per sfuggire ai carabinieri. Avevano trovato rifugio un casolare nascosto tra la vegetazione. Raggiungibile solo attraverso una stradina sterrata che si arrampica tra la fitta vegetazione.
L’altopiano silano negli ultimi anni è stato pure utilizzato dalle cosche crotonesi per nascondere i corpi delle vittime della lupara bianca e per dare alle fiamme le salme dei "picciotti" condannati a morte dai tribunali della ’ndrangheta di Petilia Policastro, Cotronei, Belvedere Spinello, Cutro, papnice, Mesoraca e Cirò. È quanto emerge ormai con chiarezza dalle indagini condotte dalla pm antimafia Salvatore Curcio della Dda di Catanzaro.
La Distrettuale del capoluogo di regione indaga, infatti, su tre casi di omicidio. Il primo ha visto soccombere un macellaio di San Giovanni in Fiore, Antonio Silletta, 36 anni, trovato carbonizzato tra gli abeti austeri nel gennaio 2007. La scoperta del cadavere fece morire di crepacuore, poche ore dopo, la madre della vittima. Il secondo riguarda un fotografo napoletano, residente a Petilia Policastro: si chiamava Paolo Conte, aveva 44 anni, e venne trovato incenerito, il 29 agosto del 2006, all’interno della sua auto, nella boscaglia che lambisce il lago Ampollino. Considerate le condizioni del cadavere fu persino difficile capire come fosse stato assassinato. Solo dopo accuratissimi esami necroscopici, si scoprì che era stato ucciso con un colpo di pistola sparato alla nuca. Esattamente come Silletta. Il terzo caso afferisce all’uccisione di Gaetano Covelli, pure lui di Petilia Policastro, trovato carbonizzato, all’interno della sua auto, nell’agosto del 2004, in territorio di San Giovanni in Fiore. Pure lui venne assassinato con un colpo di pistola calibro nove, sparato alla nuca. Ignoti gli autori dei tre crimini, oscuro il movente. È d’altronde difficile per chiunque districarsi nella selva d’interessi, faide, traffici, alleanze, che fanno da sfondo ai tanti omicidi compiuti a cavallo del massiccio silano negli ultimi anni. La lotta tra lo Stato e l’antistato, tra i boschi, si combatte facendo i conti con i volti imperscrutabili degli allevatori, i silenzi dei pastori, le continue transumanze del bestiame e i rumori di potenti fuoristrada assurti a simbolo d’una ostentata ricchezza.
A San Giovanni in Fiore, è anche svanito nel nulla il tre settembre del 2005 Giuseppe Loria, giovane operaio del luogo. Pure lui ucciso. Magistrati e investigatori non escludono, inoltre, che sotto i maestosi alberi secolari del massiccio montuoso siano stati nascosti anche i resti di Annibale Alterino e Damiano Mezzorotolo, due cognati di Cariati, di cui non si hanno notizie da quasi cinque anni. Sostenere, dunque - come si è esercitato a fare qualche politico "buonista" in vena d’improbabili sortite - che la mafia calabrese non eserciti la propria influenza nella zona sangiovannese è davvero fuoriluogo.
Chi può dimenticare, per esempio, la fine che venne fatta fare all’allevatore Francesco Talarico e al nipote sedicenne Gianfranco Madia, trucidati nel 2000, a colpi di lupara, a due passi da San Giovanni? Oppure l’agguato teso, nel 2001 tra Camigliatello e San Giovanni, all’imprenditore Tommaso Greco? Le "lupare" in montagna non sparano da sole...
Arcangelo Badolati, La Gazzetta del Sud (11.1.2012), pag. 32
caro Emiliano non c’è che dire,il tuo articolo ha colto nel segno,come sempre. La mafia c’è e si vede,ma chi la vede?Non i nostri conterranei,almeno,non tutti... Ma non è colpa loro! I loro occhi sono stati ricoperti di un succulento e pregiato prosciutto da parte di chi detiene il potere,potere costruito sui consensi di chi fa finta di non vedere e non s’interroga,di chi ha barattato la propria libertà per avare in cambio "la sistemazione". Ci vorrà tempo per far capire alla gente che la ’ndrangheta non è più quella che ammazza in mezzo alle strade,ma non lo è più da tantissimo tempo,oramai. Oppure la gente lo sa ma hanno insegnato loro che quella non è mafia o ’ndrangheta,quella è "farsi strada nella vita",far carriera,conquistarsi un posto nella società(sì,ma nell’onorata società...!!). Bravo Emiliano! Le tue parole fendono e dovranno continuare a fendere per squarciare il velo,anzi,il manto pesante di omertà che quì ricopre ogni cosa!
una cosentina provinciale
Ti ringrazio, carissima Anna Rita. Facciamo rete: denunciamo, parliamo, raccontiamo, comunichiamo: lottiamo. Giorno per giorno. Con forza, speranza e fiducia.
Salutoni.
emiliano
Signor Loria,
non credo che ci conosciamo. Ho pubblicato comunque il suo commento, nonostante la forma. In quanto alla sua ultima ammenda, sono in parte siciliano, lombardo, toscano, romano, portoghese, arabo. Ma questo non c’entra coi fatti. Le cose, ci piaccia o no, sono anche peggiori di quelle che ho scritto. Circa il "bugiardo", lei mente, essendone consapevole.
Emiliano Morrone
Io sono un S.giovannese ,emigrato piu o meno a 15 anni, mi dispiace molto di essere emigrato dal paese , pero io non vedevo altra soluzione a questo problema, (LA DISOCUPAZIONE) ma o piacere a sentire che il nostro paese non e contaminato con la mafia!!! Escluendo i ladri di gallina; al paese ancora si sta bene,un grande abraccio a tutti ci vediamo presto.
SALUTI A TUTTI Rio de janeiro 08/11/05 Mario Spadafora
Anche io come te sono un sangiovannese, che vive a Gorizia da circa 35 anni; il motivo che mi ha spinto a lasciare il mio paese è analogo al tuo:la ricerca di lavoro!A differenza di te ,comunque, sono stato fortunato a non dover emigrare all’estero, in quanto mi sono arruolato nella Guardia di Finanza che ha scelto per me il Nord d’Italia, come nuova sede. Apprezzo il tuo interessamento per il nostro paese e, se la fortuna vorrà, un giorno potremmo incontrarci e conoscerci.
Un saluto dal tuo paesano ANTONIO Barile27/11/05