VIGNETTA - il manifesto, 12.09.2008
Domande ai maschi
di Clara Sereni (l’Unità, 13.09.2008)
In prima battuta mi sono chiesta: ma la voce delle donne, che fine ha fatto? Possibile che le donne non abbiano niente di nuovo da dire sulla prostituzione, sull’uso sempre più spregiudicato, proprietario e violento dei corpi, sull’idea di rinchiuderli dentro case che saranno prigioni e lager? Siccome non sono i nostri, e visto che a parlare sembra restino soltanto le brave mogli e brave madri e buone figlie, quelle che hanno vergogna di vedere e preferiscono non sapere, sui corpi venduti e comprati non abbiamo più parole? Siamo talmente affaticate dal vivere che ogni repressione ed emarginazione ci passa sopra senza commenti che non siano di bandiera? Siamo così impaurite dal nostro retrocedere?
Così intimorite che - a parte le donne presenti nelle unità di strada finché non le sopprimono - non ci poniamo più il problema di come relazionarci con chi vive condizioni di massima emarginazione, quando non di vera e propria schiavitù? Non ho trovato la risposta, ma un’altra domanda mi si è affacciata subito dopo: ma gli uomini, hanno qualcosa da dire? Si pongono il problema di dire qualcosa?
Negli ambienti che frequento vige ancora - fortunatamente - qualche tabù: dire che le donne sono tutte puttane non sta bene, e anche l’inevitabilità del mestiere più antico del mondo non trova buona stampa. Qualcuno certamente pensa ambedue le cose, ma si perita di dirlo e questo lo considero, alla fin fine, un bene. E però...
Fra le persone che conosco, mai ne fosse capitato uno che ammetta di dirsi cliente. Al più ho sentito dire, da qualcuno abbastanza attempato e in imbarazzo, che bisogna pur provvedere alle pulsioni sessuali degli immigrati senza relazioni e senza amori: e senza soldi, aggiungo io, in mancanza dei quali incrementare l’afflusso dei clienti è piuttosto improbabile. Da quel punto di vista, la prostituzione sarebbe tutto un fatto di emarginazione, da una parte e dall’altra, e chiusa lì. Da un giovane, invece, ho sentito raccontare della rinnovata frequenza e passione per i “puttan tour”, quei giocosi assembramenti maschili, generalmente automuniti, in cui si va a sparare con le pistole ad acqua o se ne tira a secchiate, preferibilmente d’inverno, alle prostitute che così si congelano meglio. A me, attonita, che chiedevo un perché, una ragione, è stato risposto: «È divertente...», e il discorso si è incagliato, senza possibilità di riprenderlo in modo minimamente problematico.
Giovani e meno giovani, mai un discorso che valga la pena ascoltare su come gli uomini vivono la propria sessualità. Su come si relazionano, oggi, con le donne, che siano le loro compagne o altre. E invece vorrei sentir confessare e discutere, per esempio, questo bisogno maschile inesausto, anzi evidentemente in crescita, di comperare corpi - giovani più che si può, femminili in prevalenza ma poi anche maschili e transgender. Ci hanno detto che dipende dal ruolo maschile ormai pencolante, che li porta anche a picchiarle e ucciderle, le donne. E questa spiegazione sembra aver chiuso ogni altro discorso, ogni ulteriore problematizzazione. E così, se la prostituzione innegabilmente aumenta, la reazione è come per la grandine: succede, la manda il cielo, ci sono le mutazioni climatiche, che c’entro io?
L’ho già scritto, sono stufa di partecipare a manifestazioni a sostegno delle donne brutalizzate, vendute e comprate, ammazzate. I maschi devono trovare il coraggio di mettersi in gioco, di parlare. Non solo per dire: non nel mio giardino, non davanti a me, non davanti ai miei figli povere creature innocenti. I maschi devono interrogarsi a fondo sulla dicotomia donna(puttana)-madonna che sembra essersi di nuovo impadronita del sentire comune, e che dilaga nei nostri figli. I maschi devono dire “io”, e da lì partire per ragionare, per capire, e solo dopo, molto dopo, per decidere ed eventualmente legiferare. I maschi devono almeno cominciare a rendere conto alle donne di quel che pensano, di quel che fanno. Di come crescono e di come regrediscono.
Una domanda, ancora. L’educazione sessuale nelle scuole è cosa che neanche si nomina più. Il Presidente Napolitano ha apprezzato i nuovi programmi di educazione alla Costituzione. Chiedo: ma quale educazione alla Costituzione si potrà mai impartire, se mancano i minimi presupposti di vita civile, quelli che segnano i rapporti fra i generi? Il nuovo fascismo non è solo nelle affermazioni storicamente assai disinvolte di sindaci e ministri della Repubblica, o nelle singole aggressioni a migranti e diversi. Il fascismo è anche qui, nei nostri “maschi alfa” che da sempre e di nuovo si sentono liberi da ogni vincolo di coscienza e rispetto, anche nei confronti di se stessi.
Abbiamo un gran bisogno di antifascismo in piazza, e bene ha fatto ad esempio la Cgil ad impegnarsi in tal senso, ma bisognerebbe cominciare a chiarire cosa significhi anti-fascismo fra le lenzuola, domestiche e non. Non certo dalla ministra all’Istruzione, che mi appare in tutt’altre faccende repressive affaccendata, ma da qualcuno (maschio) vorrei proprio cominciare ad avere qualche risposta.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
IL PORNO STATO |
E’ morta Clara Sereni, la voce della diversità
La scrittrice romana si è spenta in Umbria, dove viveva da molti anni. L’impegno politico e sociale, ma anche l’esperienza di un figlio con un grave malattia psichica, sono stati al centro della sua letteratura
di RAFFAELLA DE SANTIS (la Repubblica, 26 luglio 2018)
Clara Sereni, morta a Perugia all’età di 71 anni, diceva che gli scrittori si dividono in quelli che stanno bene quando scrivono e quelli che patiscono. Lei si metteva nella seconda categoria. Diceva di fare fatica perché per lei scrivere era un’operazione di chiarimento, un modo per fare ordine, per cercare di capire la propria esperienza e qualcosa del mondo che la circondava. Nel suo ultimo libro, Via Ripetta 155, raccontando la sua giovinezza di ventenne nel Sessantotto parlava al plurale di una generazione: quella dell’eskimo, delle feste dell’Unità, delle canzoni di protesta. Il libro, pubblicato da Giunti nel 2015, era arrivato in finale al Premio Strega.
Clara Sereni ha avuto una vita bella e complicata. Nata a Roma nel 1946, in una famiglia ebraica, era figlia di Emilio Sereni, dirigente di primo piano del Pci. Del padre, della madre Xenia Silberberg, a sua volta antifascista e scrittrice di origine russa, ha raccontato la storia nel bellissimo Il gioco dei Regni, considerato il suo capolavoro (la nuova edizione è uscita nel 2017 sempre per Giunti).
Il libro, la cui prima edizione è del 1993, è un viaggio dentro il proprio passato familiare e la storia del nostro paese. Nel 1991 si era trasferita a Perugia, dove tutt’ora risiedeva e dove era stata vicesindaco tra il 1995 e il 1997. La sua è stata una vita tra letteratura e politica, arte e impegno sociale. Va ricordato il suo impegno attivo: nel 1998 aveva promosso la Fondazione Città del sole-Onlus per aiutare i disabili psichici.
L’esistenza l’aveva messa a confronto con grandi sfide. Aveva un figlio, Matteo, psicotico dalla nascita, al quale aveva dedicato gran parte delle sue energie. Nel 2004 aveva partecipato al film documentario Un silenzio particolare diretto dal marito e padre di Matteo, lo sceneggiatore e regista Stefano Rulli. Nel film compariva lo stesso Matteo. Anche quello era stato un viaggio nel lessico famigliare. Come a suo modo lo è stato un libro come Casalinghitudine (in prima edizione da Einaudi nel 1987), in cui attraverso l’universo domestico dei cibi e delle ricette raccontava di sé e degli altri. O un titolo come Merendanze (altro neologismo domestico), storia di donne che scelgono di aiutare altre donne immigrate organizzando una raccolta di fondi con una merenda/pranzo. Ecco, quella di Clara Sereni è stata una letteratura sociale, nel senso più ampio. Oggi farebbe molto bene rileggere ciò che ha scritto. In Una storia chiusa (Rizzoli, 2012) gli ospiti di una casa di riposo raccontano l’Italia di ieri. Sereni a un certo punto aveva scelto di ritirarsi in una casa di riposo, ma non voleva che lo si chiamasse ospizio: “Ho due stanze luminose, un balcone pieno di fiori”.
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, appresa la notizia, ha così voluto ricordarne l’impegno: “"Ho appreso con dispiacere la notizia della scomparsa di Clara Sereni, scrittrice colta, sensibile e raffinata. Una donna che ha speso gran parte della sua esistenza al servizio della comunità e delle persone più svantaggiate”.
Tra gli altri titoli della sua opera corale: Manicomio primavera (1989), Il lupo mercante (2007), Passami il sale (2002), in cui svelava gli impicci della sua esperienza politica nell’amministrazione locale. Aveva esordito nel 1974 con Sigma epsilon (Marsilio), in cui narrava - come nel suo ultimo memoir - l’impegno politico della sua generazione. Un cerchio si è chiuso.
Aveva 92 anni
È scomparsa Maria Mattei l’ultima donna costituente
di Maria Corbi (La Stampa, 13.03.2013)
Se ne va un altro pezzo di memoria del Paese, una donna, Maria Teresa Mattei, che è stata la più giovane eletta all’Assemblea Costituente e che ha contribuito a porre le basi di un Paese libero e democratico. Classe 1921, partigiana, combattente nella formazione garibaldina Fronte della Gioventù, si è sempre dedicata alla lotta per i diritti delle donne e dei bambini. È lei la madre della mimosa, il simbolo dell’8 marzo, della battaglia per la parità. Un fiore povero e diffuso che vinse sulla violetta proposta dalla Luigi Longo che voleva regalarle quel giorno.
Teresa era genovese di nascita, si iscrisse nel 1942 al Partito Comunista che lascerà nel 1955 quando rifiuterà la candidatura alle elezioni per la Camera a causa del dissenso nei confronti di Togliatti. Il nome di battaglia della Mattei era «Chicchi» e operava nella città di Firenze (a lei ed al suo gruppo si ispirò Roberto Rossellini per l’episodio di Firenze di Paisà).
Il fratello Gianfranco Mattei è un martire della resistenza. Docente e ricercatore di chimica al Politecnico di Milano, assistente prediletto del futuro premio Nobel Giulio Natta, fabbricava esplosivi per i Gap della capitale. Nel 1944 si tolse la vita nella cella di via Tasso, a Roma, per non cedere alle torture e non rischiare di rivelare il nome dei compagni.
Anni più tardi la Mattei raccontò che da quel lutto nacque in lei e in Bruno Sanguinetti (che dopo la guerra sposerà) l’idea di uccidere il filosofo Giovanni Gentile. Per fare in modo che i gappisti incaricati dell’agguato potessero riconoscerlo, alcuni giorni prima li accompagnò lei stessa (che conosceva personalmente il filosofo) presso l’Accademia d’Italia della Rsi, che lui dirigeva. «Mentre usciva lo indicai ai partigiani, poi lui mi scorse e mi salutò».
Sessant’anni dopo rivendicò quella scelta: «Se un grande pensatore si schiera con un regime orribile come la Repubblica di Salò, si assume una responsabilità enorme. È un tradimento che non si può perdonare». Nel 1946 si presentò alle elezioni per l’Assemblea Costituente, candidata nel Pci. Venne eletta e fu la più giovane deputata al Parlamento. Nel 1947 fondò, insieme alla democristiana Maria Federici, l’Ente per la Tutela morale del Fanciullo. Con la morte di Maria Teresa Mattei i componenti dell’assemblea costituente ancora in vita sono solo due: Giulio Andreotti e Emilio Colombo.
Addio a Teresa Mattei partigiana e femminista
Fu la più giovane eletta nell’Assemblea della Costituente. È morta a 92 anni
di Simonetta Fiori (la Repubblica, 13.03.2013)
Fu sua l’idea della mimosa, per la festa dell’8 marzo. E riuscì a spuntarla su Luigi Longo, che voleva regalare le violette, come era d’uso in Francia. Ma a Teresa Mattei apparve più giusto un fiore povero, quel velluto giallo gialle diffuso nelle campagne. È morta ieri nella sua casa di Usigliano (Pisa) la più giovane dei Costituenti. Partigiana, combattente nella formazione garibaldina, Teresa era nata a Genova il primo febbraio del 1921. A 21 anni l’iscrizione al Pci, un partito ancora clandestino. “Chicchi” il suo nome di battaglia: a lei e al suo gruppo s’ispira Roberto Rossellini per l’episodio fiorentino del celebre Paisà. Non manca il coraggio, alla combattiva Chicchi. Anni più tardi ricorderà il ruolo giocato nell’uccisione di Giovanni Gentile, che lei conosceva dai tempi dell’università, essendosi laureata a Firenze in filosofia. «Per fare in modo che i gappisti lo riconoscessero», racconterà Teresa, «alcuni giorni prima li accompagnai presso l’Accademia d’Italia della Rsi, che Gentile dirigeva». Mentre lo studioso usciva dal suo studio, lo indicò ai partigiani. «Lui mi scorse e mi salutò».
Il temperamento d’acciaio l’aveva già dimostrato nel 1938, quando venne espulsa da tutte le scuole del regno per aver rifiutato di assistere alle lezioni in difesa della razza. Forse l’unica giovane italiana a farlo, o almeno tra i pochissimi. E nel 1955 sarà cacciata dal Pci perché contraria alla linea togliattiana. D’altra parte esempi di coraggio non mancavano in famiglia. Nel 1944 suo fratello Gianfranco, partigiano dei Gap, si tolse la vita nella cella di via Tasso a Roma pur di non tradire i suoi compagni.
Anche in Parlamento la partigiana Chicchi non mancò di dare battaglia ai suoi colleghi maschi. Un saggio recente di Laura Di Nicola ricorda la sua lotta perché le donne avessero accesso a tutti gli ordini e gradi della magistratura. Ma le parlamentari elette alla Costituente erano 21 su 558, e passò la linea che di fatto giudicava le donne «incapaci di equo giudizio» (soltanto nel 1963 potranno entrare in magistratura). La battaglia cominciata da Bianca Bianchi e Angelina Merlin, Teresa Mattei e Maria Maddalena Rossi fu al centro di una vivace discussione sulle pagine del Mercurio diretto da Alba De Céspedes, che sostenne con argomenti modernissimi «la capacità delle donne di comprendere tutto quello che gli uomini non comprenderanno mai», proprio per la capacità di «scendere in fondo al pozzo».
In difesa dei diritti delle donne - e dei minori - Teresa Mattei continua il suo impegno nel dopoguerra, fondando prima l’Ente per la tutela morale del fanciullo, più tardi un centro studi per la progettazione di servizi e prodotti per l’infanzia. Ancora negli anni Sessanta rinnova la sua militanza dalla parte dei bambini, coniugandola con la passione per il cinema. Nel 1966 diventa presidente della Cooperativa di Monte Olimpino a Como, che con Bruno Munari e Marcello Piccardo realizza film nelle scuole.
Anticonformista nella vita pubblica, e in quella privata. Sposata due volte, suscita scandalo quando aspetta il primo figlio da Sanguinetti - suo compagno nell’azione contro Gentile - perché non ancora coniugata. Con Bruno si sposeranno a Budapest nel luglio del 1948.
Tra gli ultimi testimoni dell’antifascismo, della Resistenza e della Costituzione, Teresa Mattei portò dentro le istituzioni il punto di vista delle donne. E su posizioni spesso ribelli lo difenderà fino alla fine del suo mandato. Ora riposa nella sua casa di Lari, tra nuvole gialle di mimosa.
L’ORIZZONTE DEGLI EVENTI
Il peggio femminino
di Lameduck [la’me duc] *
"Questo patto [dichiarazione di voto, n.d.a.] vogliamo stipularlo con Lei e non col prof. Prodi: la sua campagna fatta di ’serietà’ e ’sacrifici’ non ci piace, ci intristisce e ci fa un po’ spavento. E noi signore lo lasciamo volentieri perdere. ’La bellezza salverà il mondo’." (Dalla Lettera aperta delle donne a Silvio Berlusconi, marzo 2006)
Quando tutto sarà finito e ci aggireremo tra le macerie fumanti di questo disgraziato paese, bisognerà fare un discorsetto come si deve alle donne che hanno popolato, appoggiato, sfruttato ed acclamato il maledetto regime del Drago Flaccido per tutto questo tempo. Qualche testolina da rapare metaforicamente a zero per intelligenza - anzi incoscienza - con il nemico, insomma, non guasterebbe.
Non è un mistero che proprio le donne siano state lo zoccolo duro dell’elettorato del Nano della Provvidenza. Non solo le patetiche vecchie passerottine comperate last minute con il cestino da viaggio dei poveri - panino al salame e mezza minerale - e mandate di fronte a Palazzo di Giustizia a fare claque. Non solo le signore bene e male tradizionalmente sensibili ai richiami del populismo fascista e del conservatorismo protettore del privilegio ma milionate di donne di tutte le classi sociali, anche le più umili, che gli si sono donate senza indugio come ringraziamento per essere state sedotte e condizionate pavlovianamente ..... per continuare a leggere, clicca -> qui.
Governare col trucco
di Concita De Gregorio (l’Unità, 14.09.2008)
Sono arrabbiata. Sono fiera di esserlo. La rabbia aiuta a non abituarsi a tutto. Ho sentito le parole del ministro Carfagna. Diceva: «Io provo orrore per le donne che vendono il proprio corpo per denaro». Parlava forse di un suo calendario? No, parlava delle prostitute o meglio: solo di quelle che stanno per strada. Perché non succede niente? Perché non telefoniamo, chiamiamo, bussiamo, usciamo per strada? Forse ci stiamo davvero abituando a tutto.
Laura Guasti, Firenze
Più che altro stiamo cadendo nella trappola magistralmente ordita in anni di politica televisiva da Berlusconi e dai suoi ministri: discutere dei dettagli, attaccarci agli slogan, accapigliarci su una scemenza di facciata senza arrivare mai alla sostanza delle cose. Il grembiule, il voto, la bella cordata di imprenditori che «vuole salvare la compagnia di bandiera», la tassa abolita, l’immondizia sparita, l’esercito per strada che così sei più tranquillo quando esci la sera. Chi non vorrebbe salvare Alitalia, camminare in strade pulite, pagare meno tasse, avere figli che imparano in classe le regole della convivenza e quando tornano a casa che è buio non debbano imbattersi in prostitute abbrutite? La gente di sinistra, forse? E allora che problema c’è: ecco qua il governo del fare, lasciatelo lavorare. La questione, purtroppo, è che è un trucco. È il gioco delle scatole: una bella scatola col fiocco da esibire, l’altra marcia da nascondere. Le tre carte. I limoni legati col nylon alle piante del G8, la calza sull’obiettivo che maschera le rughe. È sempre quel trucco lì, una toppa, e poi via per settimane a parlare del fiocco.
È evidente che lo scopo della proposta Carfagna non è quello di combattere la prostituzione: è un progetto di decoro urbano, il suo. Una questione di ordine, di eleganza dell’inquadratura. L’obiettivo è mostrare strade sgombre di viados. Guardate che pulizia. Se volesse combattere la prostituzione dovrebbe occuparsi della tratta di essere umani, di mafia del commercio sessuale, di chi fa entrare in Italia milioni di ragazzine senza documenti e poi le riduce in schiavitù, di come faccia e di chi glielo consenta. Dovrebbe poi anche occuparsi dell’altra prostituzione, quella tutta italiana e non di strada: la prostituzione «pulita» delle studentesse che ricevono in studi che sembrano quello del dentista e poi la sera vengono a fare la baby sitter a casa tua, ragazze ben pagate e ben consapevoli della loro scelta, del resto motivata dalla richiesta di un esercito di uomini «per bene» che saldato il conto tornano in ufficio. Non lo fa, naturalmente. Allo stesso modo Gelmini esibisce la sua riforma come quella del grembiule e dei voti in pagella, un bel ritorno all’ordine antico: peccato che tagli 90mila posti da maestro e azzoppi la scuola. La scatola vuota e ben ripulita dai debiti della cordata Alitalia, le tasse comunali che cambiano nome, l’esercito che fa la guardia alle discariche ma si dimentica dei treni dei tifosi. È sparita la camorra, a Napoli? Gomorra era uno scherzo? Certo che no, ma conta la foto. Un bell’annuncio, un bel grembiule blu, quattro soldati con la mitraglietta cosa vuoi che sia se poi alle volanti hanno tagliato la benzina. Devono solo stare fermi, tanto. E poi tutti giù a parlare di estetica, pazienza per l’etica.