[...] Più italiano di tanti italiani, Khawatmi ha lanciato un appello ai 41 mila iscritti del suo movimento e a tutti gli immigrati «che rappresentano il 7% della popolazione, producono l’11,2% del nostro Pil pari a 130 miliardi di euro, consentono all’Inps di pagare le pensioni versando ogni mese 752 milioni di contributi, continuano a fondare nuove imprese (250 mila negli ultimi tre anni) in netta controtendenza sulla crisi».
Dice l’appello: «La lingua italiana è quel meraviglioso collante che ci unisce al di là delle differenze delle nostre origini, fede, credo e che ci permette di appartenere ad una grande nazione che abbiamo scelto come nostra nuova patria. Ho appreso che la società Dante Alighieri, che promuove la lingua e la cultura italiana nel mondo, rischia la chiusura a causa dei tagli annunciati dal Ministero del tesoro. Noi, nuovi italiani, che ci identifichiamo nella cultura e nella ricchezza della lingua italiana, non possiamo rimanere indifferenti di fronte a questa tragedia: il mio appello a tutti è di partecipare con un dono anche modesto di ciascuno di noi, quale segno tangibile della nostra fedeltà ed amore verso coloro che hanno fatto e continuano a promuovere la lingua italiana nel mondo. Io stesso provvederò ad aprire la sottoscrizione...». [...]
La colletta fra gli immigrati per salvare la società dell’italiano
Soldi e lettere dagli stranieri dopo la stangata sulla Dante Alighieri
Stangata. La Finanziaria ha dato una sforbiciata del 53,5 per cento al contributo dello Stato
di Gian Antonio Stella (Corriere della Sera, 25.11.2010)
«Maggior difetto men vergogna lava», dice Virgilio nella Divina Commedia. Ma c’è qualcuno che si vergogna un po’, tra quelli che Einaudi chiamava «i padreterni», per i tagli con l’accetta alla società Dante Alighieri e all’Accademia della Crusca? Una lezione arriva da un’associazione di immigrati. Che ha aperto una sottoscrizione per aiutare la conservazione della lingua italiana.
Che la situazione dei conti pubblici sia pesante è vero. A dispetto delle sfuriate del Cavaliere contro i pessimisti e della sua tesi che «la crisi ha origini soprattutto psicologiche», lo stesso Franco Frattini, per spiegare la stangata alla Dante Alighieri, parla in una lettera di «eccezionale difficoltà della congiuntura». Così grave da obbligare alla «riduzione molto dolorosa» nonostante «l’opera meritoria svolta dalla società nel mondo e il suo ruolo fondamentale nella promozione della nostra cultura all’estero». Evviva l’onestà.
Detto questo, c’è modo e modo. Taglio e taglio. Come riassume Alessandro Masi, segretario generale dell’istituzione fondata nel 1889 da Giosuè Carducci, in una lettera a Franco Narducci, vicepresidente della Commissione esteri, la legge finanziaria in via di approvazione ha dato al bilancio della Dante Alighieri una «sforbiciata» del 53,5% che porta di colpo il contributo statale da 1.248.000 euro a 600.000».
Non basta: «Se a questo si sommano i 400.000 euro tagliati lo scorso anno sullo stesso capitolo (che era di 1.700.000 euro circa), siamo davvero di fronte alla sfoltita più dura e insopportabile che un Ente culturale italiano abbia mai subito in questi ultimi due anni». La Dante Alighieri ha 423 comitati sparsi per il pianeta, da Tashkent a Montevideo, da Bangkok a Città del Guatemala, da Minsk a Brisbane? Ha 220.000 studenti che seguono ogni giorno 3300 corsi di italiano? Segue «la vita dei nostri connazionali emigrati all’estero, dando conforto a comunità regionali presenti in ogni angolo del mondo, offrendo borse di studio e corsi di formazione»? Brava. Si arrangi.
Una scelta sconcertante. Tanto più se paragonata agli sforzi che altri paesi insistono a compiere per mantenere i loro istituti culturali.
Quali siano i numeri lo ricorda l’appello «Sos per l’italiano» sul sito www.iodonna.it: «Il British Council ha a disposizione 220 milioni di euro, il Goethe-Institut 218, lo spagnolo Cervantes 90, il portoghese Camões 13 e Alliance Française 10,6». Eppure, anche gli altri patiscono la crisi. Anzi, il nostro governo ripete tutti i giorni che «noi siamo meglio degli altri». Allora, come la mettiamo? È più giusto risparmiare togliendo ossigeno a un istituto che tiene alta nel mondo la cultura italiana o sarebbe meglio recuperare quei soldi, chiede il settimanale del Corriere, rinunciando ad esempio «a una decina di auto blu tipo Audi quattromiladuecento di cilindrata che vanno tanto di moda adesso per le trasferte di ministri e sottosegretari»?
Quanto agli effetti della stangata sulle attività della Dante Alighieri, il segretario generale della società nel messaggio alla Commissione Esteri ha spiegato: «Tutto ciò significherà, per la nostra amministrazione, praticare drastici tagli a contributi per le nostre sedi, azzerare le borse di studio e gli assegni di ricerca per italianisti dell’estero, annullare i corsi di formazione per docenti, con impossibilità conseguente di assistere i nostri giovani discendenti di terza e quarta generazione, di promuovere conferenze e autori, di inviare libri per rinnovare le biblioteche, di proseguire i progetti avviati».
Lanciato l’appello, il sito di Io Donna è stato sommerso di lettere di sdegno, di protesta, di solidarietà. Molte delle quali firmate da stranieri. Altre da italiani con un nome straniero. Tra i quali Radwan Khawatmi, siriano di origine, arrivato in Italia trent’anni fa come manager alla Indesit, imprenditore nel mondo degli elettrodomestici con un fatturato intorno ai 60 milioni, uomo di centrodestra vicino a Gianfranco Fini, fondatore e presidente del movimento Nuovi Italiani.
Più italiano di tanti italiani, Khawatmi ha lanciato un appello ai 41 mila iscritti del suo movimento e a tutti gli immigrati «che rappresentano il 7% della popolazione, producono l’11,2% del nostro Pil pari a 130 miliardi di euro, consentono all’Inps di pagare le pensioni versando ogni mese 752 milioni di contributi, continuano a fondare nuove imprese (250 mila negli ultimi tre anni) in netta controtendenza sulla crisi».
Dice l’appello: «La lingua italiana è quel meraviglioso collante che ci unisce al di là delle differenze delle nostre origini, fede, credo e che ci permette di appartenere ad una grande nazione che abbiamo scelto come nostra nuova patria. Ho appreso che la società Dante Alighieri, che promuove la lingua e la cultura italiana nel mondo, rischia la chiusura a causa dei tagli annunciati dal Ministero del tesoro. Noi, nuovi italiani, che ci identifichiamo nella cultura e nella ricchezza della lingua italiana, non possiamo rimanere indifferenti di fronte a questa tragedia: il mio appello a tutti è di partecipare con un dono anche modesto di ciascuno di noi, quale segno tangibile della nostra fedeltà ed amore verso coloro che hanno fatto e continuano a promuovere la lingua italiana nel mondo. Io stesso provvederò ad aprire la sottoscrizione...».
Come andrà la colletta, bellissima per chi la fa e imbarazzante per chi ha deciso i tagli e per tanti italiani indifferenti al tema, si vedrà.
Certo è che in parallelo dovrebbe partire una iniziativa forte anche per l’Accademia della Crusca. La stessa istituzione fiorentina che dal 1583 cerca di conservare la purezza della nostra lingua è stata falciata dai tagli. Le spese vive ridotte all’osso per i sei dipendenti e l’affitto della sede che ospita anche l’Opera del Vocabolario Italiano del Cnr, spiega la presidente Nicoletta Maraschio, ammontano a 400 mila euro l’anno. Ai quali occorre aggiungere tutti quelli necessari (meno male che c’è la regione Toscana e che ci sono i privati...) per le mille attività dell’Accademia. Bene: lo Stato, taglia taglia, era già sceso a un contributo di 190 mila euro, un decimo circa del bilancio dell’istituto, meno della metà dei costi vivi se anche fosse cancellata ogni attività. «Come possiamo continuare a vivere?», ha chiesto in una lettera a Sandro Bondi, pochi giorni fa, Nicoletta Maraschio. Risposta dello Stato: nel 2011 di soldi ne arriveranno la metà: 95 mila. Il costo di una sola autoblu di lusso superaccessoriata. O se volete di qualche consulenza data ad amici, parenti, compagni di partito...
Sul tema, nel sito, si cfr.:
L’OCCUPAZIONE DELLA LEGGE E DELLA LINGUA ITALIANA: L’ITALIA E LA VERGOGNA.
Test per immigrati e italiani somari Più che giusto che i «foresti» conoscano la nostra lingua, però...
di Gian Antonio Stella (Corriere della Sera, 01.12.2010)
«Test italiano per gli immigrati», esulta la Padania. E sotto il titolone che domina la prima pagina spiega: «Al via dal 9 dicembre il decreto firmato dai ministri Maroni Gelmini: permesso di soggiorno solo a chi dimostra di conoscere la nostra lingua. Il principio è lo stesso che è contenuto nel pacchetto sicurezza».
Obiezioni? No. Certo, questo tipo di test fu usato in America e altrove «contro» i nostri nonni. Al punto che lo «scienziato» Arthur Sweeny, nel saggio Immigrati mentalmente inferiori - Test mentali per immigrati pubblicato da North American Revue nel numero di maggio 1922, se ne servì per teorizzare l’incapacità degli italiani di stare al passo con gli altri stranieri arrivati negli States: «Non abbiamo spazio in questo Paese per "l’uomo con la zappa", sporco della terra che scava e guidato da una mente minimamente superiore a quella del bue, di cui è fratello». Nonostante il rischio che qualcuno se ne serva per prepotenze razziste, però, l’obbligo per chi viene a vivere in Italia di conoscere l’italiano non è affatto sbagliato. Anzi, al di là della questione di principio (chi viene qua deve integrarsi: per il bene nostro, suo e dei suoi figli) perfino i più accaniti nemici di ogni regolamentazione del fenomeno immigratorio devono riconoscere che un filtro come questo può aiutare ad esempio a spezzare il cerchio infame con cui certi mariti riducono l e mogli i n schiavitù domestica o certi padroni cinesi riducono in schiavitù gli immigrati più poveri in tanti laboratori clandestini. Conoscere la lingua del Paese in cui si vive è essenziale per uscire e rompere l’isolamento. Detto questo, una domanda: chi li preparerà, quei test per valutare l’italiano degli immigrati? Qualche burocrate di quelli che scrivono «obliterare» invece che timbrare o sostengono che «il treno non "disimpegna" servizio di prima classe»? Ne rideva già 45 anni fa Italo Calvino spiegando che il cittadino dichiarava «stamattina presto andavo in cantina ad accendere la stufa...» e il brigadiere verbalizzava: «Il sottoscritto, essendosi recato nelle prime ore antimeridiane nei locali dello scantinato per eseguire l’avviamento dell’impianto termico...».
Li preparerà qualche funzionario locale? Di quelli come il segretario comunale di Ariano Irpino che usa parole come «meridianamente epifanica» o «devozione al culto del formalismo idealizzato come un rifugio onirico»? Scelga bene, il ministro Maroni. L’importante è che non affidi il compito di valutare se gli immigrati sanno l’italiano a certi amici di partito. Come il sindaco leghista di Montegrotto, Luca Claudio, che tempo fa fece scrivere polemicamente sui cartelli stradali luminosi della cittadina le seguenti parole: «Cittadini, emigrate! Vivrete meglio da immigrati in un’altro paese». Dove «un’altro» aveva l’apostrofo. Prova provata che i somari, in ortografia e grammatica, non son solo «foresti».