8 per mille alla Chiesa valdese - appello laico *
Di fronte all’offensiva clericale volta a limitare irrinunciabili libertà e diritti civili degli individui (che andrebbero invece decisamente ampliati), e alla subalternità e passività dello Stato nelle sue istituzioni parlamentari e governative, benché non credenti in alcuna religione, in occasione della dichiarazione dei redditi invitiamo tutti i cittadini democratici a devolvere l’otto per mille alla Chiesa Evangelica Valdese che le libertà e i diritti civili degli individui ha sempre rispettato e anzi promosso, e che si è impegnata ad utilizzare i proventi dell’otto per mille esclusivamente in opere di beneficenza e non a scopo di culto o di sostegno per i ministri e le opere della propria confessione religiosa.
Paolo Flores d’Arcais, Umberto Eco, Margherita Hack, Vasco Rossi, Giorgio Bocca, Simone Cristicchi, Andrea Camilleri, Dario Fo, Michele Santoro, Oliviero Toscani , Franca Rame, Ferzan Ozpetek, Lidia Ravera, Umberto Galimberti, Lella Costa, Luciano Canfora, Bernardo Bertolucci, Mario Monicelli, Eugenio Lecaldano, Gennaro Sasso
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8 per mille alla Chiesa valdese - appello dei cattolici *
Noi cittadini cattolici, che tentiamo di testimoniare nella vita sociale ed ecclesiale un fedeltà la più coerente possibile al Vangelo e quindi critici e scandalizzati nei confronti di una politica dei vertici ecclesiastici sempre più tesa a usare il potere che deriva dal danaro, dalle clientele, dalle influenze politiche, dal dominio sulle coscienze per condizionare la politica degli stati e in particolare di quello italiano, riteniamo legittimo e forse doveroso negare a questo potere ecclesiastico il sostegno dell’8 per mille IRPEF. Invitiamo tutti i cittadini italiani i quali, nonostante le intrinseche contraddizioni rispetto al principio di laicità, desiderassero comunque devolvere l’otto per mille a una espressione religiosa, a fare la scelta della “Unione delle chiese metodiste e valdesi” che le libertà e i diritti civili degli individui ha sempre rispettato e anzi promosso, e che si è impegnata ad utilizzare i proventi dell’otto per mille esclusivamente in opere sociali e non a scopo di culto o di sostegno per i ministri e le opere della propria confessione religiosa
don Enzo Mazzi, Giovanni Franzoni, don Vitaliano Della Sala, don Raffaele Garofalo, don Gianni Alessandria, don Roberto Fiorini, don Franco Barbero, Francesco Zanchini, don Bruno Ambrosini, don Aldo Antonelli, Domenico Jervolino
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LAICI E CATTOLICI UNITI CONTRO IL DIKTAT VATICANO *
Roma - Un doppio appello per i Dico e contro le ingerenze ecclesiastiche. Proprio mentre la Chiesa continua a far sentire forze la sua voce contro il provvedimento che regolarizza le coppie di fatto, la rivista Micromega lancia due raccolte di firme "contro la crociate clericali della Conferenza episcopale italiana" e contro "l’acquiescenza di gran parte del Parlamento" (il testo può essere firmato sul sito di Micromega).
Un doppio appello "ai cittadini democratici", perché al momento della denuncia dei redditi diano l’otto per mille non alla Chiesa cattolica ma a quella valdese.
Due appelli distinti, uno firmato da diverse personalità laiche (da Umberto Eco a Vasco Rossi), l’altro da personalità cattoliche, tra cui una decina di sacerdoti come don Mazzi, Viatliano Della Sala, dom Giovanni Franzoni.
Molte le firme in calce al testo dei laico. C’è il direttore di Micromega Paolo Flores d’Arcais. Ci sono scrittori come Umberto Eco, Giorgio Bocca, Andrea Camilleri e Lidia Ravera. Il premio Nobel Dario Fo, le attrici Franca Rame, Lella Costa. Ed ancora registi come Ferzan Ozpetek, Mario Monicelli, Bernardo Bertolucci. Ed anche il vincitore del Festival di Sanremo Simone Cristicchi e la rockstar Vasco Rossi. Tutti uniti nel chiedere una risposta concreta "all’offensiva clericale che mira a limitare le irrinunciabili libertà e diritti civili degli individui".
Particolarmente significativo l’appello dei cattolici. Sottoscritto anche da molti religiosi. Undici firme sotto un testo severo: "Siamo scandalizzati da una politica dei vertici ecclesiali sempre più tesa a usare il potere che deriva dal denaro, dalle clientele, dalle influenze politiche, dal dominio sulle coscienze per condizionare la politica degli stati e in particolare di quello italiano". L’appello vede nomi noti: da don Mazzi a don Vitaliano Della Sala. Uniti nel dire quanto sia "doveroso" negare l’otto per mille "a questo potere ecclesiastico". Da questo l’invito a devolvere il contributo alle chiese valdesi "che i diritti civili dell’individuo hanno sempre promosso".
* la Repubblica, 01/04/2007
Corte dei Conti
Soldi alla Chiesa sotto accusa
“Chiesa e 8 per mille, troppi lati oscuri”
I vescovi accusati di scarsa trasparenza
Per la prima volta i giudici contabili contestano la ripartizione dei fondi ricavati dalle scelte dei contribuenti e criticano l’inerzia del governo
di Marco Lillo (il Fatto, 29.11.2014)
La Corte dei conti per la prima volta mette in stato di accusa il sistema dell’8 per mille. Le 109 pagine della relazione depositata il 19 novembre dovrebbero essere pubblicate sul sito del governo e diffuse in tv quando si fa la dichiarazione dei redditi. Probabilmente se fossero conosciute, cambierebbero le scelte di molti italiani. La delibera è scritta da Antonio Mezzera, un magistrato che già nel 2009 si era segnalato per una relazione coraggiosa, non a caso bloccata per mesi dai suoi capi, sul Mose di Venezia, ed è firmata dal dirigente del settore, Luciana Troccoli, e dal presidente aggiunto Giorgio Clemente.
Cosa scrivono i giudici contabili
I soldi concessi, mediante il meccanismo dell’8 per mille alla Chiesa cattolica e alle altre religioni sono troppi. “L’onere finanziario”, spara in apertura la Corte, “si comprende dalla comparazione con quanto assegnato al ministero dei Beni culturali e del Turismo, che, per il 2013 non ha raggiunto il miliardo e 700 milioni. Ciò significa che, negli ultimi anni la contribuzione alle confessioni religiose ha superato i due terzi delle risorse destinate per la conservazione del patrimonio artistico del Paese”.
La Corte mette sul banco degli imputati il sistema perché avvantaggia le confessioni religiose attribuendo loro anche la percentuale di gettito di chi non opta per nessuno (né Stato, né Chiesa né altre confessioni) in dichiarazione. “Grazie al meccanismo di attribuzione (previsto da una legge del 1985, ai tempi di Bettino Craxi, ndr) delle risorse dell’8 per mille” scrive la Corte, “i beneficiari ricevono più dalla quota non espressa che da quella optata godendo di un notevole fattore moltiplicativo”.
Per esempio, nel 2011 la Chiesa cattolica ha beneficiato dell’82,28 per cento nonostante solo il 37,93 dei contribuenti abbiano optato in suo favore. La somma totale a disposizione per il 2014 è davvero impressionante: un miliardo 278 milioni dei quali l’82,45 per cento va alla Chiesa cattolica: un miliardo e 54 milioni. Solo 170 milioni allo Stato, per le finalità speciali previste ma in gran parte disattese e le altre confessioni si devono accontentare (si fa per dire) di poco più di 52 milioni dei quali la fetta più grande (40,8 milioni) va alla Chiesa evangelica valdese.
L’impegno dello Stato a ridurre le erogazioni
Lo Stato si era impegnato a ridurre questo enorme fiume di denaro 18 anni fa. “Già nel 1996, la Parte governativa della Commissione paritetica Italia-Conferenza Episcopale Italiana incaricata delle verifiche triennali dichiarava che (...) ‘la quota dell’8 per mille si sta avvicinando a valori, superati i quali, potrebbe rendersi opportuna una proposta di revisione (...) dell’aliquota”. Nel 1996 la Chiesa percepiva ‘solo’ 491 milioni di euro. Meno della metà di oggi. “Tuttavia - scrive la Corte dei conti - negli anni seguenti, il tema non è stato più riproposto dalla parte governativa”.
L’Italia ha semplicemente rinunciato. Non a caso, nota la Corte dei conti, tutto viene fatto in gran segreto: “Manca trasparenza sulle erogazioni: sul sito web della Presidenza del Consiglio dei ministri, infatti, nella sezione dedicata, non vengono riportate le attribuzioni annuali alle confessioni, né la destinazione (...) Al contrario, la rilevanza degli importi e il diretto coinvolgimento dei cittadini imporrebbero un’ampia pubblicità e la messa a disposizione dell’archivio completo”. Renzi è avvertito: oggi stesso dovrebbe pubblicare il link al documento pdf (come faremo su ilfattoquotidia no.it ) sulla home page del sito di Palazzo Chigi.
Soprattutto visto il momento di crisi: “In un contesto di generalizzata riduzione delle spese sociali a causa della congiuntura economica - scrivono i giudici - le contribuzioni a favore delle confessioni continuano, in controtendenza, a incrementarsi avendo, da tempo, ampiamente superato il miliardo di euro”.
Il modello spagnolo spiegato dai magistrati
La Corte spiega cosa accadrebbe se fosse eliminato il meccanismo della suddivisione della parte non optata dell’8 per mille, come in Spagna: “L’applicazione della normativa spagnola all’Italia comporterebbe per la fiscalità generale un risparmio annuo di 600 milioni di euro”. Ovviamente non bisogna dimenticare il ruolo sociale svolto nei fatti - anche grazie ai soldi dell’8 per mille - dalla Chiesa cattolica e dalle altre confessioni. Per esempio le Assemblee di Dio dichiarano di destinare più del 99 per cento a interventi caritativi. La Corte ricorda che solo il 23,22 per cento dei fondi dell’otto per mille della Chiesa cattolica sono andati nel 2012 verso interventi caritativi; il 33,15 per cento al sostentamento dei ministri del culto, scopo iniziale della legge, mentre il 43,62 per cento delle somme sono destinate alle misteriose ‘esigenze di culto e pastorale’. La Corte riporta un passo della relazione del 2005 della Commissione paritetica Cei-Italia che, da parte italiana, ribadisce che la crescita della quota degli interventi caritativi “non appare ancora proporzionata all’aumento del flusso finanziario”.
Poi la Corte bacchetta lo Stato
Le somme attribuite dai contribuenti che decidono di devolvere all’Italia la loro quota di 8 per mille dovrebbero essere destinate a finalità come la lotta alla fame nel mondo, l’assistenza ai rifugiati, le calamità naturali e la conservazione dei beni culturali. Per la Corte però: “la quota destinata allo Stato è stata drasticamente ridotta e dirottata su finalità antitetiche rispetto alla volontà dei contribuenti, violando l’affidamento derivante dalla sottoscrizione sull’utilizzo della stessa”. Secondo la Corte “le distrazioni rappresentano oltre i due terzi delle somme assegnate”, In pratica lo Stato ha dirottato finora 1,8 miliardi in 24 anni.
Nel 2011 e nel 2012 la quota di intervento dello Stato è stata addirittura azzerata e nel 2013 portata alla ridicola somma di 404 mila euro destinati a 4 progetti per la lotta alla fame in Africa che non si sa se facciano più sorridere o piangere. I contribuenti che optano per lo Stato (invece che per la Chiesa) non sanno che spesso i loro soldi sono usati per risanare le chiese. “Non appare coerente con la ratio dell’istituto - scrive la Corte dei conti - l’accentuata propensione al finanziamento di opere di restauro di edifici di culto o di proprietà di confessioni”. Nel 2010, per esempio, il 48,8 per cento dei fondi dello Stato paria a ben 53 milioni sono andati al risanamento di beni culturali della Chiesa cattolica. Gli edifici dello Stato invece hanno attinto a questo capitolo di spesa solo per 51,8 milioni.
La Corte dei conti denuncia poi, anche per la parte dello Stato, “la ancora non soddisfacente quantità di risorse destinate agli interventi caritativi”. Più in generale “lo Stato - secondo la Corte dei conti - mostra disinteresse per la quota di propria competenza, cosa che ha determinato, nel corso del tempo, la drastica riduzione dei contribuenti a suo favore”.
Come correggere il sistema
Secondo i giudici “a ciò ha contribuito la totale assenza (negli oltre 20 anni di vigenza dell’istituto) di promozione delle iniziative, risultando lo Stato l’unico competitore che non sensibilizza l’opinione pubblica sulle proprie attività con campagne pubblicitarie”. Alla fine la Corte dei conti non si limita a presentare l’elenco delle doglianze ma propone anzi dispone i correttivi: “al fine di garantire la piena esecuzione della volontà di tutti, la decurtazione della quota dell’8 per mille di competenza statale va eliminata: è, infatti, contrario ai principi di lealtà e di buona fede che il patto con i contribuenti venga violato. Peraltro, sono penalizzati solo coloro che scelgono lo Stato e non gli optanti per le confessioni, le cui determinazioni, al contrario, non sono toccate, cosa incompatibile con il principio di uguaglianza”.
8x1000, opere di bene ma soprattutto televisione e spot
A chi finiscono i quattrini
Gli scontri tra prelati
di Carlo Tecce (il Fatto, 29.11.2014)
QUASI DIECI MILIONI SPESI SOLTANTO PER LA CAMPAGNA SULLE RETI MEDIASET. POI C’È IL CAPITOLO DEI GIORNALI E DALLA SATELLITARE TV2000: EROGAZIONE IN CRESCITA
Quanto fa 8x1000 per la Chiesa cattolica? Un miliardo e poco più di 55 milioni di euro. Il calcolo è trasparente, la ripartizione viziata dall’ultimo Concordato tra lo Stato italiano e il governo vaticano. Il resto è buio. Questa somma di denaro, che puntualmente il Tesoro versa ai vescovi italiani, proviene da 41.499.535 milioni dichiarazioni dei redditi. L’8per1000 è una donazione volontaria e obbligatoria: sì, un paradosso. Perché soltanto in 15 milioni hanno barrato la casella Chiesa cattolica quest’anno, ma un complesso meccanismo di moltiplicazione per legge, consente la distribuzione di oltre l’82% del ricavato totale (1,276 miliardi) alla Conferenza episcopale italiana.
Quel che avanza, viene diviso fra lo Stato e cinque organizzazioni religiose, Ebrei, Valdesi, Luterani, Avventisti e Assemblee di Dio. Il bonifico con in calce la firma italiana viene incassato da Cei e il miliardo poi viene gestito sul conto di Deutsche Bank che la Santa Sede ha intestato in Germania. Questioni di vincoli e controlli. A papa Francesco non sono sconosciute le disfunzioni dell’8x1000 e, pare, non siano mancate proteste dettagliate e invocazioni di intervento tramite documenti spediti presso la sua abitazione in Santa Marta.
A chi finiscono i quattrini
Ogni anno, a maggio, i vescovi italiani si riuniscono e approvano il bilancio Cei. Mentre dentro si consumano le consuete battaglie, all’esterno viene diffuso un frontespizio che, in maniera poco esaustiva come certifica la stessa Corte dei Conti, illustra le voci di spesa. Ci sono tre categorie onnicomprensive: 433 milioni di euro per le esigenze di culto e pastorale, 245 milioni gli interventi caritativi e 377 milioni per il sostentamento del clero. Nei rivoli di un abbondante miliardo di euro, però, si possono celare i flussi di denaro per giornali, propaganda, televisioni, seminari, convegni. Soltanto lo stanziamento per il “terzo mondo”, pari a 85 milioni di euro, né aumenta né diminuisce mai. Tutto è variabile. Tutto può significare opere di bene o niente. Tutto può contenere la costruzione di una casa di accoglienza per giovani madri emigrate, un campetto di calcio per l’oratorio oppure un grande parata per adunate di prelati e politici. Quando la somma viene stabilita e i moduli Irpef sono consegnati ai commercialisti, s’interrompono i video in tv che reclamizzano l’8x1000 con il ritornello “Chiedilo a loro”.
La musica suscita emozioni, le immagini attirano l’attenzione, si vedono suore o preti che arrancano in luoghi di dolore, bambini, malattie, disperazione. Come per la vendita di un prodotto tradizionale, la Cei si affida a martellanti campagne pubblicitarie, per un decennio ideate da Saatchi&Saatchi, una azienda che promuove le esplorazioni petrolifere di Eni, le macchine elettriche di Toyata o le cialde da caffé di Illy. Oggi viene coinvolta anche “Another Place”, le gigantografie di volti segnati dalla sofferenza sono a cura di questa brillante società. Perché sono davvero numerosi i “cantieri” aperti con l’8x1000 fra parrocchie, ristrutturazioni, beneficienza.
I canali per la pubblicità e i mezzi di comunicazione
In Italia la raccolta pubblicitaria è crollata negli ultimi anni, le concessionarie rimediano con sconti altissimi, ma la Cei è un investitore importante, perché garantisce almeno 10 milioni di euro. I dati ufficiali Nielsen, relativi al 2013, ci consentono di quantificare in 9,824 milioni la spesa su Mediaset & C. dei vescovi per convincere gli italiani a destinare l’8x1000 alla Chiesa italiana. In quattro anni, la Cei ha investito quasi 45 milioni di euro. Non vanno definiti sprechi, possiamo aggiungere con un po’ di ironia, perché, nota persino la Corte dei Conti, la presenza in tv della Conferenza episcopale ha oscurato lo Stato in questa competizione per l’8x1000.
Nel rendiconto stilato da Cei non c’è traccia dei contributi ai media di proprietà dei vescovi: il quotidiano Avvenire, il canale satellitare Tv2000, l’emittente Radio In Blu e l’agenzia di stampa Sir. Per rispettare le regole italiane, la Cei finanzia i suoi media attraverso due fondazioni: la “Santi Francesco e Caterina”, la prima in ordine di costituzione che porta i nomi dei patroni nazionali si occupa e preoccupa di Avvenire e Sir; la “Comunicazione e Cultura” è depositaria del pacchetto di maggioranza di “Rete Blu”, la società che edita la radio e il giornale. A “Rete Blu”, la Cei ha conferito 37 milioni di euro per il 2013. Quest’anno l’erogazione potrebbe crescere, perché i vescovi pensano di poter consolidare la posizione di Tv2000, da qualche mese diretta da Paolo Ruffini, ex di Rai3 e di La7, e in fase di sperimentazione. Sarà una rete quasi “generalista”, per dirla con termini ormai desueti.
A parte questi 37 milioni per “Rete Blu”, ce ne sono di solito 15 per Avvenire e 7 per la Sir. Non è finita. Perché le iniziative dell’ufficio per la Comunicazione sociali, che riempie un calendario sempre denso di appuntamenti, sono molto dispendiose. I fondi per l’8x1000 servono anche a rifocillare l’ambizioso Ente per lo spettacolo. Per confrontare queste cifre qui esposte con i diretti protagonisti, il Fatto Quotidiano ha contattato i responsabili per i rapporti con i media dei Vescovi. Ci hanno cortesemente risposto senza commenti particolari. Gli scontri tra prelati
Il potere Cei è in capo a monsignor Angelo Bagnasco, che presiede la Conferenza episcopale da 7 anni, e fu indicato da Benedetto XVI. La sostituzione del segretario generale Mariano Crociata con Nunzio Galantino è soltanto il preludio all’uscita di Bagnasco. Le ultime assemblee hanno ospitato accese dispute tra i vescovi proprio sull’8x1000. I vescovi di Trento (Luigi Bressan), Como (Diego Coletti) e di Mantova (Roberto Busti) non tollerano l’eccessiva generosità con cui si sovvenziona il sistema di comunicazione. Il gruppo non è sempre coeso e le scelte non vengono prese tra implacabili entusiasmi. Qualunque siano le decisioni della Conferenza Episcopale, un po’ di informazione in più per i cittadini-paganti non guasterebbe. Non ci sono dogmi a rischio.
1929-1984
Dai Patti Lateranensi di Mussolini al Concordato di Bettino Craxi *
IN PRINCIPIO furono i Patti Lateranensi del 1929 voluti da Benito Mussolini, con cui - fra le altre cose - l’Italia s’impegnava a pagare lo “stipendio ai preti” (la cosiddetta “Congrua”). Il meccanismo fu poi aggiornato dal Concordato del 1984, premier Bettino Craxi, che inventò l’attuale meccanismo dell’8 per mille. Come dovrebbe funzionare. Volontariamente- cioè attraverso un atto formale durante la dichiarazione dei redditi - un pezzo del gettito Irpef del singolo contribuente (l’8 per mille appunto) viene devoluto alla Chiesa per il sostegno del clero.
L’accordo prevede pure che se il gettito è superiore agli impegni concordatari, l’aliquota venga rivista al ribasso. Alla bisogna esiste un’apposita commissione mista italo-vaticana, che però a giudicare dai curricula dei partecipanti sembra più vaticano-vaticana: nonostante, infatti, gli “stipendi” siano ormai all’ingrosso solo un terzo dei circa 900 milioni di gettito dell’8 per mille che finisce ai vescovi italiani, il tema di abbassare l’aliquota non è mai stato posto all’ordine del giorno.
L’escamotage. L’8 per mille si basa su un meccanismo discutibile: quel pezzo di Irpef, infatti, viene distribuito tutto, anche quello di chi non firma per alcuna confessione. In sostanza, il fondo da un miliardo totale viene ripartito “proporzionalmente sul totale delle scelte espresse”, che sono poco più del 40% dei contribuenti. Tradotto: negli ultimi anni la Chiesa cattolica col 37% circa delle “preferenze” si accaparra assai più dell’80% del malloppo. In soldi si traduce così: gli italiani avrebbero dato ai vescovi meno di 400 milioni, invece lo Stato gliene dà più del doppio. Se non è carità cristiana questa.
* il Fatto, 29.11.2014
Le Confessioni religiose riconosciute e le vicende dell’otto per mille
di Marco Ventura (Corriere della Sera, 12 agosto 2012)
Diventeranno legge dal 22 agosto tre intese firmate cinque anni fa dal governo Prodi: con la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi del Settimo giorno, cioè i mormoni; con gli ortodossi del Patriarcato di Costantinopoli; e con i pentecostali della Chiesa Apostolica d’Italia. Queste chiese avranno ora più armi contro le discriminazioni, beneficeranno di vantaggi fiscali e potranno compiere atti religiosi con effetti civili senza il surplus di burocrazia che grava sui «culti ammessi» ancora soggetti all’obsoleta legge del 1929.
Il passo avanti non deve illudere. Si tratta di un risultato limitato a poche migliaia di credenti italiani e a confessioni politicamente sensibili, come quei mormoni nelle cui vele soffia non da ora la diplomazia americana.
Delle sei intese stipulate nel 2007 restano al palo, non a caso, le più espressive dell’Italia multireligiosa. Da troppo tempo buddisti e Testimoni di Geova aspettano che il Parlamento onori l’impegno assunto da D’Alema nel 2000 e rinnovato da Prodi cinque anni fa: alla loro forza spirituale risponde un vile ostracismo, di cui dal 2007 è ormai vittima anche l’induismo italiano.
Restano poi ben lontani dai benefici di un’intesa due milioni e mezzo di islamici e ortodossi, rumeni e ucraini in particolare. La questione economica è centrale. L’accesso all’otto per mille di milioni di credenti oggi esclusi cambierebbe il quadro. Tra l’altro, si ridurrebbero assai le entrate della Chiesa cattolica, oggi premiata dal meccanismo per cui chi esprime la propria preferenza, ovvero meno della metà dei contribuenti, sceglie anche per chi non lo fa. I
mormoni hanno invece rinunciato all’otto per mille: tirano fuori i soldi di tasca propria e si accontentano che lo Stato garantisca la deducibilità delle offerte fino a mille euro. Resta dunque da verificare il significato di questo colpo di reni parlamentare, merito dell’impegno trasversale di pochi senatori e della determinazione di valdesi e federazione dei protestanti.
Anche sulla religione, il Paese è al bivio: saprà trovare il coraggio di riconoscersi cambiato e di girare pagina davvero?
Otto per mille, chi finanzia cosa
di Luca Kocci (il manifesto, 6 maggio 2012)
Stagione di dichiarazioni dei redditi. E di otto per mille. Le confessioni religiose e le Chiese - quella cattolica su tutte - lanciano iniziative e campagne pubblicitarie per convincere i contribuenti a firmare per loro; lo Stato, che pure è uno dei destinatari dell’otto per mille, come è consuetudine, invece tace.
«Otto per mille: 100% alla solidarietà, allo sviluppo, alla cultura», spiegano i valdesi. «Costruiamo speranze: una, molte, tante vite che ritornano a sognare», annunciano gli avventisti. E le Assemblee di Dio ricordano che «le scelte non determinano un aumento delle imposte da pagare».
La pubblicità più presente sui media, frutto di un investimento abbondantemente superiore ai 10 milioni di euro, è naturalmente quella cattolica. «Chiedilo a loro», martella la campagna della Conferenza episcopale italiana firmata Saatchi & Saatchi: «Otto per mille alla Chiesa cattolica, la verità dalla voce dei protagonisti», che ricordano che scegliendo la Chiesa cattolica «continui a fare molto, per tanti».
L’otto per mille è dovuto comunque, si tratta quindi di finanziamento pubblico a tutti gli effetti, sebbene camuffato da scelta volontaria. E le Chiese, esattamente come i partiti, scelgono liberamente come utilizzare i fondi che ricevono, per il culto, sostentamento del clero o interventi assistenziali. Qui emergono le differenze: cattolici e luterani spendono buona parte dei soldi per sostentamento del clero (o dei ministri di culto) e attività pastorale; valdesi e avventisti quasi esclusivamente per attività sociali, come peraltro documentano i loro dettagliati rendiconti (consultabili anche sui rispettivi siti internet); invece non si sa come utilizzano i fondi comunità ebraiche e Assemblee di Dio, poiché non rendono noti i loro bilanci.
Ad incassare più di tutti è la Chiesa cattolica: 1.118 milioni di euro, secondo l’ultimo rendiconto reso noto dalla Cei, relativo al 2011 (a fine maggio, quando ci sarà l’Assemblea dei vescovi, arriveranno i dati del 2012). Ad «esigenze di culto e pastorale» sono stati destinati oltre 467 milioni, ovvero il 42%. E poco meno di 361 milioni (il 32%) sono serviti per il «sostentamento del clero». Solo il 21% (235 milioni, di cui 105 alle diocesi «per la carità», 85 al Terzo mondo e 45 per «esigenze di rilievo nazionale») è stato impiegato per quegli interventi di assistenza e di solidarietà sociale che invece, potenza delle strategie di marketing , fanno la parte del leone nei messaggi pubblicitari; 55 milioni di euro sono stati accantonati «a futura destinazione».
Alle altre cinque confessioni religiose che hanno firmato un’Intesa con lo Stato per accedere ai fondi dell’otto per mille rimangono le briciole: 20 milioni di euro circa (va aggiunto che anche la Chiesa Battista ha siglato un’intesa ma ha scelto di non partecipare all’otto per mille; inoltre sono in attesa di ratifica del Parlamento gli accordi con buddisti e testimoni di Geova, che quindi ancora non percepiscono un centesimo).
Al primo posto le Chiese
metodiste e valdesi che nel 2010 hanno incassato 10 milioni e 248 mila euro, impiegati per lo più
per programmi sociali, sanitari e culturali sia in Italia (6 milioni e 656 mila euro) che all’estero (3
milioni e 44 mila euro), fra cui «Saving children», il discusso progetto del Centro Peres di Tel Aviv
finanziato con 23 mila euro - contestato anche da alcune associazioni israeliane di solidarietà con
il popolo palestinese e boicottato dalle Chiese metodiste unite (sulla questione sono intervenuti sul
manifesto anche la moderatora della Tavola valdese, Maria Bonafede e il responsabile della
campagna di sospensione dell’8 per mille ai valdesi Carlo Tagliacozzo). Non spendono nulla per la
pastorale e il culto i valdesi, ma hanno impiegato 513 mila euro per le campagne pubblicitarie e 145
mila per spese di gestione e stipendi.
La Chiesa evangelica luterana, nel 2010, ha incassato 2 milioni e 873 mila euro, quasi tutti spesi per l’evangelizzazione (1 milione e 274 mila euro a cui vanno aggiunti 272 mila euro per la «missione all’estero») e per i ministri di culto (731 mila euro). Per il sociale resta poco: 252 mila euro per «opere sociali» e 221 mila per la cultura; 143 mila euro per spese di gestione e di comunicazione.
Le Chiese cristiane avventiste del settimo giorno, nel 2011, hanno percepito 2 milioni e 167 mila euro, con cui hanno finanziato progetti sociali, formativi, educativi e culturali in Italia per un milione e 996 mila euro e progetti umanitari all’estero per 71 mila 550 euro; 100 mila euro sono stati impiegati per la campagna informativa e per le spese di gestione.
Poco si sa dell’Unione delle comunità ebraiche. L’ultimo dato comunicato dall’Ucei è relativo all’anno 2005: 3 milioni e 757 mila euro. Di questa cifra, poco più di 2 milioni e mezzo di euro sono stati utilizzati per generiche attività educative, formative e culturali; 750 mila sono stati spesi per ancora più generiche attività di carattere sociale (tutela delle minoranze, lotta a razzismo e antisemitismo, assistenza ad anziani, bambini e portatori di handicap); 450 mila per le campagne pubblicitarie. Così come delle Assemblee di Dio: assicurano che «ogni centesimo di euro corrisposta dallo Stato sarà utilizzato unicamente per fini a carattere sociale e umanitario», ma non forniscono alcun tipo di rendicontazione, nemmeno generica. Si sa solo che nel 2004 hanno incassato 700 mila euro.
In quasi tutti i casi si tratta di cifre che non corrispondono alla reale volontà dei contribuenti, ma che vengono gonfiate per il meccanismo stesso della legge. A firmare per una destinazione dell’otto per mille sono infatti meno della metà dei contribuenti italiani: il 44%, secondo gli ultimi dati. Tutti gli altri - ovvero il 56% - non scelgono, lasciano la casella in bianco, ma versano ugualmente l’otto per mille del loro Irpef, che però non viene devoluto allo Stato, come parrebbe logico, ma viene attribuito in proporzione alle scelte espresse dagli altri. Insomma è la minoranza a decidere anche per la maggioranza.
Non è vero quindi che nove contribuenti su dieci decidono di destinare l’otto per mille alla Chiesa cattolica. La scelgono a malapena in quattro che, di fatto, decidono per tutti. Nel 2011, infatti, la Chiesa cattolica ha ottenuto l’85% delle preferenze di coloro che hanno scelto una destinazione per l’otto per mille - corrispondenti a meno del 40% del totale dei contribuenti - ed ha incassato non solo l’85% dell’otto per mille di chi ha scelto, ma anche l’85% dell’otto per mille di chi ha lasciato la casella in bianco, aumentando l’introito di più del doppio di quanto avrebbe percepito sulla base solo delle scelte espresse.
Del resto è un meccanismo concepito a suo tempo dagli «inventori» dell’otto per mille per favorire la confessione largamente maggioritaria, ma di cui beneficiano tutti, o quasi. Non ancora i valdesi, che però dal 2013 avranno anche loro la ripartizione delle quote non espresse. Mentre restano fuori le Assemblee di Dio. Non dicono quanto incassano né come spendono, ma non vogliono quello che non gli viene espressamente assegnato dai contribuenti: «La quota non attribuita spettante alle Assemblee di Dio è devoluta alla gestione statale», è scritto in una nota dei moduli della dichiarazione dei redditi.
Boicottaggio preventivo contro i valdesi
di Maria Bonafede* (il manifesto, 25 aprile 2012)
Ciascuno è assolutamente libero di destinare il suo "Otto per mille" a chi vuole, e persino di non destinarlo lasciando che vada in massima parte alla Chiesa cattolica. Ed è legittimo, anzi auspicabile, che ogni contribuente si faccia un’idea precisa di come i fondi vengono utilizzati da ogni istituzione che li percepisce, approvando e dissentendo, solidarizzando e criticando.
È meno accettabile che si montino delle vere e proprie campagne contro una confessione religiosa che percepisce l’Otto per mille e da anni offre un resoconto trasparente dell’utilizzo che ne fa, a scopi esclusivamente sociali, culturali, assistenziali: non destinando neanche un euro, insomma, al finanziamento del culto, agli stipendi dei pastori o alla ristrutturazione delle chiese.
E invece accade oggi, quando alcune associazioni impegnate nella solidarietà al popolo palestinese (tra le altre Palestina Rossa e Bds, Boicottaggio disinvestimento sanzioni contro Israele) invitano i loro aderenti e simpatizzanti a “sospendere” la loro destinazione Otto per mille alla Chiesa valdese colpevole di avere finanziato con 23.000 euro, nel 2010 - due anni fa! - il progetto Saving Children promosso dalla Fondazione Peres. Di che si tratta? Di un’iniziativa tesa a curare bambini palestinesi provenienti dai Territori e bisognosi di particolari cure negli ospedali israeliani.
In qualità di Moderatore della Tavola valdese e quindi di responsabile nazionale della Chiesa, lo scorso 8 marzo ho incontrato alcuni esponenti delle associazioni che si opponevano al finanziamento al progetto Saving Children ascoltando con interesse i rilievi espressi.
Poche settimane dopo, però, è partita una campagna in cui si afferma che, dal momento che la Tavola valdese assegnerà i fondi solo nel corso dell’estate, si chiede «a chi solidarizza con la causa palestinese di sospendere per l’anno in corso la destinazione dell’Otto per mille alla Chiesa Valdese». Ognuno è libero di intendere il dialogo e il confronto come crede, tuttavia dovrebbe rispettare la logica dei tempi e delle procedure. Che senso ha chiedere un incontro di chiarimento per poi partire comunque con la propria campagna, prescindendo da quello che è emerso?
Rinunciando a priori, pregiudizialmente e ideologicamente, a verificare come la Chiesa valdese utilizzerà i fondi del 2011? Pretendendo che esiste solo un modo di sostenere una causa che, ovviamente, coincide con la propria strategia? È un antico vizio settario, probabilmente adatto alle dinamiche di una certa politica ma assai più problematico quando si tratta di perseguire una causa umanitaria, quando cioè sono in ballo diritti, salute e persino la vita delle persone.
La Chiesa valdese destina al sostegno alla popolazione palestinese e al dialogo per la pace tra palestinesi e israeliani oltre centosessantamila euro: una piccola cifra, certo, eppure il segno di un’attenzione costante e crescente. I soldi vanno a centri medici nei Territori palestinesi, a cooperative di donne palestinesi per il microcredito, a favorire l’incontro di studenti e educatori di una parte e dell’altra. Grazie a questi progetti negli anni abbiamo conosciuto centinaia di persone - israeliani e palestinesi - che con eccezionale passione e fatica difendono la dignità e l’umanità dei loro popoli, si battono per i diritti umani, finiscono in carcere perché obiettano alle decisioni sbagliate di chi detiene il potere politico.
Nostro dovere, anche con l’Otto per mille della Chiesa valdese (Unione delle chiese metodiste e valdesi), sarà continuare a sostenerli ed accompagnarli nella loro azione per la giustizia e la pace. E se qualcuno, forse in difficoltà su altri obiettivi, sceglie di boicottare l’Otto per mille di una piccola Chiesa, lo faccia almeno a tempo debito e a ragion veduta.
*Moderatore della Tavola valdese
Una inchiesta de l’Espresso sull’otto per mille alla Chiesa Cattolica
L’otto per mille e la Santa cresta
Grazie al contributo fiscale lo Stato italiano versa più di un miliardo l’anno per pagare gli stipendi dei preti. Per i quali però bastano 361 milioni. E le altre centinaia? In un’inchiesta, tutta la verità su business e privilegi del Vaticano. Ecco un’anticipazione
di Stefano Livadiotti * Trentunomila e 478 euro virgola qualcosa. E’ la somma che lo Stato, quindi l’intera platea dei contribuenti, ha versato nel 2010 per il mantenimento di ognuno dei 33 mila e 896 sacerdoti in servizio attivo nelle diocesi del Paese. Il totale fa un miliardo e 67 milioni di euro, l’importo del cosiddetto 8 per mille (salito nel 2011 a un miliardo, 118 milioni, 677 mila, 543 euro e 49 centesimi). E l’assegno l’ha incassato la Chiesa, attraverso la Conferenza episcopale. Che poi a ciascuno di quei preti ha girato direttamente solo 10.541 euro, un terzo di quanto ha stipato nei propri forzieri. L’espressione è un po’ forte, ma i numeri sono numeri: e dicono che i vescovi fanno la cresta sullo stipendio dei loro sottoposti.
Wojtyla, si sa, non amava granché Agostino Casaroli. Considerava il suo segretario di Stato troppo amico dei regimi comunisti dell’Est. Quasi un propagandista. E per questo si scontrava spesso con lui. Invece avrebbe dovuto fargli un monumento equestre. Perché la revisione del Concordato che Casaroli trattò con l’allora premier italiano, Bettino Craxi (in sostituzione della "congrua", il salario di Stato garantito ai parroci), è stata di gran lunga il miglior affare che la Chiesa abbia portato a casa nella sua storia più recente. Funziona così. Un po’ come in un gigantesco sondaggio d’opinione, ogni anno i contribuenti, mettendo una croce sull’apposita casella nella dichiarazione dei redditi, possono indicare come beneficiaria dell’8 per mille una delle confessioni firmatarie dell’intesa con lo Stato (o scegliere invece quest’ultimo).
Sulla base delle indicazioni effettivamente raccolte, viene poi diviso in percentuale non il solo ammontare versato da quanti hanno espresso una preferenza (il 40 per cento circa del totale), ma l’intero montepremi.
Al gruzzolo concorrono, cioè, anche i versamenti all’erario di coloro che, maggioranza assoluta, non hanno barrato un accidenti (quattrini che nella cattolicissima Spagna restano invece allo Stato). O che magari non hanno neanche mai sentito parlare del trappolone a suo tempo confezionato da Giulio Tremonti nelle vesti di consulente del governo. Il meccanismo, guarda caso, sembra ricalcato da quello scelto dai partiti per i rimborsi elettorali garantiti dal finanziamento pubblico. Il risultato dell’arzigogolo è facilmente intuibile. Anche perché perdere una sfida con lo Stato italiano davanti a una giuria popolare è matematicamente impossibile. Tanto più se lo stesso sedicente avversario ha stabilito regole che lo penalizzano in partenza. E ancor più se durante la gara cammina invece che correre (la Chiesa si affida a un gigante mondiale come la Saatchi & Saatchi per una martellante campagna pubblicitaria costata nel 2005 qualcosa come 9 milioni di euro, il triplo di quanto donato dai preti alle vittime dello tsunami; lo Stato risulta non pervenuto). Ma il vantaggio per la Chiesa va perfino al di là di quanto si possa intuire.
Per quantificarlo bisogna necessariamente affidarsi a dati un po’ vecchiotti, per il semplice motivo che il ministero dell’Economia fornisce le statistiche sulle scelte effettive dei contribuenti solo alle confessioni religiose ammesse al beneficio. Non è però un problema, dal momento che le percentuali variano in maniera quasi impercettibile tra un anno e l’altro. Dunque: nel 2004 la Chiesa è stata scelta da una minoranza pari al 34,56 per cento dei contribuenti italiani. Ma lo stesso dato, calcolato invece sulla sola platea di quanti hanno ritenuto di dare un’indicazione sull’8 per mille, l’ha fatta schizzare di colpo, e miracolosamente, a una schiacciante maggioranza dell’87,25. Ed è quest’ultima la percentuale utilizzata per ripartire l’intera torta. Che è destinata inevitabilmente a crescere. Il suo valore, infatti, si aggancia ora alla variazione del Pil, cioè alla crescita economica, ora all’aumento della pressione fiscale. Quando non ai due elementi insieme.
Questo garantisce alla Chiesa di incassare sempre più quattrini, a prescindere dal consenso racimolato. E perfino quando questo scende in maniera vistosa. E’ successo, per esempio, nelle dichiarazioni dei redditi del 2007 (incassate nel 2010: c’è uno sfasamento temporale di tre anni). Quell’anno, forse sulla scia dello scandalo pedofilia, il numero dei contribuenti che ha indicato come beneficiari Ratzinger & C. si è ridotto, secondo i calcoli degli stessi vescovi, di 95.104 unità. Così, perfino la percentuale drogata di spettanza della Chiesa ha fatto registrare un passo indietro: dall’86,05 del 2006 (89,82 nel 2005) all’85,01 per cento. Ma, sorpresa, grazie al doppio traino di Pil e pressione fiscale, la Chiesa ha comunque incassato di più: 100 milioni di euro.
I conti della cresta sono presto fatti. Nel 1989, come ricorda la stessa Cei in un documento ufficiale intitolato "Otto per mille: destinazione e impieghi 1990- 2011", con la congrua la Chiesa prendeva 399 miliardi di lire (che nel 1990, nel primo anno con il nuovo sistema, diventarono 210 milioni di euro, perché nel totale furono inseriti anche 7 miliardi di lire di quattrini pubblici destinati alla nuova edilizia di culto). I coefficienti di rivalutazione dicono che oggi quella cifra equivarrebbe a 369,01 milioni. Per il 2011, secondo i calcoli più aggiornati, alla Chiesa spetta invece, come dicevamo, un miliardo, 118 milioni, 677 mila e 543 euro: più del triplo.
Ma per la Santa Casta l’affare è ancora più ghiotto di quanto già non appaia a prima vista. Nello stesso ventennio, infatti, l’importo complessivo delle paghe dei preti (addirittura diminuito di 20 milioni tondi tra il 2009 e il 2011) è cresciuto molto più lentamente: dai 145 milioni del 1990 ai 361 del 2011 (più 149 per cento). E così il margine, che rappresenta in questo caso il guadagno, o la cresta, della Chiesa è via via aumentato, passando dai 65 milioni iniziali ai 757.677.543 euro di quest’anno, con un incremento del 1.066 per cento. Chapeau. E dire che in un volantino distribuito dalla Cei nelle parrocchie, e intitolato "Aiuta tutti i sacerdoti", si sostiene che l’8 per mille «non basta» a mantenere i preti. I negoziatori della revisione concordataria del 1984, evidentemente consapevoli del papocchio che andavano allestendo, avevano previsto la possibilità di una revisione dell’aliquota: era stato insomma stabilito che l’8 per mille potesse diventare, per esempio, il sette o il nove, a seconda dell’andamento del suo gettito e delle spese reali della Chiesa.
Il compito di monitorare la situazione, e introdurre ogni tre anni gli aggiustamenti eventualmente necessari, era stato affidato, come nella migliore tradizione, a una commissione, l’ennesima. Fin da subito, se ne sono ovviamente perse le tracce. E chi, come quei rompiballe in servizio permanente effettivo dei radicali, ha chiesto notizie al riguardo si è sentito opporre il segreto di Stato. Addirittura. Un minimo di pudore da parte del governo nell’affrontare l’argomento è assolutamente comprensibile. Perché da sempre l’esecutivo di turno, non ritenendo ancora all’altezza il cadeau presentato annualmente alla gerarchia ecclesiastica, ci ha aggiunto dell’altro. Consegnando di fatto alla Chiesa anche una buona fetta della quota (striminzita, peraltro) di 8 per mille che gli veniva assegnata su indicazione dei contribuenti. Una forzatura sottolineata anche dalla Corte dei conti, che nel 2008 ha messo a punto una relazione sulla gestione dei fondi da parte dello Stato nel quinquennio 2001-2006 in cui si rilevavano «non poche incongruenze».
Una bacchettata di cui Berlusconi, troppo preoccupato a farsi perdonare dai preti certi eccessi di vitalità notturna, non ha tenuto alcun conto. Almeno a leggere le 17 pagine del decreto con cui sono stati ripartiti nel 2009 i 43.969.406 euro destinati dai contribuenti allo Stato in quota 8 per mille: 459 mila euro alla Pontificia università gregoriana di Roma, 500 mila al Fondo librario della Compagnia di Gesù, un milione e 146 mila alla diocesi di Cassano allo Ionio, 369 mila alla Confraternita di S. Maria della purità di Gallipoli... Alla fine, 10 milioni e 586 mila euro sono andati, in gran parte attraverso il Fondo beni culturali, a 26 immobili di enti-satellite del Vaticano. E altri 14 milioni e 692 mila euro sono stati destinati a soddisfare richieste (quasi tutte per opere ecclesiastiche) legate al terremoto abruzzese e curiosamente presentate ancor prima che il sisma si verificasse. In sostanza, lo Stato ha girato al Vaticano più della metà dei soldi che i contribuenti gli avevano espressamente conferito. Resta da capire che strada prendano i soldi pubblici che ogni anno rimangono nelle casse della Cei dopo il pagamento degli stipendi ai sacerdoti. Nel 2011 (come del resto in tutti gli ultimi cinque anni, nel corso dei quali sono rimasti perfettamente invariati) gli interventi caritativi nel Terzo mondo hanno totalizzato 85 milioni, pari al 7,59 per cento dei soldi pubblici incassati dalla Cei.
Anche sommando a questi gli aiuti smistati in Italia, non si va oltre i 235 milioni, che vuol dire il 21 per cento del contributo statale alla Cei. Il tutto, ammesso e non concesso che tra queste iniziative abbia qualche senso includere «l’installazione di una radio cattolica nell’arcidiocesi di Mount Hagen, a Pasqua Nuova Guinea e a Puerto Esperanza, in Perù e la formazione per tecnici e animatori giornalisti della radio diocesana di Matadi, nella Repubblica democratica del Congo», citati a pagina 14 del dossier "Otto per mille. Destinazione ed impieghi 1990-2008" alla voce "Promozione umana", ma molto più simili a spese per la propaganda e il reclutamento. Oppure operazioni al limite del folklore sciupone come «la formazione all’uso e alla gestione di un sistema fotovoltaico per la ricarica della batteria di cellulari, laptop e lampade per creare microimprenditorialità in diversi paesi dell’Africa ». Laptop nella savana? Mah. Di tutto questo ben di Dio, agli uomini di Chiesa restano le briciole. Non alla nomenklatura, s’intende, che quella si tratta bene.
Il capo dei vescovi, Angelo Bagnasco, ovviamente, lo nega: «Per la nostra sussistenza basta in realtà poco», ha detto il 26 settembre 2011. Ma non è esattamente così, se nel solo 2007 i 20 cardinali di stanza a Roma sono costati oltre tre milioni di euro, come ha rivelato senza essere smentito il settimanale cattolico inglese "The Tablet" (del resto il giornale citava la sintesi di un rendiconto riservato della Prefettura per gli affari economici del Vaticano), e se è vero che nel 2010, come ha scritto "El Pais", la spesa per l’intera curia è stata di 102,5 milioni. Eppure non è certo ai papaveri vaticani che si riferiva "Famiglia Cristiana" quando, nel settembre del 2011, ha scolpito: «Mentre la nave affonda, i timonieri continuano a sollazzarsi».
* L’Espresso, 18.11.2011
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/i-conti-oscuri-della-santa-casta/2166754
L’otto per mille, le scuole, gli ospedali, gli insegnanti di religione e i grandi eventi
Ogni anno, dallo Stato, arrivano alle strutture ecclesiastiche circa 4 miliardi di euro
I conti della Chiesa ecco quanto ci costa
di CURZIO MALTESE *
"Quando sono arrivato alla Cei, nel 1986, si trovavano a malapena i soldi per pagare gli stipendi di quattro impiegati". Camillo Ruini non esagera. A metà anni Ottanta le finanze vaticane sono una scatola vuota e nera. Un anno dopo l’arrivo di Ruini alla Cei, soltanto il passaporto vaticano salva il presidente dello Ior, monsignor Paul Marcinkus, dall’arresto per il crack del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. La crisi economica è la ragione per cui Giovanni Paolo II chiama a Roma il giovane vescovo di Reggio Emilia, allora noto alle cronache solo per aver celebrato il matrimonio di Flavia Franzoni e Romano Prodi, ma dotato di talento manageriale. Poche scelte si riveleranno più azzeccate. Nel "ventennio Ruini", segretario dall’86 e presidente dal ’91, la Cei si è trasformata in una potenza economica, quindi mediatica e politica. In parallelo, il presidente dei vescovi ha assunto un ruolo centrale nel dibattito pubblico italiano e all’interno del Vaticano, come mai era avvenuto con i predecessori, fino a diventare il grande elettore di Benedetto XVI. Le ragioni dell’ascesa di Ruini sono legate all’intelligenza, alla ferrea volontà e alle straordinarie qualità di organizzatore del personaggio. Ma un’altra chiave per leggerne la parabola si chiama "otto per mille". Un fiume di soldi che comincia a fluire nelle casse della Cei dalla primavera del 1990, quando entra a regime il prelievo diretto sull’Irpef, e sfocia ormai nel mare di un miliardo di euro all’anno. Ruini ne è il dominus incontrastato. Tolte le spese automatiche come gli stipendi dei preti, è il presidente della conferenza episcopale, attraverso pochi fidati collaboratori, ad avere l’ultima parola su ogni singola spesa, dalla riparazione di una canonica alla costruzione di una missione in Africa agli investimenti immobiliari e finanziari.
Dall’otto per mille, la voce più nota, parte l’inchiesta di Repubblica sul costo della chiesa cattolica per gli italiani. Il calcolo non è semplice, oltre che poco di moda. Assai meno di moda delle furenti diatribe sul costo della politica. Il "prezzo della casta" è ormai calcolato in quattro miliardi di euro all’anno. "Una mezza finanziaria" per "far mangiare il ceto politico". "L’equivalente di un Ponte sullo Stretto o di un Mose all’anno".
Alla cifra dello scandalo, sbattuta in copertina da Il Mondo e altri giornali, sulla scia di La Casta di Rizzo e Stella e Il costo della democrazia di Salvi e Villone, si arriva sommando gli stipendi di 150 mila eletti dal popolo, dai parlamentari europei all’ultimo consigliere di comunità montane, più i compensi dei quasi trecentomila consulenti, le spese per il funzionamento dei ministeri, le pensioni dei politici, i rimborsi elettorali, i finanziamenti ai giornali di partito, le auto blu e altri privilegi, compresi buvette e barbiere di Montecitorio.
Per la par condicio bisognerebbe adottare al "costo della Chiesa" la stessa larghezza di vedute. Ma si arriverebbe a cifre faraoniche quanto approssimative, del genere strombazzato nei libelli e in certi siti anticlericali.
Con più prudenza e realismo si può stabilire che la Chiesa cattolica costa in ogni caso ai contribuenti italiani almeno quanto il ceto politico. Oltre quattro miliardi di euro all’anno, tra finanziamenti diretti dello Stato e degli enti locali e mancato gettito fiscale. La prima voce comprende il miliardo di euro dell’otto per mille, i 650 milioni per gli stipendi dei 22 mila insegnanti dell’ora di religione ("Un vecchio relitto concordatario che sarebbe da abolire", nell’opinione dello scrittore cattolico Vittorio Messori), altri 700 milioni versati da Stato ed enti locali per le convenzioni su scuola e sanità. Poi c’è la voce variabile dei finanziamenti ai Grandi Eventi, dal Giubileo (3500 miliardi di lire) all’ultimo raduno di Loreto (2,5 milioni di euro), per una media annua, nell’ultimo decennio, di 250 milioni. A questi due miliardi 600 milioni di contributi diretti alla Chiesa occorre aggiungere il cumulo di vantaggi fiscali concessi al Vaticano, oggi al centro di un’inchiesta dell’Unione Europea per "aiuti di Stato". L’elenco è immenso, nazionale e locale. Sempre con prudenza si può valutare in una forbice fra 400 ai 700 milioni il mancato incasso per l’Ici (stime "non di mercato" dell’associazione dei Comuni), in 500 milioni le esenzioni da Irap, Ires e altre imposte, in altri 600 milioni l’elusione fiscale legalizzata del mondo del turismo cattolico, che gestisce ogni anno da e per l’Italia un flusso di quaranta milioni di visitatori e pellegrini. Il totale supera i quattro miliardi all’anno, dunque una mezza finanziaria, un Ponte sullo Stretto o un Mose all’anno, più qualche decina di milioni.
La Chiesa cattolica, non eletta dal popolo e non sottoposta a vincoli democratici, costa agli italiani come il sistema politico. Soltanto agli italiani, almeno in queste dimensioni. Non ai francesi, agli spagnoli, ai tedeschi, agli americani, che pure pagano come noi il "costo della democrazia", magari con migliori risultati.
Si può obiettare che gli italiani sono più contenti di dare i soldi ai preti che non ai politici, infatti se ne lamentano assai meno. In parte perché forse non lo sanno. Il meccanismo dell’otto per mille sull’Irpef, studiato a metà anni Ottanta da un fiscalista all’epoca "di sinistra" come Giulio Tremonti, consulente del governo Craxi, assegna alla Chiesa cattolica anche le donazioni non espresse, su base percentuale. Il 60 per cento dei contribuenti lascia in bianco la voce "otto per mille" ma grazie al 35 per cento che indica "Chiesa cattolica" fra le scelte ammesse (le altre sono Stato, Valdesi, Avventisti, Assemblee di Dio, Ebrei e Luterani), la Cei si accaparra quasi il 90 per cento del totale. Una mostruosità giuridica la definì già nell’84 sul Sole 24 Ore lo storico Piero Bellini.
Ma pur considerando il meccanismo "facilitante" dell’otto per mille, rimane diffusa la convinzione che i soldi alla Chiesa siano ben destinati, con un ampio "ritorno sociale". Una mezza finanziaria, d’accordo, ma utile a ripagare il prezioso lavoro svolto dai sacerdoti sul territorio, la fatica quotidiana delle parrocchie nel tappare le falle sempre più evidenti del welfare, senza contare l’impegno nel Terzo Mondo. Tutti argomenti veri. Ma "quanto" veri?
Fare i conti in tasca al Vaticano è impresa disperata. Ma per capire dove finiscono i soldi degli italiani sarà pur lecito citare come fonte insospettabile la stessa Cei e il suo bilancio annuo sull’otto per mille. Su cinque euro versati dai contribuenti, la conferenza dei vescovi dichiara di spenderne uno per interventi di carità in Italia e all’estero (rispettivamente 12 e 8 per cento del totale). Gli altri quattro euro servono all’autofinanziamento. Prelevato il 35 per cento del totale per pagare gli stipendi ai circa 39 mila sacerdoti italiani, rimane ogni anno mezzo miliardo di euro che il vertice Cei distribuisce all’interno della Chiesa a suo insindacabile parere e senza alcun serio controllo, sotto voci generiche come "esigenze di culto", "spese di catechesi", attività finanziarie e immobiliari. Senza contare l’altro paradosso: se al "voto" dell’otto per mille fosse applicato il quorum della metà, la Chiesa non vedrebbe mai un euro.
Nella cultura cattolica, in misura ben maggiore che nelle timidissime culture liberali e di sinistra, è in corso da anni un coraggioso, doloroso e censuratissimo dibattito sul "come" le gerarchie vaticane usano il danaro dell’otto per mille "per troncare e sopire il dissenso nella Chiesa". Una delle testimonianze migliori è il pamphlet "Chiesa padrona" di Roberto Beretta, scrittore e giornalista dell’Avvenire, il quotidiano dei vescovi. Al capitolo "L’altra faccia dell’otto per mille", Beretta osserva: "Chi gestisce i danari dell’otto per mille ha conquistato un enorme potere, che pure ha importantissimi risvolti ecclesiali e teologici". Continua: "Quale vescovo per esempio - sapendo che poi dovrà ricorrere alla Cei per i soldi necessari a sistemare un seminario o a riparare la cattedrale - alzerà mai la mano in assemblea generale per contestare le posizioni della presidenza?". "E infatti - conclude l’autore - i soli che in Italia si permettono di parlare schiettamente sono alcuni dei vescovi emeriti, ovvero quelli ormai in pensione, che non hanno più niente da perdere...".
A scorrere i resoconti dei convegni culturali e le pagine di "Chiesa padrona", rifiutato in blocco dall’editoria cattolica e non pervenuto nelle librerie religiose, si capisce che la critica al "dirigismo" e all’uso "ideologico" dell’otto per mille non è affatto nell’universo dei credenti. Non mancano naturalmente i "vescovi in pensione", da Carlo Maria Martini, ormai esiliato volontario a Gerusalemme, a Giuseppe Casale, ex arcivescovo di Foggia, che descrive così il nuovo corso: "I vescovi non parlano più, aspettano l’input dai vertici... Quando fanno le nomine vescovili consultano tutti, laici, preti, monsignori, e poi fanno quello che vogliono loro, cioè chiunque salvo il nome che è stato indicato". Il già citato Vittorio Messori ha lamentato più volte "il dirigismo", "il centralismo" e "lo strapotere raggiunto dalla burocrazia nella Chiesa". Alfredo Carlo Moro, giurista e fratello di Aldo, in uno degli ultimi interventi pubblici ha lanciato una sofferta accusa: "Assistiamo ormai a una carenza gravissima di discussione nella Chiesa, a un impressionante e clamoroso silenzio; delle riunioni della Cei si sa solo ciò che dichiara in principio il presidente; i teologi parlano solo quando sono perfettamente in linea, altrimenti tacciono".
La Chiesa di vent’anni fa, quella in cui Camillo Ruini comincia la sua scalata, non ha i soldi per pagare gli impiegati della Cei, con le finanze scosse dagli scandali e svuotate dal sostegno a Solidarnosc. La cultura cattolica si sente derisa dall’egemonia di sinistra, ignorata dai giornali laici, espulsa dall’universo edonista delle tv commerciali, perfino ridotta in minoranza nella Rai riformata. Eppure è una Chiesa ancora viva, anzi vitalissima. Tanto pluralista da ospitare nel suo seno mille voci, dai teologi della liberazione agli ultra tradizionalisti seguaci di monsignor Lefebrve. Capace di riconoscere movimenti di massa, come Comunione e Liberazione, e di "scoprire" l’antimafia, con le omelie del cardinale Pappalardo, il lavoro di don Puglisi a Brancaccio, l’impegno di don Italo Calabrò contro la ’ndrangheta. Dopo vent’anni di "cura Ruini" la Chiesa all’apparenza scoppia di salute. È assai più ricca e potente e ascoltata a Palazzo, governa l’agenda dei media e influisce sull’intero quadro politico, da An a Rifondazione, non più soltanto su uno. Nelle apparizioni televisive il clero è secondo soltanto al ceto politico. Si vantano folle oceaniche ai raduni cattolici, la moltiplicazione dei santi e dei santuari, i record di audience delle fiction di tema religioso. Le voci di dissenso sono sparite. Eppure le chiese e le sagrestie si svuotano, la crisi di vocazioni ha ridotto in vent’anni i preti da 60 a 39 mila, i sacramenti religiosi come il matrimonio e il battesimo sono in diminuzione.
Il clero è vittima dell’illusoria equazione mediatica "visibilità uguale consenso", come il suo gemello separato, il ceto politico. Nella vita reale rischia d’inverarsi la terribile profezia lanciata trent’anni fa da un teologo progressista: "La Chiesa sta divenendo per molti l’ostacolo principale alla fede. Non riescono più a vedere in essa altro che l’ambizione umana del potere, il piccolo teatro di uomini che, con la loro pretesa di amministrare il cristianesimo ufficiale, sembrano per lo più ostacolare il vero spirito del cristianesimo". Quel teologo si chiamava Joseph Ratzinger.
(Hanno collaborato Carlo Pontesilli e Maurizio Turco)
* la Repubblica, 28 settembre 2007
"Ritratto dei valdesi. Vita e miracoli della sinistra calvinista d’Italia"
Un libro getta nuova luce sulla Chiesa valdese. Ma quel che nel volume non c’è è ancor più interessante. È l’avventura politica di questa avanguardia del protestantesimo italiano
di Sandro Magister
Che cosa significa essere valdesi? Quale ne è l’identità? Con questi interrogativi in mente, Gustavo Alàbiso ha percorso armato di macchina fotografica la penisola evangelica italiana, dalla Val Pellice a Marsala.
E ne è venuto fuori questo libro. Con le foto accompagnate da interviste, piccole biografie e articoli di pastori e laici, che spaziano dalla vita religiosa ai rapporti con lo Stato, dal ruolo delle donne alle spinte ecumeniche di una realtà che è parte integrante di un contesto più ampio di chiese evangeliche, metodiste, battiste, luterane...
Ma i valdesi sono anche uno straordinario test politico. Della politica italiana di questi anni. Rappresentano l’ascesa e il declino di una grande utopia: quella di una sinistra politica nutrita di rigore teologico calvinista. Fino agli inizi degli anni Novanta i pastori e intellettuali della Chiesa valdese erano quasi tutti così: avanguardia giacobina di un popolo - quello delle Valli piemontesi - che però non li seguiva nell’avventura. E che oggi si prende la sua rivincita.
Tutto questo - ed è il bello della storia recente dei valdesi d’Italia - nel libro non c’è. Ma lo trovate raccontato con ricchezza di nomi e di fatti in un reportage dell’"Espresso" d’un anno e mezzo fa. Questo:
Io protesto: voto valdese
C’è un referendum in Italia che si fa tutti gli anni e senza quorum. E’ quello dell’8 per mille. Lo stravince la Chiesa cattolica. Ma tra i concorrenti minori, ebrei, luterani, avventisti eccetera, ce n’è uno che brilla su tutti. I valdesi. Nel 1995 hanno firmato per loro in 144.000 giusti giusti, come il popolo degli eletti dell’Apocalisse. Nel 1996 in 210.423, con balzo in avanti del 46 per cento in un anno. E se poi si risale al 1992, data dell’entrata in lizza del titolo, il boom fa ancor più impressione. Stando alle firme, i valdesi valgono oggi dieci, dodici volte la loro quotazione di lancio.
In Italia infatti i valdesi sono al massimo 30 mila, compresi i metodisti che dal 1979 fanno corpo con loro. E gli iscritti veri e propri ancor meno, sotto i 20 mila: per la metà concentrati nelle valli del Pellice, dell’Angrogna, del Germanasca e del basso Chisone, a ovest di Torino, per l’altra metà sparsi per l’Italia. Pubblicità? Poca. Spazio Rai? Piccolino e notturno. Militanza dei fedelissimi? Dubbia. «Io firmo per lo Stato», taglia corto una valdese di Perrero, alta val Germanasca, mentre ricama la tovaglia che regalerà alla sua bionda pastora Daniela Di Carlo per l’annuale bazar di beneficenza. E allora? Perché tanti valdesi non firmano e tantissimi invece firmano per loro da fuori? E perché a fare propaganda per l’8 per mille ai valdesi c’è persino "Babilonia", il giornale dei gay?
GLI ULTRASINISTRI DI AGÀPE
Questi ultimi un buon motivo ce l’hanno. In cima alla val Germanasca c’è Prali. E sopra Prali c’è Agàpe. Che è un azzardo architettonico, oltre che religioso. Luogo dello spirito con una chiesa che non ha tetto né mura. Contromonastero senza chiostro né celle né voti, dove l’obbedienza è peccato e la castità un non sense. Crocevia di tutte le fedi e non fedi. Qui nel 1981 hanno tenuto campo per una settimana gli omosessuali cattolici, quelli che si sentivano come appestati dentro la Chiesa di Roma e ad Agàpe scoprirono invece la loro isola di libertà. Da allora vi sono saliti ogni anno. Nel 2000, a metà luglio, avranno il loro ventunesimo campo, tema "Il piacere". Campo «esperienziale», annunciano riconoscenti.
Agàpe è parola greca del Nuovo Testamento. E’ l’amore che fa dono di sé "e non tramonta mai". Il pastore valdese Tullio Vinay l’ideò e costruì tra il 1947 e il 1951, facendo spaccare e trasportare le pietre a giovani ex partigiani e fascisti. Perché anche loro imparassero a ricostruirsi insieme. E da allora Agàpe è diventata fucina delle avanguardie protestanti in Italia. Con i contadini delle valli a guardare interdetti quelle strane ragazze superemancipate e le femministe e i gay e gli ultrasinistri e i terzomondisti che confluivano anno dopo anno lassù. Ma anche a vederne discendere generazioni di nuovi pastori e capi valdesi. E sposarsi e far figli con amori nati tra i larici. «Agàpe sì, ma anche eros. Tipicamente protestante», riconosce Daniele Bouchard, attuale direttore del centro, pastore figlio di pastore, impegnatissimo nel preparare per il 2001 una prima assoluta: un campo dedicato alla differenza sessuale, ma dalla parte dei maschi.
MENTRE IL POPOLO DELLE VALLI...
Altro mondo quello di Agàpe, rispetto alle valli. Qui la gente non azzarda. Brontola. Tiene i piedi per terra. Senza utopie. Aveva un bel dire Edmondo De Amicis, l’autore di "Cuore", che Torre Pellice è la Ginevra italiana. «Qui non c’è traccia di calvinismo imprenditoriale», dice Giorgio Tourn, fondatore del Centro Culturale della Chiesa delle valli. «Non c’è niente di quell’esplosione di fabbrichette che ha rivoluzionato anche il vicino cuneese, oltre che il Nordest d’Italia. Tenaci sì, ma non intraprendenti. Però...». Però? «Agàpe è pur sempre figlia della Chiesa valdese. Anzi. E’ la Chiesa valdese d’oggi che è figlia di Agàpe».
Giorgio Bouchard, padre di Daniele e altra colonna intellettuale, con Tourn, del valdismo italiano, concorda: «Agàpe ha avuto un ruolo determinante nello spostare a sinistra la Chiesa valdese nel periodo che va dalla Costituente fino allo scoppio di Tangentopoli». Questa svolta, in effetti, non è stata solo politica, ma teologica. E ha contribuito parecchio a disegnare in positivo l’immagine pubblica dei valdesi in Italia, quella trasmessa dai media.
MARX PIÙ KARL BARTH
Per il passato remoto valeva la storia di questo popolo, tutta all’insegna di una libertà mai domata da secoli di persecuzioni antieretiche. Per il passato prossimo c’erano i partigiani delle valli, con il loro martire Guglielmo Jervis, la Bibbia e il fucile. Ma poi è l’irrompere della teologia di Karl Barth a dare l’impronta decisiva. I barthiani conquistano la Facoltà teologica valdese di Roma, il palazzo umbertino dietro Piazza Cavour in cui i futuri pastori svolgono i loro quattro anni di formazione. E sopraffanno l’ala moderata d’impronta liberale, quella delle tradizioni, dei collegi, delle scuole, delle opere «diaconali» per i malati e i vecchi, con forte seguito tra i fedeli.
Non solo, i barthiani si dividono a loro volta in due correnti: i teologi puri, come Valdo Vinay e Vittorio Subilia, che mantengono il parziale controllo della Facoltà; e quelli d’impronta marxista, politicamente più impegnati, che conquistano i pastorati e le cariche più importanti, dall’editrice Claudiana alla trasmissione Rai "Protestantesimo", fino alla presidenza della Tavola valdese, il massimo organo direttivo. Contestati però a loro volta, negli anni Sessanta e Settanta, da correnti di sinistra ancor più estrema, con tribuna ad Agàpe e sulla rivista "Gioventù evangelica", parente prossima in quella fase dei "Quaderni Rossi" di Raniero Panzieri.
L’EGEMONIA PROGRESSISTA
«Sta di fatto che per cinquant’anni l’egemonia progressista sulla Chiesa valdese è stata invincibile», conclude Giorgio Bouchard, lui stesso egemone di spicco, oggi autocritico. Quando nel 1976 Tullio Vinay fu simbolicamente candidato al parlamento come indipendente nelle liste del Pci, più di 3 mila valdesi firmarono contro. Ma non furono ascoltati. Persino il Collegio di Torre Pellice, vanto della Chiesa delle valli, arrivò a un soffio dall’esser chiuso, solo colpevole d’essere un liceo privato. E per gli ospedali lo stesso: i più accesi premevano perché venissero devoluti allo Stato. Fosse dipeso dai leader progressisti valdesi, nemmeno l’8 per mille sarebbe passato. Dopo discussione accanita, fu approvato dal Sinodo del 1991 solo grazie al voto dei delegati metodisti. La delegazione valdese era spaccata a metà.
A salvare le opere diaconali furono quelli che vi operavano: medici, dirigenti, volontari. Col sostegno dei pochi leader della destra valdese: Augusto Armand Hugon, custode della memoria storica; Guido Ribet, gran difensore del Collegio di Torre Pellice e creatore d’un nuovo centro per disabili a Luserna San Giovanni. E il popolo delle valli? Tutto con loro. Con tanta passione. «Abbiamo dovuto attendere la morte di Elena Vigliano per capirlo», ammette Bouchard. "Sorella Elena" era una diaconessa di Torino, una non sposata votata all’aiuto degli emarginati. Amatissima.
LA RIVINCITA DELLE VALLI
E scava scava, i valdesi delle valli si sono riconquistata la loro Chiesa. Come Chiesa di popolo. La metamorfosi è di questi anni Novanta. Oggi chi arriva a Torre Pellice trova il Collegio in bell’ordine: è un liceo linguistico europeo, congeniale al cosmopolitismo dei valdesi e ai loro legami con l’internazionale protestante. Nell’edificio dell’ex convitto degli studenti c’è il nuovo Centro culturale, oggi curato da Donatella Sommani, con due musei, la biblioteca e, da un anno, un ufficio intitolato "Il Barba" (nome degli antichi predicatori itineranti valdesi) per le visite ai musei e ai luoghi storici delle valli. Impegna una cinquantina di guide e fa fronte a una crescita travolgente di visitatori, dall’Italia e dall’estero, scuole, gruppi e privati. Lo dirige Toti Rochat. Che spiega: «I nostri padri facevano evangelizzazione. Noi testimoniamo così la presenza culturale dei valdesi in Italia. Diciamo così il nostro protestantesimo».
Nelle valli e sulle montagne, i templi valdesi e le scuolette d’epoca sono stati restaurati con cura. Tappe d’obbligo sono il prato di Chanforan, dove nel 1532 i valdesi aderirono al protestantesimo riformato, quello di Calvino, e la vicina Guièiza ’d la Tana, la suggestiva grotta rifugio nell’età delle persecuzioni.
Le feste sono sempre più partecipate. Il 17 febbraio, compleanno delle conquistate libertà civili con i Savoia, i valdesi accendono grandi falò, cucinano la tipica zuppa barbetta e le donne indossano il costume delle valli, gonna lunga, scialle e cuffia ricamata: lo stesso che indossano le ragazze nel giorno della confermazione del loro battesimo.
A fine agosto, al sinodo valdometodista che si tiene ogni anno a Torre Pellice, accorrono folle sempre più numerose. «Attorno al sinodo c’è ormai una kermesse», dice Tourn. «E anche da lontano i valdesi tendono a rafforzare i propri legami con le valli. Lo scorso 17 febbraio, i valdesi di Roma hanno fatto festa con una grossa torta a forma di Vandalino, il monte che sovrasta Torre Pellice. Con tanto di panna sulla cima». E’ tornata di moda la croce ugonotta, contrassegno dei valdesi: in tanti la portano al collo. Al culto domenicale in pochi ci vanno: con regolarità un 10 per cento. Dice però Giorgio Bert, medico e scrittore, autore d’un romanzo ambientato nelle valli «quando la vita quotidiana era modellata sulla parola di Dio»: «Anch’io non ci vado. Ma mi considero valdese lo stesso: neanche volendo si può smettere d’esserlo».
Valdesi si nasce. Ma anche si diventa. Gianmario Gilio, giovane animatore di Radio Beckwith, la trasmittente valdese delle valli, era cattolico: «Ma tra un mese faccio la confermazione. Con loro mi trovo bene». A San Germano del Chisone, il pastore Luciano Deodato racconta: «Una cattolica fervente, sposata con un valdese tiepido, vuol far battezzare da noi il suo bambino. Le ho chiesto perché e mi ha risposto: "Perché voi valdesi siete più liberi"».
Oggi ancor più liberi e ospitali di ieri, se si guarda all’arena politica. «Tra i conduttori di Agàpe ne ho uno che vota Forza Italia», dice il direttore del centro, Daniele Bouchard. «Discutiamo. Ci scontriamo. Certo, in passato sarebbe stato impensabile. Nonostante tutto il nostro ecumenismo, ponevamo dei limiti che giudicavamo invalicabili».
LO CHOC DEL 1994
Le elezioni del 1994 sono state un duro risveglio per l’élite valdese progressista. Il candidato valdese del collegio era Lucio Malan, della Lega (oggi di Forza Italia). E vinse. Ettore Micol, altro capo leghista, è anche lui valdese. «La fine della Dc e il fenomeno Bossi hanno inciso molto sulla comunità valdese», spiega Tourn. «Il voto diventa segno di protesta, contestazione localista, rivendicazione di uno spazio umano e geografico in cui essere se stessi. E che cosa dicono alla nostra gente le battaglie ideologiche che hanno fin qui dilaniato l’élite valdese? Nulla».
In più ci si è messa anche la Chiesa cattolica a imporre il cambiamento. «La Chiesa cattolica è il papa, onnipresente e onnipossente», prosegue Tourn. «Per resistere a questa potenza di fuoco, non ci bastava più la nuda proclamazione della nostra fede protestante. La parola esige un corpo. E questo corpo sono le valli. Luoghi, gente, identità culturale, opere diaconali».
PIEDI PER TERRA
Il miracolo della Chiesa valdese di questi ultimi anni è che la sua élite ha saputo tenere il passo di questo cambiamento. I suoi cento pastori, di cui una quindicina donne, sono quasi tutti passati da Agàpe, quasi tutti geneticamente barthiani e di sinistra. Ma vivono a stretto contatto con i fedeli, nelle valli, sulla montagna, nelle città. Portano i loro giovanissimi catecumeni a imparare dal vivo: sui luoghi fisici della storia protestante valdese. Si spendono nelle opere diaconali, magari col nome all’antica, tipo Asilo dei Vecchi, ma modernissime, avveniristiche per concezione e funzionalità (esempio lampante l’Asilo di San Germano). Tutte amministrate con rigore calvinista, col controllo inesorabile della comunità, col massimo di partecipazione e calore umano. Virtù che traspaiono anche nell’utilizzo dei miliardi dell’8 per mille.
Tourn: «E’ l’ora di una teologia della corporalità». Giorgio Bouchard: «E’ tempo di rivalutare la tradizione puritana d’America». Questo i grandi intellettuali. E anche i pastori volano alto. All’ultima riunione di quelli delle valli, tenuta a San Secondo, hanno dibattuto per tutta una mattina su «La Bibbia e la teologia dell’autorità».
Poi però c’è il corpo. Il pastore Giuseppe Platone sta per far sorgere a Torino, in un ex teatro di corso Vittorio Emanuele, una nuovissima Casa valdese: «Sarà un polmone di dialogo per la città. Fuori dal ghetto. Vicina c’è la sinagoga, ci sono tre moschee, c’è la parrocchia cattolica di don Piero Gallo, di cui sono molto amico. Pastore, parroco, rabbino, imam: il futuro sarà così». Torino è la città italiana col maggior numero di firme dell’8 per mille per i valdesi.
Da "L’Espresso" del 25 maggio 2000
AL SERVIZIO DEL MONDO
In attivo i conti del Vaticano
A finanziare le attività degli uffici della Curia, che non producono ricavi, provvedono Conferenze episcopali, diocesi e istituti religiosi: le loro offerte sono aumentate nel 2006 passando da 73,9 a 86 milioni di euro
Da Roma Salvatore Mazza (Avvenire, 07.07.2007)
Si è chiuso in attivo, per il terzo anno consecutivo, il bilancio consolidato della Santa Sede. Entrate per 227 milioni 815 mila euro, e uscite per 225 milioni e 409 mila euro, con un saldo positivo di poco oltre i 2,4 milioni di euro. Una «buona notizia», dunque, come ha sottolineato ieri mattina il cardinale Sergio Sebastiani, presidente della Prefettura degli Affari economici, nella conferenza stampa convocata per presentare e "spiegare" i numeri del bilancio consolidato 2006, anticipati qualche giorno fa.
Un «risultato positivo», l’attivo conseguito, pur se «rappresenta il valore meno elevato» dopo quelli registrati nel 2005 (+9,7 milioni) e nel 2004 (+3,1 milioni). Nel bilancio sono conteggiati i costi «di tutte le Amministrazioni pontificie, oltre alle 118 Sedi di rappresentanza pontificia sparse in tutto il mondo e le nove Sedi presso gli organismi internazionali». Nel corso dell’incontro, introdotto dal direttore della Sala Stampa padre Federico Lombardi, e presenti monsignor Franco Croci, segretario della Prefettura degli Affari economici, e il ragioniere generale Paolo Trombetta, sono state passate in esame le diverse voci iscritte a bilancio. A iniziare ovviamente dalle attività istituzionali, ossia quelle svolte dai Dicasteri e gli Uffici della Curia Romana, ovvero dagli «organismi che assistono da vicino il Santo Padre nella missione di pastore universale a servizio delle Chiese locali, come anche a beneficio dell’umanità, come operatori di pace», e che «non producono ricavi - ha sottolineato Sebastiani - e per questo sono soggetti alla prescrizione canonica 1271 che invita i vescovi a venire incontro liberamente alle attività della Santa Sede».
Il canone richiamato è quello che invita Conferenze episcopali, diocesi, istituti religiosi, fedeli ed Enti ecclesiastici vari a farsi carico, a seconda delle proprie possibilità, dell’esercizio apostolico della Santa Sede. Ebbene, nel 2006 le offerte raccolte attraverso questa disposizione sono aume ntate, rispetto all’anno precedente, da 73,9 milioni di euro a 86 milioni nel 2006.
Quanto ai costi, sempre per l’attività istituzionale, l’aumento è stato di quasi 5 milioni, da 121,3 a 126,2 milioni di euro, variazione dovuta sia ai costi aggiuntivi per il personale, sia all’aumento delle spese generali e amministrative (da 13,4 a 15,3 milioni), e di quelle per il mantenimento di rappresentanze e nunziature (da 19,6 a 20,6 milioni). Riguardo all’attività finanziaria, l’incremento dei contributi ha permesso di assorbire il calo molto pronunciato dell’avanzo netto che è stato nel 2006 di 13,7 milioni contro 43,3 milioni nel 2005. Ciò, ha spiegato Sebastiani, in base al «principio della prudenza» che guida questo settore, per cui gran parte degli investimenti sono obbligazioni statali anziché azioni, che sono a maggior rischio.
Sempre nel 2006, il settore immobiliare ha registrato un netto di 32,3 milioni (22,4 nel 2005). Negativo, al contrario, il saldo delle "istituzioni collegate" - Radio Vaticana, Tipografia vaticana, Osservatore Romano, Centro televisivo vaticano e Libreria Editrice vaticana: il disavanzo è di 12,8 milioni di euro, in massima parte dovuti alla Radio (che però non ha entrate) e all’Osservatore.
Obolo di San Pietro: anno record
Grazie a donazioni eccezionali superata quota 100 milioni di euro
Da Roma Salvatore Mazza (Avvenire, 07.07.2007)
Ha largamente superato i 100 milioni di euro, nel 2006, il gettito dell’Obolo di San Pietro. Un risultato dovute alle donazioni «eccezionali» che si sono registrate nel corso dell’anno passato. E che mentre va - ovviamente - visto nel suo valore, non deve far immagine che si tratti di un risultato facilmente ripetibile.
Non poteva passare sotto silenzio il dato anticipato qualche giorno fa da una nota della Segreteria di Stato, che informava che la raccolto dell’Obolo aveva raggiunto nel 2006 la cifra di ben 101 milioni e 900 mila dollari. E infatti ieri, nel corso della conferenza stampa per la presentazione del bilancio consolidato 2006 della Santa Sede, è stato chiesto dai giornalisti un commento su questa straordinaria performance.
«È un fatto - ha risposto il direttore della Sala Stampa vaticana padre Federico Lombardi - che quest’anno ci sono state delle offerte eccezionali. Questo però è bene dirlo, perché non ci si aspetti che ogni anno ci siano. Puoi avere un anno in cui uno ti fa una grandissima offerta e questo fa salire molto l’entrata, ma se l’anno dopo quest’offerta eccezionale non c’è, tu non puoi contarci e non te ne puoi neanche stupire».
A comporre la somma che va sotto la voce dell’Obolo concorrono tutte le offerte liberali in arrivo dalle Chiese locali, dagli Istituti religiosi, dalle Fondazioni e dai singoli fedeli. La cifra non rientra dunque nel bilancio della Santa Sede, ma viene iscritta in quello del Governatorato del Città del Vaticano.
In cima alla lista dei Paesi donatori sono ancora gli Stati Uniti, e ciò «nonostante» il peso «degli scandali» che di recente hanno investito quella Chiesa locale con la vicenda dei preti pedofili, come ha rilevato il cardinale Sergio Sebastiani. Germania e Italia seguono al secondo e terzo posto.