LA VIGNETTA DEI PRECARI DISTRIBUITA ALLA MANIFESTAZIONE (la Repubblica).
LE IMMAGINI DELLA MANIFESTAZIONE (la Repubblica)
Welfare, gli organizzatori: "Siamo un milione"
Ingrao sul palco: "Sono qui per i lavoratori"
A Roma il corteo della sinistra radicale contro la precarietà e per i diritti. In piazza Giordano e Diliberto.
Il verde Bonelli raccoglie firme. "Entro l’anno la Costituente della sinistra". Sfila la moglie di Bertinotti.
Prodi: "Ho sempre ascoltato il popolo"
Sul palco, gli "invisibili" (la Repubblica)
l’appello per il 20 ottobre
Dal welfare a Vicenza, sette questioni fondamentali
* * *
Pubblichiamo l’appello «A ottobre in piazza», uscito sulla prima pagina del manifesto il 3 agosto
L’attuale governo non ancora ha dato risposte ai problemi fondamentali che abbiamo di fronte, per i quali la maggioranza degli italiani ha condannato Berlusconi votando per il centrosinistra. Serve una svolta, un’iniziativa di sinistra che rilanci la partecipazione popolare e conquisti i punti più avanzati del programma dell’Unione, per evitare che si apra un solco tra la rappresentanza politica, il governo Prodi e chi lo ha eletto.
Occorre fare della lotta alla precarietà e per una cittadinanza piena di tutte e di tutti la nostra bussola.
Noi vediamo sette grandi questioni. Quella del lavoro: cioè della sua dignità e sicurezza, con salari e pensioni più giusti cancellando davvero lo scalone di Maroni e lo sfruttamento delle forme «atipiche», e con la salvaguardia del contratto nazionale come primario patto di solidarietà tra le lavoratrici e i lavoratori. Quello sociale: cioè il riequilibrio della ricchezza e la conquista del diritto al reddito e all’abitare.
Quello dei diritti civili e della laicità dello stato: fine delle discriminazioni contro gay, lesbiche e trans, leggi sulle unioni civili, misure che intacchino il potere del patriarcato. Vogliamo anche che siano cancellate le leggi contro la libertà, come quella sul carcere per gli spinelli. Quindi, la cittadinanza: pienezza di diritti per i migranti, rapida approvazione della legge di superamento della Bossi-Fini, chiusura dei Cpt. La pace: taglio delle spese militari, non vogliamo la base a Vicenza, vogliamo vedere una via d’uscita dall’Afghanistan, vogliamo che l’Italia si opponga allo scudo stellare. L’ambiente: ha tanti risvolti, dalla pubblicizzazione dell’acqua alla definizione di nuove basi dello sviluppo, fondate sulla tutela e il rispetto per l’habitat, il territorio e le comunità locali. Per questo ipotesi quali la Tav in Val di Susa vanno affrontate con questo paradigma. La legalità democratica: lotta alla mafia e alle sue connessioni con la politica e l’economica.
Nessuna di queste richieste è irrealistica o resa impossibile da vincoli esterni alla volontà della maggioranza. Il fallimento delle politiche di guerra dell’amministrazione Bush si sta consumando anche negli Stati uniti, i vincoli di Maastricht e della banca centrale europea sono contestati da importanti paesi europei, l’andamento dei bilanci pubblici permette delle scelte sociali più coraggiose. Ma siamo consapevoli che per affrontare tutto questo occorre che la politica debba essere politica di donne e di uomini - non solo questione maschile - e torni a essere partecipazione, protagonismo, iniziativa collettiva.
Per questo proponiamo di ritrovarci a Roma il prossimo 20 ottobre per una grande manifestazione nazionale: forze politiche e sociali, movimenti, associazioni, singoli. Chiunque si riconosca nell’urgenza di partecipare, per ricostruire un protagonismo della sinistra e ridare fiducia alla parte finora più sacrificata del paese.
*** Gianfranco Bettin, Lisa Clark, Tonio Dell’Olio, Antonio Ferrentino, Luciano Gallino, Pietro Ingrao, Aurelio Mancuso, Lea Melandri, Bianca Pomeranzi, Gabriele Polo, Rossana Praitano, Rossana Rossanda, Marco Revelli, Piero Sansonetti, Pierluigi Sullo, Aldo Tortorella, Nicola Tranfaglia
IL MANIFESTO, 05.08.2007
GLI ORGANIZZATORI: SIAMO UN MILIONE. Ovazione per INGRAO
Corteo sul welfare: «Prodi ci ascolti»
La sinistra in piazza. Giordano: «Il premier vada avanti». Sfilano bandiere della Cgil e lady Bertinotti
ROMA - Ci sono quelli che non vogliono mettere in difficoltà il governo e sperano soltanto di dare uno «stimolo all’esecutivo» e quelli che invece manderebbero volentieri a casa sia Prodi che Berlusconi. Ci sono quelli che dicono no alla Tav e quelli che si oppongono ai rigassificatori. Ci sono quelli che protestano contro la legge Biagi e quelli ai quali il protocollo sul welfare non va proprio giù. Sono comunque in tanti, alla manifestazione organizzata a Roma da "Liberazione" e il "Manifesto". Un milione, a detta degli organizzatori. Cifra tonda. «Ma non è un corteo contro il governo Prodi, serve solo a rilanciarne l’iniziativa, per sbilanciare l’asse un po’ più a sinistra e rispettare il programma elettorale». Ora, dicono in coro Franco Giordano (segretario di Rifondazione) e il leader storico Pietro Ingrao (accolto da un’ovazione), «se il premier ascolterà questo popolo sarà più forte». Quando la piazza è ormai piena, arriva anche la "benedizione" di Fausto Bertinotti: il presidente della Camera, che segue la giornata attraverso radio e tv, esprime "grande soddisfazione".
BANDIERE - Intanto sfilano i manifestanti. A fianco delle bandiere cubane, quelle Arcobaleno della Pace e quelle del Manifesto, compaiono a sorpresa anche diverse insegne della Cgil. Per esempio le sigle della Funzione Pubblica di Napoli, oppure quello dello Spi (Sindacato pensionati) e della Filcams, insieme ovviamente a quelle della Fiom. Alcuni hanno portato in piazza anche gli striscioni dei No-Tav. Tra i manifestanti c’è anche Lella Bertinotti, moglie del presidente della Camera.
CONTRO IL PRECARIATO - «È una manifestazione straordinaria. Un corteo di giovani contro il precariato e voglio dire che conta più questa piazza del voto di Lamberto Dini» va giù piatto Giovanni Russo Spena, presidente dei senatori di Rifondazione comunista, in testa al corteo. «Voglio dire a Prodi - continua Russo Spena - che questa manifestazione deve essere ascoltata. Il governo si può salvare solo se ascolta questo popolo, e non contrattando con Dini».
DILIBERTO - «La manifestazione è una risposta al Partito Democratico. Sono stati sconfitti gli uccelli del malaugurio» sostiene invece il segretario del Pdci Oliverio Diliberto, arrivando alla manifestazione. «Dopo che si è pronunciata l’organizzazione del lavoro dell’Onu, dopo che si è pronunciata anche l’Unione Europea contro la legge 30 e dopo che si è speso anche il Papa, mi sembra che questa manifestazione nasca sotto i migliori auspici. Speriamo - conclude Diliberto - che qualcuno ascolti, magari almeno i moderati ascoltino le parole del Pontefice». E commentando l’uscita di Mastella sul voto a primavera spiega: «Non riesco a capire la posizione di Mastella, se non come un atteggiamento rinunciatario. Io, invece, voglio continuare a combattere».
* Corriere della Sera, 20 ottobre 2007
Welfare, sinistra in piazza
I ministri restano a casa
Oggi a Roma il corteo promosso dalla sinistra radicale sul welfare, contro la precarietà e per i diritti civili. Mezzo milione in piazza, anche la moglie di Bertinotti. Contestazione al convegno sulla legge Biagi *
15:26 Prodi: "Sto alle dichiarazioni" Il premier Prodi, a Reggio Emilia, minimizza e non è preoccupato per la manifestazione: "Mi hanno dichiarato che non è assolutamente contro il governo, quindi sto alle dichiarazioni. In poche settimane abbiamo avuto manifestazioni di tutti i tipi. E’ un modo di manifestarsi della democrazia, tutto italiano, al quale siamo abituati".
15:22 Ingrao: "Non contro Prodi ma serve un cambiamento forte" Il leader storico della sinistra Pietro Ingrao, 82 anni, è arrivato in piazza Esedra e si è messo alla testa del corteo accolto come una "star" e al grido "abbasso Rutelli, abbasso Prodi, viva Ingrao". La manifestazione, ha detto, "non è contro Prodi e nemmeno contro Veltroni. Questa massa di popolo vuole un cambiento profondo e quindi credo che quanto più si rafforzerà questo movimento tanto più Prodi potrà fare qualcosa di buono".
15:18 Giordano: "Prodi vada avanti col programma" Il segretario di Rifondazione Franco Giordano, molto soddisfatto, dice: "Prodi vada avanti, raccogliendo le richieste di questa piazza perchè sono le promesse che abbiamo fatto durante le elezioni".
15:16 Il verde Bonelli: "Condividiamo ma non aderiamo" Tra i leader politici giunti in piazza Esedra anche il capogruppo verde alla Camera Angelo Bonelli. Il partito di pecoraro Scanio non aveva aderito alla piattaforma. "Però condividiamo i punti sulla precarietà e i diritti" ha detto per spiegare la sua presenza.
15:13 Diliberto: "Sconfitti gli uccelli del malaugurio" Il segretario dei Comunisti italiani è in piazza Esedra alla testa del corteo. "E’ una grande, grandissima manifestazione. Sono stati sconfitti gli uccelli del malaugurio. Il governo adesso deve tenere di conto di questa piazza per migliorare le condizioni del welfare".
14:49 Russo Spena: "Siamo 500 mila" Il capogruppo al Senato Giovanni Russo Spena è appena arrivato in piazza e dopo aver parlato con gli organizzatori ha detto: "Siamo 500 mila".
14:47 Gli organizzatori: "Siamo tantissimi" Piazza Esedra non basta più a contenere i manifestanti. Gli organizzatori hanno quindi avuto il permesso di aprire i varchi fino all’inizio di via Cavour dove stanno posizionando la testa del corteo e lo striscione "Siamo tutti un programma". "Aspettiamo Ingrao, sarà lui ad aprire il corteo" spiegano. La partenza è prevista alle 15 e 30.
14:37 Cremaschi: "Corteo contro la politica del governo" Per il segretario della Fiom "quella di oggi è una manifestazione contro la politica confindustriale del governo". Oggi, contrinua il leader sindacale, "scende in piazza un pezzo importante della sinistra che non ne può più del governo Prodi"
14:08 In piazza anche bandiere della Cgil Alla fine le bandiere della Cgil sono in piazza con quella della sinistra radicale. Piazza Esedra, punto di partenza del corteo organizzato contro il precariato e contro il protocollo sul welfare è quasi piena e non mancano la musica e le bandiere.
12:57 Marini: "Sarà una manifestazione democratica" "Non mi sono mai scandalizzato di manifestazioni democratiche". Quella di oggi della sinistra radicale "sarà così e credo avrà dei contenuti" afferma il presidente del Senato, Franco Marini. La decisione dei ministri della sinistra radicale di non partecipare alla manifestazione sul welfare "è stata una scelta saggia perchè la loro presenza in piazza strideva un po’".
12:48 Primi arrivi alla manifestazione Comincia l’affluenza alla manifestazione ’Siamo tutti un programma’. I primi treni sono arrivati alle stazioni Ostiense e Tiburtina. L’arrivo dell’ultimo treno è previsto per le 14:30 da Trieste. A Civitavecchia la nave dalla Sardegna è attraccata puntuale, questa mattina alle sette. I pullman cominciano ad arrivare nei diversi piazzali individuati come punti di incontro.
12:47 Precari contestano il convengno Parapiglia alla manifestazione organizzata al centro convegni Capranica dal comitato a difesa della legge Biagi. Un gruppo di cinque o sei giovani di Rifondazione comunista è infatti entrato nella sala dove si svolge il convegno esibendo un lungo striscione proprio davanti al tavolo degli oratori: "Siamo troppo giovani per lavorare", era scritto sul cartello in polemica con alcune norme della legge 30. "Il protocollo non me lo accollo". Quando i giovani sono entrati nella sala del convegno, dalla platea si è levato un grido: "Andate a lavorare’.
12:10 Casini: "Governo in crisi" Il fatto che una parte del governo sfili oggi a Roma "contro se stesso" è "un gravissimo segno di crisi dal quale forse non si può tornare indietro". Lo afferma il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini
12:10 Angeletti: "Difendere Biagi e Treu" "Il pacchetto Treu e la legge Biagi vanno difese perchè hanno portato risultati positivi. E per questo non capisco quali obiettivi si possa porre la manifestazione i oggi pomeriggio". Lo ha detto il leader della Uil Luigi Angeletti
12:09 Damiano: "Manifestazione sbagliata" "Un errore, ma il governo non rischia nulla". E’ quanto dichiara il ministro del Lavoro Cesare Damiano in un’intervista al ’Mattino’ riferendosi alla manifestazione. "Secondo me è una manifestazione sbagliata - spiega - Soprattutto dopo che il sindacato aveva deciso di promuovere un grande referendum democratico fra lavoratori e pensionati."
12:08 Bertinotti: "Manifestazioni tonico per la democrazia" Le manifestazioni vanno "guardate con grande interesse e attenzione, sono un antidoto alla separazione tra politica e istituzioni". Lo ha detto il presidente della Camera Fausto Bertinotti intervistato stamattina dal Gr1 Rai sulla manifestazione di oggi sul welfare.
Sinistra in piazza. Bertinotti: meglio i giovani che i ministri
Sulla partecipazione alle manifestazioni di piazza il balletto di cifre è inevitabile, e il corteo su welfare e precarietà non sfugge alla regola. Sul sito degli organizzatori www.20ottobre.org campeggia un ottimistico dato riassuntivo: 500 pullman, 10 treni speciali, una nave (dalla Sardegna). Del resto l’azzardo di una piazza come S. Giovanni non sarebbe stato fatto se non ci fossero dietro solide basi organizzative.
Il corteo farà il percorso classico, da piazza della Repubblica (ore 14,30) a San Giovanni. (ore 17,30) dove dal palco parleranno promotori, il presidente dell’Arcigay Aurelio Mancuso. Poi musica con Enzo Avitabile e i Bottari, Tete de Bois, Ascanio Celestini, Ulderico Pesce, Andrea Rivera. Chiude Bisca/Zulu.
Almeno all’inizio ci sarà Pietro Ingrao, un padre della sinistra italiana, ci sarà il segretario generale della Fiom Gianni Rinaldini, i leader di Prc e Pdci Franco Giordano e Paolo Ferrero, ma anche i Verdi, che non hanno aderito al corteo ma porteranno un tavolino per raccogliere firme contro gli Ogm. Sinistra democratica non ha aderito, Fabio Mussi si è speso molto per convincere gli alleati della sinistra dell’Unione a cambiare disegno alla mobilitazione, ma i suoi ci saranno: Cesare Salvi ha rinunciato, ma ci saranno alcuni senatori,ma qualche parlamentare e anche gli europarlamentari di Sd.
Non ci sarà invece Paolo Ferrero. Il nodo della presenza o meno dei ministri al corteo è stato sciolto da un comunicato degli organizzatori, che avevano chiesto di lasciare spazio «agli invisibili». Lo stesso Fausto Bertinotti aveva lasciato filtrare una sua valutazione parlando di «sgrammaticatura», in caso di presenza dei ministri in piazza. E Ferrero domani commenterà il corteo dagli studi di La7.
Sulla querelle interviene anche il presidente della Camera Fausto Bertinotti. «Conta assai di più se ci sono i giovani che se c’è qualche ministro. È una questione di opportunità - sottolinea Bertinotti - Decidano i ministri cosa fare, ma la presenza o meno di ministri in piazza non mi pare l’elemento caratterizzante di una manifestazione». «Quello che decide - afferma il presidente della Camera - è l’ampiezza della partecipazione popolare e la composizione della manifestazione».
Tornando ai numeri: su Liberazione, in realtà, l’elenco degli appuntamenti locali per le partenze degli autobus non supera i duecento, ma quelli dovrebbero essere solo i concentramenti di Rifondazione; mancano certamente i 138 pullman organizzati dal Pdci, un numero indefinito organizzati dai comitati unitari sorti spontaneamente sul territorio, alcune decine di bus gestiti dai metalmeccanici (la Fiom non partecipa come organizzazione, ma i suoi dirigenti e militanti, marceranno a titolo personale dietro lo striscione "Metalmeccanici contro la precarietà", indossando migliaia di magliette "Io sono metalmeccanico e tu?"). E non mancheranno le bandiere della Cgil: Guglielmo Epifani non le vuole, Fausto Bertinotti ha scommesso che ci saranno, facile prevedere che vinca la scommessa.
Ciascun pullman porta circa 50 persone, ciascun treno circa mille, la nave dalla Sardegna fra mille e milletrecento persone. I conti sono presto fatti: treni e nave complessivamente ’valgonò fra 10 e 15mila persone, i pullman se fossero 350-400 porterebbero a Roma fra le 15 e le 20mila persone, se fossero davvero 600 si arriverebbe a 30mila, il che sommati a treni e nave darebbe una cifra oscillante fra le 30 e le 45mila persone "organizzate". A quel punto anche il meteo farà la sua parte, ma per tradizione si calcola che con una giornata di sole (stando alle previsioni su Roma non dovrebbe piovere) la cifra della mobilitazione spontanea, da fuori Roma con i terni ordinari e con le auto, più i cittadini romani, potrebbe portare i manifestanti reali agevolmente oltre i centomila. A quel punto è prevedibile che gli organizzatori "valutino" dal loro punto di vista i centomila, diffondendo una cifra fra i 250 e i 300mila. E il successo, politico e mediatico, sarebbe assicurato.
* l’Unità, Pubblicato il: 19.10.07, Modificato il: 20.10.07 alle ore 10.33
Corteo welfare, gli organizzatori
"I ministri non vengano in piazza" *
ROMA - "Per mettere al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica il merito dei problemi che noi solleviamo e non gli instabili equilibri politici, chiediamo ai ministri di non partecipare per lasciare visibilità e protagonismo alle migliaia di persone che riempiranno le strade di Roma". Lo si legge in un comunicato trasmesso dal comitato organizzatore della manifestazione. "Sabato a Roma - prosegue la nota - ci sarà una grande manifestazione di popolo contro tutte le precarietà. Una manifestazione che mette al centro il merito dei problemi sociali che restano aperti, dal lavoro ai diritti civili, dalla pace al degrado del territorio.Una manifestazione che non è un referendum sul governo, bensì un promemoria critico su molte scelte del governo che ci lasciano insoddisfatti".
* la Repubblica, 19-10-2007.
Sabato prossimo il corteo organizzato da Manifesto, Liberazione e movimenti
Tra le richieste il rispetto del programma dell’Unione sul fronte dei diritti civili e sociali
Bertinotti: "Auspico grande partecipazione
alla manifestazione del 20 ottobre"
L’appuntamento concepito il 3 agosto scorso sull’onda
dello scontento dopo la firma del protocollo del welfare *
ROMA - Bertinotti ha auspicato "una grande partecipazione" al corteo del 20 ottobre. Il presidente della Camera ha ricevuto i promotori del corteo, appartenenti all’area della sinistra radicale.
"Bisogna guardare con grande interesse a tutte le manifestazioni di partecipazione di questo momento" ha detto. "E’ interesse di tutto il Paese che ci sia una partecipazione rilevante, perché i processi di partecipazione, in genere ma oggi più che mai, sono una risorsa".
Un via libera solenne, dunque, da parte della terza carica dello Stato alla contestata manifestazione di sabato prossimo, 20 ottobre, concepita il 3 agosto scorso sull’onda dello scontento dopo la firma del protocollo del welfare e vista nella maggioranza come una manifestazione contro il governo. Gli organizzatori insistono nel dire che il loro obiettivo è il programma. I ministri e sottosegretari della sinistra radicale sono stati "invitati" a non andare.
"Siamo tutti un programma" è lo slogan della manifestazione, un modo per richiamare la maggioranza e il governo al programma dell’Unione che secondo gli organizzatori non sta rispettando il grande capitolo dei diritti civili e sociali.
Il comitato organizzatore, tra cui i due quotidiani della sinistra cosiddetta radicale Manifesto e Liberazione, aveva inviato qualche giorno fa una lettera al premier Prodi, al presidente del Senato Franco Marini, della Camera Fausto Bertinotti e al leader della Cgil Guglielmo Epifani per chiedere un incontro e spiegare la piattaforma della manifestazione.
Il primo a rispondere è stato Bertinotti che li ha ricevuti oggi per oltre un’ora ricavando uno spazio nella sua agenda fitta di impegni. "Bisogna guardare con grande interesse a tutte le manifestazioni di partecipazione di questo momento - dice Bertinotti- Questa del 20 ottobre è una nuova occasione che si presenta di partecipazione. E’ interesse di tutto il Paese che ci sia una partecipazione rilevante, perchè i processi di partecipazione, in genere ma oggi più che mai, sono una risorsa per tutto il Paese".
All’incontro erano presenti i direttori dei due quotidiani Gabriele Polo e Piero Sansonetti, Rossana Praitano presidente del circolo Mario Mieli e mente dell’organizzazione del gay-pride, Francesca Redavid una delle responsabili della Fiom, e Bianca Pomeranzi. L’incontro e il messaggio di Bertinotti arriva non casualmente all’indomani del successo di affluenza alle primarie del Pd.
"La nostra manifestazione - hanno spiegato gli organizzatori - parte dal welfare ma vuol essere soprattutto un modo per dire ai segretari della sinistra radicale che i movimenti ci sono, vogliono partecipare alle scelte politiche e temono il rischio che la sinistra possa scomparire". Insomma la manifestazione è anche un modo per sollecitare la nascita della Cosa Rossa, una formazione che sappia fronteggiare da sinistra il Pd e impedisca la polverizzazione dei partiti dell’estrema sinistra. Giovedì gli organizzatori saranno ricevuti anche dal presidente Marini.
* la Repubblica, 15 ottobre 2007.
Il 20 ottobre si va a piazza San Giovanni
I promotori a Epifani: «La manifestazione ’inopportuna’ si farà. Precarietà e diritti, il governo ha fatto poco»
d.p. (il manifesto, 13.10.2007)
Roma. La manifestazione del 20 ottobre finirà a piazza San Giovanni, la storica piazza dei lavoratori, lo storico catino della capitale dove confluisconi i cortei più grandi e più ambiziosi. E, prima del concerto, dal palco non verrà recitata la liturgia del comizio di chiusura ma l’intervento di una delle 914 dipendenti di Vodafone recentemente «esternalizzate» (brutto termine per indicare l’anticamera di un licenziamento in senso proprio). Ieri gli organizzatori del corteo, i direttori di Liberazione, Carta e manifesto hanno tenuto una nuova conferenza stampa per annunciare la scelta della piazza finale (la partenza è piazza della Repubblica). Ma ancora di più per dare la parola ad alcuni di quei movimenti che hanno deciso di essere in piazza quel giorno.
Le prime battute, però, sono per Guglielmo Epifani, il leader sindacale che dalle pagine della Stampa ieri bollava come «inopportuna» la manifestazione del 20. Gli faceva eco il neosocialista Gavino Angius, che chiedeva per l’ennesima volta la cancellazione dell’appuntamento, visti i risultati della consultazione sindacale. «Il nostro rispetto per il voto dei lavoratori è assoluto», risponde Gabriele Polo. «Crediamo però che rimangano ben evidenti le questioni che il protocollo non riesce ad affrontare e il disagio dei tanti che hanno votato no. E ci permettiamo di credere anche de tantissimi che hanno votato sì». Ma ci sarà occasione di spiegarsi, con Epifani. Forse: i tre direttori hanno chiesto a lui - e a Fausto Bertinotti, a Franco Marini e a Romano Prodi - un incontro-confronto sulle ragioni del corteo. Che sarà un corteo di proposta, spiegano ancora gli organizzatori. Rappresentando però anche la protesta di «tante e tanti che dal precariato ai diritti civili credono che il governo abbia fatto ancora troppo poco». Due le obiezioni da cui sgomberare il campo: la prima è di chi dice che quello del 20 è un corteo dei partiti en travesti (Prc e Pdci, gli unici che aderiscono peraltro, i verdi parteciperanno con iniziative tematiche, Sd è divisa tra chi sfilerà e chi no). La seconda è che la manifestazione sia un esercizio «identitario». «Portiamo più differenze in piazza di quante ne avremmo mai sperate», dice Piero Sansonetti, «Generazionali, di genere, politiche, locali. Anzi il problema sarà l’opposto, di farle stare assieme». Poi prendono la parola quelli che, materialmente, porteranno in piazza le loro ragioni e che avete letto e leggerete in questi giorni sul manifesto. Un delegato della Rsu Vodafone, una delegata della Fiom della Rsu Almaviva, una studente dell’Uds, Mimmo Dieli, vigile urbano di Roma. Poi Giulio Marcon, della campgna Sbilanciamoci!, che presenterà il 17 ottobre la sua «controfinanziaria», Fabio Alberti dell’associazione Un ponte per, la femminista Bianca Pomeranzi, Aurelio Mancuso, presidente di Arcigay, Bartolo Mancuso di Action. E infine Antonio Ferrentino, presidente della Comunità Bassa Val di Susa e sindaco di Sant’Antonino.
Venti ottobre
di Rossana Rossanda (il manifesto, 08.09.2007)
La manifestazione e il corteo che assieme a Liberazione questo giornale ha lanciato per il 20 ottobre sono stati bersaglio di una certa campagna stampa, avallata anche da alcuni politici che rischia di farci apparire il paese più instupidito d’Europa. Un corteo pacifico e, ci auguriamo, di massa che esprime bisogni e sensibilità molto reali sarebbe il cavallo di Troia per far cadere il governo Prodi? Sostenere questo governo, farlo inciampare o cadere è potere esclusivo delle forze politiche in Parlamento, del patto che le ha messe assieme e, o almeno così dovrebbe essere, del rispetto che farebbero bene a nutrire l’una per l’altra. Non è nella nostra possibilità né nei nostri intenti farlo, non siamo né vogliamo diventare un’istituzione né un gruppo di istituzioni.
Ma il governo dovrebbe ringraziarci per offrirgli l’occasione di saggiare consensi e inquietudini di una parte consistente della società civile che lo ha votato. E che è altra cosa dei gruppi parlamentari e dei partiti, tutti peraltro fattisi tanto leggeri da pardere ogni radicamento sociale diffuso, che fungeva da sensorio e raccoglitore di idee e competenze non meno che da cinghia di trasmissione «di un’ideologia».
L’asfissia dei partiti e il bipolarismo nel quale si vorrebbe costringere una società sempre più complessa stanno facendo dell’Italia l’ultima e mesta spiaggia di una democrazia rappresentativa riacquistata con il sangue, e aprono il varco per assai dubbie avventure populiste. A Giuliano Amato, che teme il formarsi di una destra infastidita dai lavavetri, suggeriamo di riflettere se il pericolo non sia altrove: a forza di scostare dalla sfera politica tutta quella parte di società che fa problema, essa le si rovescerà addosso.
Questo pericolo noi lo sentiamo duplice. Da un lato si indebolisce per mancata partecipazione ogni idea di risanamento democratico di un paese che ne ha più che mai bisogno; la seconda repubblica non è migliore della prima. Dall’altro si induce uno scontento che, sommato a certi spiriti animali che la destra ha coltivato (egoismi corporativi, interesse solo per il proprio giardino, disprezzo della solidarietà, fastidio per l’uguaglianza dei diritti) può portare a forme inarticolate di rifiuto più prossime alla rivolta che a una vera trasformazione sociale.
Tutti gli elementi per un’involuzione del genere esistono. La sfera politica è frastornata dalla povertà di idee ed è incapace di decidere non altro che quel che le è imposto per forza maggiore da vincoli internazionali auspicati in tutt’altre prospettive da quelle attuali. In presenza di una crescita che non riparte, di una crisi mondiale del sistema dei mutui e dei fondi sul quale anche il centrosinistra avevano puntato come sulla manna, mentre i salari italiani hanno cessato da un pezzo persino di star dietro all’inflazione e sono fra i più bassi in Europa occidentale, il potere d’acquisto è di conseguenza sempre più ridotto, quei vincoli sono percepiti come una strozzatura. Con ragione.
1 E’ stata grave la timidezza della maggioranza sul tema scottante delle pensioni, per i più vergognosamente basse e per pochi vergognosamente inuguali, come l’incapacità di chiudere con un precariato sempre più vasto, giovanile e no. E’ fuori dal mondo predicare ogni cinque minuti a chi poco ha e nulla può che l’obiettivo principale di un governo che si vuol democratico e di sinistra è il risanamento dei conti pubblici nel quadro della Bce. Questo può essere un obiettivo per un banchiere come Padoa Schioppa, ma non può essere un obiettivo di società. E’ un vincolo cui essa è tenuta e sarebbe stolido sottovalutare. Ma l’obiettivo è un altro: produrre di più e redistribuire meglio, non come un’elemosina ai più poveri ma come un principio di autentica equità, riducendo le diseguaglianze, recuperando la laicità dello stato sui problemi di etica pubblica e personale, smettendo di stare alle falde di un demente che non gode più credito nel suo stesso paese come George W. Bush.
Sono fini civili che premono non solo per le fasce sociali più in sofferenza ma per chiunque si definisca sul serio un democratico. A costoro abbiamo proposto di esprimersi, e non solo mugugnare, e non solo col voto segreto fra tre anni. Che i membri del governo partecipino o no a questa assemblea di popolo è affar loro, non nostro. Se ci verranno, bene, se non verranno, dovranno ascoltare. Per noi fa lo stesso. E si smetta di ricamare su sottintesi e ricatti - questi non ci interessano affatto. Fra l’altro, non sono nella nostra panoplia di possibilità, cosa, fra le non molte, che ci rallegra assai. E forse ci è invidiata.
Note antipatiche
di Rossana Rossanda (il manifesto, 12.10.2007)
Smettiamola, noi sinistre manifesto incluso, di essere sorpresi e amareggiati per le misure prese dal governo di centrosinistra. Un conto è cercare di modificare le scelte, che è un obbligo che abbiamo nei cofronti della nostra base o dei nostri lettori, un altro è cadere dalle nuvole come se fosse stato possibile pensare che sarebbe andata molto diversarmente. Abbiamo votato l’Unione e la coalizione relativa per impedire una riedizione del governo Berlusconi, e ci siamo riusciti appena di misura alleandoci con larghi settori e partiti democratici, che non ne sopportavano i traffici e il disprezzo della Costituzione, ma che perlopiù avevano lasciato alle spalle, come i Ds, o non avevano mai avuto, come la Margherita, un impegno sociale. Ancora meno condiviso era, nella coalizione, il giudizio sulle questioni di natura civile ed etica, prima di tutto sulle relazioni sessuali (tema in gran parte superato nel resto dell’Unione europea) e sulla posizione da tenere sui rapporti stato-chiesa, che resta irrisolta, anzi per dirla esattamente, è fortemente arretrata rispetto a mezzo secolo fa soltanto in Italia e in Polonia. Su un solo punto il governo di centrosinsitra è andato a una vera mediazione con il suo elettorato più radicale, ed è stato sul tema della politica estera, mantenendo l’impegno sul ritiro dall’Iraq, assumendo qualche iniziativa coraggiosa anche se finora di scarso esito sul Medioriente e rifiutando le smanie di punire l’Iran che, oltre agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna, hanno conquistato in questi giorni anche la Francia di Sarkozy.
Sapevamo dunque di essere una minoranza sul fronte del lavoro e su quello di un’etica laica. La possibilità di inflettere verso il nostro versante le linee del governo Prodi stavano, tutte e soltanto, nella nostra capacità di rimettere al centro dell’attenzione, anche attraverso una pressione sociale, i diritti di chi lavora - in parole povere assumere come priorità salari e pensioni, ridurre il precariato, riprendere saldamente quel principio elementare del pensiero politico europeo che afferma la non riducibilità delle norme di uno stato a quelle praticate dalle religioni o dalle chiese in questo o quel paese.
Sul primo punto, cui mi limito oggi, non solo non si è fatto un passo avanti, ma l’andamento delle consultazioni indette dai sindacati dimostra che sia i pensionati sia i lavoratori dipendenti sono ormai determinati dalla paura di perdere anche il poco che hanno. Vale per ogni categoria che sia venuta via via rinunciando al conflitto, come dimostrano al contrario le aziende dove ha prevalso il no, compresi alcuni call center, mentre c’è stata una quasi unanimità di sì in fabbiche o aziende minori dove nessuna lotta è stata fatta. Non conosco al momento in cui scrivo i dati del pubblico impiego e neppure quelli della scuola, dove i compensi sono i più derisori.
È una constatazione grave e niente affatto, come troppi usano dire, «economicista». Dimostra che è stata minata una coscienza basilare di quei principi che nel 1948 avevano fatto della nostra una delle costituzioni più avanzate. In questa caduta della soggettività, resterà storica la responsabilità dei democratici di sinistra, la loro rinuncia, per non dire ecclesiasticamente abiura, a una qualsiasi idea di società che non corrisponda alle leggi di una mondializzazione governata dal capitalismo più selvaggio. Ogni nuova esternazione di Walter Veltroni lo conferma fin con candore.
Ma le sinistre che si dicono radicali, noi stessi, stiamo dandoci abbastanza da fare per risalire la china? Non mi pare. E’ importante la manifestazione indetta per il 20 ottobre - rendere visibile la protesta di chi non si contenta di emettere gemiti o insulti. Almeno, di non indulgervi troppo, perché anche fra noi c’è chi dà fiato ai precordi degli umiliati e offesi, o si stringe nelle spalle, o si limita a ricordare che una protesta a furor di popolo si fonda sempre sulla mancanza di una politica forte. A me né gemiti né insulti vanno bene non per moralismo ma per senso della realtà. Anni di storia e il presente dimostrano come la denuncia o la protesta non accompagnata da una proposta portino acqua soltanto alla destra. Bisogna essere ciechi per non vederla avanzare. E sarebbe miserabile ripetere quanto siano cattivi o traditori coloro che ci governano, e, sottointeso, quanto sciocchi coloro che hanno votato già due volte Berlusconi e lo rivoterebbero se si votasse domani. Sono sciocchi i sì al referendum delle tre confederazioni sindacali, che ha visto una crescente quantità di pensionati dichiararsi d’accordo che la metà della loro propria categoria sia costretta a vivere al di sotto del livello di povertà? Sciocchi i lavoratori aderenti ai sindacati, che hanno votato a larga maggioranza di restare in condizioni salariali e normative inferiori a quelle degli altri paesi occidentali del nostro calibro e senza avere il coraggio di seguire i metalmeccanici, magari pensando che sono una specie in via d’estinzione? Non sono degli sciocchi. Bisogna cominciare a capire come la mancanza di coraggio, la poca voglia di organizzarsi, il silenzio davanti a una cabina elettorale o a un referendum, di chi teme che votando no per lui vada a finire ancora peggio, sono prove di una grande sofferenza - forse della maggior sofferenza. Penso ai ragazzi, sempre più spesso non soltanto ragazzi, dei call center, che hanno votato sì a un protocollo che li condanna a restare quel che sono, cioè in un’assoluta mancanza di prospettive e attaccati a un lavoro che - passando dal materiale all’immateriale - è identico, passando dalla fatica fisica a quella fisico-mentale, a quello di coloro che nel 1800 lastricavano le strade e furono i primi a sindacarsi.
Ma che cosa gli proponiamo noi sinistra alternativa? Non credo che sia lo «spacco tutto per dimostrare che esisto». E’ una reazione comprensibile per chi non ha un salario da perdere, o perché troppo giovane o perché professore in qualche università. La rivolta delle banlieues di Parigi lo scorso anno questo è stata, a dimostrazione di un malessere esistenziale furibondo che non ha però spostato di un metro i rapporti di forza perché non era in grado di collegare attorno a sé nessuna altra parte sociale. Il sovversivismo di immagine, sul quale contano molti nostri compagni e amici, indica solo che c’è una crepa nel consenso ma non in quale direzione vada e è per natura transitorio. Qualche riflessione sull’egemonia, cioè sulla capacità di far blocco e di contare, invece che contentarsi della propria coscienza, andrebbe fatta.
La verità è che negli attuali rapporti di forza, e non solo istituzionali, la strada di una proposta in grado di persuadere e diventare una leva reale, è stretta. Penso alla nostra rispettata ma scarsa presenza sul mercato, già esile, della stampa. Leggo sul manifesto e su Liberazione i resoconti del convegno fatto assieme alle sigle politiche della sinistra radicale e ai nostri compagni e amici di Rive Gauche (nome che suggerirei caldamente di cambiare perché la rive gauche è ormai turismo e speculazioni immobiliari). Vorrei sbagliare, ma ho visto da un lato la vastità di pensiero e di documenti degli economisti, dall’altro la povertà della tavola rotonda dei leader, che non solo non avevano trovato il tempo di ascoltarli, ma non sono riusciti a disincastrarsi dalla tagliola «stare al governo o uscirne». Non doveva venir fuori da questa giornata di incontri una proposta di programma? Anche i migliori degli economisti, se posso avanzare più che una critica un bisogno, stentano a dare un’indicazione accessibile su quel che una minoranza, al parlamento e fuori, potrebbe fare e in quali tempi. Come osservava Isidoro Mortellaro, un programma che non definisce tappe, modi, luoghi e tempi non è un programma: resta un punto di vista.
Eppure l’obiettivo di oggi, primi di ottobre del 2007, sembra evidente: contro il pacchetto del governo su welfare e precariato occorre strutturare una proposta concretamente praticabile e conquistarvi un consenso, o almeno farne una casamatta (come una volta diceva Ingrao) nella società e in parlamento. Nella società i tempi sono lunghi e è certo che si sarebbe dovuto cominciare almeno da un anno, perché si sapeva che si sarebbe arrivati al dunque su pensioni e welfare (e qui il nostro giornale dovrebbe verificare la sua capacità e tempestività di comunicazione). In parlamento invece i tempi sono stretti e le condizioni politiche non sono certo migliorate dal momento della presentazione del pacchetto. Ora, in sede parlamentare, un’iniziativa consiste non solo in una discussione forte, ma in una legge o più leggi, in una mozione o più mozioni, da sottoporre al voto. Leggi e mozioni che vanno misurate sull’oggi, cioè su un anno di crescita lenta, permanentemente corretta al ribasso e sull’impossibilità di quasi tutti i principali paesi dell’Unione europea a stare al rapporto comandato tra Pil e debito.
Stupisce che i leader dei gruppi parlamentari non abbiano fornito al convegno la loro analisi, la loro previsione e i documenti che devono averla compiuta. In tema di vincoli internazionali, fra il piegare la testa al diktat della Commissione e fare come se non ci fosse, c’è una zona di manovra. Se la sinistra europea fosse realmente operativa, questa analisi l’avrebbe già fatta e avrebbe non solo già stabilito un accordo fra le minoranze in parlamento europeo ma verificato quanto le maggioranze che sfondano il parametro debito/Pil possano essere interessate a una qualche sia pur transitoria convergenza. E’ su questo collegamento che si misura infatti in concreto la possibilità di fare da uno studio una politica. Ma il vincolo della spesa pubblica non è tutto e per certi aspetti non è neppure quello decisivo. Non lo è per quanto riguarda le pensioni, se è vero come è vero e controllabile sui numeri che quest’anno per le pensioni vere e proprie il fabbisogno è interamente coperto dai contributi dei lavoratori e per quanto riguardano i prossimi decenni, si impone quantomeno una moratoria perché le previsioni fatte poco più di dieci anni fa si sono già dimostrate errate.
Quanto alle politiche sul lavoro, che è impossibile separare da quelle economiche e sono lasciate fin troppo ai singoli stati, esse dipendono esclusivamente da compatibilità politiche interne e sono quindi per quattro quinti ideologiche. O il governo di centrosinistra le lascia interamente al conflitto con le parti sociali o, se si mette a legiferare, non può più affidare la crescita a un sistema di imprese verificatosi incapace, irrorandolo di soldi senza alcuna contropartita e tirare la cinghia sui ceti subalterni, migliorando non solo la caduta verticale dei redditi da salario nella formazione della ricchezza nazionale, ma il fatto che esistono in Italia una quantità indecente di famiglie «povere» nel senso che dovrebbero vivere al di sotto del minimo vitale. Sono due punti sui quali si misura la sua affidabilità intellettuale e morale. Tantopiù se non si chiede al parlamento e al paese la ragione di ambedue le scelte. Inutile lamentarsi poi se la gente non capisce o profetare che domani capirà. Perché, come già mi è capitato di scrivere, non si tratta di un «vuoto» del fare politicoi bensì del «pieno» di una strategia liberista, che si dimostra devastante per tutta l’Europa.
D’altra parte, se su salario e pensioni la scelta del governo poggia anche su una debolezza suicida della Cgil, un ridimensionamento del precariato passa da un’elaborazione non semplice. L’attuale dispositivo del ministro Cesare Damiano è una presa in giro, rimandando il trienno di precariato a altri trienni di precariati di altre imprese. Ma che cosa suggeriscono gli economisti e i sociologi sulla possibilità di mettervi un limite secco, senza far ricadere questa forza di lavoro nel nero? Il dispositivo economico e politico da mettere in campo davvero non è facile. Ma anche qui, tra abolire la Legge 30 e il niente del pacchetto governativo, si potrebbero mettere in campo tappe, modi, tempi e controlli che potrebbero essere stabiliti in un intreccio per una volta non vizioso tra pubblico e privato.
Saremmo dovuti arrivare a farlo perfino noi, per quanto siamo un povero giornale, se lavorassimo come ormai imporrebbero i tempi e i rapporti effettivi di forza. Salvo ridursi a essere un recinto di protesta, un luogo puramente simbolico e contenti di esserlo.
Il ministro degli esteri: "Chi governa non fa i cortei contro il governo ma governa"
Per il leader della Quercia non ci saranno elezioni anticipate: "Solo propaganda"
Ministri in piazza, D’Alema
"Contraddizione insostenibile"
Mastella: "Anche se sfilano segretari di partito si apre un problema politico"
La Bindi: "Evitare ultimatum pretestuosi e fare ogni sforzo per tenere unita la coalizione"
TELESE TERME - I ministri non possono scendere in piazza e se lo fanno mettono in scena una incompatibilità insanabile. Il ministro degli Esteri Massimo D’Alema interviene, alla festa dell’Udeur a Telese Terme, sulla polemica in merito alla partecipazione di esponenti dell’esecutivo alla manifestazione del 20 ottobre contro il protocollo del Welfare promossa dalla sinistra radicale: "Se i ministri manifestano contro il governo questo pone dei problemi al governo. E’ una contraddizione insostenibile". E il ministro della Giustizia Clemente Mastella, sposando la tesi del leghista Calderoli, insiste: "Sarebbe un problema politico anche se i segretari di partiti della maggioranza andassero in piazza".
In particolare D’Alema sottolinea l’incoerenza di un eventuale simile gesto. "Il cittadino che va alla manifestazione chiederebbe a quel punto al ministro che è in piazza con lui: ’Allora ora perché non ti dimetti?’. E’ la loro posizione, della sinistra estrema, che diverrebbe contraddittoria e insostenibile".
La presenza dei ministri in un contesto di protesta, per D’Alema, "sarebbe un segno di debolezza e non di forza. Chi governa non fa i cortei contro il governo ma governa". Quanto alla possibilità di crisi di governo paventata ieri da Mastella, D’Alema ha precisato di non usare "l’espressione ’crisi di governo’ anche per ragioni scaramantiche".
"Elezioni anticipate? Propaganda". Il titolare della Farnesina scansa poi con decisione l’ipotesi di elezioni anticipate. "Non ci sarà nessuna elezione in primavera - ha precisato D’Alema - Ho l’impressione che gli annunci di Berlusconi siano come quelli delle sette religiose che fanno annunci che non si avverano mai. Insomma, è solo propaganda". Per il resto, il ministro precisa invece che "che la legislatura si va stabilizzando".
Mastella insiste. Se anche dunque fossero soltanto i segretari di partito a scendere in piazza "resta il problema politico, cioè l’idea di un partito di lotta e di governo. I partiti attuali possono scegliere la forma di governo, ma quando si è al governo si è al governo: si va in campo assieme per governare. Che i segretari di partito - continua Mastella - invochino la forca politica rispetto a noi o ai loro ministri è ancora peggio. Mi pare una sorta di ipocrisia spaventosa". Il leader dell’Udeur sostiene di comprendere le ragioni per cui i segretari dei partiti della sinistra radicale tentano di eliminare la distanza rispetto ai movimenti, ma - aggiunge - "i movimenti sono minoritari nella vita politica di un Paese. Seguirli non mi pare una cosa politicamente apprezzabile. Il governo della comunità è molto più importante rispetto a elementi minoritari, e a volte anche anarcoidi che esistono in alcune manifestazioni della sinistra cosiddetta antagonista".
Bindi: "Essere uniti ed evitare ultimatum". Per il ministro della Famiglia Rosy Bindi è meglio non utilizzare aut-aut pretestuosi e fare ogni sforzo per tenere unita la coalizione. facendo riferimento alle dichiarazioni di Mastella, Bindi ha detto: "Io penso che questa volta abbia ragione il ministro Ferrero a dire che il pulpito da cui viene la predica non è proprio il più adeguato. Però mi piacciono gli inviti e non le minacce e gli ultimatum, come quello che ho sentito ieri, perchè mi sembrano pretestuosi". Bindi ha quindi invitato i ministri delle sinistra radicale a "non andare in piazza" e a "tenere un comportamento di coalizione e di lealtà. Qui i temi sono due: non solo i ministri che vanno in piazza ma anche quanta voglia c’è in giro di fare del male al governo".
* la Repubblica, 1 settembre 2007.
commento
20 ottobre.
Mettiamo in piazza anche la cultura
di Sandro Medici (il manifesto, 09.08.2007)
Il 20 ottobre tutti in piazza per salvare il salvabile. Ottima iniziativa, un ringraziamento a chi l’ha proposta: speriamo serva a imprimere quella svolta nelle politiche sociali e economiche che ridia un respiro di sinistra al governo Prodi. Anche perché, diversamente, quel respiro potrebbe rischiare di essere l’ultimo. Una manifestazione per chiedere tutele sul lavoro, garanzie per le pensioni, estensione dei diritti sociali.
Ma per quanto decisive, è il caso di autolimitarci alle sole rivendicazioni economiche? O non varrebbe la pena di strattonare questo governo anche per altre vistose manchevolezze? Se permettete, a queste, ne vorrei suggerire almeno una, tuttavia strategica: la cultura. Troverei utile che nella piattaforma del 20 ottobre ci fosse un accenno critico alle politiche culturali del governo e che si esprimesse un’alterità di sinistra a come vengono gestite.
Non fosse altro perché, nonostante scorrano i secoli, la contraddizione tra struttura e sovrastruttura sembra non essere superata, e consegnare il primato alla prima continua a deprimere sciaguratamente la seconda. Per dirla schietta, penso che affrontare anche la questione culturale non soltanto serva a scuotere l’immobilismo governativo, ma anche a scrollarci di dosso subalternità e minoritarismi. E a permettere un dialogo con strati sociali, in particolare giovanili, che difficilmente intercettiamo, compresi come siamo nel nostro sacro ruolo di custodi dell’ortodossia economicista.
Allora, se siamo d’accordo, comincerei a chiedere il conto sull’immutabile politica degli investimenti verso le istituzioni culturali. Cinema, teatro, musica, danza: sempre gli stessi, salvo qualche piccolo spostamento, ricevono finanziamenti pubblici. Mai un euro viene riversato su chi progetta il contemporaneo, su chi sperimenta forme e contenuti inediti, su chi ancora desidera esplorare nuovi orizzonti artistici e espressivi. Non c’è nulla per incentivare la produzione indipendente, le mille esperienze che animano le nostre città, le nostre periferie: e chissà quante intelligenze si disperdono e si schiantano nella vana attesa di qualcuno che le aiuti. Si lasciano al mercato, un mercato arcigno e conformista che detesta l’innovazione perché scarsamente redditiva.
E invece, così come dovrebbe essere per l’istruzione, la formazione e la ricerca, resta compito dello stato favorire e valorizzare le realtà culturali diffuse ma disperate. In altri paesi lo fanno e i risultati si vedono; da noi si preferisce foraggiare l’accademia e coccolare le dinastie. Rinunciando alle nuove creatività affidandosi al solo patrimonio storico, che intanto si estingue.
Ci sarebbe molto altro su cui ragionare, dai musei all’archeologia dalla tv alla editoria, ma mi accontenterei se di cultura si accennasse almeno: prima, durante e dopo il 20 ottobre. Sarebbe un’apertura di discorso che farebbe bene intanto a noi stessi, che in questa palude sepolcrale di enti e istituzioni, festival e rassegne, mostre ecc. siamo (quota parte) saldamente presenti, ormai indifferenti a quanto vanamente, si agita intorno e oltre i palcoscenici convenzionati.