GIUSTIZIA - SI ALZANO I TONI DELLO SCONTRO
D’Alema: Berlusconi rinunci al Lodo *
L’ex ministro degli Esteri in pressing
«Affronti il giudizio, è un consiglio»
ROMA. Il Lodo Alfano è una «leggina» volta «a bloccare in modo sbrigativo e rozzo il processo per corruzione in cui è coinvolto il presidente del Consiglio e forse ad evitare che un’altra indagine per corruzione si concluda con un processo». Massimo D’Alema non usa mezzi termini, intervenendo in Aula alla Camera sul complesso degli emendamenti al ddl sulla sospensione dei processi nei confronti delle alte cariche dello stato e rivolge un «consiglio amichevole» a Silvio Berlusconi: «Rinunci a questa leggina ed affronti il giudizio per accuse che ha sempre respinto. Lo faccia a testa alta e lasci che il Parlamento affronti con strumenti idonei, nel clima di confronto auspicato anche da noi e che è stato compromesso da scelte frettolose ed arbitrarie che hanno creato imbarazzo in quella parte della maggioranza che guardava a questa legislatura come un’occasione nuova che finalmente avrebbe messo mano alle riforme».
D’Alema fa sapere di avere «apprezzato la rinuncia che - osserva - spero sia seria alla blocca-processi» ma sul Lodo Alfano il suo giudizio è impietoso: «Esprimo - afferma - solidarietà verso le altre cariche dello stato che non c’entrano nulla ma sono state coinvolte solo per fare compagnia all’unico interessato e a dare la sensazione di una norma più generale».
«Si tratta di una soluzione confusa - incalza D’Alema - pasticciata. Questa leggina rappresenta anche un errore politico perché è volta così palesemente a tutelare l’interesse di Berlusconi. Mi chiedo però se davvero faccia il suo interesse. In questo modo si è esposto al dibattito umiliante di questi giorni di un Premier che cambia i calendari delle Camere, violenta la sua maggioranza e che alla fine ottiene al massimo il beneficio di una sospensione che lo porrebbe nella condizione di capo governo in attesa di processo per corruzione, condizione gravemente dannosa per l’immagine del nostro paese».
«Non so se sia conveniente per Berlusconi - sottolinea l’ex Premier Pd - gli do un consiglio amichevole, quello di rinunciare ed affrontare il giudizio per le accuse che ha sempre respinto». Secondo D’Alema «oggi si vive quel senso doloroso del ritorno alla palude, al passato, al sempre uguale vissuto anche dalla maggioranza con senso di umiliazione e preoccupazione».
Dall’ex ministro degli Esteri, poi, arriva una bocciatura per la piazza No Cav. «Io non sono contrario alle manifestazioni di piazza, ma quello che le distingue le une dalle altre è quanto in quelle manifestazioni si dice. Mi preoccupa la virulenza, la volgarità, la sensazione di uno scontro che non ha regole, che eccita le minoranze ma allontana la grande maggioranza dei cittadini dalla vita pubblica».
* La Stampa, 10/7/2008 (11:5)
Sul tema, nel sito, si cfr.:
Io difendo quel palco
di Marco Travaglio *
Caro Direttore,
quando tutta la stampa (Unità compresa), tutte le tv e persino alcuni protagonisti dicono la stessa cosa, e cioè che l’altroieri in Piazza Navona due comici (Beppe Grillo e Sabina Guzzanti) e un giornalista (il sottoscritto) avrebbero “insultato” e addirittura “vilipeso” il capo dello Stato italiano e quello vaticano, la prima reazione è inevitabile: mi sono perso qualcosa? Mi sono distratto e non ho sentito alcune cose - le più gravi - dette da Beppe, da Sabina e da me stesso? Poi ho controllato direttamente sui video, tutti disponibili su You Tube e sui siti di vari giornali, ma non vi ho ritrovato ciò che è stato scritto e detto da tv e giornali.
Nessuno ha insultato né vilipeso Giorgio Napolitano né Benedetto XVI. Nessuno ha “rovinato una bella piazza”. È stata, come tu hai potuto constatare de visu, una manifestazione di grande successo, sia per la folla, sia per la qualità degli interventi (escluso ovviamente il mio). Per la prima volta si sono fuse in una cinque piazze che finora si erano soltanto sfiorate: quella di Di Pietro, quella di molti elettori del Pd, quella della sinistra cosiddetta radicale, quella dei girotondi e quella dei grillini, non sempre sovrapponibili. E un minimo di rigetto era da mettere in conto. Ma è stata una bella piazza plurale, sia sotto che sopra il palco: idee, linguaggi, culture, sensibilità, mestieri diversi, uniti da un solo obiettivo. Cacciare il Caimano.
Le prese di distanze e i distinguo interni, per non parlare delle polemiche esterne, sono un prodotto autoreferenziale del Palazzo (chi fa politica deve tener conto degli alleati, delle opportunità, degli elettori, di cui per fortuna gli artisti e i giornalisti, essendo “impolitici”, possono tranquillamente infischiarsi). La gente invece ha applaudito Grillo e Sabina come Colombo (anche quando ha chiesto consensi per Napolitano), Di Pietro, Flores e gli altri oratori, ma anche i politici delle più varie provenienze venuti a manifestare silenziosamente. Applausi contraddittorii, visto che gli applauditi dicevano cose diverse? Non credo proprio. Era chiaro a tutti che il bersaglio era il regime berlusconiano con le sue leggi canaglia, compresi ovviamente quanti non gli si oppongono.
Come mai allora questa percezione non è emersa, nemmeno nei commenti delle persone più vicine, come per esempio te e Furio? Io temo che viviamo tutti nel Truman Show inaugurato 15 anni fa da Al Tappone, che ci ha imposto paletti (anche mentali) sempre più assurdi e ci ha costretti, senza nemmeno rendercene conto, a rinunciare ogni giorno a un pezzettino della nostra libertà. Per cui oggi troviamo eccessivo, o addirittura intollerabile, ciò che qualche anno fa era normale e lo è tuttora nel resto del mondo libero (dove tra l’altro, a parte lo Zimbabwe, non c’è nulla di simile al governo Al Tappone). In Italia l’elenco delle cose che non si possono dire si allunga di giorno in giorno. Negli Stati Uniti, qualche anno fa, uscì senz’alcuno scandalo un libro di Michael Moore dal titolo «Stupid White Man» (pubblicato in Italia da Mondadori...), tutto dedicato alle non eccelse qualità intellettive del presidente Bush. Da dieci anni l’ex presidente Clinton non riesce a uscire da quella che è stata chiamata la «sala orale». In Francia, la tv pubblica ha trasmesso un programma satirico in cui un attore, parodiando il film «Pulp Fiction» in «Peuple fiction», irrompe nello studio del presidente Chirac, lo processa sommariamente per le sue innumerevoli menzogne, e poi lo fredda col mitra. A nessuno è mai venuto in mente di parlare di «antibushismo», di «anticlintonismo», di «antichirachismo», di «insulti alla Casa Bianca» o di «vilipendio all’Eliseo».
Tanto più alta è la poltrona su cui siede il politico, tanto più ampio è il diritto di critica e di satira e anche di attacco personale. Quelli che son risuonati l’altroieri in piazza Navona non erano «insulti». Erano critiche. Grillo, insolitamente moderato e perfino affettuoso, ha detto che «a Napolitano gli voglio bene, ma sonnecchia come Morfeo e firma tutto», compreso il via libera al lodo Alfano che crea una «banda dei quattro» con licenza di delinquere. Ha sostenuto che Pertini, Scalfaro e Ciampi non l’avrebbero mai firmato (sui primi due ha ragione: non su Ciampi, che firmò il lodo Schifani). E ha ricordato che l’altro giorno, mentre Napoli boccheggia sotto la monnezza, il presidente era a Capri a festeggiare il compleanno con la signora Mastella, reduce dagli arresti domiciliari, e Bassolino, rinviato a giudizio per truffa alla Regione che egli stesso presiede. Tutti dati di fatto che possono essere variamente commentati: non insulti o vilipendi. Io, in tre parole tre, ho descritto la vergognosa legge Berlusconi che istituisce un’«aggravante razziale» e dunque incostituzionale, punendo per lo stesso reato - gli immigrati irregolari più severamente degli italiani, e mi sono rammaricato del fatto che il Quirinale l’abbia firmata promulgando il decreto sicurezza. Nessun insulto: critica. Veltroni sostiene che io avrei «insultato» anche lui, e che «non è la prima volta».
Lo invito a rivedersi il mio intervento: nessun insulto, un paio di citazioni appena; per il resto la cronistoria puntuale dell’ennesima resurrezione di Al Tappone dalle sue ceneri grazie a chi come dice Furio Colombo «confonde il dialogo con i suoi monologhi». Sono altri dati di fatto, che possono esser variamente valutati, ma non è né insulto né vilipendio. O forse il Colle ha respinto al mittente qualche legge incostituzionale, e non me ne sono accorto? Sono o non sono libero di pensare e di dire che preferivo Scalfaro e i suoi no al Cavaliere? Oppure la libertà di parola, conquistata al prezzo del sangue dai nostri padri, s’è ridotta a libertà di applauso? Forse qualcuno dimentica che quella c’è anche nelle dittature. È la libertà di critica che contraddistingue le democrazie. Se poi a esercitarla su temi quali la laicità, gli infortuni sul lavoro, l’ambiente, la malafinanza, la malapolitica, il precariato, la legalità, la libertà d’informazione sono più i comici che i politici, questa non è certo colpa dei comici.
Poi c’è Sabina. Che ha fatto, di tanto grave, Sabina? Ha usato fino in fondo il privilegio della satira, che le consente di chiamare le cose con il loro nome senza le tartuferie e le ipocrisie del politically correct, del politichese e del giornalese: ha tradotto in italiano, con le parole più appropriate, quel che emerge da decine di cronache di giornale sulle presunte telefonate di una signorina dedita ad antichissime attività con l’attuale premier, che poi l’ha promossa ministra. Enrico Fierro ha raccolto l’altro giorno, su l’Unità, i pissi-pissi-bao-bao con cui i giornali di ogni orientamento, da Repubblica al Corriere, dal “Riformatorio” financo al Giornale, han raccontato quelle presunte chiamate (con la “m”). Ci voleva un quotidiano argentino, il Clarin, per usare il termine che comunemente descrive queste cose in Italia: «pompini», naturalmente di Stato. Quello di Sabina è stato un capolavoro di invettiva satirica, urticante e spiazzante come dev’essere un’invettiva satirica, senza mediazioni artistiche né perifrasi. Gli ignorantelli di ritorno che gridano «vergogna» non possono sapere che già nell’antica Atene, Aristofane era solito far interrompere le sue commedie con una «paràbasi», cioè con un’invettiva del corifeo che avanzava verso il pubblico e parlava a nome del commediografo, dicendo la sua sui problemi della città. Anche questa è satira (a meno che qualcuno non la confonda ancora con le barzellette). Si dirà: ma Sabina ha pure mandato il papa all’inferno. Posso garantire che, diversamente da me, lei all’inferno non crede. Quella era un’incursione artistica in un genere letterario inaugurato, se non ricordo male, da Dante Alighieri. Il quale spedì anticipatamente all’inferno il pontefice di allora, Bonifacio VIII, che non gli piaceva più o meno per le stesse ragioni per cui questo papa non piace a lei e a molti: le continue intromissioni del Vaticano nella politica.
Anche Dante era girotondino? Il fatto è che un vasto e variopinto fronte politico-giornalistico aveva preparato i commenti alla manifestazione ancor prima che iniziasse: demonizzatori, giustizialisti, estremisti, forcaioli, nemici delle istituzioni, e ovviamente alleati occulti del Cavaliere. Qualunque cosa fosse accaduta, avrebbero scritto quel che hanno scritto. Lo sapevamo, e abbiamo deciso di non cedere al ricatto, parlando liberamente a chi era venuto per ascoltarci, non per usarci come pedine dei soliti giochetti. Poi, per fortuna, a ristabilire la verità sono arrivati i commenti schiumanti di Al Tappone e di tutto il centrodestra: tutti inferociti perché la manifestazione spazza via le tentazioni di un’opposizione più morbida o addirittura di un inciucio sul lodo Alfano (ancora martedì sera, a Primo Piano, due direttori della sinistra «che vince», Polito e Sansonetti, proclamavano in stereo: «Chi se ne frega del lodo Alfano»). La prova migliore del fatto che la manifestazione contro il Caimano e le sue leggi-canaglia è perfettamente riuscita.
* l’Unità, Pubblicato il: 10.07.08, Modificato il: 10.07.08 alle ore 13.42
La maggioranza richiesta era di 273
Via libera dalla Camera al Lodo Alfano
I sì sono stati 309, i no 236, 30 gli astenuti. La norma, che prevede l’immunità per le 4 massime cariche dello Stato, dovrebbe essere votata in Senato prima della pausa estiva. Passa un emendamento del Pd sulla ’’non reiterabilità’’. Soddisfatto il Guardasigilli: ’’Testo migliorato’’. Ma Veltroni attacca: ’’Leggi ad personam’’. D’Alema: ’’Berlusconi rinunci e affronti il giudizio a testa alta’’. Caso Mills, da Csm risoluzione a tutela dei magistrati citati dal premier
Roma, 10 lug. (Adnkronos/Ign) - Sì della Camera al ’Lodo Alfano’. Arriva il primo via libera al provvedimento che consente la sospensione dei procedimenti giudiziari a carico delle quattro alte cariche dello Stato. Scontato il sì del centrodestra, si astiene l’Udc, votano contro il Partito democratico e l’Idv. Alla fine 309 sì, 236 no, 30 astenuti. Ora il testo andrà all’esame del Senato e dovrebbe essere votato prima della pausa estiva, mentre l’Assemblea di Montecitorio da domani si prepara ad affrontare il decreto legge sicurezza e c’è attesa per conoscere il destino della cosiddetta norma ’blocca processi’, che a questo punto dovrebbe essere radicalmente modificata.
"Siamo contenti, crediamo di aver fatto un buon lavoro", commenta soddisfatto il ministro della Giustizia, Angelino Alfano. "Abbiamo migliorato il testo che era venuto fuori dal Consiglio dei ministri - aggiunge il Guardasigilli - accettando un emendamento dell’opposizione che era già nella lettera della legge, ovvero il fatto che dopo la legislatura di copertura e di tutela delle alte cariche, non vi potesse essere un ulteriore utilizzo della medesima norma anche in caso passaggio ad un’altra funzione. Questo emendamento lo ha specificato meglio e noi lo abbiamo accolto".
Alfano ha poi ripetuto che il lodo non è un provvedimento ad personam, tagliato a misura per Silvio Berlusconi, ma "risponde alle esigenze del Paese e riteniamo possa rispondere alle esigenze di far svolgere serenamente il proprio lavoro alle alte cariche dello Stato". Berlusconi, "dopo aver brillantemente vinto le elezioni, merita di governare serenamente questo Paese e il Paese ha bisogno di essere governato. Siamo molto soddisfatti".
Ma dall’opposizione il leader del Pd Walter Veltroni attacca, parlando in aula alla Camera, il governo Berlusconi : "Siamo tornati al passato come ci fosse una maledizione". Veltroni critica sia le forzature con cui sta procedendo, sia i provvedimenti che, come il ’lodo Alfano’ e prima il ’salva Rete4’ , sono "obiettivamente leggi per una persona". Il segretario del Pd denuncia che la politica italiana di oggi sembra destinata a "replicare il passato, potremmo essere nel 2001, nel 2004 o nel 1998".
Da parte sua, Massimo D’Alema ha invitato con un ’’consiglio amichevole’’, il presidente del Consiglio a ’’rinunciare e affrontare il giudizio a testa alta’’. L’ex vicepremier, pur apprezzando ’’la rinuncia a una misura come l’emendamento blocca processi, che per bloccare un processo ne avrebbe fermati molti’’, definisce il lodo una ’’soluzione pasticciata e confusa’’ e chiede che il Parlamento torni a discutere di un tema delicato come la giustizia su cui il ’’confronto è stato compromesso da scelte frettolose e arbitrarie’’. ’’Ritengo che in definitiva questa leggina rappresenti un errore politico’’, spiega.
La giornata era iniziata con il no dell’aula di Montecitorio (296 voti contrari) alle due pregiudiziali di costituzionalità presentate dal Pd, quindi si era passati all’esame i 283 emendamenti al disegno di legge.
IL COMMENTO
L’urlo del populismo
di GAD LERNER *
LA pasquinata di martedì pomeriggio in Piazza Navona non basterà a smontare un’idea nefasta ma ricorrente. L’idea che l’Italia di Berlusconi conceda spazio efficace solo a leadership alternative di natura ugualmente antipolitica e populista. A guidare l’opposizione, cioè, nel paese in cui politica e televisione tendono a coincidere, e perfino il gossip diviene strumento di potere, sarebbero predestinati Antonio Di Pietro e Beppe Grillo, Sabina Guzzanti e Marco Travaglio. I coraggiosi, gli unici che le cantano chiare, evasi finalmente dalla gabbia del "politically correct".
Delusa ogni speranza di partecipazione democratica alla vita dei partiti, i cui dirigenti ci credono talmente poco da preferire blindarsi in fondazioni tecnocratiche, la passione politica dovrebbe giocoforza trasmutarsi in ghigno furioso per comunicare - orribile metafora, non a caso in voga - con la "pancia" del paese.
Se il premier è un attempato signore espertissimo in soubrettes e attrici esordienti, non sarà una rivolta di professioniste dello spettacolo lese nella loro dignità a metterlo in difficoltà, ma piuttosto un altro seduttore che dopo aver frequentato pure lui i bagaglini televisivi, da bordo del suo trattore, gli scaraventa addosso la parola magnaccia. Dando la stura a quel che ne seguirà: in fondo, non sono stati forse Berlusconi e Bossi a introdurre la licenza nel linguaggio istituzionale? Perché dovremmo essergli da meno?
A chi già si era già allontanato dalla militanza, constatata l’impossibilità di incidere sulle decisioni politiche, viene offerto il ruolo di mero consumatore di spettacolo: tra una presentazione di libri, uno show al Palasport e un raduno di piazza, al massimo potrà improvvisarsi fans, o seguace di un raggruppamento dalla leadership insostituibile, bisognosa solo di voti e di un plebiscito ogni tanto.
Piazza Navona serve così a capire che anche nell’indignazione più che giustificata contro le norme "ad personam", gli attacchi alla magistratura, i tentativi di ricatto esercitati sul Quirinale, al populismo d’opposizione riesce impossibile manifestare un volto del tutto diverso dal populismo di governo. Perché nel populismo possono fronteggiarsi leadership alternative, ma le matrici culturali non si differenziano: dal maschilismo all’ostilità nei confronti del diverso, dal disprezzo per le istituzioni a una visione caricaturale dei "poteri forti".
Prendiamo l’ultimo mostro generato dall’intreccio italiano fra televisione e potere, cioè il luogo fatidico con cui gli oratori di Piazza Navona intrattengono un rapporto di amore-odio. A partire di lì, la cosiddetta pornopolitica ha definitivamente imposto come senso comune una visione oltraggiosa dell’universo femminile diviso in due: le cortigiane pronte a offrirsi come merce; e le consorti mute per analoga convenienza. Non a caso ciò si è verificato nel paese occidentale che detiene i record della rappresentanza politica più maschile e della tv più guardona. C’è da stupirsi se in Piazza Navona gli avversari di Berlusconi hanno riproposto il suo medesimo stereotipo maschilista?
La corrività si manifesta altrettanto sulle politiche della sicurezza. Come dimenticare che nell’ottobre 2007 fu Beppe Grillo il primo ad aizzare i suoi seguaci contro "l’invasione dei romeni", sostenendo che in Italia non c’era posto per loro e che meglio avremmo fatto a respingerli con una (impossibile) moratoria? Il distinguo culturale nei confronti delle norme discriminatorie varate dal governo contro gli immigrati e i rom è rimasto così sullo sfondo, impopolare, troppo poco maneggevole per chi preferisce esibire sintonia con i gorgoglii della famigerata "pancia".
Ben più redditizio gli è parso additare al popolo l’esistenza di un non meglio precisato partito unico nel quale combinerebbero affari insieme tutte le altre forze parlamentari, con la complicità del Quirinale. Deformazione grottesca del sistema, cui peraltro viene contrapposto un fronte degli onesti che - guarda caso, come sempre nel linguaggio antipolitico - rifugge alle categorie di destra e di sinistra. C’è da scommettere che anche la più recente invenzione del populismo governativo - lotta senza quartiere contro l’odiosa e misteriosa "speculazione" - diventerà presto terreno di contesa fra opposti demagoghi.
La modesta riedizione 2008 dei girotondi non si prefigge più un ricambio dei dirigenti della sinistra, come sei anni fa. Immagina semmai di costruire, con i girotondini professionalizzati come dirigenti politici, una leadership alternativa a Berlusconi sul suo stesso terreno, per quando Berlusconi non ci sarà più. E’ un disegno velleitario, ma a preoccuparmi è il suo retropensiero implicito. Quasi che l’arretratezza strutturale e culturale del paese imponessero una sorta di adeguamento, o di rassegnazione. Tra il cinico e lo scettico, in troppi hanno smesso di credere alla possibilità di un antidoto democratico, e si stanno convincendo che l’Italia sia in grado di ascoltare solo le voci licenziose o infuriate del populismo.
* la Repubblica, 11 luglio 2008.
La lettera / sabina guzzanti
«Critico chi voglio. E la gente applaude»
Caro Direttore,
per tutti quelli scioccati dalla stampa di questi giorni, voglio rassicurare: non siete impazziti e non sono nemmeno impazziti i giornali. La questione è molto semplice, questo sistema fradicio e corrotto vede nell’eliminazione del dissenso l’unica possibilità di salvezza. Scrive Filippo Ceccarelli su Repubblica in relazione al mio intervento a piazza Navona: «Nulla del genere si era mai visto e ascoltato a memoria di osservatore». Questa cosa, Ceccarelli, si chiama libertà. Non hai mai visto una persona che chiama le cose col suo nome, anche quelle di cui tutti convengono sia assolutamente vietato parlare, come l’ingerenza inaccettabile del Vaticano nella vita politica del Paese e nelle vite private dei cittadini italiani. Caro Ceccarelli, hai fatto un’esperienza straordinaria. Col tempo apprezzerai la fortuna di esserti trovato lì l’8 luglio.
Quello che hanno visto i presenti e gli utenti di internet è una piazza ricolma di gente, che è stata in piedi per tre ore ad ascoltare e ad applaudire entusiasta. Gli interventi più criticati dai media sono quelli che hanno avuto indiscutibilmente più successo. Nel mio intervento, al contrario di quello che tanti bugiardoni hanno scritto, gli applausi più forti sono stati sulle critiche alla politica del Vaticano e le frasi più forti fra quelle sono state applaudite ancora di più. Questa manifestazione è stata il giorno dopo descritta come un fallimento, un errore, un autogol. Stampa e tv hanno tirato fuori il manganello e con i mezzi della diffamazione, della menzogna e dell’insulto stanno cercando di scoraggiare chi ha partecipato, a continuare. Alcune ovvie piccole verità: - A sinistra si lamentano del fallimento della manifestazione quando l’unico elemento di insuccesso è costituito dai loro stessi interventi. Se non avessero parlato in tanti di insuccesso a dispetto dei fatti, la manifestazione sarebbe stata percepita per quello che è stata: un successone. - Berlusconi e i suoi sono furiosi per quanto è accaduto e il sondaggio che direbbe che Berlusconi ci ha guadagnato lo ha visto solo Berlusconi.
Quello che dice potrebbe non essere vero. - L’intenzione di espellere Di Pietro era già evidente da parte del Pd e non è per me e Grillo che i due si sono separati. Pare che Veltroni gli preferisca Casini. Non è una battuta. - Le parlamentari che hanno difeso la Carfagna sostenendo che io in quanto donna non posso attaccare un’altra donna, insultando me sono cadute in contraddizione. - Pari opportunità e Carfagna sono due concetti incompatibili come Previti e giustizia. - È falso che non si possa criticare il presidente della Repubblica. Si può e ci sono buone ragioni per farlo ad esempio impugnando il parere dei cento costituzionalisti sul Lodo Alfano. - È falso che non si possa criticare e attaccare il Papa. Si può e ci sono buone ragioni per farlo. Ho letto un po’ dappertutto che il Papa sarebbe una figura super partes. Super partes non è uno che si schiera con tutte le sue forze su ogni tema, dalla scuola ai candidati alle elezioni, alla moda e alla cucina, con interventi spesso molto al di sotto delle parti, cosa su cui anche la Littizzetto, esimia collega, ha efficacemente ironizzato. - La reazione furibonda di tutto il mondo politico alle parole di alcuni liberi pensatori, dimostra che gli interventi fatti sono stati importanti ed efficaci. La repressione dei media rivela la debolezza politica di una classe dirigente che in entrambi i poli è nata a tavolino. Gli unici elementi che hanno una oggettiva radice popolare e sono rappresentati in Parlamento allo stato attuale, sono Lega e Di Pietro.
E crescono. Berlusconi e Pd calano vertiginosamente. - C’è un partito finto, il Pd, nato senza idee, tranne quella di fondere due partiti per ingrandirsi con lo stesso criterio con cui si accorpano le banche per essere più forti. Questo partito votato controvoglia dalla maggioranza dei suoi elettori si è rivelato fin dai primi passi un soggetto politico artificiale, che somiglia più a un «corpo diplomatico» che altro. Molti dei vip che lo hanno sostenuto ora sono colti da attacchi isterici constatando che non sta in piedi. Dall’altra parte ci sono delle idee che vogliono essere rappresentate e discusse. Idee davvero alternative a quelle del centrodestra. La qual cosa, nel momento in cui si cerca di costruire un’alternativa, ha la sua porca importanza e fa sì che queste idee vengano considerate oggettivamente interessanti dall’opinione pubblica. Per quanto riguarda l’annosa questione: «Può un comico fare politica?», si tratta anche qui di una domanda che non esiste in natura. È ovvio e tutti sanno che chiunque parli a un pubblico fa politica. È ovvio che la politica in una democrazia la fanno tutti. Ma la vera domanda che si pone è: può un comico ottenere molto più consenso politico di un politico? Può il discorso di un comico essere molto più politico di quello di un politico? I fatti dicono di sì e tocca abbozzare. Potete anche continuare a menare le mani, ma sarebbe meglio fare uno sforzo di comprensione. D’altra parte parlo per me ma credo anche a nome degli altri, le nostre idee sono lì e si possono usare gratuitamente. Approfittatene.
Sabina Guzzanti
* Corriere della Sera, 11 luglio 2008