NO CAV DAY - INTERVENTO DI MONI OVADIA
Forza ITALIA o "Forza ITALIA"? QUESTO IL PROBLEMA
FEDERICO LA SALA *
PER LA COSTITUZIONE. A TUTTI I CITTADINI E A TUTTE LE CITTADINE, A TUTTI GLI STUDENTI E A TUTTE LE STUDENTESSE D’ITALIA...
MATURITA’ 2008. TEMA D’ITALIANO. Traccia 1. FASCISMO. LA VIA ITALIANA AL TOTALITARISMO.
Fondando il Partito "Forza Italia", il cittadino Silvio Berlusconi si è appropriato indebitamente della Parola: ITALIA.
Si svolgano proprie riflessioni sul fatto, sotto forma di Lettera al Presidente della Repubblica, il cittadino Giorgio Napolitano
* Manifestazione di protesta "no Cav", che cosa ne pensate?: FORUM LA STAMPA
SUL TEMA, IN RETE E NEL SITO, SI CFR.:
Per un voto onesto servirebbe l’Onu
di ROBERTO SAVIANO *
"LA DISPERAZIONE più grave che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere onestamente sia inutile. E questa disperazione avvolge il mio paese da molto tempo". È una riflessione che Corrado Alvaro, scrittore calabrese di San Luca, scrisse alla fine della sua vita. E io non ho paura a dirlo: è necessario che il nostro Paese chieda un aiuto. Lo dico e non temo che mi si punti il dito contro, per un’affermazione del genere. Chi pensa che questa sia un’esagerazione, sappia che l’Italia è un paese sotto assedio. In Calabria su 50 consiglieri regionali 35 sono stati inquisiti o condannati. E tutto accade nella più totale accondiscendenza. Nel silenzio. Quale altro paese lo ammetterebbe?
Quello che in altri Stati sarebbe considerato veleno, in Italia è pasto quotidiano: dai più piccoli Comuni sino alla gestione delle province e delle regioni, non c’è luogo in cui la corruzione non sia ritenuta cosa ovvia. L’ingiustizia ha ormai un sapore che non ci disgusta, non ci schifa, non ci stravolge lo stomaco, né l’orgoglio. Ma come è potuto accadere? Il solo dubbio che ogni sforzo sia inutile, che esprimere il proprio voto e quindi la propria opinione sia vano, toglie forza agli onesti. Annega, strozza e seppellisce il diritto. Il diritto che fonda le regole del vivere civile, ma anche il diritto che lo trascende: il diritto alla felicità.
Il senso del "è tutto inutile" toglie speranza nel futuro, e ormai sono sempre di più coloro che abbandonano la propria terra per andare a vivere al Nord o in un altro paese. Lontano da questa vergogna. Io non voglio arrendermi a un’Italia così, a un’Italia che costringe i propri giovani ad andar via per vergogna e mancanza di speranza. Non voglio vivere in un paese che dovrebbe chiedere all’Osce, all’Onu, alla Comunità europea di inviare osservatori nei territori più difficili, durante le fasi ultime della campagna elettorale per garantire la regolarità di tutte le fasi del voto. Ci vorrebbe un controllo che qui non si riesce più a esercitare.
Ciò che riusciamo a valutare, a occhio nudo, sono i ribaltoni, i voltafaccia, i casi eclatanti in cui per ridare dignità alla cosa pubblica un politico, magari, si dovrebbe fare da parte anche se per legge può rimanere dov’è. Ma non riusciamo a esercitare un controllo che costringa la politica italiana a guardarsi allo specchio veramente, perché lo specchio che usiamo riesce a riflettere solo gli strati più superficiali della realtà. Ci indigniamo per politici come l’imputata Sandra Lonardo Mastella che dall’esilio si ricicla per sostenere, questa volta, non più il Pd ma il candidato a governatore in Campania del Pdl, Stefano Caldoro. Per Fiorella Bilancio, che aveva tappezzato Napoli di manifesti del Pdl ma all’ultimo momento è stata cancellata dalla lista del partito e ha accettato la candidatura nell’Udc. Così sui manifesti c’è il simbolo di un partito ma lei si candida per un altro.
Ci indigniamo per la vicenda dell’ex consigliere regionale dei Verdi e della Margherita, Roberto Conte, candidatosi nuovamente nonostante una condanna in primo grado a due anni e otto mesi per associazione camorristica e per giunta questa volta nel Pdl. Ci indigniamo perché il sottosegretario all’economia Nicola Cosentino, su cui pende un mandato d’arresto, mantiene la propria posizione senza pensare di lasciare il suo incarico di sottosegretario e di coordinatore regionale del Pdl.
Ci indigniamo perché è possibile che un senatore possa essere eletto nella circoscrizione Estero con i voti della ’ndrangheta, com’è accaduto a Nicola Di Girolamo, coinvolto anche, secondo l’accusa, nella mega-truffa di Fastweb. Ci indigniamo, infine, perché alla criminalità organizzata è consentito gestire locali di lusso nel cuore della nostra capitale, come il Café de Paris a via Vittorio Veneto. Ascoltiamo allibiti la commissione parlamentare antimafia che dichiara, riguardo queste ultime elezioni, che ci sono alcuni politici da attenzionare nelle liste del centrosinistra.
E ad oggi il centrosinistra non ha dato risposte. Si tratta di Ottavio Bruni candidato nel Pd a Vibo Valentia. Sua figlia fu trovata in casa con un latitante di ’ndrangheta. Si tratta di Nicola Adamo candidato Pd nel Cosentino, rinviato a giudizio nell’inchiesta Why not. Di Diego Tommasi candidato Pd anche lui nel Cosentino e coinvolto nell’inchiesta sulle pale eoliche. Luciano Racco candidato Pd nel Reggino, che non è indagato, ma il cui nome spunta fuori nell’ambito delle intercettazioni sui boss Costa di Siderno. Il boss Tommaso Costa ha fornito, per gli inquirenti, il proprio sostegno elettorale a Luciano Racco in occasione delle Europee del 2004 che vedevano Racco candidato nella lista "Socialisti Uniti" della circoscrizione meridionale. Tutte le intercettazioni sono depositate nel processo "Lettera Morta" contro il clan Costa ed in quelle per l’uccisione del giovane commerciante di Siderno Gianluca Congiusta.
A tutto questo non possiamo rimanere indifferenti e ci indigniamo perché facciamo delle valutazioni che vanno oltre il - o vengono prima del - diritto, valutazioni in merito all’opportunità politica e alla possibilità di votare per professionisti che non cambino bandiera a seconda di chi sta alla maggioranza e all’opposizione. Trasformarsi, riciclarsi, mantenere il proprio posto, l’antica prassi della politica italiana non è semplicemente una aberrazione. È ormai considerata un’abitudine, una specie di vizio, di eventualità che ogni elettore deve suo malgrado mettere in conto sperando di sbagliarsi. Sperando che questa volta non succeda. È un tradimento che quasi si perdona con un’alzata di spalle come quello d’un marito troppo spensierato che scivola nelle lenzuola di un’altra donna.
Ma si possono barattare le proprie attese e i propri sogni per la leggerezza e per il cinismo di qualcun altro? Oramai si parte dal presupposto che la politica non abbia un percorso, non abbia idee e progetti. Eppure la gente continua ad aspettarsi altro, continua a chiedere altro.
Dov’è finito l’orgoglio della missione politica? La responsabilità di parlare a nome di un elettorato? Dov’è finita la consapevolezza che le parole e le promesse sono responsabilità che ci si assume? E la consapevolezza che un partito, un gruppo politico, senza una linea precisa, non è niente? Eppure proprio questo è diventata, nella maggioranza dei casi, la politica italiana: niente, spillette colorate da appuntarsi al bavero del doppiopetto. Senza più credibilità. Contenitori vuoti da riempire con parole e a volte nemmeno più con quelle. A volte si è divenuti addirittura incapaci si servirsi delle parole.
Quando la politica diviene questo, le mafie hanno già vinto. Poiché nessuno più di loro riesce a dare certezze - certezza di un lavoro, di uno stipendio, di una sistemazione. Certezze che si pagano, è ovvio, con l’obbedienza al clan. È terribile, ma si tratta di avere a che fare con chi una risposta la fornisce. Con chi ti paga la mesata, l’avvocato. Non è questo il tempo per moralismi, poco importa se ci si deve sporcare le mani.
Solo quando la politica smetterà di somigliare al potere mafioso - meno crudele, certo, ma meno forte e solido - solo quando cesserà di essere identificato con favori, scambi, acquisti di voti, baratto di morale, solo allora sarà possibile dare un’alternativa vera e vincente. Anche nei paesi dominati dalle mafie è possibile essere un’alternativa. Lo sono già i commercianti che non si piegano, lo sono già quelli che resistono, ogni giorno.
Del resto, quello che più d’ogni altra cosa dobbiamo comprendere è che le mafie sono un problema internazionale e internazionalmente vanno contrastate. L’Italia non può farcela da sola. Le organizzazioni criminali stanno modificando le strutture politiche dei paesi di mezzo mondo. Negli Usa considerano i cartelli criminali italiani tra le prime cause di inquinamento del libero mercato mondiale. Sapendo che il Messico oramai è divenuto una narcodemocrazia la nostra rischia di essere, se non lo è già diventata una democrazia a capitale camorrista e ndranghetista.
Qui, invece, ancora si crede che la crisi sia esclusivamente un problema legato al lavoro, a un rallentamento della domanda e dell’offerta. Qui ancora non si è compreso davvero che uscire dalla crisi significa cercare alternative all’economia criminale. E non basta la militarizzazione del territorio. Non bastano le confische dei beni. Bisogna arginare la corruzione, le collusioni, gli accordi sottobanco. Bisogna porre un freno alla ricattabilità della politica, e come per un cancro cercare ovunque le sue proliferazioni.
Sarebbe triste che i cittadini, gli elettori italiani, dovessero rivolgersi all’Onu, all’Unione Europea, all’Osce per vedere garantito un diritto che ogni democrazia occidentale deve considerare normale : la pulizia e la regolarità delle elezioni. Dovrebbe essere normale sapere, in questo Paese, che votare non è inutile, che il voto non si regala per 50 euro, per un corso di formazione o per delle bollette pagate. Che la politica non è solo uno scambio di favori, una strada furba per ottenere qualcosa che senza pagare il potere sarebbe impossibile raggiungere. Che restare in Italia, vivere e partecipare è necessario. Che la felicità non è un sogno da bambini ma un orizzonte di diritto. ©2010 Roberto Saviano/Agenzia Santachiara
© la Repubblica, 20 marzo 2010
COMUNICATI *
Data: 08-07-2008
Descrizione:
Messaggio del Presidente Napolitano nel trentennale dell’elezione di Sandro Pertini a Presidente della Repubblica
C o m u n i c a t o
Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nel trentennale dell’elezione di Sandro Pertini a Presidente della Repubblica, ha inviato al Presidente dell’Associazione “Sandro Pertini”, dott.ssa Elisabetta Favetta, il seguente messaggio: "Per chi, come me, gli e’ stato vicino in Parlamento e ha potuto cogliere la grande tensione morale e la passione civile con la quale egli interpretava il suo impegno - politico e nelle istituzioni - al servizio del paese, Sandro Pertini ha incarnato l’idea stessa della libertà come inseparabile dalla visione del socialismo in cui si riconosceva. Quella idea fu da lui strenuamente custodita e difesa nella stagione della dittatura e negli anni del carcere e dell’esilio.
Protagonista della lotta di liberazione, Pertini accompagnò la nascita e lo sviluppo della Repubblica dai banchi dell’Assemblea Costituente e della Camera dei Deputati, di cui fu Presidente rigoroso e imparziale, considerandola sempre la sede primaria delle scelte fondamentali per la vita della Nazione.
A questo profondo, assoluto rispetto per il Parlamento e la sovranità popolare che in esso si esprime egli volle informare con grande rigore il proprio mandato presidenziale, assolto in anni inquieti e drammatici della storia repubblicana, quando contro l’attacco terroristico allo Stato, scandito da una lunga scia di eventi luttuosi, egli seppe mobilitare la ferma risposta della coscienza civile e delle istituzioni.
A diciotto anni dalla scomparsa, l’eredità di Sandro Pertini mantiene intatta la sua forza e la sua attualità, soprattutto nell’imprescindibile legame fra politica, giustizia sociale e valori etici che ha nobilitato il suo alto magistero e che costituisce, ancora oggi, un essenziale riferimento."
Roma, 8 luglio 2008
Legalità. È questa comunque la nota forte di piazza Navona. Prevedibili i richiami populisti alla Grillo: il tema sarà riuscire a dar loro un’altra forma
Ma sotto il palco «si ritrova» il popolo dell’opposizione
di Bruno Gravagnuolo (l’Unità, 09.07.2008)
Una manifestazione dai due volti, quella di ieri in Piazza Navona. Inevitabilmente del resto. Da un lato un volto più politico, attento a non dividere l’opposizione o a esasperare lo scontro istituzionale. Addirittura all’esordio, Mattia Stella ha voluto esprimere solidarietà umana e politica a Napolitano, Presidente che incarna la Costituzione, a fronte di un premier come Berlusconi. Poi invece il lato satirico, a sfociare nell’«happening», con il collegamento telefonico con Beppe Grillo, che picchia duro su Napolitano «Morfeo» e «topo gigio» Veltroni. Rimbeccato con energia da Furio Colombo che si dissocia sul finale. E che rivendica l’importanza di aver portato al centro della serata i bambini Rom, di cui si vogliono prendere le impronte: una manifestazione a favore dell’opposizione e non contro, per darle più forza, non certo per dividerla. Ma poi quanto a «oltranze», a parte il Ratzinger spedito da Sabina Guzzanti all’inferno, e incalzato da diavoli gay, poca roba, magari discutibile. Il tutto però davanti a un popolo combattivo e composto. Che abbassa le tante bandiere dell’Idv quando il palco glielo chiede (ce ne erano tante anche di Sd e di Rifondazione). E che si «gasa» quando risuonano gli appelli alla «legge eguale per tutti», e a una più forte opposizione. In fondo non è che un esordio, continuiamo la lotta: questo il senso. Mentre in tante città d’Italia va in scena qualcosa di analogo. Milano, Torino, Genova, Brescia, Siena e tante città dell’Emilia, che rispondono ai richiami dei tanti blog, fra i quali quello di Nando Dalla Chiesa.
Che significa tutto questo? Che il popolo dell’opposizione c’è, e ha voglia di battersi. E che tuttavia forse non ha ancora «carburato», per mancanza di guida politica, e «continuità di gioco». Le cose migliori - a parte il Colombo che si dissocia dagli attacchi a Napolitano e invita dar battaglia capillare sulla legalità - sono in quel che affiora all’inizio. Nella falsariga ideale, che è già un filo conduttore importante per l’opposizione in fieri. E cioè: la legalità non è un «optional moralistico». E le leggi canaglia di Berlusconi, sono esattamente «l’ingombro» che impedisce al Parlamento di affrontare i suoi problemi veri: salari, pensioni, crisi economica, precarietà, emergenze ambientali. Lo ripetono un po’ tutti, da Flores, a Pardi, alla girotondina Laura Belli. E a Di Pietro, nel cui discorso non c’è un filo di polemica né verso Napolitano, né verso il Pd. Solo la rivendicazione di un’opposizione più incisiva e diversa, legittima quindi.
E l’altro tema chiave è questo: la legge eguale per tutti, oltre a fatto di etica civile e dignità, è anche dignità del lavoro. Dignità dei diritti sociali. Democrazia presa sul serio, nelle istituzioni e in economia. Senza arroganze patrimonialistiche, o pervertimenti a misura di «emergenze personali». Per cui, dice Marco Travaglio, per velocizzare la «sicurezza», si tenta di mettere in sicurezza una sola persona: Berlusconi dai suoi processi. Bloccando e vanificando centomila processi! Ecco quindi il circolo virtuoso dell’opposizione civile che si viene facendo e che incalza quella ufficiale: legare la giustizia legale alla giustizia giusta. Al lavoro e all’economia, e alle urgenze del paese. Mortificate dal contenzioso personale del premier, che imprime un marchio privato a tutta la vita del paese. Dalla scelta dei ministri a servizio al sogno di modellare una Costituzione a suo uso e consumo: decisionistica, plebiscitaria. Con Parlamento, e istituti di controllo, svuotati.
E qui ha ragione Pancho Pardi: «questa Costituzione va difesa». Perchè la mira e il sogno di Berlusconi sono chiari: «inaugurare un altro settennato al Colle». Magari scalzando proprio l’attuale Presidente. La cui garanzia - aggiungiamo - non deve essere delegittimata. Per evitare di fare il gioco del Cav.
Per finire una notazione. Era ovvio che invitando Grillo e la sua «retorica» in piazza - accanto a un pezzo di opposizione - ci si poteva aspettare anche l’happening populista. E però quel suo umore antipolitico e sgradevole, circola anche a sinistra e ormai da tempo. Importante è perciò prosciugarlo, e dare ad esso forma politica. Senza mettere la testa sotto la sabbia, in nome di un galateo di cui l’avversario ha fatto sempre strame e con ben altra virulenza. Sicché al popolo dell’opposizione, che nasce e che si ridesta dalla sue delusioni, occorre dare sponde e risposte. Guida politica insomma, senza oscillazioni e retoriche del dialogo che snervano anche le migliori intenzioni. Sì, qualcosa si muove in questo senso, eppur si muove malgrado la sconfitta. E già in Parlamento se ne vedono i frutti, con un atteggiamento più chiaro e fermo su «lodi» e «blocca processi». In fondo è bastato un preannuncio di girotondi per rimettere di nuovo in moto la situazione. Facciamoli girare quei girotondi, fino a coinvolgere altri mondi e altra gente. Dal basso in alto e viceversa. Girare. bene e magari senza bisogno di Grillo.
Nel pomeriggio arriva a Montecitorio la norma che sancisce
l’immunità alle quattro cariche più alte dello Stato
Giustizia, lodo Alfano alla Camera
Via alla discussione sull’immunità
ROMA - Approda in aula il lodo Alfano. Oggi pomeriggio il provvedimento che sancisce l’immunità per le 4 cariche più alte dello Stato sarà discusso alla Camera. Lo attende un clima teso con il Pd e l’Italia dei valori che annunciano una forte opposizione (quasi trecento gli emendamenti presentati) e con la maggioranza che punta all’approvazione già nella giornata di domani.
E per meglio capire il clima di forte contrapposzione che si respira vale la pena di ricordare la dura polemica che ieri ha visto protagonisti il Pd e il presidente di Montecitorio Gianfranco Fini per la decisione di quest’ultimo di anticipare e contingentare i tempi del confronto in Aula. Proprio contro le scelte di Fini il partito di Veltroni aveva deciso di abbandonare in segno di protesta la discussione preliminare in Commissione giustizia. Decisione rientrata, visto la decisione dell’Idv di rimanere. E questa non è l’unica diversità di vedute tra democratici e dipietristi. Altro punto di dissenso è come rapportarsi con la maggioranza sul tema della giustizia. Senza alcuno spazio di mediazione per l’Idv, più articolata ala posizione del Pd che aveva chiesto che il ’’lodo Alfano’’ avesse come conseguenze diretta la cancellazione del cosidetto emendamento "salva-premier", quello cioè che prevede il blocco dei processi per reati commessi prima del 30 giugno 2002. La risposta del Pdl è stata una generica disponibilità a modificarlo ma solo dopo l’approvazione del lodo Alfano.
Ed è probabile che in Aula si faranno sentire gli strascichi della manifestazione di piazza Navona con gli attacchi di Beppe Grillo al capo dello Stato e di sabina Guzzanti al Papa e al ministro Carfagna. E al Senato un applauso ha salutato la solidarietà espressa dal presidente Renato Schifani al presidente della Repubblica ed al Papa "colpiti da vergognosi attacchi verbali".
L’urlo in piazza
di Andrea Fabozzi (il manifesto, 09.07.2008 )
La manifestazione di ieri di Antonio Di Pietro (non solo sua, soprattutto sua) è stata un successo ma sarà inutile. Quello che ci aspetta sono cinque anni di inarrestabile potere berlusconiano. Cinque anni almeno. La legge che garantisce l’immunità al presidente del Consiglio, il principale, sacrosanto obiettivo dei manifestanti di ieri, sarà approvata domani sera dalla camera dei deputati. Senza problemi. Le contromisure al regime, se di regime si tratta e probabilmente sì senza per questo proporre impossibili paralleli con il passato, non si improvvisano. Non saremmo nell’abisso democratico che proprio i girotondi denunciano se bastasse lanciare un grido per provocare una reazione sufficiente a bloccare il treno del governo. Questa reazione non si intravede.
Che i manifestanti di ieri con il loro furore antiberlusconiano siano i principali alleati di Berlusconi, come ci raccontano in troppi, è una sciocchezza. Il cavaliere è un re nudo che si muove completamente al di fuori della Costituzione. Se c’è qualcuno tra la folla osannante che a un certo punto lancia un grido è un bene e al cavaliere non fa affatto comodo. Infatti ne è ossessionato. L’ossessione però finisce con l’essere reciproca. E trasforma la vicenda personale del presidente del Consiglio - i suoi interessi economici, i suoi processi, le sue amanti - nell’unica ragione valida per fargli opposizione. Il fatto che Berlusconi governa diventa più grave, più insopportabile del come effettivamente stia governando. Molte ragioni di opposizione al centrodestra e dunque al razzismo, all’istinto securitario, al classismo delle misure economiche, sono rimaste fuori dalla piazza di ieri sera. Sembra questo il limite più forte dei girotondi, più ancora delle semplificazioni, delle volgarità, degli argomenti che in fondo esprimono la stessa cultura autoritaria che si vorrebbe contestare.
L’opposizione non è un pranzo di gala. A farla nei confini dettati dal Corriere della Sera, Veltroni finisce col non farla affatto. Se adesso - a giorni alterni - promette battaglia è perché Berlusconi lo ha costretto e perché le grida di questa piazza disturbano anche lui. Ma non è al partito democratico che si può affidare l’alternativa al potere berlusconiano. Non ne ha le caratteristiche strutturali perché è nato per venire a patti con Berlusconi, tanto è vero che si è inventato un inesistente presidente del Consiglio statista. Non ne ha più il background istituzionale tanto è vero che si ricorda della Costituzione solo di fronte agli avvocaticchi del primo ministro e anche in quel caso chiuderebbe un occhio se servisse a resuscitare il «dialogo». Non ne ha alla fine nemmeno la voglia perché se padroni e salariati sono uguali non ha senso dividersi su chi sta con gli uni e chi con gli altri. L’alternativa dovremmo aspettarcela dalla sinistra, ma quel che resta della sua rappresentanza partitica è troppo impegnata a massacrarsi nelle sue piccole stanze. E se ieri ha fatto una pausa è stato solo per venire ad ascoltare l’urlo dei girotondi, ai piedi del palco. Ma almeno di questo non diamo la colpa a Di Pietro.
Io difendo quel palco
di Marco Travaglio *
Caro Direttore,
quando tutta la stampa (Unità compresa), tutte le tv e persino alcuni protagonisti dicono la stessa cosa, e cioè che l’altroieri in Piazza Navona due comici (Beppe Grillo e Sabina Guzzanti) e un giornalista (il sottoscritto) avrebbero “insultato” e addirittura “vilipeso” il capo dello Stato italiano e quello vaticano, la prima reazione è inevitabile: mi sono perso qualcosa? Mi sono distratto e non ho sentito alcune cose - le più gravi - dette da Beppe, da Sabina e da me stesso? Poi ho controllato direttamente sui video, tutti disponibili su You Tube e sui siti di vari giornali, ma non vi ho ritrovato ciò che è stato scritto e detto da tv e giornali.
Nessuno ha insultato né vilipeso Giorgio Napolitano né Benedetto XVI. Nessuno ha “rovinato una bella piazza”. È stata, come tu hai potuto constatare de visu, una manifestazione di grande successo, sia per la folla, sia per la qualità degli interventi (escluso ovviamente il mio). Per la prima volta si sono fuse in una cinque piazze che finora si erano soltanto sfiorate: quella di Di Pietro, quella di molti elettori del Pd, quella della sinistra cosiddetta radicale, quella dei girotondi e quella dei grillini, non sempre sovrapponibili. E un minimo di rigetto era da mettere in conto. Ma è stata una bella piazza plurale, sia sotto che sopra il palco: idee, linguaggi, culture, sensibilità, mestieri diversi, uniti da un solo obiettivo. Cacciare il Caimano.
Le prese di distanze e i distinguo interni, per non parlare delle polemiche esterne, sono un prodotto autoreferenziale del Palazzo (chi fa politica deve tener conto degli alleati, delle opportunità, degli elettori, di cui per fortuna gli artisti e i giornalisti, essendo “impolitici”, possono tranquillamente infischiarsi). La gente invece ha applaudito Grillo e Sabina come Colombo (anche quando ha chiesto consensi per Napolitano), Di Pietro, Flores e gli altri oratori, ma anche i politici delle più varie provenienze venuti a manifestare silenziosamente. Applausi contraddittorii, visto che gli applauditi dicevano cose diverse? Non credo proprio. Era chiaro a tutti che il bersaglio era il regime berlusconiano con le sue leggi canaglia, compresi ovviamente quanti non gli si oppongono.
Come mai allora questa percezione non è emersa, nemmeno nei commenti delle persone più vicine, come per esempio te e Furio? Io temo che viviamo tutti nel Truman Show inaugurato 15 anni fa da Al Tappone, che ci ha imposto paletti (anche mentali) sempre più assurdi e ci ha costretti, senza nemmeno rendercene conto, a rinunciare ogni giorno a un pezzettino della nostra libertà. Per cui oggi troviamo eccessivo, o addirittura intollerabile, ciò che qualche anno fa era normale e lo è tuttora nel resto del mondo libero (dove tra l’altro, a parte lo Zimbabwe, non c’è nulla di simile al governo Al Tappone). In Italia l’elenco delle cose che non si possono dire si allunga di giorno in giorno. Negli Stati Uniti, qualche anno fa, uscì senz’alcuno scandalo un libro di Michael Moore dal titolo «Stupid White Man» (pubblicato in Italia da Mondadori...), tutto dedicato alle non eccelse qualità intellettive del presidente Bush. Da dieci anni l’ex presidente Clinton non riesce a uscire da quella che è stata chiamata la «sala orale». In Francia, la tv pubblica ha trasmesso un programma satirico in cui un attore, parodiando il film «Pulp Fiction» in «Peuple fiction», irrompe nello studio del presidente Chirac, lo processa sommariamente per le sue innumerevoli menzogne, e poi lo fredda col mitra. A nessuno è mai venuto in mente di parlare di «antibushismo», di «anticlintonismo», di «antichirachismo», di «insulti alla Casa Bianca» o di «vilipendio all’Eliseo».
Tanto più alta è la poltrona su cui siede il politico, tanto più ampio è il diritto di critica e di satira e anche di attacco personale. Quelli che son risuonati l’altroieri in piazza Navona non erano «insulti». Erano critiche. Grillo, insolitamente moderato e perfino affettuoso, ha detto che «a Napolitano gli voglio bene, ma sonnecchia come Morfeo e firma tutto», compreso il via libera al lodo Alfano che crea una «banda dei quattro» con licenza di delinquere. Ha sostenuto che Pertini, Scalfaro e Ciampi non l’avrebbero mai firmato (sui primi due ha ragione: non su Ciampi, che firmò il lodo Schifani). E ha ricordato che l’altro giorno, mentre Napoli boccheggia sotto la monnezza, il presidente era a Capri a festeggiare il compleanno con la signora Mastella, reduce dagli arresti domiciliari, e Bassolino, rinviato a giudizio per truffa alla Regione che egli stesso presiede. Tutti dati di fatto che possono essere variamente commentati: non insulti o vilipendi. Io, in tre parole tre, ho descritto la vergognosa legge Berlusconi che istituisce un’«aggravante razziale» e dunque incostituzionale, punendo per lo stesso reato - gli immigrati irregolari più severamente degli italiani, e mi sono rammaricato del fatto che il Quirinale l’abbia firmata promulgando il decreto sicurezza. Nessun insulto: critica. Veltroni sostiene che io avrei «insultato» anche lui, e che «non è la prima volta».
Lo invito a rivedersi il mio intervento: nessun insulto, un paio di citazioni appena; per il resto la cronistoria puntuale dell’ennesima resurrezione di Al Tappone dalle sue ceneri grazie a chi come dice Furio Colombo «confonde il dialogo con i suoi monologhi». Sono altri dati di fatto, che possono esser variamente valutati, ma non è né insulto né vilipendio. O forse il Colle ha respinto al mittente qualche legge incostituzionale, e non me ne sono accorto? Sono o non sono libero di pensare e di dire che preferivo Scalfaro e i suoi no al Cavaliere? Oppure la libertà di parola, conquistata al prezzo del sangue dai nostri padri, s’è ridotta a libertà di applauso? Forse qualcuno dimentica che quella c’è anche nelle dittature. È la libertà di critica che contraddistingue le democrazie. Se poi a esercitarla su temi quali la laicità, gli infortuni sul lavoro, l’ambiente, la malafinanza, la malapolitica, il precariato, la legalità, la libertà d’informazione sono più i comici che i politici, questa non è certo colpa dei comici.
Poi c’è Sabina. Che ha fatto, di tanto grave, Sabina? Ha usato fino in fondo il privilegio della satira, che le consente di chiamare le cose con il loro nome senza le tartuferie e le ipocrisie del politically correct, del politichese e del giornalese: ha tradotto in italiano, con le parole più appropriate, quel che emerge da decine di cronache di giornale sulle presunte telefonate di una signorina dedita ad antichissime attività con l’attuale premier, che poi l’ha promossa ministra. Enrico Fierro ha raccolto l’altro giorno, su l’Unità, i pissi-pissi-bao-bao con cui i giornali di ogni orientamento, da Repubblica al Corriere, dal “Riformatorio” financo al Giornale, han raccontato quelle presunte chiamate (con la “m”). Ci voleva un quotidiano argentino, il Clarin, per usare il termine che comunemente descrive queste cose in Italia: «pompini», naturalmente di Stato. Quello di Sabina è stato un capolavoro di invettiva satirica, urticante e spiazzante come dev’essere un’invettiva satirica, senza mediazioni artistiche né perifrasi. Gli ignorantelli di ritorno che gridano «vergogna» non possono sapere che già nell’antica Atene, Aristofane era solito far interrompere le sue commedie con una «paràbasi», cioè con un’invettiva del corifeo che avanzava verso il pubblico e parlava a nome del commediografo, dicendo la sua sui problemi della città. Anche questa è satira (a meno che qualcuno non la confonda ancora con le barzellette). Si dirà: ma Sabina ha pure mandato il papa all’inferno. Posso garantire che, diversamente da me, lei all’inferno non crede. Quella era un’incursione artistica in un genere letterario inaugurato, se non ricordo male, da Dante Alighieri. Il quale spedì anticipatamente all’inferno il pontefice di allora, Bonifacio VIII, che non gli piaceva più o meno per le stesse ragioni per cui questo papa non piace a lei e a molti: le continue intromissioni del Vaticano nella politica.
Anche Dante era girotondino? Il fatto è che un vasto e variopinto fronte politico-giornalistico aveva preparato i commenti alla manifestazione ancor prima che iniziasse: demonizzatori, giustizialisti, estremisti, forcaioli, nemici delle istituzioni, e ovviamente alleati occulti del Cavaliere. Qualunque cosa fosse accaduta, avrebbero scritto quel che hanno scritto. Lo sapevamo, e abbiamo deciso di non cedere al ricatto, parlando liberamente a chi era venuto per ascoltarci, non per usarci come pedine dei soliti giochetti. Poi, per fortuna, a ristabilire la verità sono arrivati i commenti schiumanti di Al Tappone e di tutto il centrodestra: tutti inferociti perché la manifestazione spazza via le tentazioni di un’opposizione più morbida o addirittura di un inciucio sul lodo Alfano (ancora martedì sera, a Primo Piano, due direttori della sinistra «che vince», Polito e Sansonetti, proclamavano in stereo: «Chi se ne frega del lodo Alfano»). La prova migliore del fatto che la manifestazione contro il Caimano e le sue leggi-canaglia è perfettamente riuscita.
* l’Unità, Pubblicato il: 10.07.08, Modificato il: 10.07.08 alle ore 13.42
La procura chiederà al Guardasigilli di procedere contro l’attrice per le parole sul Papa
durante la manifestazione contro Berlusconi lo scorso 8 luglio a piazza Navona
Il pm di Roma sul No Cav Day
"Guzzanti offese, Grillo fece satira"
Le battute del comico su Napolitano considerate diritto di critica senza volgarità
Di Pietro: "Solo ai tempi dell’olio di ricino chi la pensava diversamente finiva in galera"
ROMA - Sabina Guzzanti indagata per vilipendio contro il Papa. La procura di Roma chiederà al ministro della Giustizia di procedere contro l’attrice per le parole su Benedetto XVI pronunciate l’8 luglio scorso durante il "No Cav Day" in piazza Navona. Il procuratore Giovanni Ferrara e il pm Antonello Racanelli hanno invece chiesto al gip di archiviare la posizione di Beppe Grillo, che aveva attaccato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: quella del comico genovese era satira. La prima reazione è di Antonio Di Pietro, che del No Cav Day fu tra i primi animatori: "Solo ai tempi dell’olio di ricino chi la pensava diversamente finiva in galera".
"Parole grevi e volgari". Secondo i magistrati, le parole della Guzzanti sono da ritenersi molto grevi e volgari, ma per poter procedere nei suoi confronti la legge prevede il via libera del Guardasigilli nel caso di vilipendio nei confronti del Papa, equiparato al capo dello Stato. Nel caso di Grillo, la procura ha considerato le sue esternazioni come diritto di critica, sotto il profilo della satira. Per quanto concerne le offese al ministro delle Pari opportunità Mara Carfagna, per il momento non è arrivata a piazzale Clodio alcuna querela, necessaria per aprire il procedimento.
Grillo, richiesta l’archiviazione. Nella richiesta di archiviazione della posizione di Grillo, inizialmente indagato per il reato previsto dall’articolo 278 del codice penale, (offesa all’onore o al prestigio del presidente della Repubblica), la procura sostiene l’infondatezza della notizia di reato per la sussistenza della discriminante del diritto di critica e di satira. In particolare, quest’ultimo rappresenta un’espressione del diritto di manifestazione del pensiero, garantito dall’articolo 21 della Costituzione. Il comico aveva chiamato il presidente "Morfeo Napolitano" e lo aveva contestato per aver firmato il cosiddetto Lodo Alfano.
"Il linguaggio della satira può essere paradossale". I magistrati si richiamano alla giurisprudenza consolidata, secondo cui il linguaggio della satira può essere anche paradossale e, nel valutarlo, non si applicano i normali criteri che si adottano nel giudicare altre manifestazioni del pensiero, come la cronaca. Nell’intervento di Grillo non c’erano, inoltre, espressioni volgari o ripugnanti.
Guzzanti e i Patti Lateranensi. Discorso diverso per le affermazioni della Guzzanti. Il reato ipotizzato nei suoi confronti è sempre quello disciplinato dall’articolo 278 del codice penale (che prevede l’autorizzazione per procedere del ministro della Giustizia) che si estende alle offese rivolte al Pontefice sulla base del Trattato Lateranense. Se il Guardasigilli non darà il via libera, l’inchiesta contro la Guzzanti sarà destinata all’archiviazione per mancanza di una condizione di procedibilità. In caso contrario, la procura andrà avanti. Nell’informativa inviata a piazzale Clodio dalla Digos c’era anche la trascrizione dell’intervista del giornalista Marco Travaglio, oltre a quelle di Grillo e Guzzanti, ma i magistrati hanno deciso di non prendere alcuna iniziativa per mancanza della notizia di reato.
Grillo: "Non mi interessa niente". Il comico non parla dell’argomento. Di Pietro invece commenta: "L’onore e il prestigio del Pontefice, al quale va il mio massimo rispetto, a mio avviso non sono calpestati dalla satira della Guzzanti che, proprio in quanto satira, va presa per quel che è. Si può condividere o non condividere - continua il leader dell’Idv - e neanche io l’ho condiviso quel giorno, ma solo ai tempi dell’olio di ricino chi la pensava diversamente finiva in galera. Ma si sa, essere una donna libera ai giorni nostri è un reato!".
Volontè: "Bene la procura". Di diverso parere il parlamentare dell’Udc, Luca Volontè: "Bene la procura di Roma sulle offese al Papa. La Guzzanti e company non invochino nessuna ’censura’, le offese e gli insulti gratuiti devono essere sanzionati". E aggiunge: "Ironia e comicità quel giorno non stavano in piazza".
* la Repubblica, 10 settembre 2008