Qui è a rischio la nostra libertà ed il nostro futuro
di Giovanni Sarubbi *
PM (pubblico ministero), colui che accusa i delinquenti e li manda sotto processo, è diventato sinonimo di delinquente e nemico pubblico da combattere mentre il Tribunale dei Ministri è diventato un luogo dove i reati non sono più tali. Questo è, in estrema sintesi, il contenuto della campagna mediatica che viene ripetuta ossessivamente da tutti i mass-media da quando è venuta fuori l’inchiesta sulle oramai note “notti di Arcore”, con le accuse di “prostituzione minorile” ai danni del capo del Governo Silvio Berlusconi e di altri suoi fidati collaboratori.
Un così palese stravolgimento della realtà delle cose può significare due cose: da un lato che i difensori a spada tratta di Berlusconi non sanno più cosa inventarsi per difendere l’indifendibile (come fa il reato di “prostituzione minorile” ad essere classificato come “reato ministeriale”?), dall’altro sono il segno che qualcosa di molto grave è dietro l’angolo, come dimostrano i comunicati poi smentiti sulla preparazione di manifestazioni del PDL contro i PM di Milano. Cosa che, tradotta in soldoni, equivarrebbe ad un vero e proprio colpo di stato cioè ad una azione eversiva dell’ordine costituzionale.
Si ha come la sensazione che i partiti di governo stiano giocando una partita definitiva, quella dalla quale si può uscire solo con la propria vittoria e con lo sbaragliamento dei propri avversari e la conquista del potere assoluto.
Gli estremi per gridate al golpe ci sono tutti. Nessuna forza politica che abbia un minimo di rispetto per la legalità costituzionale può pensare di parlare contro i PM ed istigare a manifestazioni contro di essi, cioè contro un organo costituzionalmente garantito. Chi lo fa dice chiaramente che ha superato da tempo i vincoli e i limiti che la Costituzione, legge fondamentale dello Stato, ha stabilito per il corretto esercizio della vita di una comunità nazionale.
Per di più ci troviamo di fronte ad un partito, quello del PDL che non nasconde affatto la sua vocazione dittatoriale e ad appropriarsi del nome stesso dell’Italia che certo non può diventare il nome di una parte politica. (Ricordiamo che il PDL è figlio di un partito che si chiamava “Forza Italia” e che, stando a notizie giornalistiche, pare abbia registrato il nome ed il simbolo di un altro partito denominato semplicemente “Italia”, a seguito dell’uscita da quel partito di FLI- Futuro e Libertà).
La democrazia è dunque a grave rischio e lo è ancora di più quando c’è chi si ritiene al di sopra della legge ed è contemporaneamente al governo del paese.
Facciamo quindi un appello a tutti i nostri lettori a mobilitarsi per la riuscita delle manifestazioni promosse dalle donne per il 13 febbraio prossimo. Invitiamo tutti a promuovere iniziative in tutti i capoluoghi di provincia ed in tutti i comuni davanti alle prefetture e alle sedi istituzionali.
Invitiamo tutti a mettere alle proprie finestre le bandiere della pace o lenzuoli bianchi, in segno di lutto e di pericolo per la democrazia del nostro paese, che certo non ci è stata regalata ma che è il frutto della lotta di liberazione dalla occupazione nazista e fascista del nostro paese durante la Seconda Guerra Mondiale.
Che la mobilitazione sia massima. Non è più tempo di scherzare o di buttare la cosa in satira.
Qui è a rischio la nostra libertà ed il nostro futuro.
Giovanni Sarubbi
* Il Dialogo, Giovedì 03 Febbraio,2011 Ore: 15:35
Sul tema, nel sito, si cfr.:
ABBIANO PERMESSO UN PARTITO
CON IL NOME DI "FORZA ITALIA" PRIMA,
E CON IL "POPOLO DELLA LIBERTA’" POI,
SIGNIFICA CHE E’ GIA MORTO!!!
Nel suo nuovo lavoro, Michele Ciliberto analizza le ragioni profonde dell’«anomalia Italia»
Il problema non è solo Berlusconi: sono troppe le comprimissioni della nostra classe dirigente
Per capire la «democrazia dispotica» italiana ci vuole più Gramsci e meno Tocqueville
È in libreria «La democrazia dispotica» di Michele Cilberto (pp. 195, euro 18, editore Laterza): dice lo studioso che quello italiano è un «regime» democratico alla sua massima espressione..
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di Nicola Tranfaglia (l’Unità, 09.02.2011)
Tra i molti libri che gli editori stanno inviando finalmente in libreria ora che l’egemonia berlusconiana è entrata in grave crisi, l’inchiesta di Milano incalza e a fine febbraio o poco tempo dopo, il presidente del Consiglio sarà costretto, con molta probabilità, a comparire di fronte ai suoi giudici ordinari (visto che il legittimo impedimento è in gran parte crollato e lui, almeno formalmente, è tornato ad essere cittadino italiano agli effetti giudiziari), anche l’editore Laterza è ora presente con La democrazia dispotica di Michele Cilberto (pp. 195, euro 18, collana I Sagittari) che è tra i migliori studiosi di Giordano Bruno a livello internazionale e insegna Storia della filosofia moderna e contemporanea alla Normale di Pisa.
Il libro di Ciliberto merita molto interesse anche per chi non è del tutto d’accordo con le categorie adottate dall’autore, specialista, peraltro, di altri secoli e non dell’età contemporanea con cui oggi abbiamo a che fare. Secondo Ciliberto, il regime con cui abbiamo oggi a che fare è un regime democratico nella sua massima espressione, come Tocqueville prefigurava come degenerazione (già nel Settecento, nel suo capolavoro, La democrazia in America), perché sono presenti, nello stesso tempo, un grande apparato burocratico proprio dello Stato contemporaneo e il potere carismatico di Silvio Berlusconi che ha creato un partito a sua immagine e somiglianza e lo governa con criteri che violano ogni giorno i principi della costituzione repubblicana fissati nella prima parte del testo. Quest’affermazione si può sottoscrivere interamente, ma mi chiedo due cose da contemporaneista quale sono da quasi mezzo secolo: tutti i regimi democratici europei sono arrivati alla democrazia dispotica come quella italiana? O invece la Francia, la Germania, la Gran Bretagna e gli Usa hanno ancora regimi democratici e non dispotici?
È un interrogativo centrale sul piano storico perché l’anomalia Italia deriva non solo dalle qualità negative di Berlusconi (sulle quali siamo d’accordo) ma sull’incapacità complessiva che le classi dirigenti soprattutto di centro-destra dominanti hanno avuto nella crisi del 1943-46 di rinnovare lo Stato italiano, sulle caratteristiche indicate proprio da Gramsci che parla di ricorrente sovversivismo delle classi dirigenti, sulla crisi della repubblica sorta con la fine del centro-sinistra e l’assassinio di Aldo Moro e precipitata all’inizio degli anni novanta.
Ciliberto, uno dei nostri migliori studiosi dell’età moderna, fa molto bene a utilizzare tutti i classici della politica europea e americana, da Tocqueville a Marx, a Max Weber e, in piccola parte, anche Gramsci che, a mio avviso, per essere stato un grande storico dell’Italia moderna e contemporanea, avrebbe potuto essere citato e usato meglio di quanto avviene nel libro (ma la giustificazione implicita è che, a settant’anni dalla nascita della repubblica, nessuno storico, e tanto meno quelli che sono stati comunisti, hanno scritto ancora il libro, sempre più necessario e opportuno, sulla interpretazione che Gramsci ha dato della nostra storia).
La situazione italiana, come sappiamo, è drammatica e ha ragione chi afferma che Berlusconi sta declinando come pure la sua personale egemonia, ma che il berlusconismo resiste ancora e potrebbe continuare a dominare l’Italia, se le forze delle opposizioni non saranno in grado, al più presto, di fare un programma preciso e alternativo. Del resto i nostri amici europei ci dicono ogni giorno che siamo ancora nel baratro e non siamo neppure in grado di far precipitare la crisi in modo tale che il Capo dello stato sciolga le Camere e proceda subito alle elezioni, per evitare la rovina totale del settore intero della istruzione e superare la crisi economica che colpisce le classi medie e tutti quelli che hanno difficoltà ad arrivare alla quarta o alla terza settimana del mese. L’attuale situazione, questo è il punto, non è qualcosa che si esprime improvvisamente con l’ascesa di Berlusconi ma piuttosto la sua ascesa è dovuta a ragioni storiche di breve e lunga durata.
Allora o si riscrive la storia d’Italia, sottolineando questi aspetti e i frequenti compromessi delle classi dirigenti italiane di ogni colore verso le associazioni mafiose, i vertici del Vaticano e altre istituzioni dell’Italia più arretrata e non democratica, o si dà un’immagine del nostro paese che non può reggere al confronto internazionale, oggi necessario. Abbiamo bisogno, perciò, di discutere le categorie di metodo, usare più Gramsci e meno Tocqueville, ed elaborare una visione storicamente valida dell’odierno populismo mediatico-autoritario. L’Italia, a mio avviso, non è mai arrivata a una democrazia compiuta e ne paga ancora le conseguenze.
Il Paese Bordello
di Maurizio Viroli (il Fatto Quotidiano, 8 febbraio 2011)
‘Bordello State’ e ‘Whoreocracy’, che tradurrei con ‘il governo delle puttane’, sono probabilmente le due espressioni che meglio di altre caratterizzano l’immagine dell’Italia negli Stati Uniti. La prima deriva da un articolo di James Walston, su Foreign Policy del 14 settembre 2010; la seconda da un commento a proposito di uno scritto di Alexander Stille sulla New York Review of Books dell’ 8 aprile 2010, dal titolo ‘The Corrupt Reign of Emperor Silvio’. Pochi giorni or sono, la parola ‘bordello’ capeggiava in un articolo del New York Times. Questa volta, però erano dei manifestanti che reggevano un cartello con la scritta, ‘L’Italia non è un bordello’.
SIAMO DUNQUE riusciti a conquistarci presso l’opinione pubblica americana il poco invidiabile titolo di ‘stato bordello’ o ‘stato in cui governano le puttane’. Gli opinionisti diranno che la colpa è degli oppositori di Berlusconi che diffondono a piene mani stereotipi anti-italiani. La verità è che sono gli altri ad attribuirci immagini poco edificanti anche perché hanno occhi per vedere, e sanno ancora ragionare, un’arte ormai estinta in Italia. Gli stessi commentatori, va detto, riconoscevano i nostri pregi, all’epoca di Tangentopoli, quando pareva che l’Italia si fosse avviata su una strada di riscatto civile.
Si potrebbe concludere che gli aspetti della realtà italiana che maggiormente colpiscono l’opinione pubblica americana, o che i giornali trasmettono, sono lo scandalo politico a sfondo sessuale e l’uso disinvolto del potere, con forme di vera e propria buffoneria. Siamo insomma, come altre volte in passato, ridicoli e malati di maschilismo, oltre alla ormai consolidata immagine di una democrazia viziata da una diffusa e tollerata corruzione politica.
Agli occhi degli americani Berlusconi merita di essere deriso e disprezzato perché è un uomo di cui dei cittadini maturi non dovrebbero fidarsi in quanto non rispetta i requisiti minimi dell’integrità personale, a cominciare dall’essere leale, dal sapersi controllare, dal senso di responsabilità. Per gli americani il potere politico non è proprietà di chi governa, ma appartiene ai cittadini che lo affidano a dei rappresentanti, per un tempo limitato e sotto precisi controlli, affinché lo usino per il bene pubblico. Proprio perché è un potere importante non lo si può delegare a persone che si rendono ricattabili, che mentono, e che sono dominate da un sentimento di onnipotenza. Per loro dare il potere di governare a un politico che si comporta come il primo ministro italiano sarebbe come consegnare i sudati risparmi a un noto truffatore.
La domanda che l’opinione pubblica americana si pone a proposito dell’Italia non è tanto ‘che cosa succede?’, ma ‘come avete fatto a ridurvi così?’. Non sono tanto interessati ai fatti della cronaca politica ma a capire come e perché una nazione come l’Italia abbia permesso l’ascesa al potere di Silvio Berlusconi e tolleri senza troppi sussulti i suoi metodi.
Quello che davvero non riescono a spiegarsi è come mai gli italiani, che pur vivono in democrazia da più di sessant’anni, non abbiano capito il principio fondamentale del liberalismo, quello che insegna a temere il potere illimitato, chiunque lo detenga. Più che moralisti sono saggi. Non capiscono come e perché gli scaltrissimi italiani si lascino governare da un uomo che possiede un impero mediatico e una ricchezza sterminata. I più benevoli cercano di consolarci dicendo: ‘Anche da noi il denaro condiziona la politica’. Ma si rendono subito conto che il loro più ricco politico non ha il potere di Berlusconi e che la democrazia americana ha difese molto più efficaci della nostra che sono da individuare, a mio giudizio, più nel costume che nelle istituzioni.
MOLTI commentatori, per citare un solo esempio, sottolineano che se in America il presidente della Repubblica ricevesse ‘escort’ alla Casa Bianca, e organizzasse a casa sua serate con prostitute, l’indignazione nell’opinione pubblica e nel Congresso sarebbe tale da costringerlo a immediate dimissioni. Per non parlare poi dell’effetto che avrebbero gli attacchi ai magistrati e soprattutto le reiterate accuse alla Corte costituzionale rea di interferire illegittimamente sulle decisioni delParlamento votato dal popolo.
Per questo la domanda che nelle ultime settimane più spesso si pongono è se davvero siamo arrivati alla fine dell’era berlusconiana. Ma gli osservatori più attenti, come Jason Horowitz sul Washington Post del 14 dicembre, rilevano che il consenso parlamentare è ancora forte e che l’opposizione è divisa e non ha un candidato che paia in grado di vincere. In caso di elezioni anticipate potrebbe trionfare di nuovo Berlusconi e avere aperta la via per la presidenza della Repubblica.
Eppure, nel modo in cui gli americani seguono le nostre vicende traspare una preoccupazione che non ho mai riscontrato in passato. Se considerassero Berlusconi soltanto un caso di buffoneria e corruzione non si allarmerebbero molto. Nel mondo non mancano certo esempi da questo punto di vista anche più eloquenti. Avvertono invece che un sistema come quello che Berlusconi ha costruito in Italia potrebbe trovare imitatori in altri paesi democratici. Sarebbe insomma il futuro, non un altro esempio del malcostume politico italiano.
SE NON ORA, QUANDO?
APPELLO ALLE DONNE ITALIANE A PARTECIPARE A UNA GIORNATA DI MOBILITAZIONE IL 13 FEBBRAIO *
In Italia la maggioranza delle donne lavora fuori o dentro casa, crea ricchezza, cerca un lavoro (e una su due non ci riesce), studia, si sacrifica per affermarsi nella professione che si e’ scelta, si prende cura delle relazioni affettive e familiari, occupandosi di figli, mariti, genitori anziani.
Tante sono impegnate nella vita pubblica, in tutti i partiti, nei sindacati, nelle imprese, nelle associazioni e nel volontariato allo scopo di rendere piu’ civile, piu’ ricca e accogliente la societa’ in cui vivono. Hanno considerazione e rispetto di se’, della liberta’ e della dignita’ femminile ottenute con il contributo di tante generazioni di donne che - va ricordato nel 150esimo dell’unita’ d’Italia - hanno costruito la nazione democratica.
Questa ricca e varia esperienza di vita e’ cancellata dalla ripetuta, indecente, ostentata rappresentazione delle donne come nudo oggetto di scambio sessuale, offerta da giornali, televisioni, pubblicita’. E cio’ non e’ piu’ tollerabile.
Una cultura diffusa propone alle giovani generazioni di raggiungere mete scintillanti e facili guadagni offrendo bellezza e intelligenza al potente di turno, disposto a sua volta a scambiarle con risorse e ruoli pubblici.
Questa mentalita’ e i comportamenti che ne derivano stanno inquinando la convivenza sociale e l’immagine in cui dovrebbe rispecchiarsi la coscienza civile, etica e religiosa della nazione. Cosi’, senza quasi rendercene conto, abbiamo superato la soglia della decenza.
Il modello di relazione tra donne e uomini, ostentato da una delle massime cariche dello Stato, incide profondamente negli stili di vita e nella cultura nazionale, legittimando comportamenti lesivi della dignita’ delle donne e delle istituzioni. Chi vuole continuare a tacere, sostenere, giustificare, ridurre a vicende private il presente stato di cose, lo faccia assumendosene la pesante responsabilita’, anche di fronte alla comunita’ internazionale.
Noi chiediamo a tutte le donne, senza alcuna distinzione, di difendere il valore della loro, della nostra dignita’ e diciamo agli uomini: se non ora, quando? e’ il tempo di dimostrare amicizia verso le donne.
L’appuntamento e’ per il 13 febbraio in ogni grande citta’ italiana.
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Prime firmatarie: Rosellina Archinto, Gae Aulenti, Silvia Avallone, Maria Bonafede, Suor Eugenia Bonetti, Giulia Bongiorno, Margherita Buy, Susanna Camusso, Licia Colo’, Cristina Comencini, Silvia Costa, Titti Di Salvo, Emma Fattorini, Tiziana Ferrario, Angela Finocchiaro, Inge Feltrinelli, Anna Finocchiaro, Donata Francescato, Rosetta Loy, Laura Morante, Claudia Mori, Michela Murgia, Flavia Nardelli, Valeria Parrella, Flavia Perina, Marinella Perrone, Amanda Sandrelli, Lunetta Savino, Clara Sereni, Gabriella Stramaccione, Patrizia Toja, Livia Turco, Lorella Zanardo, Natalia Aspesi, Letizia Battaglia, Associazione Dinuovo...
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Per adesioni e informazioni: e-mail: mobilitazione.nazionale.donne@gmail.com ; sito:
http://senonoraquando13febbraio2011.wordpress.com/
SE NON ORA QUANDO?
DOMENICA 13 FEBBRAIO, ORE 14,30 - PIAZZA CASTELLO.
Anche a Milano, come in molte altre città italiane, domenica 13 febbraio le donne scenderanno in piazza per rispondere all’appello nazionale “Se non ora quando?”, intorno al quale si stanno mobilitando in centinaia di migliaia in tutto il Paese.
A organizzare l’appuntamento milanese saremo ancora noi,le stesse promotrici della grande manifestazione di sabato 29 gennaio in Piazza della Scala, per dire con decisione che “Un’altra storia italiana è possibile”.
Dando continuità a quel primo momento di mobilitazione, ci ritroveremo alle 14,30 in Piazza Castello, ancora una volta con le sciarpe bianche,
Con noi in piazza ci saranno personalità del mondo della cultura, dello spettacolo e della società civile.
Per adesioni e informazioni: milano13febbraio@gmail.com
Strappi e mimose
di Ida Dominijanni (il manifesto, 05.02.2011)
Per quanto tecnica sia la formula, l’aggettivo «irricevibile» con cui Napolitano ha respinto al mittente e rinviato alle camere il decreto sul federalismo ha un suono ben più forte dello strappo procedurale cui si riferisce. Irricevibile è un governo che disprezza il parlamento e prescinde dal Quirinale, irricevibile è una maggioranza di nominati arroccata nel bunker del suo padrone, irricevibile è un capo di governo che usa sistematicamente la scena internazionale per denigrare «la Repubblica giudiziaria commissariata dalle procure», irricevibile è lo stesso capo di governo che su quella stessa scena difende, unico in Occidente, lo zio - anch’esso di sua nomina - della propria favorita, irricevibile è una prassi istituzionale fondata per metodo e sistema sullo scontro fra i poteri dello Stato. Se ne contano almeno nove al calor bianco, in tre anni, fra Palazzo Chigi e il Quirinale, su questioni di procedura e di merito. È un segno, e non l’ultimo, che la situazione è da tempo oltre il livello di guardia.
Perché allora, con le pinze, si tiene ancora? Perché in campo c’è una sola strategia riconoscibile, nei suoi tratti devastati e devastanti: quella di un raìs in pieno delirio di onnipotenza («sono l’unico soggetto universale a essere tanto attaccato», ha detto di sé ieri testualmente il premier) e deciso a resistere, resistere, resistere a tutti costi, nessuno escluso. Senza limiti, perché non ne conosce. Senza vergogna, perché non ne ha. Senza tema di smentite, perché la sua capacità di scambiare il vero col falso è segno non più di manipolazione bensì di negazione della realtà. Intorno a questa maschera, solo una corte di figuranti asserviti che finiscono col restituirle lo scettro anche quando potrebbero sfilarglielo, alla Bossi o alla Maroni per capirci. Dall’altra parte, una strategia felpata, una ricerca di alleanze senza selezione e senza seduzione, una promessa di liberazione senza desiderio. Il risultato è una paralisi che si alimenta di una lacerazione al giorno, una rivelazione all’ora, uno scandalo al minuto, senza che la tela si strappi davvero e mentre chiunque non faccia parte dello zoccolo duro del raìs si chiede: com’è possibile?
È possibile, perché c’è un fantasma lì dietro la scena, che nessuno vuole davvero vedere. Berlusconi lo rimuove, i suoi avversari lo scansano in attesa della foto del peccato o della prova del reato, e tutti quanti pensano di parlare, ancora, di «politica» (federalismo, fisco e quant’altro), come se, per citare Gustavo Zagrebelsky, le notti di Arcore non fossero la notte della Repubblica. Lo sappiamo, i numeri in parlamento sono quelli che sono. Ma la democrazia parlamentare non esclude altre forme dell’azione politica, e non domanda nemmeno che si resti in parlamento a recitare una farsa. Una società stremata da vent’anni di berlusconismo merita qualcosa di più della promessa di una parodia del Cln. O di una raccolta di firme offerta l’8 marzo come un mazzo di mimose dal segretario del Pd «alle nostre donne». Non siamo di nessuno, non amiamo le mimose né tantomeno, per citare stavolta Luisa Muraro, chi conta di usarci come truppe ausiliarie di una politica inefficacace.
Opposizione, ultima fermata
di Furio Colombo (il Fatto. 06.02.2011)
Tutti si domandano, nel mondo, come possa l’Italia adattarsi a vivere con un primo ministro malato, un governo inerte, in cui sia il ministro degli Esteri sia quello della Giustizia fanno i galoppini elettorali, e una opposizione malleabile anziché antagonista.
La domanda è seria perché siamo al di la della buona reputazione del Paese. Siamo in una fase in cui i cittadini, i commentatori, i politici di altri Paesi si domandano se non ci sia qualcosa di malato non solo nel premier, il cui squilibrio mentale è segnalato, come avviene quasi ogni giorno, da solenni promesse di crescita del Paese seguite da violente invettive contro la magistratura eoffese gravi e gratuite al Capo dello Stato (per esempio il decreto con cui il Consiglio dei ministri approva d’urgenza il federalismo poche ore dopo che il Parlamento lo aveva respinto). Ma qualcosa di malato c’è anche nello schieramento eterogeneo della attuale, provvisoria maggioranza che ha deciso di sostenere Berlusconi non solo con il voto ma anche con un grande applauso. Il Primo ministro aveva appena fatto dire che era stato lui a ordinare alla polizia di Milano di rilasciare una prostituta minorenne e ladra e di affidarla alla consigliera regionale Minetti. Aveva fatto dire, sempre a sua difesa, di avere davvero saputo e creduto che la giovanissima ragazza in vendita fosse la nipote del presidente egiziano Mubarak, evidentemente ben consigliato dal suo Ministro degli Esteri.
Come è noto, la consigliera Minetti, ha subito affidato la minorenne nipote di Mubarak nelle mani di una prostituta brasiliana. Una volta ottenuta, anche con la partecipazione di alcuni deputati comprati all’ultimo istante, l’approvazione di una simile incredibile storia che screditerebbe chiunque, è scattato l’applauso della maggioranza berlusconiana dell’Aula, quasi una ovazione, segno che la storia folle non turba e non disturba centinaia di deputati, uomini e donne adulti, molti con figli della stessa età della prostituta comprata e venduta. Eppure bisognava sentire l’on. avv. Paniz celebrare a voce altissima, come nella parodia di una arringa giudiziaria da commedia all’italiana, il percorso seguito con scrupolo dallo statista Berlusconi, inseguito dai giudici “benché non ci sia stata denuncia”. E ha finto di non sapere, lui, principe del Foro, che alcuni reati di una certa gravità, come la frequentazione della prostituzione minorile sono perseguibili d’ufficio.
Parla di crescita e gli credono ancora
MA SE la immagine impressionante, e grave per la reputazione italiana, è lo scroscio di applausi che la maggioranza del Parlamento dedica alla prostituzione minorile praticata dal presidente del Consiglio e dai suoi amici di serate, non è meno grave e dannoso ciò che stava accadendo nello stesso giorno. Berlusconi aveva fatto all’improvviso sapere che d’ora in poi si sarebbe dedicato alla “crescita” del Paese. Crescita è una parola codice. Vuol dire occuparsi almeno un po’, almeno part-time, di governare l’Italia. Subito una buona parte dei media e, l’intera Confindustria, non hanno esitato a salutare l’evento come se ci fosse un piano, come se qualcosa fosse iniziato, come se ci fossero indicazioni tecniche, organizzative, politiche, del grande annuncio del governo. Una vera celebrazione, sia pure durata un giorno. Ma utile per svelare l’incredibile sottomissione che stravolge ancora tanta parte della opinione pubblica e dell’opinione politica, con cui in tanti si adattano prontamente al comportamento evidentemente squilibrato dell’uomo carico di ricchezza ma privo di soglia critica e di senso della realtà.
Ma il caso più difficile da spiegare è quello di una opposizione variabile e malleabile, che non c’e la fa a diventare e restare antagonista e ad assumersi la responsabilità di rappresentare i cittadini che davvero vogliono cambiare il Paese e non sopportano più a lungo l’umiliazione di essere governati da una persona con seri disturbi della personalità e una immensa forza finanziaria che gli consente di comprare consenso, assenso, distrazione e - quando serve in luogo del servaggio-intimidazione e sottomissione spontanea.
Il problema torna a replicarsi in questi giorni quando voci autorevoli del fronte della opposizione tornano a dire che è importante, anzi essenziale “abbandonare l’antiberlusconismo” (una versione alternativa è “superare il berlusconismo”). L’operazione funziona in due modi, ovvero produce due gravi conseguenze, capaci di bloccare ogni vera possibile opposizione. La prima è di negare, insieme con la propaganda di Berlusconi, che vi sia qualcosa di anomalo, di radicalmente malato o in Berlusconi (il personaggio, il suo mega conflitto di interesse, la sua salute mentale, il suo evidente te e brutale percorso contro la Costituzione) o nella poderosa e quasi del tutto illegale macchina politica messa in moto dalla potenza economica e dalla visione distorta del leader anormale di cui stiamo parlando . Negando la eccezionalità legale, mentale, morale, distruttiva e antiistituzionale di Berlusconi vuol dire privarsi di tutti gli strumenti più importanti della realtà che si è abbattuta sull’Italia e ne ha deviato la storia, fisiologia, patologia, carattere ed errori. Tutto è diverso,qualunque sia il giudizio del passato. E niente può essere fatto con una normale politica di opposizione, perché, buono o cattivo, niente qui, adesso, è normale, a cominciare dalle condizioni psichiche dell’uomo che governa.
Più grave del fascismo
ANZI non governa, non ha governato mai. Una ragione in più per non collaborare mai. Infatti Berlusconi non governa, occupa. Il dramma del Paese è il più grave dai tempi del fascismo. É più grave, infatti, a causa della falsificazione di tutti i percorsi, dell’uso privo di ritegno della parola “democrazia” ogni volta che si cerca il plebiscito e si ottiene la sottomissione. E nella riuscita operazione di eliminare - tra voto e leader e dunque tra popolo e adorazione del capo - ogni regola parlamentare e istituzionale.
Non dimentichiamo che ciò che si verifica oggi, in queste ore, un violento e calcolato scontro istituzionale fondato su una presunzione di cedimento del presidente della Repubblica, sta avvenendo in solitario tra il Capo dello Stato, da un lato, e tutta la forza politica, tutta la forza mediatica, tutta la forza finanziaria del capo del Governo che rende ancora possibile quasi ogni nuovo acquisto. Si dovrebbe chiudere qui, con una dichiarazione di separazione irreversibile - nelle Commissioni e nell’aula delParlamento- con questa situazione malata e illegale, che ha cominciato a girare intorno a modalità burocratiche e pregolpiste di piena violazione della Costituzione. Tale separazione, che dovrà essere irreversibile, dovrà escludere ogni forma di disciplinato assenso all’agenda sempre più folle, sempre più lontana dalla legalità dell’attuale governo. È (sarebbe) il solo modo di rendere chiara e pubblica quella campagna di liberazione che ormai viene invocata da molta parte del Paese e che dovrebbe realizzarsi con la proposta di alleanza fra tutte le opposizioni.
Le condizioni che a suo tempo hanno reso necessario, nella storia italiana, il CNL, adesso ci sono tutte. Il “buon lavoro” per migliorare nelle loro leggi ciò che si può migliorare, è futile e pericoloso, anzi è complicità, prolungamento della vita di un simile modo di governare, e materiale offerto spontaneamente per la loro campagna elettorale, che ci sarà comunque fra poco.
La sordità di tutto ciò che avrebbe dovuto essere opposizione è durata a lungo (diciassette anni di dominio quasi ininterrotto della egemonia berlusconiana). É bene, ma è anche necessario, urgente, che si interrompa subito. Se si hanno dubbi sulle ragioni politiche (e mi sembra impossibile) si tenga conto delle condizioni mentali di Berlusconi, che ormai sono un dato acquisito nel giudizio del mondo sull’Italia.
Il diritto di sognare un’Italia pulita
di Roberto Saviano (la Repubblica, 5 febbraio 2011)
L’Italia oggi non è un paese libero. Sia chiaro: non sto dicendo che la situazione italiana sia in qualche modo comparabile con i totalitarismi del passato. Niente a che vedere con fascismo o comunismo, è ovvio. Ma ciò non ci deve impedire di dire che oggi chiunque attacchi il governo sa che subirà un’intimidazione, una forma di ritorsione.
Sa che potrebbe essere colpito, lui, o i suoi cari, da una qualche velina infamante che cercherà di sporcarlo davanti all’opinione pubblica. La libertà non può esistere solo come costruzione astratta o peggio come principio. "La libertà politica - scriveva Salvemini - è sostanzialmente il diritto del cittadino di dissentire dal partito al potere. Da questo diritto di opporsi al potere nascono tutti gli altri diritti". In Italia, certo, si può dissentire: ci mancherebbe altro. Ma a che prezzo? Al prezzo di essere pronti a sottoporsi ai veleni della macchina del fango. Lo abbiamo visto in passato con Boffo, con Fini, con il giudice Mesiano, ora con Ilda Boccassini. Lo vedremo ancora.
Parlo da trentenne. L’odio che senti vicino quando ti poni contro certi poteri mi ha stupito. Guicciardini aveva ragione quando definiva l’Italia un paese di contrade. Temo che se queste contrade non saranno dismesse non potremo andar lontano. Sembriamo condannati a dividerci su ogni cosa. Ci si può essere antipatici, ma in questo momento non c’è spazio per sottolineare le differenze, per misurare chi è più critico e chi è più puro, chi ha la corona del miglior antagonista o dell’Italia migliore. Questo è il momento non dico dell’unità, ma almeno delle affinità. La purezza non serve più. Ricordo quel che diceva Don Milani: "A cosa sarà servito avere le mani pulite se le abbiamo tenute in tasca?". Sporcarsi le mani non ha nelle parole del parroco della scuola di Barbiana nessun significato di corruzione, è ovvio: vuol dire la necessità di fare, anche sbagliando, di realizzare cose che possano essere difficili, ma utili. Unirsi nelle diversità è cosa complicata ma ormai imperativa. Certi che da questa unità verrà del bene per tutti.
Monicelli poco prima di morire auspicava una rivoluzione. Oggi la parola rivoluzione in me non evoca banchetti di sangue né vendette, né palazzi d’inverno né Moncada. Ancor meno fucilazioni e "uomini nuovi". E’ invece la parola che mi fa tornare alla mente la lezione di Piero Gobetti: oggi ho la sensazione che sia rivoluzionario non considerare gli elettori di un’area avversa come perduti. Che sia rivoluzionario sentirci tutti partecipi di uno stesso paese ed un unico destino. O si riparte da questo o non saprei proprio il motivo di impegnarci, intervenire, "sporcarsi le mani".
Sento di poter scrivere queste parole proprio perché vengo da una terra dove la legalità significa vita e libertà in maniera forse più chiara che qui a Milano. E perché non appartengo alla generazione che ha creduto nel socialismo reale. Non ho amato i rivoluzionari tramutati in dittatori. Non ho creduto in sogni di società perfette divenuti inferni in terra. Appartengo alla generazione che ha visto i caduti della sua resistenza morire per costruire un paese dove le opportunità, il talento, il diritto, fossero cose reali. Gianni Falcone, Rocco Chinnici, Rosario Livatino, Carlo Alberto Dalla Chiesa. non muoiono mentre stanno portando avanti la loro professione di magistrati a difesa del diritto e perseguendo i reati. Almeno, non solo per questo. Fanno molto di più.
Così come Giancarlo Siani, Pippo Fava, De Mauro non muoiono perché inciampano in verità indicibili. Ma perché scrivendo rendono pubbliche le verità che conoscono: e molti uomini e donne che hanno verità possono trasformare lo stato di cose. Per questo vengono condannati a morte. Per la loro parola.
In questa battaglia la mia generazione è cresciuta. In un Paese dove lo Stato non era un monolite tutto corrotto o tutto rivolto al bene. Ma dove una parte di Stato corrotto era affrontato quotidianamente dall’altra parte dello Stato. Vivere costruendo le possibilità di essere felici è una necessità dell’uomo, l’unica alternativa ad una rassegnata, cupa disperazione: un sogno che non può non farti combattere con tutto te stesso contro l’impossibilità di far affermare il merito, l’impegno, il talento. L’ingiustizia è di questo mondo. Ma sono di questo mondo anche gli strumenti per affrontarla. In questa fase in Italia non sembra possibile. Il governo e l’area culturale che lo sostiene non si difende mai dalle accuse - così evidenti, così manifeste - dicendo: non si fanno certe cose.
Ma sostenendo l’autoassolutoria tesi del "così fan tutti". L’accusa maggiore a chi chiede un paese diverso è l’accusa di essere un ipocrita: "Berlusconi fa quel che tutti fanno o vorrebbero fare". Non è vero, non è così, dobbiamo ribellarci al ritratto di un Paese piegato e corrotto, accomunato in una specie di complicità collettiva. C’è un’Italia che ha il diritto e il dovere di venire alla luce e di prendere voce: un’Italia che crede nelle regole, nella legalità, che crede che non sia normale avere un premier che, preda di una senile ossessione sessuale, paga le minorenni, mente allo Stato per proteggerle e sfugge ai magistrati.
Albert Camus diceva che la sofferenza, come la morte, non si può sconfiggere: ma che il nostro dovere è di riparare nella creazione tutto ciò che può essere riparato. Io in questo credo: nella possibilità di ridurre aritmeticamente il dolore. Forse un mondo migliore non esiste, ma credo nella possibilità di migliorare il mondo. Per questo sento che è il tempo per tornare a sognare.
Non sembri scontato e retorico e anche se lo fosse ben venga. Ma sognare un paese diverso non può che essere il carburante vivo e persino divertente del tentativo di cambiare le cose. Di cercare una felicità possibile. Una felicità semplice, fatta di un lavoro dignitoso, della possibilità dell’individuo di provare quanto vale. Di ricevere quanto merita. Non è il sogno di un paradiso inesistente ma di un luogo un po’ diverso, dove l’ingiustizia, il favore, la raccomandazione del potente di turno per ottenere un lavoro o addirittura un posto in consiglio regionale o in parlamento, non esistano più. I valori che ci fanno in questo momento stare insieme sono sepolti con l’urgenza di identificare ciò che non siamo ciò che non vogliamo. Ora è il tempo di dire anche ciò che siamo e ciò che vogliamo.
Berlusconi dimissioni
Contagio democratico! *
In un cortile di Roma è apparso un lenzuolo bianco con la scritta “Dimissioni”. Un lettore ce la manda ponendoci l’interrogativo: una cosa buona può diventare contagiosa?
Giriamo la domanda a tutti gli amici di MicroMega con la speranza che il contagio del lenzuolo bianco cominci al più presto e accompagni da qui al 13 febbraio la preparazione della manifestazione delle donne che si svolgerà in tutte le città d’Italia.
Se avete notizie del contagio mandateci le foto.
* la Repubblicca, 4 febbraio 2011 (ripresa parziale, clicca su: http://temi.repubblica.it/micromega-online/contagio-democratico/)
L’ITALIA, LA FORZA DI UN MARCHIO REGISTRATO!!!
di Marco Bracconi *
Dalla cena del premier coi responsabili apprendiamo che il nuovo nome del Pdl dovrebbe essere Forza Italia. *
Un salto mortale - all’indietro - di quasi vent’anni, con buona pace degli ex An che così accetterebbero nei fatti essere stati semplicemente “annessi” al partito berlusconiano.
E’ l’ultimo segnale di una strategia pensata a tavolino. Prima i videomessaggi, esattamente come allora. Poi la promessa fanfarona di dare la scossa all’economia, come furono un tempo il milione di posti di lavoro o il “meno tasse per tutti”. Infine, e così il cerchio si chiude, lo stesso nome uscito dal cilindro della discesa in campo.
Il nuovo predellino del premier, insomma, è provare a convincere gli italiani che dal 1994 ad oggi è passato solo un giorno. Con tanto di Apicella pronto a intonare un ruffiano “Scurdammocce ‘o passato”.
Il possente meccanismo della propaganda è in moto, e non si fermerà fino a quando l’Italia non tornerà al voto. Eppure basterebbe pensarci sopra un attimo, tra un Tg1 e l’altro, per capire che la fiction del ritorno al futuro è un clamoroso autogol. La prova plastica del fallimento del Cavaliere.
Ora, per correre ai ripari, bisogna cambiare tutto perché nulla cambi. Perfino darsi un nome nuovo, uguale identico a quello di prima.
* la Repubblica, 04.02.2011
http://bracconi.blogautore.repubblica.it/2011/02/04/forza-italia-secondo-tempo/
LA MOBILITAZIONE
"Il 5 e il 13 in piazza per difendere la dignità"
Nuovi appelli, anche dalla comunità scientifica *
Tantissime iniziative per chiedere di voltare pagina e fermare il degrado delle istituzioni. Mentre si moltiplicano le adesioni all’appuntamento di sabato di Libertà e Giustizia. Appelli per la giornata delle donne
Riunioni continue, incontri preparatori, gruppi e comitati che nascono di ora in ora. Micro-iniziative in tante parti del Paese. La mobilitazione contro Silvio Berlusconi prende forma. Il calendario della protesta diventa sempre più fitto. E la partecipazione coinvolge tanti settori della società civile. Spezzoni di dissenso. Cittadini uniti dalla semplicità del messaggio che porteranno in piazza: "Adesso basta". Le donne, la comunità scientifica, gli attivisti sul web, gli italiani all’estero. L’altra Italia. Per fermare il degrado causato dal premier alle istituzioni della Repubblica. E che si mette in gioco per cambiare pagina.
3 febbraio. Un presidio autoconvocato. Per mostrare, in piazza Montecitorio a Roma, l’indignazione degli italiani. L’appuntamento è nel primo pomeriggio. E coincide con la discussione, alla Camera, della richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti del presidente del Consiglio. Il gruppo promotore, gli Indignati, ha scritto una lettera da inviare ai parlamentari. Oggetto: "vi chiediamo di non essere complici". Vi si legge: "Onorevole, la sollecito a non rendersi complice dei reati di concussione e prostituzione a carico del premier. E Le chiedo quindi di votare a favore dell’autorizzazione a procedere".
4 febbraio. A Roma, presso la libreria Bibli, iniziativa delle donne dell’associazione Filomena. Si tratta di un incontro preparatorio in vista della manifestazione del 13 febbraio. Tema: il desiderio. Per Nicoletta Dentico, presidente dell’associazione, "il desiderio è punto di partenza irrinunciabile per costruire un’Italia capace di risposta per i giovani, gli uomini e le donne. Con l’indignazione, il desiderio è la molla della mobilitazione del 13 febbraio". Ne parleranno Elisa Manna del Censis, la giornalista Alessandra di Pietro e Katia Ippaso. A Napoli, raduno dei cattolici all’esterno del Duomo.
5 febbraio. E’ uno dei giorni centrali per tutta la mobilitazione. Ci si sposta a Milano, al Palasharp, dalle 15 e 30. Libertà e Giustizia darà vita a "Dimettiti. Per un Italia libera e giusta". Un incontro per dare forza ulteriore alle 100mila firme che LeG ha raccolto con l’appello "Dimissioni". Parole d’ordine: libertà, giustizia, democrazia, repubblica, uguaglianza, lavoro, Costituzione. Tante le presenze e gli interventi previsti. Da Roberto Saviano a Umberto Eco, da Gustavo Zagrebelsky a Paul Ginsborg. E nelle ultime ore è arrivata anche l’adesione del Presidente emerito della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro. Diretta su Repubblica.it e su Repubblica Tv.
6 febbraio. Tutti nella tana del Sultano. Ad Arcore. Per una manifestazione che parte dal basso, organizzata attraverso la rete. In cantiere una marcia del Popolo Viola, pacifica, per "pretendere le sue dimissioni". Sotto accusa l’immobilità del governo, l’assenza di politiche economiche e socili proprio nel bel mezzo della crisi. Non mancheranno provocazioni simboliche. Come il lancio di mutandine ideato dal gruppo Valigia Blu.
12 febbraio. Sarà la giornata più rumorosa. In decine di città italiani piccoli sit-in sotto prefetture e luoghi simbolo. Per partecipare basta essere muniti di qualsiasi cosa in grado di produrre un frastuono infernale. Fischietti, percussioni, pentole. C’è che sta mettendo in piedi concerti improvvisati e chiassosi. Situazionismo allo stato puro. Dietro la macchina organizzativa c’è la rete dei gruppi locali che fanno capo al Popolo Viola. Anche a Zurigo e in Svezia.
13 febbraio. E’ la giornata delle donne. Manifestazioni e cortei. Il più atteso è quello di Roma. Si parte dalla Terrazza del Pincio alle ore 14.00 per arrivare, intorno alle ore 15.00, a Piazza del Popolo dove ci sarà il palco. Interventi di Cristina Comencini, Francesca Izzo, Lunetta Savino. Tra le ultime adesioni: Dacia Maraini, Elena Gianini Belotti, Lia Levi. Lo slogan, che ha fatto il giro dei media e della rete, è "Se non ora quando". Una protesta a trazione femminile che, naturalmente, non lascia indifferenti gli uomini. In campo anche i partiti. Pd e Italia dei valori hanno invitato i propri militanti a partecipare. Intanto Santoro, Travaglio e Barbara Spinelli 1 hanno lanciato l’appello a far confluire la manifestazione di Milano all’esterno del Tribunale in quella promossa dalle donne.
E tra i tanti appelli, da segnalare quello lanciato da tanti esponenti della comunità scientifica italiana, "un grido di dolore e di vergogna che è nato spontaneo in molte persone che hanno a cuore la dignità personale e del nostro Paese". Ecco il testo dell’appello e le firme 2, tra le quali quella di Margherita Hack.
CONFINDUSTRIA
Marcegaglia: "Si celebri l’unità d’Italia ma senza perdere un giorno di lavoro"
Gli industriali, pur condividendo le ragioni della celebrazione, chiedono che non diventi occasione "per la perdita di preziose ore di lavoro" . "C’è il rischio ponte lungo" *
ROMA - Celebrare l’unità nazionale è sacrosanto, purché però questo non comporti la perdita di una giornata di lavoro, per di più collegata a un possibile ’ponte’, visto che la giornata scelta dal governo, il 17 marzo, cade di giovedì. A chiederlo è il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, che assicura comunque che da parte degli imprenditori ci sarà tutto l’impegno "a fare la loro parte a fianco delle istituzioni pubbliche, organizzando momenti di ricordo e di aggregazione attorno alla bandiera nazionale nei luoghi di lavoro".
"Confindustria rispetta e condivide la decisione del governo di celebrare, il prossimo 17 marzo, la ricorrenza della proclamazione dell’Unità d’Italia. Si tratta di una data importante che va vissuta con autentica partecipazione, come momento di orgoglio e di unità nazionale. - si legge nel comunicato di Confindustria - Chiediamo al tempo stesso che si tenga conto delle esigenze di un’economia che sta facendo e sempre più deve fare ogni possibile sforzo per recuperare competitività. Una nuova festività - per di più collocata in una giornata, il giovedì, che si presta ad essere utilizzata per un "ponte lungo" sino al fine settimana - comporta perdite elevate in termini di minore produzione e maggiori costi per le imprese. Darebbe un segnale fortemente dissonante rispetto alle azioni che, faticosamente, le parti sociali stanno mettendo in atto per recuperare ogni possibile margine di produttività, per poter fare nuovi investimenti e salvare posti di lavoro in Italia".
"Chiediamo dunque - conclude il comunicato - che la giornata del 17 marzo venga celebrata come una ricorrenza importante, ma senza che ciò comporti la perdita di preziose ore di lavoro o un aggravio di costi per le imprese".
Confindustria con quest’iniziativa viene incontro alle lamentele di molte delle sue associate, a cominciare da Confindustria Ceramica, che in un comunicato ribadisce che i festeggiamenti del 17 marzo avrebbero un onere, se si trattasse di un giorno di vacanza per i lavoratori, "pari a 2 milioni di euro per il solo settore dell’industria italiana delle piastrelle di ceramica".
* la Repubblica, 04 febbraio 2011