[...] Sandra Bonsanti, la presidente dell’associazione che dal 18 di gennaio ha raccolto 106 mila firme, dice: "Credo che esista un’Italia informata e una che non sa". Quel pezzo di Italia che ha aderito all’appello di Libertà e Giustizia ha chiesto di "fare dell’altro" e l’incontro di oggi è il risultato: treni speciali dal Sud e da Venezia, venti pullman dal nord e dal centro, cancelli aperti a partire dalle 13.30 anche se l’orario di inizio è fissato per le 15, adesione di nomi noti della società e della politica, dalle sorelle Bice e Carla Biagi a Susanna Camusso; da Dario Franceschini a Maurizio Landini; da Salvatore Veca a Oscar Luigi Scalfaro [...]
LA PROTESTA
Oggi il raduno di Libertà e Giustizia
"Il premier vada via, l’Italia volti pagina"
A Milano previsto il Palasharp esaurito. Accreditate molte tv straniere per quella che è stata definita all’estero come "la prima grande manifestazione degli intellettuali contro Berlusconi"
di CINZIA SASSO *
MILANO - L’ultima telefonata è arrivata da Mosca: anche Ntv, 120 milioni di spettatori, la tv libera della Russia, sarà oggi pomeriggio al Palasharp di Milano, per registrare un servizio sulla manifestazione lanciata da Libertà e Giustizia e intitolata, come c’è scritto sulle magliette del centinaio di volontari, "Dimettiti. Per un’Italia libera e giusta". Sono così diventati 150 i giornalisti accreditati in quella che la stampa straniera ha già definito "la prima grande manifestazione degli intellettuali contro Berlusconi". Troupe, fotografi e giornalisti che arriveranno da tutto il mondo: dalla Cnn ad Al Jazeera; dalla Cnn Ucraina alla Russian State Tv, vicina a Putin, passando per tutte le principali testate europee, da El Paìs al Times.
Alle sei e mezza di sera, quando gli organizzatori hanno chiuso le iscrizioni, mancavano le richieste del Tg 1 e delle reti Mediaset, perché si vede che solo da quelle parti il pomeriggio con Umberto Eco, Roberto Saviano, Paul Ginsborg e Gustavo Zagrebelsky, riuniti insieme per dire basta al mondo parallelo di Silvio Berlusconi, non è un avvenimento che meriti attenzione. La previsione è che il Palasharp possa non bastare a contenere tutti. All’esterno saranno collocati maxischermi per coinvolgere anche chi dovesse restare fuori.
È proprio per questo che Sandra Bonsanti, la presidente dell’associazione che dal 18 di gennaio ha raccolto 106 mila firme, dice: "Credo che esista un’Italia informata e una che non sa". Quel pezzo di Italia che ha aderito all’appello di Libertà e Giustizia ha chiesto di "fare dell’altro" e l’incontro di oggi è il risultato: treni speciali dal Sud e da Venezia, venti pullman dal nord e dal centro, cancelli aperti a partire dalle 13.30 anche se l’orario di inizio è fissato per le 15, adesione di nomi noti della società e della politica, dalle sorelle Bice e Carla Biagi a Susanna Camusso; da Dario Franceschini a Maurizio Landini; da Salvatore Veca a Oscar Luigi Scalfaro.
Persone che hanno ruoli e posizioni diverse, ma che qui, oggi, si riconoscono nell’appello alle dimissioni rivolto al premier Silvio Berlusconi. Un appello che, come spiega il giurista Zagrebelsky, non ha bandiere, se non quella della dignità: "Perché siamo qui? Cosa abbiamo da dire, da chiedere? Niente e tutto. Niente per ciascuno di noi, tutto per tutti".
La giornata di protesta, nata come reazione alle bugie e alla realtà del Rubygate, arriva a una settimana dalla prima manifestazione pubblica contro Berlusconi: sabato scorso, sempre a Milano, piazza della Scala è stata invasa da donne e uomini che hanno risposto alla chiamata della Cgil insieme alle associazioni femminili, prima fra tutte Usciamo dal silenzio, che hanno scelto come simbolo una sciarpa bianca - che in alcune civiltà orientali è segno di lutto - e come slogan "Un’altra storia italiana è possibile".
Ed è già in moto l’organizzazione per l’appuntamento di domenica 13 febbraio, quando di nuovo donne e uomini torneranno a scendere in tutte le piazze d’Italia. Altre firme si sono aggiunte a quell’appello intitolato "Se non ora, quando?": quella di Dario Fo, Franca Rame, Lidia Ravera, Patrizia Carrano, Sabina Guzzanti.
La manifestazione di oggi del Palasharp (che si raggiunge con la linea 1 della metropolitana, fermata Lampugnano, direzione Rho Fiera) sarà seguita in diretta sul sito di Repubblica. it e sul canale del digitale terrestre di Repubblica (canale 5).
* la Repubblica, 05 febbraio 2011
IN ITALIA L’UNICO LEGITTIMO PRESIDENTE DEGNO DI GRIDARE "FORZA ITALIA" E’ IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA. Chi lo ha fatto e continua a farlo "ISTITUZIONALMENTE" è solo un mentitore e un golpista!!!
Sul tema, nel sito, si cfr.:
Saviano, Eco e gli altri: l’ultima sfida
contro Berlusconi riempie i palazzetti
In 10.000 alla manifestazione
per chiedere un nuovo premier
Lo scrittore accolto da rockstar *
MILANO Un appello che sanno cadrà inascoltato, ma non vogliono rinunciare al lusso di lanciarlo. Circa diecimila persone hanno affollato il Palasharp di Milano - novemila all’interno, centinaia fuori dai cancelli - per ascoltare il grido di protesta di Roberto Saviano, Umberto Eco, Susanna Camusso e tanti altri, tra politici e intellettuali, scesi in campo per chiedere le «dimissioni» di Silvio Berlusconi, dopo l’inchiesta della Procura di Milano sul caso Ruby e le cene ad Arcore. Lo scrittore campano - applaudito come una star, con due standing ovation - ha parlato di «democrazia in ostaggio», la Camusso ha sostenuto che il premier deve lasciare Palazzo Chigi perchè «ha diviso il Paese» ed Eco ha parlato di un Berlusconi vittima di «eccesso di schizofrenia».
Al coro di «Dimettiti. Per un un’Italia libera e giusta», ha replicato in serata il capo del governo. «Non bisogna prenderli sul serio», ha minimizzato. «Ormai gli italiani li hanno capiti - ha aggiunto - Noi adesso siamo nella possibilità di cambiare la situazione, le cose nella giustizia italiana. E gli italiani lo sanno». Mentre, nel pomeriggio, era arrivata una durissima replica del portavoce del Pdl, Daniele Capezzone: «Stanno al Palasharp, ma viene il dubbio che possa sognare una una nuova piazzale Loreto».
Alla manifestazione, organizzata da ’Libertà e Giustizia, oltre ai leader del Movimento, Sandra Bonsanti (che ha parlato di «regime») e Gustavo Zagrebelsky, hanno aderito il capogruppo del Pd alla Camera, Dario Franceschini, Nando Dalla Chiesa, Giuliano Pisapia, Carlo De Benedetti, Gad Lerner, Salvatore Veca, Moni Ovadia, Lella Costa, Milva, le figlie di Enzo Biagi, Concita De Gregorio. Oscar Luigi Scalfaro ha inviato un video messaggio in cui ha sostenuto che Berlusconi ha il «dovere di rispondere» ai pm e invitato i manifestanti a «non arrendersi». Applauditissimo anche Saviano che ha parlato del dramma del voto di scambio e di come questo fenomeno tenga «in ostaggio la nostra democrazia».
Lo scrittore campano è poi tornato a parlare della «macchina del fango» che ha colpito chiunque abbia criticato il governo nei mesi scorsi. E non ha risparmiato critiche alle opposizioni. «Quello che ci manca è un progetto nuovo», ha sostenuto, invocando «unità» e stigmatizzando «l’aberrazione del frammento».«Rischiamo - ha avvertito - che i valori che ci fanno stare insieme siano sepolti dall’urgenza di identificare ciò che non siamo, non vogliamo: forse è giunto il tempo per pensare a ciò che siamo e vogliamo».
La prima donna a guidare la Cgil ha incentrato il suo intervento sulla condizione femminile in Italia. «Questo è un Paese che con la sessualità ha un serio problema», ha detto, dopo aver sostenuto che, nella vicenda Ruby, è stato «più facile parlare di velinismo che non della ricattabilità del premier». Parole dure anche nei confronti dell’operato del governo. «Sono due anni e oltre che il tratto costante è stato dividere le persone, i lavoratori, i cittadini italiani dagli stranieri, uomini e donne, studenti e istituzioni».
Al vetriolo anche l’intervento di Eco. «Siamo venuti qui a difendere l’onore dell’Italia», ha affermato, «per ricordare al mondo che non tutti gli italiani farebbero lo stesso, che non tutti i padri dicono alle figlie «dai, che ci guadagniamo qualcosa», non saremo molti, ma sotto il fascismo tutti i professori universitari furono obbligati a prestare giuramento tranne undici che non lo fecero e che persero il posto ma salvarono l’onore dell’università». Risata generale per la battuta con cui ha firmato l’incipit dell’intervento. «Per quanto noi gridassimo, gridiamo o grideremo, Berlusconi le dimissioni non le dà, noi credevamo che il nostro presidente del Consiglio avesse con Mubarak in comune una nipote, e, invece, ha anche il vizietto di non voler dimissionare».
* La Stamèa, 06/02/2011
«Berlusconi dimettiti!»: già pieno il Palasharp *
Migliaia di persone sono già arrivate al Palasharp di Milano per prendere parte alla manifestazione ’Dimettiti per un’Italia libera e giusta’, organizzata dal movimento Libertà & Giustizia, per chiedere un passo indietro al Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, dopo lo scandalo del ’Ruby gate’.
Poco dopo l’apertura dei cancelli, alle 13:30, la struttura che accoglie circa 9mila persone è già quasi piena. Alla manifestazione, il cui inizio ufficiale è previsto per le 15, sono previsti interventi di Roberto Saviano, Gustavo Zagrebelsky, Concita De Gregorio, Paul Ginsborg e Umberto Eco.
Hanno confermato la loro partecipazione anche il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, il capogruppo del Pd alla Camera, Dario Franceschini, il Presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, il giornalista Gad Lerner, Nando Dalla Chiesa, Salvatore Veca, oltre ad artisti come Moni Ovadia, Irene Grandi e Milva.
È previsto un intervento-video di Oscar Luigi Scalfaro. Davanti ai cancelli alcuni cartelli che propongono una variazione all’inno di Forza Italia ’meno male che Silvio c’è’ trasformata in ’meno male che Napolitano c’è’ o ’meno male che la Costituzione c’è’.
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Oggi tutti a Milano affinché si levi ancora più forte la voce delle italiane e degli italiani che vogliono rispedire a casa un premier scandaloso, impresentabile e pericoloso per la nostra democrazia che ha già minato. Per ribadire che non ne possiamo più: sono in la giustizia, la libertà stessa. Non basta dirlo tra amici, sussurrare il disagio. Occorre la presenza pubblica, in pubblico.
L’appuntamento è alle 15 al Palasharp di Lampugnano (ingresso alle 13.30 via Sant’Elia 33) nella zona nord-occidentale del capoluogo lombardo e ha un titolo esplicito: “Dimettiti per un’Italia libera e giusta”. L’ha organizzato Libertà e Giustizia raccogliendo un bisogno urgente e diffuso in strati sempre più vasti della popolazione dal nord al sud, dal centro alle isole.
I promotori nel loro sito web annotano che la giornata “raccoglie la domanda di mobilitazione che arriva dai commenti all’appello Resignation-Dimissioni lanciato con le firme di Gustavo Zagrebelsky, Paul Ginsborg e Sandra Bonsanti il 18 gennaio scorso”. Un appello rimbalzato sul web, tra i blogger, fuori d’Italia. D’altronde l’appuntamento è firmato dalla società civile e coinvolge un robusto parterre di testimoni che si spendono personalmente nella battaglia per un’Italia più viva, con un futuro, per sfuggire al berlusconismo e ai tentacoli di un potere sempre più vischioso e famelico di soldi e di un sesso tristemente consumato tramite a promesse di comparsate in tv, euro e “regalini” a ragazze usate come zerbini.
Alla manifestazione partecipano il direttore de l’Unità Concita De Gregorio, Roberto Saviano, Umberto Eco, Susanna Camusso, Lorella Zanardo, Nando dalla Chiesa, Franceschini, Beppino Englaro, poi Moni Ovadia, Irene Grandi e Maurizio Pollini per ricordare come lo spettacolo non si rintani. L’appuntamento ha già raccolto migliaia e migliaia di adesioni on line, sul sito www.libertaegiustizia.it ed elegge a simbolo alcune parole chiave - perché le parole sono importanti, come esclamava Nanni Moretti: “repubblica, uguaglianza, lavoro” e, scritta bella grande, “COSTITUZIONE”. Anni fa potevano sembrare scontate e retoriche, invece oggi risuonano urgenti, indispensabili. Oggi, ricorda Libertà e giustizia, bisogna partecipare per salvare questi valori fondanti. D’altronde la Storia si muove e sempre più cittadini vogliono incontrarsi intorno a questi valori sapendo di non essere soli nonostante le tv berlusconiane si affannino a dire il contrario.
Il sito www.libertaegiustizia (tel. 02 4549 1066 begin_of_the_skype_highlighting 02 4549 1066 end_of_the_skype_highlighting) fornisce le informazioni pratiche. Nel caso non abbiate internet sotto mano: con la metropolitana, prendete la linea rossa MM1 direzione Rho Fiera, scendete alla fermata Lampugnano; in auto, dalla Tangenziale est-ovest prendete l’uscita viale Certosa, siete a Lampugnano, preparate monete per il parcheggio al multipiano Atm di fronte al Palasharp.
* L’Unità, 5 febbraio 2011
Il diritto di sognare un’Italia pulita
di Roberto Saviano (la Repubblica, 5 febbraio 2011)
L’Italia oggi non è un paese libero. Sia chiaro: non sto dicendo che la situazione italiana sia in qualche modo comparabile con i totalitarismi del passato. Niente a che vedere con fascismo o comunismo, è ovvio. Ma ciò non ci deve impedire di dire che oggi chiunque attacchi il governo sa che subirà un’intimidazione, una forma di ritorsione.
Sa che potrebbe essere colpito, lui, o i suoi cari, da una qualche velina infamante che cercherà di sporcarlo davanti all’opinione pubblica. La libertà non può esistere solo come costruzione astratta o peggio come principio. "La libertà politica - scriveva Salvemini - è sostanzialmente il diritto del cittadino di dissentire dal partito al potere. Da questo diritto di opporsi al potere nascono tutti gli altri diritti". In Italia, certo, si può dissentire: ci mancherebbe altro. Ma a che prezzo? Al prezzo di essere pronti a sottoporsi ai veleni della macchina del fango. Lo abbiamo visto in passato con Boffo, con Fini, con il giudice Mesiano, ora con Ilda Boccassini. Lo vedremo ancora.
Parlo da trentenne. L’odio che senti vicino quando ti poni contro certi poteri mi ha stupito. Guicciardini aveva ragione quando definiva l’Italia un paese di contrade. Temo che se queste contrade non saranno dismesse non potremo andar lontano. Sembriamo condannati a dividerci su ogni cosa. Ci si può essere antipatici, ma in questo momento non c’è spazio per sottolineare le differenze, per misurare chi è più critico e chi è più puro, chi ha la corona del miglior antagonista o dell’Italia migliore. Questo è il momento non dico dell’unità, ma almeno delle affinità. La purezza non serve più. Ricordo quel che diceva Don Milani: "A cosa sarà servito avere le mani pulite se le abbiamo tenute in tasca?". Sporcarsi le mani non ha nelle parole del parroco della scuola di Barbiana nessun significato di corruzione, è ovvio: vuol dire la necessità di fare, anche sbagliando, di realizzare cose che possano essere difficili, ma utili. Unirsi nelle diversità è cosa complicata ma ormai imperativa. Certi che da questa unità verrà del bene per tutti.
Monicelli poco prima di morire auspicava una rivoluzione. Oggi la parola rivoluzione in me non evoca banchetti di sangue né vendette, né palazzi d’inverno né Moncada. Ancor meno fucilazioni e "uomini nuovi". E’ invece la parola che mi fa tornare alla mente la lezione di Piero Gobetti: oggi ho la sensazione che sia rivoluzionario non considerare gli elettori di un’area avversa come perduti. Che sia rivoluzionario sentirci tutti partecipi di uno stesso paese ed un unico destino. O si riparte da questo o non saprei proprio il motivo di impegnarci, intervenire, "sporcarsi le mani".
Sento di poter scrivere queste parole proprio perché vengo da una terra dove la legalità significa vita e libertà in maniera forse più chiara che qui a Milano. E perché non appartengo alla generazione che ha creduto nel socialismo reale. Non ho amato i rivoluzionari tramutati in dittatori. Non ho creduto in sogni di società perfette divenuti inferni in terra. Appartengo alla generazione che ha visto i caduti della sua resistenza morire per costruire un paese dove le opportunità, il talento, il diritto, fossero cose reali. Gianni Falcone, Rocco Chinnici, Rosario Livatino, Carlo Alberto Dalla Chiesa. non muoiono mentre stanno portando avanti la loro professione di magistrati a difesa del diritto e perseguendo i reati. Almeno, non solo per questo. Fanno molto di più.
Così come Giancarlo Siani, Pippo Fava, De Mauro non muoiono perché inciampano in verità indicibili. Ma perché scrivendo rendono pubbliche le verità che conoscono: e molti uomini e donne che hanno verità possono trasformare lo stato di cose. Per questo vengono condannati a morte. Per la loro parola.
In questa battaglia la mia generazione è cresciuta. In un Paese dove lo Stato non era un monolite tutto corrotto o tutto rivolto al bene. Ma dove una parte di Stato corrotto era affrontato quotidianamente dall’altra parte dello Stato. Vivere costruendo le possibilità di essere felici è una necessità dell’uomo, l’unica alternativa ad una rassegnata, cupa disperazione: un sogno che non può non farti combattere con tutto te stesso contro l’impossibilità di far affermare il merito, l’impegno, il talento. L’ingiustizia è di questo mondo. Ma sono di questo mondo anche gli strumenti per affrontarla. In questa fase in Italia non sembra possibile. Il governo e l’area culturale che lo sostiene non si difende mai dalle accuse - così evidenti, così manifeste - dicendo: non si fanno certe cose.
Ma sostenendo l’autoassolutoria tesi del "così fan tutti". L’accusa maggiore a chi chiede un paese diverso è l’accusa di essere un ipocrita: "Berlusconi fa quel che tutti fanno o vorrebbero fare". Non è vero, non è così, dobbiamo ribellarci al ritratto di un Paese piegato e corrotto, accomunato in una specie di complicità collettiva. C’è un’Italia che ha il diritto e il dovere di venire alla luce e di prendere voce: un’Italia che crede nelle regole, nella legalità, che crede che non sia normale avere un premier che, preda di una senile ossessione sessuale, paga le minorenni, mente allo Stato per proteggerle e sfugge ai magistrati.
Albert Camus diceva che la sofferenza, come la morte, non si può sconfiggere: ma che il nostro dovere è di riparare nella creazione tutto ciò che può essere riparato. Io in questo credo: nella possibilità di ridurre aritmeticamente il dolore. Forse un mondo migliore non esiste, ma credo nella possibilità di migliorare il mondo. Per questo sento che è il tempo per tornare a sognare.
Non sembri scontato e retorico e anche se lo fosse ben venga. Ma sognare un paese diverso non può che essere il carburante vivo e persino divertente del tentativo di cambiare le cose. Di cercare una felicità possibile. Una felicità semplice, fatta di un lavoro dignitoso, della possibilità dell’individuo di provare quanto vale. Di ricevere quanto merita. Non è il sogno di un paradiso inesistente ma di un luogo un po’ diverso, dove l’ingiustizia, il favore, la raccomandazione del potente di turno per ottenere un lavoro o addirittura un posto in consiglio regionale o in parlamento, non esistano più. I valori che ci fanno in questo momento stare insieme sono sepolti con l’urgenza di identificare ciò che non siamo ciò che non vogliamo. Ora è il tempo di dire anche ciò che siamo e ciò che vogliamo.
UN BENE COMUNE, E LA "PUBBLICITA’ PROGRESSO": L’ITALIA E LA FORZA DI UN MARCHIO REGISTRATO!!!
-COSTITUZIONE, LINGUA E PAROLA..... C’E REGIME O NON C’E’ REGIME IN ITALIA?! CARO ZAGREBELSKY, SVEGLIA: IL GOLPE E’ GIA’ STATO FATTO!!! ’L’ITALIA SONO IO’: ’FORZA ITALIA’!!! E IL ... POPOLO DELLA LIBERTA’ E’ GIA’ NATO!!!
Le notti di Arcore e la notte italiana
Una sintesi del discorso che G. Z. terrà domani alla manifestazione di Libertà e Giustizia, a Milano.
di Gustavo Zagrebelsky (la Repubblica, 04.02.2011)
Perché siamo qui? Che cosa abbiamo da dire, da chiedere? Niente e tutto. Niente per ciascuno di noi, tutto per tutti. Non siamo qui nemmeno come appartenenti a questo o quel partito, a questo o quel sindacato, a questa o quella associazione. Ciò che chiediamo, lo chiediamo come cittadini. Chi è qui presente non rappresenta che se stesso. Per questo, il nostro è un incontro altamente politico, come tutte le volte in cui, nei casi straordinari della vita democratica, tacciono le differenze e le appartenenze particolari e parlano le ragioni che accomunano i nudi cittadini, interessati alle sorti non mie o tue, ma comuni a tutti. Non siamo qui, perciò, per sostenere interessi di parte. Ma non siamo affatto contro i partiti. Anzi, ci rivolgiamo a loro, di maggioranza e di opposizione, affinché raccolgano il malessere che sale sempre più forte da un Paese in cui il disgusto cresce nei confronti di chi e di come governa; affinché i cittadini possano rispecchiarsi in chi li rappresenta e sia rinsaldato il rapporto di democrazia tra i primi e i secondi, un rapporto che oggi visibilmente è molto allentato.
Nulla abbiamo da chiedere per noi. Non chiediamo né posti, né danaro. Non siamo sul mercato. È corruzione delle istituzioni l’elargizione di posti in cambio di fedeltà. è corruzione delle persone l’elargizione di danaro in cambio di sottomissione e servizi. Crediamo nella politica di persone libere, non asservite, mosse dalle proprie idee e non da meschini interessi personali per i quali si sacrifica la dignità al carro del potente che distribuisce vantaggi e protezione. Anzi, chiediamo che cessi questo sistema di corruzione delle coscienze e di avvilimento della democrazia, un sistema che ha invaso la vita pubblica e l’ha squalificata agli occhi dei cittadini, come regime delle clientele. I cittadini che ne sono fuori e vogliono restarne fuori chiedono diritti e non favori, legalità e non connivenze, sicurezza e non protezione. Non accettano doversi legare a nessuno per ottenere quello che è dovuto. Vogliono, in una parola, essere cittadini, non clienti e non ne possono più di vedersi scavalcati, nella politica, negli affari, nelle professioni, nelle Università, nelle gerarchie delle burocrazie pubbliche, a ogni livello, dal dirigente all’usciere, non da chi merita di più, ma da chi gode di maggiori appoggi e tutele.
Chiediamoci, in questo quadro, perché le notti di Arcore - non parlo di reati, perché per ora è un capitolo di ipotesi ancora da verificare - sono esplose come una bomba nel dibattito politico, pur in un Paese non puritano come il nostro, dove in fatto di morale sessuale si è sempre stati molto tolleranti, soprattutto rispetto ai potenti. Dicono che il moralismo deve restare fuori della politica, che ognuno a casa propria deve poter fare quel che gli aggrada (sempre che non violi il codice penale), che il pettegolezzo non deve mescolarsi con gli affari pubblici. È vero, ma non è questo il caso. Se si trattasse soltanto della forza compulsiva e irresistibile del richiamo sessuale nell’età del tramonto della vita, non avremmo nulla da dire. Forse deploreremmo, ma non giudicheremmo per non dover poi essere, eventualmente, noi stessi giudicati. Proveremmo semmai, probabilmente, compassione e magari perfino simpatia per questa prova di senile, fragile e ridicola condizione di umana solitudine. Ma non avremmo nulla da dire dal punto di vista politico.
Ma la verità non si lascia dipingere in questi termini. La domanda non è se piace o no lo stile di vita di una persona ricca e potente che passa le sue notti come sappiamo. Questa potrebbe essere una domanda che mette in campo categorie morali. La domanda, molto semplicemente, è invece: ci piace o no essere governati da quella persona. E questa è una domanda politica.
La risposta dipende dalla constatazione che tra le mura di residenze principesche, per quanto sappiamo, viene messo in scena, una scena in miniatura, esattamente ciò che avviene sul grande palcoscenico della politica nazionale. Le notti di Arcore assurgono a simbolo facilmente riconoscibile, in versione postribolare, di una realtà più vasta che ci riguarda tutti. È un simbolo che ci mostra in sintesi i caratteri ripugnanti di un certo modo di concepire i rapporti tra le persone, nello scambio tra chi può dare e chi può ottenere. È lo stesso modo che impera e nelle stanze d’una certa villa privata e in certi palazzi del potere. Questo, credo, è ciò che preoccupa da un lato, indigna dall’altro.
Non troviamo forse qui (nella villa) e là (nel Paese), gli stessi ingredienti? Innanzitutto, un’enorme disponibilità discrezionale di mezzi - danaro e posti - per cambiare l’esistenza degli altri attraverso l’elargizione di favori: qui, buste paga in nero, bigiotteria, promozioni in impensabili ruoli politici distribuiti come se fossero proprietà privata; là, finanziamenti, commesse, protezioni, carriere nelle istituzioni costituzionali (la legge elettorale attuale sembra fatta apposta per questo), nell’amministrazione pubblica, nelle aziende controllate. Dall’altra parte, troviamo la disponibilità a offrire se stessi, sapendo che la mano che offre può in qualunque momento ritrarsi o colpirti se vieni meno ai patti. Cambia la materia che sei disposto a dare in riconoscenza al potente: qui, corpi e sesso; là, voti, delibere, pressioni, corruzione. Ma il meccanismo è lo stesso: benefici e protezione in cambio di prove di sottomissione e fedeltà, cioè di prostituzione. Ed è un meccanismo omnipervasivo che supera la distinzione tra pubblico e privato, perché funziona ogni volta che hai qualcosa da offrire che piaccia a chi ha i mezzi per acquisirlo.
Qui e là questo sistema alimenta un mondo contiguo fatto di gente alla ricerca di chi "ci sta" e possa piacere a quello che è stato brillantemente definito "l’utilizzatore finale": lenoni e faccendieri, gli uni per selezionare e reclutare corpi da concorsi di bellezza e luoghi di malaffare e organizzarne il flusso, gli altri per sondare disponibilità e acquisire fedeltà nei luoghi delle istituzioni dove possono essere utili. Analogo, poi, è il rapporto che si instaura tra i partecipanti a questi giri del potere. Poiché la legge uguale per tutti sarebbe incompatibile con un tal modo di concepire il potere, i rapporti di connivenza, molto spesso, anzi quasi sempre, si basano sull’illegalità e, a loro volta, la producono. Tutti cascano così nelle mani l’uno dell’altro e il giro si avviluppa nella reciprocità dei ricatti. Così, chi se ne è messo a capo è destinato, prima o poi, a diventare succubo, a trasformarsi in una vuota maschera che parla, vuole, magari fa la faccia feroce ma in nome altrui, il suo unico interesse riducendosi progressivamente a non essere rovinato dai sodali. A quel punto, è pronto a tutto.
Ritorniamo all’inizio. Non chiediamo nulla per noi ma tutto per tutti. Il "tutto per tutti" è lo stato di diritto e l’uguaglianza di fronte alla legge; il rispetto delle istituzioni e della dignità delle persone, soprattutto quelle più esposte ai soprusi dei prepotenti: le donne, i lavoratori a rischio del posto di lavoro, gli immigrati che noi bolliamo come "clandestini"; la disciplina e l’onore di chi ricopre cariche di governo; l’autonomia della politica dall’ipoteca del denaro e dell’interesse privato nell’uso dei poteri pubblici; l’indipendenza dei poteri di garanzia e controllo; l’equità sociale; la liberazione dall’oppressione delle clientele. Un elenco penoso di doglianze e un vastissimo programma di ricostruzione che è precisamente ciò che sta scritto a chiare lettere e per esteso nella Costituzione: la Costituzione che per questa ragione è diventata segno di divisione tra opposte concezioni della politica.
La richiesta di dimissioni del Presidente del Consiglio non è accanimento contro una persona. Sappiamo bene che la concezione del potere ch’egli rappresenta ha, nella nostra società, radici lontane e profonde, di natura perfino antropologica, e che perciò ha buone possibilità di sopravvivergli in quelli che si preparano a raccoglierne la successione, per il momento in cui si sentiranno pronti ad abbandonarlo. Ma sappiamo anche che, per ora, quel sistema di potere è incarnato, e in modo eminente, proprio da lui. Onde è da lui che occorre incominciare, non per fermarsi a lui ma per guardare oltre, al sistema di potere che l’ha espresso e di cui egli è, finché gli sarà possibile, l’interprete più in vista.
Preparare il domani
di Concita De Gregorio *
Come funamboli, camminiamo in bilico sul baratro. Applaudiamo le urla sguaiate, collezioniamo sconcezze come fossero figurine dell’album, salutiamo da lontano l’amico Mubarak asserragliato nel castello, osserviamo più da vicino la foto che mostra l’uomo alla guida del paese mostrare a dieci fanciulle le sue doti meccaniche, anche quelle un acquisto. Involgarita, impoverita, svillaneggiata e dal resto del mondo irrisa l’Italia confida nella saggezza di un vecchio presidente, ultimo garante di un tempo ormai sbiadito, quello delle regole e dell’onore, della dignità e del dovere. Il tempo in cui le donne, da sole, vedove di guerra o “vedove bianche” di uomini ingoiati dalla fatica e dal lavoro crescevano quattro, sette, dieci figli e li mandavano a scuola, insegnavano loro ad aiutarsi a vicenda e a cavarsela da soli, la responsabilità, l’impegno, la fatica. Sono ancora qui quelle donne, sono qui i loro figli ormai adulti, padri a loro volta. Non hanno tempo per la politica, o ne hanno disprezzo.
Pensano che passerà. Qualcuno, indebolito dalla chimera costante della fortuna del bingo, della corruzione e della furbizia, ha ceduto alla tentazione. Non sarà per sempre però. È un’illusione, e sarà duro il risveglio. Durissimo per tutti. È a loro che ci dobbiamo rivolgere. Non a chi già sa: a chi non ha potuto o voluto sentire. Alle ragazze che si prostituiscono per comprare il fuoristrada dobbiamo spiegare che possono, certo, se vogliono, ma che c’è anche un altro modo per vivere. Un modo che consente di lavorare anche a 40, a 50 e a 60 anni, quando non ci sarà più nessuno a chieder loro di ballare. Dobbiamo mostrarglielo, dobbiamo pretendere un governo che lo mostri e che lo renda possibile. Che renda giustizia a chi “preferisce di no”, come preferirono di no alcuni grandi uomini e donne in passato. Dobbiamo parlare ai chi pensa non mi riguarda, a chi dice meglio un uomo oggi che una gallina domani: dobbiamo preparare il domani, invece. Dobbiamo farlo per i bambini che oggi hanno dieci anni e di cui vogliamo vedere crescere i figli qui, in Italia, non vogliamo essere orfani dei nostri nipoti. Svendere il nostro paese a chi ha più denaro per comprarlo.
Dobbiamo, ciascuno come può, con i mezzi che ha, fare la nostra parte perché sia smascherato il tranello così efficace della propaganda che dice siete tutti uguali, siamo tutti uguali. Che riduce il pensiero ad opposte fazioni e depotenzia le parole mettendoci sopra, prima di ascoltarle, le etichette. Quelli che strillano che se un articolo de l’Unità viene letto in chiesa, in dieci cento chiese, sono i preti da cacciare: non si chiedono cosa dicono, quelle parole, non le ascoltano. Dobbiamo tornare a farci ascoltare da tutti, ed esultare ogni volta che una persona distratta o lontana da noi, anche solo una, ricomincerà ad esercitare la virtù del dubbio. Dubitare anche noi. Tornare a vivere in un paese in cui il confronto e lo scontro di idee, di proposte, di progetti e di programmi sia tale per cui ciascuno possa convincere della bontà dei suoi temi l’altro, cambiare idea se del caso, uscire dalle trincee in cui vogliono che restiamo asserragliati, indiani contro cow boy. Capire, ascoltare, parlare, ascoltare di nuovo. Il paese, l’altra Italia - quella che non passa in tv - vuole questo, ci chiede questo. Facciamolo. Le donne e gli uomini, nelle piazze e nelle case, dovunque possiamo.
* l’Unità, 4 febbraio 2011