Per manifestare solidarietà a Roberto SAVIANO:
Sulla Repubblica di oggi 13 ottobre leggo con sgomento e preoccupazione, ma non con sorpresa purtroppo, che Roberto Saviano è al centro di una campagna intimidatoria corredata dalle ormai note telefonate anonime e lettere di minaccia. A quei quattro ominicchi che si fanno chiamare d’onore, ma l’onore l’hanno buttato nel cesso da quando hanno cominciato a fare quello che solo sanno fare e cioè i “guappi cu’ e pistole” non è andato giù quello che Roberto ha scritto nel suo libro, Gomorra. Alle minacce, si legge sempre sul giornale, si è aggiunto un clima di preoccupante isolamento, tanto che il Prefetto di Caserta (Saviano vive e lavora tra la provincia di Caserta e Napoli) sta pensando seriamente, sentito il parere del Comitato per l’ordine e la sicurezza, di dotarlo di una scorta. Uomini armati per salvaguardare la sua vita dalle minacce di quegli ominicchi di cui sopra. A Roberto serve evidentemente in questa situazione una scorta, altrettanto utile sarebbe, non solo una doverosa e convinta solidarietà, ma anche lo sforzo concreto degli uomini e le donne che vivono dove vive Roberto, in quei luoghi che lui con passione coraggio determinazione ha raccontato. Non si può accettare supinamente quel modo di pensare, strisciante prima e dilagante poi, capace di impossessarsi di cuori ragioni e coscienze, che vigliacco dice “ fatte i fatti tua, chillu è megliu cu lassi ire”, perché una sola risposta merita “i cazzi su puru i mia e a chillu nullu puazzu lassare stare”. Non so bene come mettersi in contatto con Saviano, in quest’ultimo periodo ha collaborato con L’espresso, ma scrive anche, fra gli altri, su il Manifesto, lo Straniero, su nazioneindiana.com. Potrebbero essere questi i canali per far sentire a lui la nostra indispensabile vicinanza.
Domenico Barberio
Sosteniamo Roberto Saviano
di Tommaso Aquilante, Emiliana Cristiano, Paolo Esposito, Alessandro Pecoraro *
Spesso si dà la colpa alla criminalità organizzata, alla camorra, al boss di quartiere e a volte di strada, ma il grado di civiltà di una Nazione dipende soprattutto dalle piccole cose. E’ per questo motivo che chiediamo a tutti coloro abbiano a cuore un problema che è di tutti gli italiani di sottoscrivere, sul sito www.sosteniamosaviano.net, il nostro messaggio di solidarietà indirizzato a Roberto Saviano e per presa conoscenza al Presidente della Repubblica e ai Presidenti del Senato e della Camera dei Deputati.
Caro Roberto, desideriamo esprimerti la nostra sincera solidarietà per gli spiacevoli episodi che ti sono capitati dopo la pubblicazione di Gomorra.
Hai avuto un grande coraggio che purtroppo manca a tante, troppe persone; ma il tuo coraggio sta dando dei frutti che non sono solo negativi. Molti ti accusano di parlare male della tua terra natale, ma chi ha un po’ di coscienza civile sa che tu hai fatto esattamente l’opposto: hai dato un po’ di onore ad un territorio devastato da quel gran fenomeno sociale che è la Camorra. Chi vive a contatto con la Camorra si adatta all’inadattabile e spesso senza rendersene conto legittima indirettamente determinati comportamenti! Il tuo libro ha dato fastidio a quelle persone che sono potenti grazie al silenzio della ragione. Spesso si dà la colpa alla criminalità organizzata, alla camorra, al boss di quartiere e a volte di strada, ma è ora di farsi un esame di coscienza perché il grado di civiltà di un territorio si vede innanzitutto dalle piccole cose.
Hai risvegliato le coscienze di tante persone, ci hai fatto capire che l’equazione Camorra=Boss è errata, perché quando si parla di Camorra ci si deve riferire a tutti coloro che legittimano questo Sistema e fanno sì che si radichi ben bene nel tessuto sociale del territorio.
A questo punto ci domandiamo a cosa servano tutti questi convegni in pompa magna, a cosa serve aumentare il numero delle forze di polizia, a cosa serve discutere ancora di ciò se non cambia la mentalità della stragrande maggioranza delle persone che vivono qui? Ci ha colpito in modo particolare la lettera di un bambino che hai pubblicato e che vogliamo riproporre: “Tutti quelli che conosco o sono morti o sono in galera. Io voglio diventare un boss. Voglio avere supermercati, negozi, fabbriche, voglio avere donne. Voglio tre macchine, voglio che quando entro in un negozio mi devono rispettare, voglio avere magazzini in tutto il mondo. E poi voglio morire. Ma come muore uno vero, uno che comanda veramente. Voglio morire ammazzato”.
La camorra ti ha indicato come il colpevole, perché stai commettendo uno degli “errori” più gravi che si possano compiere nell’agro aversano. Attraverso Gomorra ti sei permesso di spiegare tutti i suoi meccanismi, di spiegare il suo radicamento nella nostra società, di fare nomi e cognomi. Il vile attacco intimidatorio che la camorra ha perpetrato nei tuoi confronti, all’indomani del tuo intervento nella piazza principale di Casal di Principe, preoccupa tutti, in modo particolare i giovani.
Hai utilizzato nel migliore dei modi il diritto d’espressione e d’’informazione sancito dall’articolo 21 della nostra Costituzione, un diritto che nessuno può negarci.
Puoi stare certo che non ti abbandoniamo e che ti siamo accanto.
Al Presidente della Repubblica Sen. Giorgio Napolitano. Al Presidente della Camera On. Fausto Bertinotti. Al Presidente del Senato della Repubblica Sen. Franco Marini.
Egregio Presidente,
le scriviamo questa lettera perché riteniamo che sia arrivato il momento di rompere l’assordante silenzio che avvolge lo scempio che si consuma ogni giorno nella nostra terra. Un brutto spettacolo che va avanti da anni, da decenni, con i cittadini sempre più afflitti e le istituzioni sempre più assenti e purtroppo, non di rado, colluse con gli ambienti che dovrebbero combattere.
La camorra è a un passo dal vincere, o forse ha già vinto, contro la gente per bene. Negli ultimi anni, nella nostra terra, si è consumato uno scontro di civiltà che ha visto contrapporsi la mentalità e il modo di fare camorristico, al vivere civile. Uno scontro silenzioso ma costante, quasi intangibile ma frustrante, che ha usurato la voglia di riscatto delle nostre popolazioni. Una civiltà vince su un’altra non certo quando l’esercito occupante oltrepassa le mura perimetrali, bensì quando il popolo conquistato assorbe usi, costumi e cultura del popolo conquistatore. Ebbene la camorra ha conquistato l’altro “universo buono” del popolo campano. Essa dà lavoro dove non c’è e protezione a chi la chiede. In cambio chiede la vita. La vita di una persona, infatti, vale meno di un carico di cocaina, eppure non di rado quelli che noi definiamo “universo buono” o “gente per bene”, sono schierati dalla parte dei camorristi, con le forze dell’ordine che sono male accette, avversate e spesso attaccate fisicamente in luoghi come Scampia. Certo, stupirsi di ciò sarebbe da ingenui, visto che in certe zone di Napoli non ci entrano neppure i postini a consegnare la posta. Lì tutto è possibile e la camorra ha gioco facile. Ma il segnale tangibile della vincente strategia attuata dalla camorra non arriva dalle aree degradate, bensì dal centro delle nostre città, dalle aree generalmente considerate tranquille, vivibili. Intendiamo che se fino a pochi anni fa la camorra poteva essere identificata come un’organizzazione malavitosa, oggi è opportuno considerarla prima di tutto come un modus vivendi, come uno stile di vita. La mentalità sopraffattrice, la prepotenza e l’irriverenza verso le minime regole del vivere civile è la prova di quanto diciamo. Tali aberrazioni sono diffuse in ogni settore della popolazione e farne un discorso di classe o di degrado economico sarebbe sbagliato e controproducente. C’è da fare un’opera di pulizia culturale che coinvolga tutti quelli (e non sono pochi) che sono stanchi di vivere in questo modo.
Questo scritto scaturisce da un episodio che ci lascia sconcertati: lo scrittore Roberto Saviano, giornalista de L’ESPRESSO, autore di Gomorra, un libro - denuncia sulla realtà camorristica campana, napoletana e soprattutto aversana, è stato minacciato e intimidito al punto che il Prefetto ha deciso di assegnargli una scorta. Saviano ha avuto coraggio, Signor Presidente. Il coraggio di schierarsi dalla parte dei giusti, il coraggio di fare nomi e cognomi, nella piazza di Casal si Principe. Ci creda non è facile fare ciò. Si rischia e soprattutto si mette in pericolo i propri cari e la propria famiglia. La camorra è meschina, signor Presidente, ti attacca laddove non ti puoi difendere, ti sorveglia quando meno te lo aspetti (quando Saviano presentò il suo libro alla nella piazza di Casale, i camorristi della zona avevano messo degli scagnozzi a registrare chi avesse applaudito e quanto avesse applaudito). Saviano è un ragazzo di 28 anni che ha deciso di combattere nella sua terra contro il male maggiore: la mentalità camorristica. Per questo noi abbiamo deciso di aiutarlo con ogni mezzo a nostra disposizione. Ma noi da soli non bastiamo. Ci serve l’appoggio fattivo delle istituzioni locali e nazionali. La latitanza di queste è inaccettabile, le reazioni che alcune istituzioni campane hanno avuto nei confronti di Saviano sono state squallide, indicibili e avvilenti. Hanno dato alla camorra un messaggio di arrendevolezza: davanti a qualcuno che rischia la propria vita e quelle dei propri cari, non si può reagire snobbandolo. Sento spesso decantare la collaborazione tra istituzioni e cittadino: in questo caso il cittadino ha fatto la sua parte e vuole continuare a farla, ma ora tocca anche a qualcun altro.
Egregio Presidente, la storia di Saviano deve, secondo noi, servire da punto di partenza per riaccendere i riflettori sui problemi reali della nostra terra. Non ci servono più fondi di nessun tipo. Dateci cultura, sapere, istruzione, educazione civica e il resto verrà di conseguenza.
Ci tornano alla mente i ragazzi di Locri e le loro grida di battaglia: essi sono stati dimenticati e nessuno ne parla. Ci tornano in mente i veri eroi del nostro tempo: Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Don Diana... essi sono stati dimenticati e vengono ormai ricordati solo in qualche rituale manifestazione, con la conseguenza che il loro sacrificio sembra essere andato perso. Per sconfiggere la camorra abbiamo bisogno dell’apporto permanente e sinergico di tutti. Vorremmo una lotta senza e senza ma. Vorremo segnali: via i camorristi e i mafiosi dalla politica, vorremo che non ci fossero zone d’ombra tra la politica e la camorra. Vorremo chiarezza per capire meglio chi è da una parte e chi è dall’altra. Vorremo un’azione seria e continua contro chi strozza la nostra economia decidendo chi si aggiudicherà un appalto, quando se lo aggiudicherà e quanto questi guadagnerà da esso. Insomma un’azione seria verso la camorra imprenditrice, contro la camorra del racket, contro la camorra che non ci fa vivere in libertà
Per fare questo, caro Presidente, e per farsi che tra qualche anno non si stia ancora qui a discutere sul come fare a combatterla abbiamo bisogno del vostro aiuto. Una dichiarazione detta da voi è molto più di mille articoli scritti da noi. Siate decisi e di fianco a noi nel combattere la nostra piaga.
Con fiducia e sicuri che un giorno noi e i nostri figli riavremo la nostra terra, le porgiamo distinti saluti.
Con osservanza
Tommaso Aquilante, Emiliana Cristiano, Paolo Esposito, Alessandro Pecoraro
www.ildialogo.org, Lunedì, 16 ottobre 2006
Saviano? No, grazie
Le lettere minatorie. I messaggi trasversali dei boss. L’emarginazione. Per l’autore di ’Gomorra’ il prefetto ora studia un piano di protezione
di Gianluca Di Feo (http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Saviano?%20No,%20grazie/1406262&ref=hpsp)
Prima le lettere minatorie, le telefonate mute in piena notte, camerieri che dicono "Lei qui non è gradito", o negozianti che con tono supplichevole sussurrano "Ma lei deve proprio continuare a comprare il pane qui...". Poi il disprezzo delle autorità campane, anche le più importanti come il sindaco di Napoli Rosa Russo Iervolino. Infine i messaggi diffusi dai familiari dei boss: i padrini latitanti, quelli più feroci che sanno come fare arrivare sulla stampa locale i loro umori. Quanto basta a far scattare l’allarme e a trasformare il caso letterario dell’anno in una questione di sicurezza. Adesso per Roberto Saviano, 28 anni, autore del libro-inchiesta sulla camorra insediato da cinque mesi nelle classifiche di vendita, e collaboratore de ’L’espresso’, saranno decise nuove misure di protezione: il prefetto di Caserta ha aperto un procedimento formale, che dovrà essere valutato dal comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza.
Il casus belli che ha alzato il livello di guardia, paradossalmente, è stato l’articolo di un piccolo quotidiano, sempre fin troppo attento a cogliere i gesti delle famiglie casertane. In ballo ci sono pezzi da novanta come Michele Zagari e Antonio Iovine, inclusi nella lista dei super-ricercati, o il più celebre Sandokan, al secolo Francesco Schiavone. Hanno mal tollerato il successo di ’Gomorra’, il volume edito da Mondadori che ha imposto i loro traffici all’attenzione dei mass media. Si sono infuriati per la sfida che Saviano ha portato nel loro feudo, in quella Casal di Principe che negli anni Novanta aveva il record mondiale di omicidi. Il 23 settembre, a conclusione di quattro giornate di mobilitazione anticamorra aperta dal ministro Clemente Mastella, il giovane scrittore si è presentato sul palco assieme a Fausto Bertinotti. Nella piazza principale, davanti a tanti che non chinano la testa, il presidente della Camera si è lanciato contro le "cosche che non danno nulla ma tolgono e compromettono il futuro". Saviano invece ha chiamato i padrini per nome: "Iovine, Schiavone, Zagaria non valete nulla. Loro poggiano la loro potenza sulla vostra paura, se ne devono andare da questa terra".
Il ’Corriere di Caserta’ ha prontamente registrato sia le assenze dei parlamentari eletti in città, sia la presenza del cugino di Sandokan che "inchiodava al muro un signore con uno sguardo feroce e si faceva dire, uno a uno, chi applaudiva troppo forte alle parole sui figli di Schiavone". Titolo: ’Un cugino di Schiavone origlia. Davanti al bar si fa raccontare tutto quello che è stato detto in piazza. E su chi c’era’. La stessa testata definiva ’spregiudicato’ l’intervento dello scrittore e spiegava "che non tutti si sono lasciati impressionare dall’invettiva" di Saviano, descrivendo nei dettagli il dibattito su caldo e traffico che avveniva contemporaneamente nella sede dell’Udeur.
Potrebbero sembrare piccole beghe di campanile, ma a Casal di Principe non ci sono Pepponi mentre l’unico don Camillo è stato assassinato dai killer di camorra e - stando a una sentenza civile - diffamato dopo la morte proprio dal ’Corriere di Caserta’. Si chiamava don Peppino Diana ed è dal suo dramma che nasce il titolo di ’Gomorra’. Il libro edito da Mondadori ora marcia verso le 100 mila copie senza promozione, spinto dalla forza del tam tam dei lettori e dal lancio coraggioso della giuria che gli ha assegnato il premio Viareggio Repaci. Un risultato con pochi precedenti per l’opera prima di un autore giovanissimo, accolta dal consenso unanime della critica e che verrà stampata in Germania, Francia, Olanda, Gran Bretagna e Stati Uniti.
Il suo primo sponsor è stato Enzo Siciliano. A proposito di ’Gomorra’, poco prima di morire disse: "Ricordiamoci che non è solo un bel libro; questo ragazzo rischia la vita". Sembrava una frase a metà tra il complimento e l’esagerazione, era una profezia. Saviano è riuscito a dare nuova energia a un genere che in Italia pareva dimenticato da quasi 15 anni, da quando opere come quelle di Corrado Stajano vennero sepolte da una slavina di instant book di ispirazione giudiziaria. ’Gomorra’ invece ha il rigore di un saggio, l’anima di un romanzo e il ritmo del reportage reso più incisivo dal lessico che fonde dialetto e neologismo: è un tuffo nel vissuto della camorra, raccolto in prima persona e non attraverso il filtro dei rapporti di polizia. Saviano può vedere e può capire, perché è nato lì: in quel libro c’è la sua vita, il cuore della sua generazione costretta spesso a scegliere tra il crimine o l’emigrazione. E per quel libro ha già pagato un prezzo personale molto alto: i genitori gli hanno tolto il saluto, il fratello è stato costretto a trasferirsi al nord.
L’interesse di Schiavone, di Zagaria, di Iovine e degli altri padrini non sorprende. ’Gomorra’ e gli articoli di Saviano su ’L’espresso’ hanno costretto lo Stato a muoversi. Il Viminale sta mettendo a punto un piano per l’ordine pubblico in Campania e c’è un risveglio della mobilitazione civile. Mentre tutti guardano a Napoli e dintorni, il libro ha messo sotto gli occhi di tutti la potenza economica e militare dei clan casertani. Così forti e ramificati da avere colonizzato persino Aberdeen in Scozia. Chiaro che Sandokan & C. non potessero mandare giù un’opera nata nella memoria del sacrificio di don Diana, ucciso prima e delegittimato poi. Il segno dell’insidiosità della camorra, che sa trasformare la cronaca in strumento di pressione e sfruttare giornali con pochi scrupoli. Magari per fini economici, come è accaduto nel caso dell’ex editore del ’Corriere di Caserta’, Maurizio Clemente, che il mese prossimo verrà processato per estorsione a mezzo stampa.
Se l’intimidazione dei clan era prevedibile, colpisce invece il disprezzo delle autorità locali, testimoniato dalle bordate di Rosa Russo Iervolino. Il sindaco partenopeo nel consegnare a Saviano il premio Siani lo ha definito "simbolo di quella Napoli che lui denuncia", offendendo sia l’autore, sia la memoria del giornalista ammazzato 21 anni fa. Di fronte alla denuncia de ’L’espresso’ su Napoli perduta, poi, il primo cittadino ha commentato: "Quello è un fissato strabico".
Altri si stanno mobilitando. Un appello è stato improvvisato, raccogliendo firme di scrittori e lettori: tra i primi Massimo Carlotto e Giancarlo De Cataldo. Poche righe che denunciano "un isolamento fatto da ciò che non ti fanno e che vogliono farti credere ti faranno. Ma intanto ti fermano, creano diffidenza intorno, screditano, insultano, allontanano tutti dalla tua vita perché mettendo paura ti creano attorno il deserto. A questo punto devono venire fuori altre voci...". E ancora: "Quando Saviano ha ’cacciato’ con le sue parole i boss dalla piazza di Casal di Principe e dalle vie di Secondigliano, quando ha raccontato il loro potere con la letteratura, quando ha fatto i nomi, quando accompagna il suo libro non è solo la sua voce a parlare. Lui lo ha detto e noi con lui".
L’iniziativa è partita da Sandrone Dazieri. Lo scrittore, sceneggiatore e manager editoriale, divenuto famoso con il personaggio de ’Il gorilla’ ha lanciato l’appello. Racconta Massimo Carlotto, uno dei maestri del noir italiano: "Appena ho ricevuto la mail di Sandrone ho firmato subito. Stiamo pensando di organizzare una manifestazione di autori proprio nelle terre di Saviano, nel cuore del Casertano". Sfida accettata, dunque, e rilanciata. In attesa di eventuali decisioni sulla protezione, Saviano ora si prenderà una pausa lontano dalla Campania. Ma sarà solo una sosta di poche settimane, per alleggerire la pressione e concentrarsi su un nuovo progetto. Solo una parentesi, prima di ricominciare a misurarsi con il suo lavoro. Perché se a Napoli scrivere ’Gomorra’ dovesse costringere a emigrare e obbligarlo a una vita blindata, allora sarebbe perduta anche l’ultima speranza.
Lettere, telefonate mute e anche un isolamento ambientale che mette paura. Ora lo scrittore che con il suo best seller ha sfidato i clan deve vivere blindato
Minacce camorriste a Roberto Saviano: finisce sotto scorta l’autore di Gomorra
di DARIO DEL PORTO *
NAPOLI - Minacce allo scrittore che ha raccontato la camorra imprenditrice e le storie della faida di Scampia. Lettere minatorie, telefonate mute. E anche un isolamento ambientale che mette paura forse più delle intimidazioni. Adesso dovranno essere adottate nuove misure di protezione per Roberto Saviano, 28 anni, l’autore del libro-inchiesta "Gomorra", edito da Mondadori, da cinque mesi in testa alle classifiche e vincitore del premio Viareggio Repaci. Il prefetto di Caserta, Maria Elena Stasi, ha aperto un procedimento formale che passerà al vaglio del comitato provinciale per l’ordine pubblico.
Lo rivela il settimanale "L’espresso", con il quale Saviano collabora, nel numero che sarà in edicola oggi. Esponenti di primo piano della camorra campana come Michele Zagaria e Antonio Iovine, il più celebre Francesco Schiavone soprannominato "Sandokan", "hanno mal tollerato - si legge nel lungo servizio - il successo di Gomorra, che ha imposto i loro traffici all’attenzione nazionale".
Non solo. I clan si sono anche "infuriati per la sfida che Saviano ha portato nel loro feudo, nella Casal di Principe che negli anni ’90 aveva il record di omicidi". Lo scrittore, ricorda "L’espresso", si è presentato sul palco della cittadina casertana il 23 settembre scorso, insieme al presidente della Camera Fausto Bertinotti, nell’ultima di quattro giornate di mobilitazione anticamorra aperta dal ministro della Giustizia Clemente Mastella.
Saviano "ha chiamato i padrini per nome - scrive il settimanale - "Iovine, Schiavone, Zagaria, non valete nulla. Loro poggiano la loro potenza sulla vostra paura, se ne devono andare da questa terra"". Ma se l’ira della camorra poteva essere messa nel conto delle reazioni che un libro coraggioso come "Gomorra" e i reportages realizzati dal giovane scrittore avrebbero suscitato, altra cosa è l’emarginazione seguita alle sue denunce. "Colpisce il disprezzo delle autorità locali - accusa "L’espresso" - testimoniato dalle bordate di Rosa Russo Iervolino. Il sindaco partenopeo, nel consegnare a Saviano il premio Siani, lo ha definito "simbolo di quella Napoli che lui denuncia", offendendo sia l’autore sia la memoria del giornalista ammazzato 21 anni fa".
Ma c’è anche chi si sta mobilitando per non lasciarlo solo. Un appello improvvisato in sostegno di Roberto Saviano ha raccolto, evidenzia il settimanale, "firme di scrittori e lettori: tra i primi Massimo Carlotto e Giancarlo De Cataldo. Poche righe che denunciano "un isolamento fatto da ciò che non ti fanno e che vogliono farti credere ti faranno. Ma intanto ti fermano, creano diffidenza intorno, screditano, insultano, allontanano tutti dalla tua vita perché mettendo paura ti creano attorno il deserto. A questo punto devono venire fuori altre voci".
Intanto a Napoli la camorra continua a colpire e a fare soldi. Il Viminale lavora a un piano per la città. I firmatari dell’appello non vogliono fermarsi alle parole. Pensano a una grande manifestazione che dovrebbe svolgersi proprio in provincia di Caserta. Nella terra d’origine dello scrittore, e di quella camorra che vorrebbe mettere a tacere chi ne ha denunciato pubblicamente gli intrecci e gli inganni. (13 ottobre 2006)
www.repubblica.it, 13.10.2006
Scorta a Roberto Saviano, lo scrittore che denuncia il potere economico della camorra *
Sotto scorta per aver osato sfidare i clan. Il ventisettenne Roberto Saviano da ieri non avrà più una vita normale, non sarà più libero di uscire, magari per una semplice passeggiata da solo. L’autore di “Gomorra”, strepitoso racconto-inchiesta sullo strapotere della camorra campana, è stato raggiunto da una serie di minacce da parte dei boss, e così il prefetto di Caserta ha deciso per una “protezione ravvicinata”.
Due settimane fa il giovane giornalista aveva pronunciato un discorso di dura condanna contro il clan dei Casalesi durante un dibattito nella piazza di Casal di Principe - roccaforte del clan - al quale aveva partecipato anche il presidente della camera Bertinotti. Saviano aveva ricordato la figura di don Peppino Diana, il parroco ucciso 12 anni fa dalla camorra per il suo impegno anti-mafia.
La notizia della scorta ha fatto sorgere una lunga catena di solidarietà, non solo dal mondo politico ma anche da quello letterario. Ieri è stato lanciato ufficialmente il blog “Io sto con Roberto”.
Giunto già alla nona edizione, “Gomorra” ha ricevuto il premio Viareggio per l’opera prima e sta riscuotendo grande successo per la capacità di sviscerare il vero potere dei clan campani: quello economico. I boss ormai assomigliano a degli imprenditori che imitano le star del cinema e si costruiscono ville hollywoodiane, offrono la cena a interi ristoranti e godono di una straordinaria impunità.
Saviano ha collaborato in passato con «Il Corriere del Mezzogiorno» e «Il Mattino» ed ora con «L’Espresso». Questa mattina riceverà il premio Don Luigi di Liegro per il giornalismo sociale, assieme a Gian Antonio Stella, l’inviato di Raitre Riccardo Iacona e la trasmissione Report.
*
www.liberazione.it, 17.10.2006
La denuncia di Saviano: circondato dall’odio per le mie parole
Vado via perché voglio scrivere ed ho bisogno di stare nella realtà
"Io, prigioniero di Gomorra
lascio l’Italia per riavere una vita"
di GIUSEPPE D’AVANZO *
ANDRO’ via dall’Italia, almeno per un periodo e poi si vedrà...", dice Roberto Saviano. "Penso di aver diritto a una pausa. Ho pensato, in questo tempo, che cedere alla tentazione di indietreggiare non fosse una gran buona idea, non fosse soprattutto intelligente. Ho creduto che fosse assai stupido - oltre che indecente - rinunciare a se stessi, lasciarsi piegare da uomini di niente, gente che disprezzi per quel che pensa, per come agisce, per come vive, per quel che è nella più intima delle fibre ma, in questo momento, non vedo alcuna ragione per ostinarmi a vivere in questo modo, come prigioniero di me stesso, del mio libro, del mio successo. ’Fanculo il successo. Voglio una vita, ecco. Voglio una casa. Voglio innamorarmi, bere una birra in pubblico, andare in libreria e scegliermi un libro leggendo la quarta di copertina. Voglio passeggiare, prendere il sole, camminare sotto la pioggia, incontrare senza paura e senza spaventarla mia madre. Voglio avere intorno i miei amici e poter ridere e non dover parlare di me, sempre di me come se fossi un malato terminale e loro fossero alle prese con una visita noiosa eppure inevitabile. Cazzo, ho soltanto ventotto anni! E voglio ancora scrivere, scrivere, scrivere perché è quella la mia passione e la mia resistenza e io, per scrivere, ho bisogno di affondare le mani nella realtà, strofinarmela addosso, sentirne l’odore e il sudore e non vivere, come sterilizzato in una camera iperbarica, dentro una caserma dei carabinieri - oggi qui, domani lontano duecento chilometri - spostato come un pacco senza sapere che cosa è successo o può succedere. In uno stato di smarrimento e precarietà perenni che mi impedisce di pensare, di riflettere, di concentrarmi, quale che sia la cosa da fare. A volte mi sorprendo a pensare queste parole: rivoglio indietro la mia vita. Me le ripeto una a una, silenziosamente, tra me".
La verità, la sola oscena verità che, in ore come queste, appare con tragica evidenza è che Roberto Saviano è un uomo solo. Non so se sia giusto dirlo già un uomo immaginando o pretendendo di rintracciare nella sua personalità, nella sua fermezza d’animo, nella sua stessa fisicità la potenza sorprendente e matura del suo romanzo, Gomorra. Roberto è ancora un ragazzo, a vederlo. Ha un corpo minuto, occhi sempre in movimento. Sa essere, nello stesso tempo, malizioso e insicuro, timidissimo e scaltro. La sua è ancora una rincorsa verso se stesso e lungo questo sentiero è stato catturato da uno straordinario successo, da un’imprevedibile popolarità, dall’odio assoluto e assassino di una mafia, dal rancore dei quietisti e dei pavidi, dall’invidia di molti. Saranno forse queste le ragioni che spiegano come nel suo volto oggi coabitino, alternandosi fraternamente, le rughe della diffidenza e le ombre della giovanile fiducia di chi sa che la gioia - e non il dolore - accresce la vita di un uomo. "Sai, questa bolla di solitudine inespugnabile che mi stringe fa di me un uomo peggiore. Nessuno ci pensa e nemmeno io fino all’anno scorso ci ho mai pensato. In privato sono diventato una persona non bella: sospettoso, guardingo. Sì, diffidente al di là di ogni ragionevolezza. Mi capita di pensare che ognuno voglia rubarmi qualcosa, in ogni caso raggirarmi, "usarmi". E’ come se la mia umanità si fosse impoverita, si stesse immeschinendo. Come se prevalesse con costanza un lato oscuro di me stesso. Non è piacevole accorgersene e soprattutto io non sono così, non voglio essere così. Fino a un anno fa potevo ancora chiudere gli occhi, fingere di non sapere. Avevo la legittima ambizione, credo, di aver scritto qualcosa che mi sembrava stesse cambiando le cose. Quella mutazione lenta, quell’attenzione che mai era stata riservata alle tragedie di quella terra, quell’energia sociale che - come un’esplosione, come un sisma - ha imposto all’agenda dei media di occuparsi della mafia dei Casalesi, mi obbligava ad avere coraggio, a espormi, a stare in prima fila. E’ la mia forma di resistenza, pensavo. Ogni cosa passava in secondo piano, diventava di serie B per me. Incontravo i grandi della letteratura e della politica, dicevo quello che dovevo e potevo dire. Non mi guardavo mai indietro. Non mi accorgevo di quel che ogni giorno andavo perdendo di me. Oggi, se mi guardo alle spalle, vedo macerie e un tempo irrimediabilmente perduto che non posso più afferrare ma ricostruire soltanto se non vivrò più, come faccio ora, come un latitante in fuga. In cattività, guardato a vista dai carabinieri, rinchiuso in una cella, deve vivere Sandokan, Francesco Schiavone, il boss dei Casalesi. Se lo è meritato per la violenza, i veleni e la morte con cui ha innaffiato la Campania, ma qual è il mio delitto? Perché io devo vivere come un recluso, un lebbroso, nascosto alla vita, al mondo, agli uomini? Qual è la mia malattia, la mia infezione? Qual è la mia colpa? Ho voluto soltanto raccontare una storia, la storia della mia gente, della mia terra, le storie della sua umiliazione. Ero soddisfatto per averlo fatto e pensavo di aver meritato quella piccola felicità che ti regala la virtù sociale di essere approvato dai tuoi simili, dalla tua gente. Sono stato un ingenuo. Nemmeno una casa, vogliono affittarmi a Napoli. Appena sanno chi sarà il nuovo inquilino si presentano con la faccia insincera e un sorriso di traverso che assomiglia al disprezzo più che alla paura: sono dispiaciuti assai, ma non possono.... I miei amici, i miei amici veri, quando li ho finalmente rivisti dopo tante fughe e troppe assenze, che non potevo spiegare, mi hanno detto: ora basta, non ne possiamo più di difendere te e il tuo maledetto libro, non possiamo essere in guerra con il mondo per colpa tua? Colpa, quale colpa? E’ una colpa aver voluto raccontare la loro vita, la mia vita?". Piacciono poco, da noi, i martiri. Morti e sepolti, li si può ancora, periodicamente, sopportare. Vivi, diventano antipatici. Molto antipatici. Roberto Saviano è molto antipatico a troppi. Può capitare di essere infastiditi dalla sua faccia in giro sulle prime pagine. Può capitare che ci si sorprenda a pensare a lui non come a una persona inseguita da una concreta minaccia di morte, a un ragazzo precipitato in un destino, ma come a una personalità che sa gestire con sapienza la sua immagine e fortuna. Capita anche in queste ore, qui e lì. E’ poca, inutile cosa però chiedersi se la minaccia di oggi contro Roberto Saviano sia attendibile o quanto attendibile, più attendibile della penultima e quanto di più? O chiedersi se davvero quel Giuseppe Setola lo voglia disintegrare, prima di Natale, con il tritolo lungo l’autostrada Napoli-Roma o se gli assassini si siano già procurati, come dice uno di loro, l’esplosivo e i detonatori. O interrogarsi se la confidenza giunta alle orecchie delle polizie sia certa o soltanto probabile. E’ poca e inutile cosa, dico, perché, se i Casalesi ne avranno la possibilità, uccideranno Roberto Saviano. Dovesse essere l’ultimo sangue che versano. Sono ridotti a mal partito, stressati, accerchiati, incalzati, impoveriti e devono dimostrare l’inesorabilità del loro dominio. Devono poter provare alla comunità criminale e, nei loro territori, ai "sudditi" che nessuno li può sfidare impunemente senza mettere nel conto che alla sfida seguirà la morte, come il giorno segue la notte.
Lo sento addosso come un cattivo odore l’odio che mi circonda. Non è necessario che ascolti le loro intercettazioni e confessioni o legga sulle mura di Casale di Principe: "Saviano è un uomo di merda". Nessuno da quelle parti pensa che io abbia fatto soltanto il mio dovere, quello che pensavo fosse il mio dovere. Non mi riconoscono nemmeno l’onore delle armi che solitamente offrono ai poliziotti che li arrestano o ai giudici che li condannano. E questo mi fa incazzare. Il discredito che mi lanciano contro è di altra natura. Non dicono: "Saviano è un ricchione". No, dicono, si è arricchito. Quell’infame ci ha messo sulla bocca degli italiani, nel fuoco del governo e addirittura dell’esercito, ci ha messo davanti a queste fottute telecamere per soldi. Vuole soltanto diventare ricco: ecco perché quell’infame ha scritto il libro. E quest’argomento mette insieme la parte sana e quella malata di Casale. Mi mette contro anche i miei amici che mi dicono: bella vita la tua, hai fatto i soldi e noi invece tiriamo avanti con cinquecento euro al mese e poi dovremmo difenderti da chi ti odia e ti vuole morto? E perché, diccene la ragione? Prima ero ferito da questa follia, ora non più. Non mi sorprende più nulla. Mi sembra di aver capito che scaricando su di me tutti i veleni distruttivi, l’intera comunità può liberarsi della malattia che l’affligge, può continuare a pensare che quel male non ci sia o sia trascurabile; che tutto sommato sia sopportabile a confronto delle disgrazie provocate dal mio lavoro. Diventare il capro espiatorio dell’inciviltà e dell’impotenza dei Casalesi e di molti italiani del Mezzogiorno mi rende più obiettivo, più lucido da qualche tempo. Sono solo uno scrittore, mi dico, e ho usato soltanto le parole. Loro, di questo, hanno paura: delle parole. Non è meraviglioso? Le parole sono sufficienti a disarmarli, a sconfiggerli, a vederli in ginocchio. E allora ben vengano le parole e che siano tante. Sia benedetto il mercato, se chiede altre parole, altri racconti, altre rappresentazioni dei Casalesi e delle mafie. Ogni nuovo libro che si pubblica e si vende sarà per loro una sconfitta. E’ il peso delle parole che ha messo in movimento le coscienze, la pubblica opinione, l’informazione. Negli anni novanta, la strage di immigrati a Pescopagano - ne ammazzarono cinque - finì in un titolo a una colonna nelle cronache nazionali dei giornali. Oggi, la strage dei ghanesi di Castelvolturno ha costretto il governo a un impegno paragonabile soltanto alla risposta a Cosa Nostra dopo le stragi di Capaci e di via D’Amelio. Non pensavo che potessimo giungere a questo. Non pensavo che un libro - soltanto un libro - potesse provocare questo terremoto. Subito dopo però penso che io devo rispettare, come rispetto me stesso, questa magia delle parole. Devo assecondarla, coltivarla, meritarmela questa forza. Perché è la mia vita. Perché credo che, soltanto scrivendo, la mia vita sia degna di essere vissuta. Ho sentito, per molto tempo, come un obbligo morale diventare un simbolo, accettare di essere al proscenio anche al di là della mia voglia. L’ho fatto e non ne sono pentito. Ho rifiutato due anni fa, come pure mi consigliavano, di andarmene a vivere a New York. Avrei potuto scrivere di altro, come ho intenzione di fare. Sono restato, ma per quanto tempo dovrò portare questa croce? Forse se avessi una famiglia, se avessi dei figli - come li hanno i miei "angeli custodi", ognuno di loro non ne ha meno di tre - avrei un altro equilibrio. Avrei un casa dove tornare, un affetto da difendere, una nostalgia. Non è così. Io ho soltanto le parole, oggi, a cui provvedere, di cui occuparmi. E voglio farlo, devo farlo. Come devo - lo so - ricostruire la mia vita lontano dalle ombre. Anche se non ho il coraggio di dirlo, ai carabinieri di Napoli che mi proteggono come un figlio, agli uomini che da anni si occupano della mia sicurezza. Non ho il cuore di dirglielo. Sai, nessuno di loro ha chiesto di andar via dopo quest’ultimo allarme, e questa loro ostinazione mi commuove. Mi hanno solo detto: "Robe’, tranquillo, ché non ci faremo fottere da quelli là"".
A chi appartiene la vita di Roberto? Soltanto a lui che può perderla? Il destino di Saviano - quale saranno da oggi i suoi giorni, quale sarà il luogo dove sceglierà, "per il momento", di scrivere per noi le sue parole necessarie - sono sempre di più un affare della democrazia italiana.
La sua vita disarmata - o armata soltanto di parole - è caduta in un’area d’indistinzione dove sembra non esserci alcuna tradizionale differenza tra la guerra e la pace, se la mafia può dichiarare guerra allo Stato e lo Stato per troppo tempo non ha saputo né cancellare quella violenza sugli uomini e le cose né ripristinare diritti essenziali. A cominciare dal più originario dei diritti democratici: il diritto alla parola. Se perde Saviano, perderemo irrimediabilmente tutti.
* la Repubblica, 15 ottobre 2008