Giustizia, duello Lega-Berlusconi
Il Carroccio frena, il premier insiste
Il Cavaliere: "Separazione carriere e riforma Csm sono priorità nazionale"
Disaccordi anche sulla legge elettorale per le Europee del prossimo anno
ROMA - La Lega frena: "C’è tempo, prima di riformare la giustizia serve il federalismo fiscale". Berlusconi accellera: "Adesso, e sono più determinato che mai". Oggetto del contendere è la riforma della giustizia. Dopo gli annunci di ieri del premier e del suo ministro Guardasigilli sulle necessità di una riforma "radicale" del sistema giustizia e dei poteri dei magistrati, stamani Il Carroccio ha puntato i piedi. Non se ne parla, c’è altro da fare prima, ovverosia - come dice il programma del Pdl - il federalismo fiscale. Ma nel primo pomeriggio Berlusconi fa finta di nulla. E riunito con gli eurodeputati del Pdl e dice: "Mai stato determinato come adesso. Serve una riforma della giustizia dalle fondamenta".
L’altolà della Lega. A Berlusconi che spinge sull’acceleratore e chiede di dare via alla riforma della giustizia già "da settembre", il Carroccio mette un freno. "Abbiamo fatto una tabella temporale delle riforme e in quella tabella la riforma della giustizia non c’è. Questo non vuol dire che non si farà, ma viene dopo" dice Roberto Calderoli, ministro della Semplificazione. Diversa la scala delle priorità del Carroccio: "In autunno abbiamo il federalismo fiscale, il codice delle autonomie e poi la finanziaria. A seguire, la riforma costituzionale. Una riforma della giustizia ci può anche stare, ma il 2008 è piuttosto pieno".
"Evitare altre tensioni con le opposizioni". E dire che solo ieri il premier e il Guardasigilli Angelino Alfano davano per fatta "la riforma organica della giustizia" a settembre. Il fatto è che la Lega è preoccupata che nuove tensioni con l’opposizione rappresentino un ostacolo sul cammino verso il federalismo. Il Carroccio lo sa, come sa che uno scontro sulla giustizia, genererebbe un muro contro muro che sarebbe impossibile da evitare. E, con l’opposizione sulle barricate, il federalismo tanto voluto da Bossi e seguaci rischierebbe di essere solo una chimera.
Il Cavaliere tira dritto. Incurante di tutto, forte dei suoi sondaggi ("solo il 6 per cento degli elettori del Pdl ha ancora fiducia nella magistratura"), agli eurodeputati riuniti in un albergo della Capitale dice: "Non sono mai stato più determinato di adesso. Ci vuole una riforma giusta per il Paese. E’ una priorità nazionale". Il premier non vuole parlare con i giornalisti al di fuori delle conferenze stampa. Alcuni presenti all’incontro riferiscono così che "il primo punto della riforma della giustizia sarà l’immunità parlamentare". A seguire poi la riforma del Csm, la separazione delle carriere tra giudici e pm e la riforma dei codici penali e di procedura.
Litigio anche su legge elettorale europea. Punti di vista diversi tra Lega e Berlusconi anche sulla legge elettorale per le elezioni europee nel 2009. Il premier vorrebbe uno sbarramento del 5% e liste bloccate, senza preferenze, con un collegio unico nazionale. La sua è una proposta trattabile: la soglia di sbarramento potrebbe scendere al 4%; possiiblità di mantenere le preferenze a condizione però di mantenere gli attuali cinque collegi. "La proposta di Calderoli non mi convince" aggiunge il premier che si riferisce alla proposta del Carroccio di inserire la preferenza unica.
* la Repubblica, 16 luglio 2008
Sul tema, nel sito, si cfr.:
La mala rottamazione
di Barbara Spinelli (la Repubblica, 24 ottobre 2012)
Rottamazione, dice il vocabolario, è l’azione che si compie quando si demoliscono oggetti fuori uso: specie automobili. Vengono triturati, per riutilizzare le parti metalliche. A volte, ottieni sconti sulla nuova vettura. Applicata alle persone e al ricambio di dirigenti politici, è una delle parole più maleducate e violente che esistano oggi in Italia. I rottamatori sono fieri di chiamarsi così, e quando l’operazione riesce esibiscono le spoglie del vinto: «La rottamazione comincia a produrre i primi frutti», ripeteva Matteo Renzi, domenica in un’intervista in tv.
La lotta per l’avvicendamento ai vertici della politica ha sue ragioni, e lo stile brutale risponde a un’ansia, enorme e autentica, di cambiamento: si vorrebbe azzerare l’esistente, e come nella poesia di Rimbaud ci si professa «assolutamente moderni». È un conflitto legittimo, anche necessario: che va portato alla luce perché nell’ombra degenera o ammutolisce. È il grande merito del sindaco di Firenze, come di Grillo. Impressionante è la campagna di quest’ultimo in Sicilia: lunga, martellante, è rifiuto del mutismo. Da due settimane è nell’isola; nessuno s’era messo per tanto tempo in ascolto delle sue collere.
Ma la parola rottamazione, anche se Renzi intende cambiamento, resta ustionante e parecchi la prendono alla lettera. L’avversario-rivale è trattato alla stregua di arnese metallico. Se l’idea della rottamazione non avesse alle spalle una storia lunga, di degradazione della persona a oggetto servibile, non susciterebbe tanto disagio. Non sveglierebbe fantasie di uomini «di troppo», di rottami. Forse chi la usa (non solo il sindaco di Firenze) non se ne rende conto, ma il termine alligna nelle terre della pubblicità ed è lessico della generazione Berlusconi. È nato con lui, con le sue disinvolture verbali. Non ingentilisce ma corrompe il discorso pubblico. È figlio della rivoluzione non solo politica ma linguistica, di stile, che Berlusconi inaugurò nel ‘94. Fu una rivoluzione della noncuranza, del «tutto è permesso»: non badava alle conseguenze di quel che veniva detto, ai tabù infranti.
È una parola del tutto anomala, inoltre. In Europa o America, nessun politico che magnifichi il Nuovo oserebbe condurre una campagna in cui gli anziani, i seniores, vengano definiti ferrivecchi. Nell’aprile 2002, quando il socialista Jospin alluse all’età del rivale Chirac, i sondaggi lo punirono, screditandolo. Aveva avuto l’impudenza e l’imprudenza di dire che il Presidente era «affaticato, invecchiato, vittima dell’usura». Gli elettori non amavano Chirac, ma la mancanza di gentile rispetto dell’anzianità, in Jospin, fu ritenuta intollerabile.
Una cosa è attaccare la linea dell’avversario: soffermandosi su di essa, senza censure. Altra cosa è assalire la persona. Se rottamazione scomparisse dal vocabolario giornalistico e politico non sarebbe male. Conterebbe più la sostanza: l’errore di Veltroni, quando affondò l’ultimo governo Prodi annunciando che il Pd, rompendo le catene della sinistra radicale, sarebbe «corso da solo» (come se non fosse stato il centro a silurare Prodi). O si potrebbe raccontare D’Alema: il suo rapporto sprezzante con giornalisti e magistrati, i piaceri che fece a Berlusconi, i dispiaceri che procurò a Prodi, l’influenza eccessiva esercitata su Bersani. Ci dedicheremmo a quel che Renzi vuol dire, e alla fiducia che riscuote in persone di prestigio come Pietro Ichino.
Rottamazione è un cartello stradale che depista: non dice quel che promette, né sull’Europa né sulla corruzione né sulla ‘ndrangheta che ci assilla. Vale la pena ripercorrere la storia di questo vocabolo, tanto più cruento in un paese fragile: dopo la Germania, siamo il popolo che più invecchia in Europa. Vale la pena tener viva la memoria, perché lo sgarbo non è episodico ma ha radici in una sistematica denigrazione dei più anziani: nei luoghi di lavoro e nella politica.
Il Parlamento si era appena insediato, nel ‘94, e fu subito offensiva contro un senior come Norberto Bobbio. Eletto alla Camera alta, Franco Zeffirelli giubilò: la Seconda repubblica aveva spazzato via «la triste sfilata dei senatori a vita, uno più cadaverico dell’altro, una vecchia Italia che non vogliamo più e che si è seppellita da sola».
Facendogli eco, Maurizio Gasparri diceva di Indro Montanelli: «Quello è arrivato al tramonto della vita e anche delle capacità intellettuali del suo cervello»
L’offensiva rottamatrice proseguì, più feroce, nel 2006-2008. Ricordiamo gli improperi riversati su Rita Levi Montalcini, e sulla sua tenace presenza in Senato per sostenere il governo di centro sinistra. Sul Giornale del 14-7-07, Paolo Guzzanti parlò di vecchi «scongelati, inchiavardati allo scranno e costretti a pigiare col ditino il pulsante guidato da una senatrice badante». Storace promise «un bel paio di stampelle da consegnare a domicilio. Si comincia dalla senatrice a vita Levi Montalcini ». Su Libero, diretto da Vittorio Feltri, apparve il titolo d’apertura: «La dittatura dei pannoloni».
Siamo dunque lontani dal vero, quando scriviamo che Berlusconi è finito, e con lui il lessico d’insulti della Lega. Il loro modo d’essere e di dire sgocciola come da una flebo nelle vene di un’intera generazione. È il suo marchio, così come le parole del ’68 intrisero due generazioni. I francesi faticano ancor oggi a uscire dalla generazione Mitterrand. Faticheremo anche noi, più di quel che si dica.
Il cambiamento è altra cosa. È la crisi non come decadenza ma trasformazione: un desiderio che Renzi intuisce, e vuol incarnare. È un conflitto ineluttabile: fra ieri, oggi, domani. È un progetto diverso di crescita, non nuovo tra l’altro, se già nel 1987 il rapporto Brundtland scriveva: «Lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni». È un orizzonte dato a giovani cui non si può dire, come il ministro Fornero: «Siete troppo choosy!» («schizzinosi » è mal tradotto, cancella il furto della scelta). E che volto devono avere le nostre città, i nostri pubblici spazi e servizi? Come congegnare pensioni che non tramutino gli anziani in gente bandita o - abbondano anche qui truci aggettivi - in esuberi o esodati? Dai tempi dei Viceré e del Gattopardo sappiamo che cambiar facce non basta alle Grandi Trasformazioni.
Rottamazione oltre che parola brutta è diseducativa, non prepara alcunché. Alla sua insegna non può svolgersi dibattito fra candidati alla guida del Paese. Eppure di discussioni dirette c’è bisogno: per districarsi da soli, senza mediatori nei giornali o in Tv. Nelle primarie americane e francesi è la norma, sebbene scabrosa.
Il rottamatore di professione, presente ovunque nei partiti, ti fruga, alla ricerca degli istinti più bassi, delle passioni più tristi. Viene in mente il Viaggio agli inferni del secolo di Buzzati: nei sotterranei milanesi, sotto la metro, c’è un mondo parallelo in cui i vecchi, inservibili, sono scaraventati dalle finestre nei marciapiedi.
Entrümpelung, parola che Buzzati prende dal lessico nazista, significa repulisti, sgombero: è una variante dell’igienica rottamazione. Anche quel repulisti viene celebrato come «festa della giovinezza, della rinascita, della speranza», del Mondo Nuovo.
Accade così che il diverso appaia come uomo di troppo: povero o vecchio, esodato o immigrato. Sono i disastri del moderno, non del barbarico. Una volta che te la prendi con classi d’età, quindi con la biologia, entri nella logica del capro espiatorio, dell’innocente che paga per il collettivo. Il rito è la ripetizione di un primo linciaggio spontaneo, secondo René Girard, che riporta ordine in seno alla comunità. Nel linciaggio, la violenza di tutti contro tutti sfocia in violenza di tutti contro uno. Sarebbe bello se a dirlo, con voce non bassa, fossero anche i giovani