Il capo dello Stato si prenderà tutto il tempo necessario per evitare il ricorso alle urne. "So che il sentiero è stretto ma ci devo provare"
Napolitano, pressing su Berlusconi
’Senza Forza Italia nessuno sbocco’
di CLAUDIO TITO *
ROMA - "Senza Forza Italia non si fa un altro governo". Il cuore di questa crisi politica è tutta qua. In questa frase che Giorgio Napolitano si è lasciato scappare nei colloqui della prima giornata di consultazioni. Il punto nevralgico che può evitare al Paese nuove elezioni ad aprile è rappresentato da Silvio Berlusconi. I riflettori del partito del "non voto" sono puntati su di lui. È scattato il pressing per costruire intorno al Cavaliere un muro di gomma che gli impedisca di dire la prossima settimana quel che sta ripetendo in queste ore: "Subito alle urne". Un fuoco concentrico che parte dai "cannoni" del Quirinale e del Pd.
Che trova una sponda nell’Udc di Pier Ferdinando Casini e nella Confindustria di Luca Cordero di Montezemolo. Non a caso ieri Walter Veltroni, al vertice del suo partito ha ripetutamente fatto riferimento alle posizioni assunte dal "mondo dell’economia e della finanza". Un fuoco concentrico, dunque, che punta a convincere il capo forzista. A fiaccarne la resistenza. E che trova in Franco Marini, l’uomo che, al momento, il Colle considera come il candidato più accreditato.
Così, il presidente delle Repubblica ha già fatto sapere che si assumerà l’onere di provare a indebolire il niet berlusconiano. Mettendo nel conto anche una crisi dai tempi lunghi. "Lo so - ha detto a chiare lettere negli incontri di ieri pomeriggio - che il sentiero è stretto. Ma io ci devo provare". Napolitano da tempo aveva avvertito che con l’attuale sistema non si possono richiamare i cittadini al voto. "Bisogna garantire stabilità ai governi - ha ragionato davanti ai rappresentanti dei gruppi misti di Camera e Senato - e quel che è successo ieri ne è la dimostrazione. Serve una nuova legge elettorale, ma anche le riforme istituzionali e i regolamenti dei due rami del parlamento".
Per raggiungere il suo obiettivo il capo dello Stato ha deciso di non affrettare la sua esplorazione. Quattro giorni di consultazioni e poi, dopo martedì un fase di riflessione. "Non so - ha confidato ieri ai "consultati" - quanto tempo mi prenderò". Il tutto nella convinzione che i giudizi senza appello emessi ieri da Berlusconi, tra una settimana o due non saranno altrettanto irremovibili. "Mi preparo da un anno a questa partita - diceva l’altro ieri con una battuta con un segretario di partito - e adesso la giocherò fino in fondo". Mettendo in campo il richiamo al "senso di responsabilità" delle forze politiche, le emergenze del Paese (compresa quella economica e quella dei rifiuti) e persino gli ultimi sondaggi secondo cui - raccontavano ieri nella sede del Pd - la maggioranza degli italiani non vuole tornare alle elezioni.
Un forcing che nel frattempo è stato preceduto dal tentativo di tenaglia esercitato dal Partito Democratico e dall’Udc. Ieri Veltroni e Casini si sono sentiti la telefono. Hanno concordato la sostanza del comunicato diramato dal leader centrista e la disponibilità piena ad accogliere qualsiasi soluzione, di metodo e di merito, proclamata dai democratici. "Io però - gli ha detto Casini - di più non posso fare". I centristi spingono per un governo istituzionale, ma solo se aderisce pure Forza Italia. "Non mi chiedere di più - ha spiegato ad un Veltroni che lo sondava sull’ipotesi di un esecutivo senza i forzisti - . Ci stimiamo troppo per valutare questa opzione. Bisognava pensarci prima, e non ora con Prodi caduto. E comunque sarebbe contro la mia storia. Io posso fare un appello forte per un governo di responsabilità nazionale, ma senza Berlusconi io non ci posso stare".
Una delusione, per il segretario Pd. Che nel pomeriggio, davanti ai maggiorenti di Piazza Santa Anastasia, ha fatto poco per nascondere il suo pessimismo. Del resto, attraverso i contatti costanti con Gianni Letta, sa bene cosa pensa Berlusconi. Ma anche per lui il tentativo va compiuto fino in fondo. Persino fino al punto di dire sì ad un esecutivo guidato dallo stesso Letta. "Noi però - ha messo le mani avanti Veltroni - non abbiamo paura delle elezioni".
E già, perché le urne a tutti appaiono dietro l’angolo: il 6 o il 13 aprile. E questo pure se il fronte che vuole ritardare il voto è composto anche da soggetti esterni alla politica. I vertici del Pd hanno salutato ieri le parole di Montezemolo. Confindustria è una punta di quel pressing. Un tassello di cui il Cavaliere dovrà comunque fare i conti se e quando tornerà a Palazzo Chigi. Considerando che Emma Marcegaglia, la donna che a maggio prenderà il posto dell’attuale presidente di Via dell’Astronomia, è una "montezemoliana" di ferro.
L’unica che nel 2002, per protesta contro la vittoria tra gli industriali del "berlusconiano" Antonio D’Amato, si dimise dalla carica di vicepresidente della Confindustria per l’Europa. Insomma tutte armi che in questi giorni vengono innescate per creare un clima che sconsigli Berlusconi di imboccare lo scioglimento del parlamento a dispetto di tutti. Anche del Colle con cui, eventualmente, dovrà fare i conti per i prossimi 5 anni.
Ma appunto, il sentiero resta stretto. Tanto che persino il "papabile" Marini è turbato dalla sua pole position. L’inquilino di Palazzo Madama è davvero preoccupato che il pallino cada sul suo numero. Teme la situazione generale, ha paura che la spirale dell’economia internazionale si aggrovigli ulteriormente e soprattutto è terrorizzato che alla fine gli facciano fare un "governicchio" che lo esponga davanti all’opinione pubblica. "Ma come si fa - ha detto giovedì sera lasciando il Senato - a fare qualcosa? Chi ha la forza di fare qualcosa?".
Per ora, intanto, Berlusconi resiste. Anche in una telefonata a Casini lo ha ribadito. Sebbene la "carta Letta" rimanga in tasca per la prossima settimana. Il partito del "non voto" spera ancora nel miracolo. Magari confidando proprio in Santa Anastasia, cui è dedicata la chiesa adiacente la sede del Pd, cui veniva accreditata una speciale capacità nel sciogliere i nodi.
*la Repubblica, 26 gennaio 2008.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
L’ITALIA NELLA MORSA DELLA POLTIGLIA E NELLA TRAPPOLA DELLO SPECCHIO PER LE ALLODOLE ...
Napolitano: «prendo una pausa di riflessione. la mia decisione sarà motivata»
Berlusconi e Casini: «Subito al voto»
Il leader dell’Udc si schiera con il Cavaliere. Veltroni: «Elezioni nel 2009 o dopo la riforma elettorale» *
ROMA - «Ora prendo una pausa di riflessione. Dopo aver sentito 19 delegazioni politiche, i presidenti di Camera e Senato, e i tre ex presidenti della Repubblica, la situzione è ovviamenete complessa. Qualunque sarà la mia decisione, la renderò nota con una comunicazione motivata». Queste le parole del capo dello Stato, Giorgio Napolitano, alle 19 di martedì, al termine dell’ultimo giro di consultatzioni.
POSIZIONI - Le posizioni restano inconciliabili. I leader di Forza Italia e Pd salgono al Quirinale e ribadiscono al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, le loro richieste per risolvere la crisi dopo la caduta del governo Prodi. Per Silvio Berlusconi «l’unica strada è quella di ritornare al voto per dare al Paese un governo immediatamente operativo». Affermazioni alle quali, nel tardo pomeriggio, si allinea anche Pier Ferdinando Casini: «No a governicchi, meglio andare alle elezioni». Il segretario del Partito democratico, invece, delinea due scenari: elezioni nel 2009, con un governo che si occupi di legge elettorale, salari e costi della politica; oppure entro pochi mesi, il tempo necessario per cambiare almeno il sistema di voto. «Bisogna trovare una soluzione positiva per corrispondere a un bisogno di stabilità - spiega Walter Veltroni - e per avere governi fondati su una coerenza programmatica. Il voto oggi significa instabilità domani».
BERLUSCONI - Berlusconi non è d’accordo. Secondo il Cavaliere, «la presente legge elettorale ha consentito una piena governabilità alla Camera a una coalizione che aveva vinto di soli 24 mila voti, mentre non l’ha consentita al Senato perché lì la sinistra aveva avuto meno voti del centrodestra». L’ex premier chiarisce poi le sue dichiarazioni sulla possibilità di ricorrere alla piazza qualora il capo dello Stato non decida di indire nuove elezioni: «Le mie affermazioni erano proprio di segno contrario. C’è stata disinformazione piena e totale, una vergogna. Ho detto semplicemente che abbiamo ricevuto molte richieste dalla nostra base per organizzare manifestazioni di piazza ma che noi abbiamo rinunciato a farlo». E il dialogo sulle riforme? «Non abbiamo cambiato idea. Ma non è possibile pensare di attuare riforme importanti in tempi brevi».
VELTRONI - «Le elezioni anticipate sono un’alternativa che non corrisponde ai bisogni del Paese - spiega invece il sindaco di Roma -. Questa ipotesi appare anche contraddittoria a quanto dichiarato da tutti i partiti politici in questi mesi». «L’Italia ha forse bisogno di entrare in una campagna elettorale infuocata? - chiede il segretario del Pd - L’Italia ha bisogno di tornare forse a governi formati da 12-13 partiti? O ha bisogno di usicre di tutto questo?». «Alcuni partiti che chiedono il voto - aggiunge Veltroni - sono gli stessi che hanno raccolto migliaia di firme per cambiare la legge elettorale. Noi abbiamo presentato due ipotesi: fissare la data delle elezioni per la primavera dell’anno prossimo e affrontare una serie di riforme», oppure «fissare la data delle elezioni entro qualche mese, nel primo semestre di quest’anno, e cambiare almeno il sistema di voto». Poi la stoccata al centrodestra: «Perché si ha tanta fretta di votare se si è sicuri di vincere? E non si è invece disposti ad aspettare due mesi e avere una legge elettorale che garantisca stabilità? Eravamo a un passo da un accordo possibile e io credo che possiamo partire dalla prima bozza Bianco e da lì cercare una possibile convergenza per dare al Paese stabilità e ai governi governabilità». Berlusconi ha chiarito che le forze del centrodestra si presenteranno assieme in caso di voto (precisando che «Casini non si sfilerà»): e il Pd? «Se ci saranno elezioni subito - risponde Veltroni - il Partito democratico si presenterà con uno schieramento che avrà al centro un programma di governo e non lo schieramento stesso».
UDC - Per alcune ore, subito dopo le dichiarazioni di Berlusconi e Veltroni, tiene banco la posizione dell’Udc, soprattutto in seguito all’apertura di Mario Baccini a un governo guidato da Franco Marini: «Se, al termine delle consultazioni, il capo dello Stato decidesse di dare l’incarico per formare un nuovo esecutivo a una persona di alto profilo, come il presidente del Senato, per salvare il Paese dal declino, questo appello non resterà inascoltato». Seguono una serie di repliche e precisazioni, con Berlusconi che dice «no ai giochi di palazzo», Gianfranco Rotondi (Dc per le autonomie) che prevede addirittura una «spaccatura» dell’Udc, Roberto Maroni (Lega) che lancia l’ultimatum: «Se si sta con noi si è contro qualsiasi altro governo diverso». Alla fine, tocca a Pier Ferdinando Casini dettare la linea del partito: «Abbiamo cercato di lavorare per un atto di pacificazione fra le due parti. Poiché le disponibilità necessarie non sono maturate, tanto vale non perdere ulteriore tempo e andare verso le elezioni anticipate perché credo a nessuno servano né governicchi né pasticci».
NAPOLITANO - La situazione resta dunque ingarbugliata. Dopo aver incontrato anche i presidenti emeriti della Repubblica (Francesco Cossiga, Oscar Luigi Scalfaro e Carlo Azeglio Ciampi), già mercoledì mattina Napolitano potrebbe tentare di dare una soluzione alla crisi affidando l’incarico a una personalità di rilievo. Lo stesso Cossiga propende per questa ipotesi: «Credo che ci sia l’orientamento di dare un incarico esplorativo. Mi auguro che l’opposizione, di fronte alla formazione di un governo che abbia un programma limitato, non faccia nulla per impedire questo tentativo». Anche perché, stando ad alcune indiscrezioni, il capo dello Stato avrebbe verificato che «sul voto anticipato non c’è attualmente una maggioranza». Indiscrezioni trapelate però prima della netta presa di posizione di Casini.
* Corriere della Sera, 29 gennaio 2008
Prima il presidente di Confindustria, poi mons. Betori, infine Sangalli
E il terzetto Bossi-Fini-Berlusconi, che punta tutto sulle urne, rischia l’isolamento
Montezemolo, la Cei, Confcommercio
Si allarga il fronte del no alle elezioni
di MARCO BRACCONI *
ROMA - Luca Cordero di Montezemolo è stato il primo. Definendo addirittura "disperata" la sua richiesta di fare una nuova legge elettorale prima di tornare alle urne. Poi è arrivata la Chiesa, con le parole di monsignor Betori. E quindi la Confcommercio, con la presa di posizione del suo leader Sangalli. Nel Paese, sullo sfondo delle consultazioni al Quirinale, si allarga il fronte del ’no al voto’. E il terzetto dei pasdaran delle elezioni anticipate Bossi-Fini-Berlusconi, pur se fortissimo in termini di peso politico e numeri in Parlamento, rischia di restare isolato.
Tra i leader politici è Veltroni quello più impegnato nella ricerca di una strada che porti ad un governo per le Riforme. Che sia "minimo" (solo la legge elettorale e a voto a giugno) o "massimo" (un programma di riforme più vasto e alle urne nella primavera del 2009). Ma oltre alle alleanze trasversali in Parlamento (Casini e Bertinotti su tutti), su questo tema specifico il capo del Pd può contare sull’appoggio esplicito di pezzi da novanta come Vaticano, Confindustria, Confcommercio. Poteri che pesano in una partita delicata - e ancora apertissima - come quella che si va giocando in queste ore.
Colpisce, nelle dichiarazioni delle ultime ore, la inequivocabilità. Non sono frasi a mezza bocca, né ammiccamenti. Sono discese in campo. Sangalli, presidente di Confcommercio: "Serve governabilità reale, pensiamo che la riforma della legge elettorale sia importante e che il confronto debba arrivare a compimento". Betori, segretario della Cei: "Vorrei esortare tutti i soggetti politici a mettere sempre davanti il bene comune rispetto agli interessi di parte. La soluzione alla crisi di governo dovrebbe nascere da un accordo fra le parti e deve avere come proprio orizzonte il rispetto dell’autentica democrazia".
Di Montezemolo s’è detto, e volendo si possono mettere nel conto anche le parole pronunciate alcuni giorni fa dal commissario Ue Almunia ("Serve una prospettiva di stabilità"). Ce n’è abbastanza per poter dire che le elezioni anticipate hanno tanti nemici, troppi. Almeno abbastanza da poter dire che l’esito di questa crisi non è affatto scontato.
* la Repubblica, 29 gennaio 2008.
Il grande distruttore
di Pietro Spataro *
Nel giorno della pausa è arrivata la cannonata. La minaccia di Berlusconi ("o il voto o la piazza") è risuonata ieri nelle stanze del Quirinale dove Napolitano è alle prese con una crisi complicata. È la prima volta che il leader di un partito minaccia di portare milioni di persone in piazza se il Capo dello Stato non esegue i suoi ordini. Lo fa, oltre tutto, mentre sono aperte le consultazioni, fase delicatissima nella nostra vita politica. Ma il capo di Fi ci ha ormai abituato: la sua storia è infatti un pericoloso passaggio di prima volta in prima volta.
Nessuno ovviamente mette in forse il suo diritto di chiedere le elezioni. Berlusconi si sta giocando l’ultima partita: prima si vota e più è sicuro di essere il candidato premier. Quindi: alle urne ad aprile o al massimo a giugno con la speranza di tornare a Palazzo Chigi. Libero di crederci e di provarci.
La questione è un’altra. È che il signore di Arcore conferma anche in questi momenti il suo profilo di instancabile distruttore. Per lui le regole sono meno che un optional, le ha considerate così mentre governava (con tutti i disastri che sappiamo), le considera così anche oggi che servirebbero saggezza e misura.
Veltroni ieri ha lanciato un appello al senso di responsabilità nazionale: ha parlato di coraggio. Berlusconi ha risposto con la marcia su Roma. Non è un buon segno. Ma dal giornale fondato da Gramsci non può che venire un forte sostegno a chi in queste ore si affida all’"ottimismo della volontà" di fronte al "pessimismo dell’intelligenza" (frasi gramsciane citate ieri anche dal presidente della Camera). Ricordando ai lettori (e agli elettori) che la legge elettorale che ora tutti vogliono cambiare perché è una vera "porcata" l’hanno voluta loro, Berlusconi e i suoi. Così, tanto perché si sappia chi è che ha fatto a pezzi le regole del gioco e contribuito a combinare questo bel pasticcio.
pspataro@unita.it
* l’Unità, Pubblicato il: 28.01.08, Modificato il: 28.01.08 alle ore 10.36
ILSOLE24ORE 26 GENNAIO 2008
Audio intervista / Borrelli: il clima del 1992 non è mai passato Audio intervista di Raffaella Calandra
"Il clima del ’92 non è mai passato. Anzi, ora verso la magistratura c’è una reattività ancora maggiore di allora". Paragona la situazione attuale agli anni di Tangentopoli, l’ex procuratore di Milano, Francesco Saverio Borrelli, il procuratore del triplice "resistere" che oggi - dice - "andrebbe ripetuto". "La classe politica vuole addebitare alla magistratura colpe che non ha, la caduta del governo non è dipesa dall’inchiesta di Santa Maria Capua Vetere. Mastella ha solo colto quest’occasione". Ospite della cerimonia dell’inaugurazione dell’anno giudiziario a Milano, Borrelli - intervistato da Radio24- definisce la classe politica "refrattaria ai controlli di legalità": "l’attività di Mani Pulite non è servita, il costume nazionale è quello che è". Per questo, invoca un "rinnovamento etico e culturale". In quest’intervista, parla anche delle intercettazioni e dei giudici in tv e ai suoi colleghi dice: "abbassiamo la cresta, il nostro è un ruolo di servizio".
L’intervista a Francesco Saverio Borrelli è di Raffaella Calandra
Ansa» 2008-01-27 09:16
Card. Bertone: accordo per bene comune
ROMA - Il segretario di Stato Vaticano, card. Tarcisio Bertone, ha espresso stasera la speranza che le forze politiche italiane "si mettano d’accordo per il bene comune".
ll porporato è stato avvicinato dai giornalisti, all termine di una messa da lui celebrata in una chiesa del quartiere Trionfale, a Roma. Agli inizi, Bertone è apparso restio a fare qualsiasi dichiarazione sulla crisi del governo Prodi. "Non parlo, non parlo", ha detto ai cronisti che lo assediavano in sagrestia. Ma come cittadino, gli è stato chiesto, non ha alcun auspicio per l’Italia? "Beh, un auspicio di speranza", ha risposto Bertone. Che tipo di speranza? "La speranza che si mettano d’accordo per il bene comune", è stata la replica.
Napolitano: "Per ora non è possibile una sintesi"
Veltroni: "Votare con questa legge fa male al paese"
17:09 Legge elettorale, D’alema: "Si parta da bozza Bianco" Massimo d’alema invita alla formazione di un governo per salvare il Paese che realizzi "la riforma elettorale sulla base della bozza presentata nella commissione presieduta da Enzo Bianco". Lo ha detto parlando nel decennale della fondazione Italianieuropei.
17:08 D’Alema: "Occorre un governo per salvare il Paese" "Occorre un governo per salvare il Paese, per fare le riforme elettorale, istituzionale e dei regolamenti parlamentari". Lo ha detto Massimo D’Alema parlando al decennale di Italianieuropei. [...]
Fonte: la Repubblica, 26.01.2008 (parziale - cliccare sulla zona rossa, per proseguire la lettura)
Ansa» 2008-01-26 09:20
CRISI DI GOVERNO, SECONDA GIORNATA DI CONSULTAZIONI
Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha appena cominciato il suo giro di consultazioni, e già si affaccia l’impressione che questa prima esplorazione delle vere intenzioni delle diverse forze politiche non sarà sufficiente per dipanare la matassa; che probabilmente sarà necessario affidare ad una personalità istituzionale il compito di proseguire il lavoro di "meticoloso approfondimento".
Si fa già il nome del presidente del Senato Franco Marini con tanta insistenza che l’interessato è costretto a schermirsi. "La mia responsabilità - dice - è già grande". La situazione è complicata. Il capo dello Stato interviene all’indomani di uno scontro parlamentare durissimo, al termine del quale non solo è caduto il governo Prodi, ma la stessa legislatura è messa seriamente in discussione. Le posizioni dei due schieramenti politici appaiono quanto mai distanti. Da una parte c’é il centrodestra quasi compatto nel richiedere elezioni subito (si distingue l’Udc, da sempre incline ad un governo di responsabilità nazionale, secondo la definizione rilanciata anche oggi). Dall’altra il centrosinistra, anche in questo caso a grande maggioranza, ma non unanime (il Pdci, ad esempio, è contrarissimo ad ogni ipotesi di intesa con il centrodestra), a spingere perché si arrivi ad un governo di tregua, a cui affidare il compito di fare quelle riforme che vengono un po’ da tutti ritenute necessarie, ma che non si possono fare prima di un anno e che richiedono un’ampia convergenza parlamentare.
Napolitano sta verificando se è possibile evitare l’interruzione traumatica della legislatura, e non solo perché il primo dovere di un capo dello Stato è quello di tentare fino all’ultimo di evitare lo scioglimento del Parlamento. Ma perché, riferisce chi ha avuto modo di parlare con lui, è sua radicata convinzione che tornare alle urne con l’attuale legge elettorale significhi rischiare di tenere il Paese ancora a lungo nell’instabilità, che le riforme siano una inderogabile necessità, e che occorra svelenire il clima politico, come ha detto e ripetuto tantissime volte. Chi ha partecipato alle consultazioni di oggi lo ha visto per nulla rassegnato a lasciare che le cose seguano il loro corso naturale. Lo ha trovato consapevole che il sentiero è stretto, ma anche persuaso che all’Italia necessiti un governo che aiuti a ricondurre lo scontro politico nell’alveo della normale dialettica democratica. Insomma, un governo che lavori a ricucire i rapporti e a colmare lacune, come quello guidato nel 1993-’94, in un’altra stagione non meno difficile, da Carlo Azeglio Ciampi. Non è facile convincere i partiti che ne vale la pena. C’é chi teme che un simile esecutivo potrebbe danneggiarli nella ricerca dei consensi. Ed è pressoché impossibile persuadere chi, tra loro, è convinto di avere a portata di mano una netta vittoria elettorale. Per far comprendere gli aspetti positivi della strada suggerita dal presidente della Repubblica occorre tempo. Occorre superare questa prima fase della crisi, sulla quale pesano le forti emozioni che hanno accompagnato la caduta del governo Prodi. Affidare ad una personalità come Franco Marini un mandato esplorativo, una volta che Napolitano avrà terminato il primo giro di consultazioni, potrebbe agevolare l’opera. Marini potrebbe approfondire, sottoporre agli interlocutori le diverse soluzioni possibili, individuare e coltivare i punti di convergenza tra i due schieramenti. Poi la palla tornerebbe al Quirinale, e il presidente avrebbe più elementi per decidere. Per capire se il tentativo di salvare la legislatura ha reali possibilità di successo, o sarebbe solo accanimento terapeutico.
GOVERNO PER RIFORME. MA BERLUSCONI CHIUDE, AL VOTO (di Chiara Scalise)
L’appuntamento con il voto anticipato sembra sempre più vicino. Silvio Berlusconi spariglia le carte, e il giorno in cui partono le consultazioni al Quirinale accelera puntando dritto al voto. Anzi, aprendo già la "campagna elettorale". E’ crisi da ventiquattro ore e gli schieramenti si fronteggiano da posizioni opposte. Se Forza Italia mostra i muscoli, il Partito democratico di Veltroni apre all’Udc e chiede un governo di responsabilità nazionale. Il tempo potrebbe lavorare a favore: il capo dello Stato ha davanti a sé ancora quattro giorni. Ma che la soluzione non sia a portata di mano lo confermerebbero le voci raccolte in Parlamento che danno come probabile il conferimento, la prossima settimana, di un mandato esplorativo al presidente del Senato Franco Marini. Il numero uno di Palazzo Madama intanto mette comunque in chiaro la sua posizione. "Non aspiro ad avere alcun altro incarico", afferma. Insomma, ritrovarsi a capo di un esecutivo per le riforme non è un desiderio del presidente del Senato, anche se Marini non si sottrarrebbe certo a una richiesta di aiuto da parte del capo dello Stato. Chi invece mette le mani avanti e rifiuta recisamente l’invito è Romano Prodi. E’ un premier dimissionario, ma c’é chi come la sinistra dell’Unione vorrebbe che restasse a Palazzo Chigi. Lui ringrazia, e però il suo è un no. Ha giocato, ha rischiato, e ha perso: ora - dice arrivando al vertice con il Pd - farò il nonno. Ma non prima di aver messo in chiaro, ancora una volta, le ragioni che lo hanno portato a drammatizzare la crisi.
Scegliere di sfidare il Senato, come ha fatto ieri, non é stato certo per portare il Paese al voto anticipato: Andare alle urne con l’attuale legge elettorale - scandisce - sarebbe una tragedia. Parole che sono in piena sintonia, per la prima volta da molti giorni, con la linea del Pd. Il partito democratico lo dirà a Napolitano: no elezioni subito, sì a un governo istituzionale per condurre in porto la riforma elettorale. Oltre all’Udc di Pier Ferdinando Casini, che non ha mai nascosto di prediligere questa strada, oggi arrivano aperture che potrebbero essere significative anche da alcuni ’piccoli’ dell’Unione. Rifondazione comunista (nonostante qualche mal di pancia), Sinistra democratica e Verdi appoggiano l’ipotesi di un esecutivo a tempo per cambiare il ’porcellum’. Molti i paletti fissati (il principale è la richiesta di un governo breve), ma comunque un avvicinamento alla posizione del Pd. Nella ’Cosa Rossa’ resta quindi isolato il Pdci di Oliviero Diliberto, che ci starebbe solo a patto di avere un’identica maggioranza e Prodi come capo. A destra, il treno delle elezioni corre invece sempre più veloce. Berlusconi sente odore di vittoria e non sembra disposto a concedere niente agli avversari di sempre.
Anche l’eventuale offerta di un possibile governo guidato da Gianni Letta non sembra sedurre il leader azzurro, e anzi viene respinta al mittente da Forza Italia e da Alleanza Nazionale. Il tempo davanti è però ancora molto e il centrosinistra proverà a giocarsi tutte le carte che ha. E non è detto che trovi solo porte chiuse. Qualche convenienza a dire di sì a un governo ponte ci sarebbe anche per la ex Cdl: a breve è previsto un valzer di nomine ai vertici delle più importanti aziende italiane e chi siederà a Palazzo Chigi potrà giocare un ruolo chiave su questo scacchiere. Ma anche una considerazione più a lungo termine potrebbe fare breccia. Se si aspettasse un anno per eleggere un nuovo Parlamento, sarebbe quest’ultimo, magari a maggioranza di centrodestra, a scegliere il successore di Giorgio Napolitano. Il fronte poi dei favorevoli a una soluzione intermedia annovera supporter di rilievo anche fuori dai partiti: il presidente di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo oggi ha invocato un governo tecnico-istituzionale, muovendosi così in linea con i centristi. Idea perfetta, commenta il segretario dell’Udc Lorenzo Cesa: peccato che, aggiunge prudentemente, manchi l’accordo politico. E al rischio di trovarsi isolati Casini e i suoi l’hanno detto chiaramente: scelgono di andare al voto subito.
Il Cavaliere interviene a Napoli e si mostra certo che alla fine si andrà al voto anticipato
"Il primo provvedimento sarà per limitare le intercettazioni telefoniche"
Berlusconi non aspetta il Quirinale
"Oggi apro la campagna elettorale"
ROMA - Le consultazioni del capo dello Stato sono appena iniziate con la salita al Quirinale dei presidenti di Senato e Camera, ma Silvio Berlusconi non sembra avere dubbi su quale sarà l’esito della crisi apertasi con il voto di sfiducia espresso ieri a Romano Prodi da palazzo Madama.
"Abbiamo dato qui l’inizio della campagna elettorale per la libertà", dice il leader di Forza Italia parlando a Napoli alla festa degli Italiani nel mondo, il movimento di Sergio De Gregorio, il senatore eletto nelle liste di Antonio Di Pietro e poi passato immediatamente con il centrodestra. Berlusconi è convinto che il presidente Napolitano dopo aver ascoltato tutte le forze politiche non potrà far altro che decidere lo scioglimento anticipato delle Camere, alle quali si oppone con fermezza ormai solo il Partito democratico.
"Il titolo comune della nostra campagna elettorale sarà la libertà", dice il Cavaliere. Parola d’ordine con cui intende forse recuperare il progetto del nuovo partito, messo nel cassetto per il precipitare della crisi. "Abbiamo dato vita al Popolo della libertà ed è un’intenzione che ha radici profonde e che vogliamo portare avanti - ricorda Berlusconi - Non sappiamo oggi se avremo il tempo per organizzarlo per le prossime elezioni che si annunciano così vicine. Lo faremo probabilmente dopo le elezioni, quindi ciascuna forza politica parteciperà al voto con il suo simbolo".
Nel suo intervento dal palco della convention napoletana, il Cavaliere, dando per scontato anche un successo alle elezioni anticipate, si spinge quindi a fare addirittura una scaletta dei primi interventi legislativi del suo futuro governo. "Non emetteremo mai una legge o un provvedimento che possa ridurre anche di un briciolo la libertà dei cittadini e quella sulle intercettazioni sarà la prima legge che approveremo", dice il leader della risorta Casa delle Libertà.
Berlusconi, si spinge quindi a fornire anche i dettagli della normativa che ha in mente. "Le intercettazioni - dice - saranno consentite solo per terrorismo, mafia e camorra". Per chi dovesse ordinare intercettazioni al di fuori di questa categoria, Berlusconi spiega di voler prevedere "cinque anni di prigione per chi le ordina, cinque per chi le esegue e due milioni di multa per chi le usa".
Insieme alle intercettazioni, Berlusconi immagina un pacchetto di interventi più vasto composto da "10-12 decreti legge da presentare agli elettori indicando, contestualmente, la data in cui entreranno in vigore". Tra questi dovrebbero trovare spazio, annuncia ancora il Cavaliere, l’abolizione dell’Ici, le opere pubbliche e i provvedimenti a sostegno dei giovani.
Completamente proiettato verso le auspicate elezioni anticipate, il leader del centrodestra usa persino parole di comprensione per lo sconfitto Prodi. "Per venti mesi - dice - siamo stati in balia di una minoranza rivoluzionaria esterna fatta dai movimenti che sono il popolo militante della sinistra e che ha chiesto a Diliberto, e agli altri componenti della sinistra che siede in parlamento, di essere di lotta". "Prodi - aggiunge - in questi mesi poteva solo dire sì ai diktat della sinistra estrema e nessuno al suo posto avrebbe potuto fare altro. L’alternativa era andare a casa".
* la Repubblica, 25 gennaio 2008.