Ansa» 2008-11-21 13:52
FORZA ITALIA: ULTIMO CONSIGLIO NAZIONALE, CONFLUISCE NEL PDL
ROMA - Ultimo consiglio nazionale oggi a Roma per Forza Italia, al termine del quale il partito azzurro confluirà nel Popolo della libertà. L’incontro, che durerà tutta la giornata, sarà concluso da un intervento del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, al termine del quale verrà votata la mozione che sancirà il passaggio alla nuova formazione.
LA RUSSA, QUANDO VORRA’ FINI AVRA’ RUOLO - "Oggi Silvio Berlusconi è il candidato unico alla leadership del Pdl, ma ciò non vuol dire che non ci siano altri leader, come Fini, che quando vorrà e non avrà più un ruolo istituzionale, avrà un ruolo di prestigio in questo partito". Lo afferma il coordinatore nazionale di An e ministro della Difesa. La Russa esclude che il popolo di An vivrà con difficoltà questo processo: "Al di là delle identità diverse ora nasce un partito in cui l’unica regola sarà la concorrenza tra le qualità e il merito. E’ ovvio - prosegue - che in un partito del 40% non c’é un’unica identità, ma una cornice unitaria di valori e, sono certo, che An nel Pdl non perderà un briciolo della sua identità".
FRATTINI, SARA’ ANTIDOTO A PARTITOCRAZIA - "Oggi lavoriamo a un partito che sarà un antidoto alla partitocrazia: poco ideologico ma pieno di idee, nel solco della tradizione popolare europea". Così il ministro degli Esteri Franco Frattini, appena giunto al consiglio nazionale di Fi che sancirà la confluenza del partito nel Pdl. "Il Pd sta facendo esplodere tutte le sue contraddizioni interne perché non è d’accordo sulle grandi scelte: sono divisi, ad esempio, tra chi vuole iscriversi al gruppo socialista europeo e chi preferisce quello liberaldemocratico. Noi, invece - conclude Frattini - siamo tutti convinti di iscrivere il Pdl al Ppe".
ADDIO FI, LE LACRIME DI BERLUSCONI - FOTOSEQUENZA (la Repubblica)
Sul tema, nel sito, si cfr.:
IL POPOLO DELLA LIBERTA’ (Wikipedia)
itinerari
Marco Revelli racconta l’Italia
sfigurata dai morsi della crisi
Nel libro Non ti riconosco (Einaudi) il politologo piemontese descrive le conseguenze della recessione su diverse realtà: Torino, la Brianza, Taranto, la Calabria e Lampedusa
di Corrado Stajano (Corriere della Sera, 12.05.2016)
Si sa, la conoscenza che la classe dirigente politica nostrana ha della società è relativa. Ministri, senatori, deputati affidano ai loro portaborse e ai loro galoppini l’incarico di riferire le notizie che vogliono. L’ottimismo di maniera è la regola, oggi più che mai.
Questo libro di Marco Revelli, Non ti riconosco. Un viaggio eretico nell’Italia che cambia (Einaudi), può far tremare le vene e i polsi con il suo spirito di verità. Revelli conosce bene la società italiana, ha le carte in regola per parlarne, professore di Scienza della politica, autore di libri come Oltre il Novecento, La politica perduta, Poveri noi, Finale di partito, Dentro e contro (quando il populismo è di governo). Il nuovo libro, 5-6 anni di lavoro, è un viaggio in Italia, ma il Grand Tour, gli stranieri più o meno illustri alla ricerca, dal Settecento al Novecento, della bellezza e del mitologico splendore, soprattutto del Sud, non è il modello. Anche se il titolo si rifà a un Lied di Goethe, gran viaggiatore nell’Italia amata.
Marco Revelli non riconosce più il Bel Paese. Confessa di essere spaesato, tradito, disorientato, sradicato: «L’io», scrive, «non si sente più “a casa” in nessun luogo del mondo perché ”il mondo” non ha più nulla ormai di famigliare, di “domestico”. In una parola: di riconoscibile». Ma non si rassegna Revelli, va a vedere. «Un viaggio si fa o per fuggire da qualcosa, o per cercare qualcosa», come ha detto Diego Osorno, grande reporter-narratore messicano. E anche per ritornare: Claudio Magris.
Non ti riconosco è un libro duro, crudo, sofferente. In viaggio, da Torino a Lampedusa. Pessimista? Realista, piuttosto. Un libro di grande bellezza, il suo, se si potesse usare il codice estetico. I luoghi, le persone, le loro storie, gli incontri, il passato-presente sono i protagonisti. Revelli osserva, interroga, è un ispettore generale, uno scrittore senza modelli, un narratore, un professore che studia, al di là degli scheletri dei documenti. Parla con il prossimo, parla anche con se stesso, spiega, vuol capire, per far capire e per capirsi. Il libro è una mescolanza di racconto, saggio, inchiesta, verifica dei poteri, analisi ossessiva, un continuo fare i conti - perché è potuto accadere? - è anche la ricerca di un’uscita di sicurezza, il tempo per farlo è breve in una società che sembra rassegnata, passiva, chiusa in se stessa. Una società che ha smarrito i fervori di certe generazioni passate e non può affidarsi a una classe dirigente politica incolta e arrogante che fa di tutto per cancellare il valore sommo della democrazia. Non c’è bisogno di scomodare il V secolo a. C. di Pericle, basta non tradire i momenti di dignità della neonata Repubblica, la Resistenza, la Costituzione.
Il viaggio comincia nella città che Revelli ben conosce, Torino. Lo scrittore non ha nostalgie, affetti piuttosto. Che cos’era Mirafiori! Un posto ciclopico, infernale, mostruoso in tutti i sensi, con un perimetro di 11 chilometri, 32 porte, 60 mila operai, un sordo rumore ininterrotto che, brontolante, veniva su dalle viscere. Oggi? «Quel cratere si è spento. Materia fredda. E silenziosa. Non si sentono più vibrazioni, ronzii di macchine al lavoro, men che meno grida di rivolta. Né il tonfo cadenzato delle Grandi Presse». Gli operai sopravvissuti sono 5.321, dalle linee di produzione escono un centinaio di auto al giorno, ne uscivano 5.000. La Fiat si chiama Fca, la sede legale del gruppo, dopo la fusione con la Chrysler, è ad Amsterdam, la sede fiscale a Londra. Tutto frantumato, sminuzzato, rimpicciolito, ridotto a rottame. La grande distribuzione ha vinto sulla grande produzione. A Torino, dove non c’è soltanto la Fca, la vita continua, nonostante tutto, e stanno nascendo laboratori: Arduino, per esempio, che non è un uomo, ma «una scheda» che crea gli oggetti più disparati; i Traders, fornitori di servizi, e non pochi inventori di nuovi lavori, il contrario della produzione fordista. Le iniziative esistono ma, se manca una politica sana e intelligente, com’è possibile collegare tra loro tutte quelle energie positive?
Da Torino alla Brianza, la Silicon Valley italiana degli anni Ottanta, dove prosperavano l’Alcatel, la Micron, la Celestica, e con loro 800 imprese nell’ambito delle telecomunicazioni. Il dimagrimento cominciò nel 2008, poi la caduta a cascata, i tagli, le mobilità, le bancarotte, l’esplosione, l’implosione. Marco Revelli prova anche qui un senso di irrealtà. Racconta di quando, nella placida Brianza, gli ingegneri, l’aristocrazia di quel settore di lavoro, accolsero nel 2014, a Vimercate, il presidente del Consiglio Renzi «in visita pastorale all’impresa simbolo della velocità e della rottamazione», l’Alcatel appunto, con cartelli beffardi: «Se Renzi è di sinistra, Berlusconi è femminista».
E poi il tragico Nordest. Gian Antonio Stella, nel suo Schei (1996), raccontò l’incredibile boom del Veneto diventato «la locomotiva d’Italia», il «Giappone d’Europa»: le scarpe nel Veronese, la concia ad Arzignano, gli occhiali a Belluno, i mobili a Bassano, lo Sportsystem a Montebelluna, l’oro nel Vicentino.
Revelli è andato a vedere. A Rossano Veneto, piccola capitale del boom, 6.532 abitanti, 900 imprese: con la crisi globale è arrivata la depressione, la «malaombra». Sono caduti i capannoni, le villette a schiera, i fienili diventati officine, i posti di lavoro. In quegli anni, nel Nordest, si calcola che ci siano stati 500 suicidi, tra imprenditori e dipendenti. Le cause? «In questo Nordest euforico trasformato in un Far West triste si assiste al paradosso per cui si fallisce per troppi crediti». (I mancati incassi del committente insolvente, della pubblica amministrazione inadempiente hanno creato debiti incolpevoli con tragiche conseguenze).
Il viaggio alla Taranto dell’Ilva ha il colore del piombo fuso. E pensare che la nuvola portatrice di morte aleggiante sullo stabilimento di colore rossastro, non pareva nemica. Il IV Centro siderurgico, nato nel 1964, doveva rappresentare il riscatto delle plebi meridionali, con i suoi due milioni di tonnellate d’acciaio all’anno. È diventato soltanto una fabbrica di morte, portatrice di una catena di tumori, anche nei quartieri vicini, il Tamburi, il Paolo VI. Fu un professore di storia, Alessandro Marescotti che, sospettoso, fece analizzare da un chimico un pezzo di formaggio e rese pubblica la notizia sulla mostruosa concentrazione di diossina che pesava sull’Ilva e su Taranto. Revelli registra la tragedia, studia i documenti, parla con gli operai, «gli occhi bassi dei vinti».
Poi la Calabria. Al porto di Gioia Tauro la ’ndrangheta è padrona, d’accordo con i cartelli messicani della droga, armi e cocaina. Lo scrittore, in questo paesaggio di struggente bellezza, incontra chi non si è arreso, un giornalista sotto scorta, Michele Albanese, e un imprenditore che ha detto no al pizzo, Nino De Masi, mitragliato, minacciato, anche lui sotto scorta. Che cosa sanno i governanti della questione meridionale e della questione criminale che ne è parte integrante?
Il libro finisce a Lampedusa dove la sindaca Giusi Nicolini fa fronte con coraggio. Lei e papa Francesco. Marco Revelli visita con angoscia un cimitero dove le croci sono state costruite con il legno delle barche affondate. Su uno sperone di roccia di Punta Maluk, un artista, Mimmo Paladino, ha costruito, con materiali difformi, la Porta d’Europa, un simbolo imponente, sacrale. Chissà che i Paesi del Continente si rendano conto una buona volta di questa nuova strage degli innocenti. La Shoah dei migranti.
Il pianeta del cavaliere
di Barbara Spinelli (la Repubblica, 31 ottobre 2012)
Forse è il caso di ascoltare il grido di rabbia, e anche di speranza, che sale dalla Sicilia, questa terra dove fare giustizia è scabroso. Un sindaco anti-mafia, Rosario Crocetta, diventa governatore anche se il Pd è alleato con gli ex tutori di Cuffaro nell’Udc. La vecchia battaglia di Grillo per un Parlamento pulito (2005), che escluda condannati di primo, secondo e terzo grado, ha ottenuto un premio enorme: il suo Movimento è primo partito dell’isola. Non ha usato, stavolta, l’arma del web: Grillo ha battuto città dopo città come i professionisti d’un tempo, facendo comizi per ben 20 giorni. I siciliani, allibiti, si sono sentiti onorati, visti, non identificati con la mafia che pretende incarnarli. Il Movimento offre anche un orizzonte non eversivo: Grillo non ha torto quando dice che senza di lui saremmo sommersi da neonazisti come in Grecia e Ungheria.
Chi vive in un altro pianeta è Berlusconi, che tutto questo non l’ha presentito. Per questo vale la pena ricostruire la genesi dei tribunali. La giustizia, i processi, le leggi, esistono in primo luogo per l’innocente, per il senza-potere: non per il reo da condannare. Se c’è desiderio che sia fatta luce su chi vilipende il bene comune (in Sicilia anche la bellezza comune), è perché l’innocente non sia confuso con il colpevole, sprofondando in una melma dove non distingui nulla. È questo bisogno di giustizia che l’ex Premier offende, disattento alla Sicilia e all’Italia in mutazione. Ogni processo è ritenuto veleno, che ammorba la democrazia e la spegne. La magistratocrazia si sostituirebbe eversivamente alla democrazia, contro il popolo sovrano.
Il dubbio che i processi siano al servizio soprattutto degli indifesi non lo sfiora: lui, condannato per truffa ai danni dello Stato, si presenta come vittima, perfino capro espiatorio. Non sa che per definizione il capro è innocente: che proprio per questo il rito è barbarico. Non c’è, nel capro, la «naturale capacità a delinquere» che i giudici di Milano ravvisano in Berlusconi: non sarebbe agnello sacrificale, se avesse questa capacità.
È importante che gli italiani sappiano che l’idea stessa di giustizia - pietra angolare della pòlis - è negata, ignorata, da chi parla del pianeta giustizia quasi estromettendola dall’orbita terrestre. Che sappiano quel che spinge Berlusconi condannato ad aborrire le sentenze che lo riguardano ma anche, d’un sol fiato, quelle che giudicano colpevoli di incuria gli scienziati che tranquillizzarono gli abitanti dell’Aquila e dintorni, raccomandando di restarsene in casa perché la grande scossa del 6 aprile 2009 era invenzione della paura. Non è escluso che la stessa ripugnanza tocchi alle sentenze del giudice per le indagini preliminari a Taranto, che ha punito la disinvoltura, all’Ilva, con cui la salute dei cittadini è stata per anni messa a repentaglio.
Non è vera follia, perché sempre nelle follie dell’ex Premier c’è un metodico fiuto di rancori nascosti: non della società, ma certo del «suo popolo». Rancore per le tante sentenze, che invadono i campi più diversi perché arati senza legge e controlli a fini privati. La lotta a chi froda impunemente, la protezione dalle catastrofi naturali o da acciaierie tossiche, ma anche la custodia della nostra ricchezza che è il patrimonio artistico: sono mansioni che dovrebbero competere allo Stato, non ai magistrati. I quali non sono giudici vendicatori, e nemmeno chirurghi che guariscono alla radice i mali dell’incuria cialtrona. Possono intervenire solo a danno o crimine compiuto, e non per cambiare le leggi, selezionare onesti amministratori, presidiare il bene pubblico prima che il malaffare lo sfasci. È quel che diceva Borsellino, quando insisteva sull’obbligo propedeutico dei politici di far pulizia a casa propria, sventando patti mafiosi.
Lo dice a 23 anni di distanza Ingroia, procuratore aggiunto a Palermo, quando invoca, contro la ‘ndrangheta radicata ormai stabilmente a Nord, un «cambio di classe dirigente e di ceto politico», tale che si possa «girare la pagina» e bloccare le contrattazioni Stato-mafia. Fu ancora Borsellino, il 22 giugno 1990 in un dibattito a Roma (il tema era “Stato e criminalità organizzata: chi si arrende?”) a replicare che lo Stato non si era arreso, non avendo combattuto. Attilio Bolzoni magistralmente scrive su Repubblica che qualcosa mancherà nel processo sulle stragi del ’92-93. Non un pentito di mafia: «Quel che è sempre mancato è un pentito di Stato».
Cambiare classe dirigente non significa cambiar facce, o rottamare. Significa interrogarsi severamente sulla giustizia omessa, sul vuoto di politica che moltiplica le sentenze, e porre rimedio premurandosi del bene comune. Compreso il bene europeo, altro bersaglio di Berlusconi (perché dobbiamo tener conto delle inquietudini dei tedeschi? si chiede stupito). Significa riconoscere che non solo governanti e politici debbono apprendere la responsabilità e la giustizia, ma anche la classe dirigente non schierata. Anche chi, specialista o manager, ha poteri d’influenza: tecnico della scienza, dell’economia, delle imprese.
Tutti questi potenti tendono a diffidare della magistratura, e non a caso c’è un ministro, Corrado Clini, che giunge sino ad equiparare la condanna di Galilei e quella dei sette scienziati che minimizzarono gli sciami sismici incombenti sull’Abruzzo dal dicembre 2008. Come se gli scienziati fossero accusati di scarsa preveggenza, non di avere perentoriamente escluso rischi gravi. Non di aver servito il potere politico (Bertolaso, Berlusconi) che voleva occultare la verità ai cittadini.
Non dimentichiamo uno dei sette, Bernardo De Bernardinis, che consigliava di chiudersi in casa (in casa! uno scienziato dovrebbe sapere che la casa uccide, nei terremoti) e per calmarsi di bere un bicchiere di Montepulciano in più. Non dimentichiamo lo scienziato Enzo Boschi, che il 9 aprile si piegò all’ingiunzione di Bertolaso: «I sismologi mi servono per un’operazione mediatica (...). È ovvio che la verità non la si dice».
In Todo Modo, Leonardo Sciascia fa dire al luciferino protagonista, Don Gaetano: «Le cose che non si sanno, non sono». Ecco come le classi dirigenti tradiscono. Non il giudice unico dell’Aquila, Marco Billi, è il cardinale Bellarmino censore di Galilei, ma il potere politico che asservisce la scienza. Chi ammorba la democrazia è Berlusconi che truffa, non il tribunale di Milano.
Se a fare le cose con senso di giustizia fossero i politici, i comitati scientifici, gli imprenditori, non avremmo questa riduzione d’ogni gesto all’aspetto penale. Ma è anche vero che senza sentenze, oggi, l’uomo diverrebbe lupo per l’uomo. Perché la catarsi della politica e delle classi dirigenti ancora non c’è. Perfino il governo Monti esita, con le sue leggi anticorruzione piene di indulgenze; anche se ha deciso, grazie a Di Pietro, di costituirsi parte civile nel processo di Palermo sulle trattative Stato-Mafia.
Già, Palermo. Anni di omertà e umiliazione non cancellano la sete di giustizia. È quello che ha dato le ali a Grillo. Non perché si sia dilungato sulla mafia, ma perché per quasi un mese si è messo in ascolto delle collere siciliane. Il grido che sale dalla Sicilia è la risposta più forte all’urlo di Berlusconi a villa Gernetto. A parole che pesano, non raddrizzabili. Per citare ancora Sciascia, parole simili «non sono come i cani, cui si può fischiare a richiamarli».
Undicietrenta: E in video apparve il Berlusconi del 1994
di Roberto Cotroneo *
Ieri i telegiornali hanno dato la notizia che Forza Italia si è sciolta, e si è formato un nuovo soggetto politico con Alleanza Nazionale, ovvero il Partito delle libertà. Fin qui la notizia è quella che è, era previsto, era in agenda, come si potrebbe dire. Come era prevista la solita claque, i lustrini, e persino il Berlusconi che si commuove, che fa riferimento alla sua età con civetteria, che rilegge alcuni passaggi del famoso discorso della discesa in campo. Ma ieri sera, tardi, Studio Aperto, il telegiornale di Italia 1 ha rimandato un breve brano della cassetta video originale, quella che Berlusconi nel 1994 mandò a tutte le televisioni. Non la vedevo da allora. E l’impressione è stata fortissima. Un Berlusconi ovviamente più giovane, rigido, quasi notarile.
Lo sguardo è severo, il momento è importante, ma soprattutto le parole di Berlusconi di allora, risentite oggi dànno esattamente l’idea di cosa fu allora Forza Italia, del perché Berlusconi scese in campo, come ama dire lui: «Le nostre sinistre pretendono di essere cambiate. Dicono di essere diventate liberaldemocratiche. Ma non è vero. I loro uomini sono sempre gli stessi, la loro mentalità, la loro cultura, i loro più profondi convincimenti, i loro comportamenti sono rimasti gli stessi. Non credono nel mercato, non credono nell’iniziativa privata, non credono nel profitto, non credono nell’individuo... Non sono cambiati. Per questo dobbiamo contrapporci a loro».
Queste parole ci ricordano, oggi sempre di più di come, in realtà Silvio Berlusconi non fosse altro che un intermediario, un uomo a cui fu chiesto, un uomo che fu pressato. Pressato da un mondo imprenditoriale e culturale di matrice reazionaria, terrorizzato dall’idea che, nella dissoluzione della prima Repubblica e soprattutto nella fine della Democrazia Cristiana, le forze della sinistra avrebbero preso il potere in Italia.
Tutto questo si sapeva, ma dal video rivisto ieri sera, è apparso evidentissimo, perché contrastava assolutamente con il Berlusconi che ormai negli ultimi anni vuole raccontare agli elettori di essere l’espressione della modernità, di un paese delle libertà, di un paese sorridente, di un paese che guarda al futuro e non al passato.
Non era così. Il video del 1994 mostra un Berlusconi figlio di quel mondo finanziario e politico di impronta reazionaria e illiberale che scelse lui per salvare il suo salvabile, e che è stato la rovina del nostro Paese. Scelse lui per “sdoganare” la destra di Gianfranco Fini, per addomesticare ma a briglia sciolta e non troppo, la parte eversiva della Lega Lombarda.
Poi all’interno di Forza Italia si formarono, ma solo in un primo periodo, delle correnti liberal, che mettevano assieme la tradizione socialista con quella liberale, ma sono state sconfitte. Perché l’origine è un’altra. Ed è quella l’origine che spiega ancora oggi quello che sta accadendo, l’equivoco vero: l’idea che Berlusconi, il partito Forza Italia, e la sua coalizione fossero un fenomeno nuovo nella politica italiana. Quando invece rappresentavano la parte più vecchia e disperante di questo paese, quella che non ci ha mai trasformato in un paese normale. Che poi anche a sinistra di vecchio ci sia molto, è vero, ma questa è un’altra storia.
* l’Unità, 22 Nov 2008
Le elezioni in Abruzzo saranno un test nazionale"
Berlusconi: "Di Pietro è uomo di violenza". Il leader Idv: "E’ il bue che dà del cornuto all’asino"
Il premier attacca l’ex pm di Mani Pulite e sulle critiche alla Vigilanza Rai: "Quei signori non hanno senso del pudore". Mentre per quanto riguarda la misura anticrisi dell’iva di cassa assicura: "La presenteremo la prossima settimana al Consiglio dei Ministri"
Teramo, 22 nov. -(Adnkronos/Ign)- Scambio pesante di accuse tra Berlusconi e l’Idv. A far scoccare la scintilla sono state le critiche del premier oggi al Palasport di Teramo prima del comizio a sostegno del candidato del Pdl alle regionali in Abruzzo, Gianni Chiodi. "Quella tra il Pd e l’Italia dei Valori -ha detto- è un’alleanza da vecchia politica con Di Pietro che spadroneggia rispetto agli altri partiti che si inginocchiano. E’ un uomo di violenza, ed è il contrario di ciò che un politico dovrebbe essere e dovrebbe fare".
Immediata la replica di Di Pietro che accusa "Berlusconi di essere come il bue che dà del cornuto all’asino". "Se c’è qualcuno che si comporta da padrone -rincara l’ex pm- è proprio lui che non solo ha umiliato il Parlamento espropriandolo di tutti i suoi poteri, ma ha anche imbavagliato l’informazione, sia perché è da tempo proprietario di quella privata, sia perché -sottolinea il leader dell’Italia dei Valori- vuole appropriarsi di quella pubblica, tanto è vero che si è comprato anche Villari’’.
Questi signori non hanno senso del pudore, ma gli italiani hanno testa per saper giudicare". Silvio Berlusconi affronta lo spinoso tema della Vigilanza Rai, respingendo al mittente le critiche dell’Idv sulla gestione della vicenda Rai. Quando una giornalista gli chiede di replicare all’esponente dell’Italia dei Valori, Leoluca Orlando che ha parlato della Rai come "una stalla di Arcore", il Cavaliere taglia corto: "Questi signori non hanno pudore. L’altra domenica che ero libero e ho potuto vedere la televisione mi sono accorto che ben sei programmi mi prendevano in giro oltraggiandomi. Basta aprire la Rai e vedere. Ma gli italiani hanno testa per giudicare", insiste. Mentre a proposito della misura dell’iva di cassa assicura che "sarà nel pacchetto di misure anticrisi che presenteremo la prossima settimana al Consiglio dei ministri". "L’iva sarà pagata -sottolinea- solo quando si riceve il pagamento".
Il Cavaliere replica poi senza citarlo, al leader dei centristi Lorenzo Cesa che ha parlato di accordi elettorali stracciati.Il presidente del Consiglio non vuol sentire parlare di strappo con l’Udc, visto che, dice, "non esiste nessun patto". "E’ finito il tempo della politica politicante, delle convenienze locali, e degli accordi basati sulle clientele".
Per quanto riguarda invece le prossime elezioni in Abruzzo, Berlusconi sottolinea di avere particolarmente a cuore questo test elettorale. Non apprezza l’idea di uno slittamento della consultazione, prevista iun un primo tempo a fine novembre e ora fissata probabilmente per il 14 e 15 dicembre prossimo."Ho deciso di venire qui -ha detto- perché considero questo voto importante anche a livello nazionale. Con la mia presenza posso aiutare" a far vincere il centrodestra e a non "disperdere i voti", perché quelli dati a piccoli partiti come Udc e La Destra sono voti regalati alla sinistra. "Sono convinto -conclude il premier- che l’Abruzzo possa diventare il laboratorio politico per il centrodestra".
Il premio filosofico
"Viaggio a Siracusa" per Marramao
SIRACUSA - E’ Giacomo Marramao per il saggio La passione del presente il vincitore del Premio di Filosofia "Viaggio a Siracusa", la cui giuria è presieduta da Remo Bodei e Umberto Curi. Il riconoscimento alla carriera va a Maurizio Ferraris, mentre quello per la "tesi di laurea" ad Anna Molinari (Università di Bologna). La consegna si svolgerà durante il convegno "Italia, Europa, mondo: tra paura e speranza", oggi e domani al Palazzo del Senato.
* la Repubblica 21.11.2008
Il consiglio nazionale ha approvato la mozione che prevede la confluenza
Frattini: "Saremo l’antidoto alla partitocrazia". Verdini: "Facciamo paura"
Forza Italia entra nel Pdl
Berlusconi: "Siamo quelli del ’94" *
ROMA - "Si fa un passo avanti, tutti noi e tutti gli elettori, nella battaglia dell’avventura della libertà". Silvio Berlusconi, accolto da una standing ovation sulle note della canzone ’Meno male che Silvio c’e", legge, dal palco, il famoso discorso della "scesa in campo" del 1994. Ad ascoltarlo il consiglio nazionale di Forza Italia che ha appena approvato per acclamazione la mozione che sancisce ufficialmente la confluenza del partito azzurro nel Pdl. La data del primo congresso del Pdl è stata fissata: la metà di marzo del 2009. "La nostra avventura segna un passo importante - continua il premier che parla per meno di 15 minuti - andremo avanti fino a che i nostri traguardi non saranno raggiunti".
Andare al futuro con la testa al passato, è il senso delle parole del premier. Che rilegge il testo del ’94 con l’attacco alla sinistra. Oggi come allora, ripete Berlusconi. "Non c’è da cambiare una sola parola rispetto al testo della mia discesa in campo. In questi 14 anni abbiamo dato al nostro Paese qualcosa di positivo e che era indispensabile - dice il presidente del Consiglio - Forza Italia è stata, è ancora e sarà in futuro il vero baluardo della democrazia del paese che amo".
Verdini: "Non siamo un partito di plastica". "Vi ricordate quando dicevano che eravamo il partito di plastica, il nulla? Ora siamo qui e io dico che siamo delle magnifiche farfalle che volano verso il futuro - dice il coordinatore nazionale di Forza Italia, Denis Verdini - Da oggi gli avversari hanno più paura". Il documento, dove non si pronuncia mai la parola scioglimento, conferisce al consiglio nazionale, fino al 31 dicembre 2009, il potere di definire ed indirizzare la politica azzurra e "affida a Berlusconi pieno mandato per le scelte e gli adempimenti in vista del congresso".
Leadership e An. "Oggi Berlusconi è il candidato unico alla leadership del Pdl, ma ciò non vuol dire che non ci siano altri leader, come Fini, che quando vorrà e non avrà più un ruolo istituzionale, avrà un ruolo di prestigio in questo partito" dice il coordinatore nazionale di An e ministro della Difesa Ignazio La Russa. Anche il partito di Fini, infatti, dovrà compiere questo passo.
Dell’Utri: "Forza Italia esisterà sempre" "E’ un passo avanti nella storia del partito. Ma è logico che Forza Italia continuerà ad esistere, perché Forza Italia è Berlusconi. E questa cosa non l’ha ancora capita nessuno" commenta Marcello Dell’Utri.
La Stampa, 21/11/2008 (16:49)
Forza Italia addio, confluirà nel Pdl
Berlusconi: "Baluardo democratico"
Via libera del consiglio nazionale: «Saremo l’antidoto a partitocrazia»
ROMA. Il Consiglio nazionale di Forza Italia, riunito all’Auditorium alla Conciliazione di Roma, ha approvato per acclamazione la mozione unica che sancisce l’ingresso del partito nel Popolo della libertà. Il documento conferisce al consiglio nazionale, fino al 31 dicembre 2009, il potere di definire ed indirizzare la politica di Forza Italia. Il consiglio nazionale con l’approvazione del documento dice sì al percorso politico «di cui Fi sarà protagonista» di costruzione del Pdl ed «affida a Berlusconi pieno mandato per le scelte e gli adempimenti in vista del congresso».
Silvio Berlusconi, accolto con calore dalla platea, ha aperto il suo intervento leggendo il discorso con il quale annunciò nel 1994 la sua discesa in campo: «Questa notte avevo scritto un discorso, stamattina l’ho riletto e data l’età mi sono commosso, per questo ho deciso di non leggerlo. Ma ho trovato in una cartella un passo datato gennaio ’94 che inizia così: "L’Italia è il Paese che amo..."». Berlusconi ha prima ancora ringraziato la platea azzurra: «Grazie dell’accoglienza, mi avete commosso e ricorderò questa accoglienza così come ricorderò di essere stato presente in questo Consiglio nazionale che ha fatto fare un passo avanti, così come gli elettori ci hanno fatto fare un passo avanti in questa battaglia di libertà. Siamo il vero baluardo della democrazia nel nostro paese».