’’Ormai forniamo un servizio essenziale a molti per arrivare a fine mese, è triste’’
Crisi, da Milano a Palermo aumenta la fila al Monte di Pietà
In Lombardia dall’inizio dell’anno si riscontra un 8% in più di persone che impegnano oggetti di valore, mentre in Sicilia la crescita è del 10%. Il responsabile del servizio credito su pegno di Milano a Ign: ’’Abbiamo dovuto abbassare il tetto minimo della polizza a 100 euro per dare la possibilità anche a chi ha meno di ottenere un prestito’’
Roma, 8 ott. 2008 - (Ign) - Da Milano a Palermo sempre più persone si rivolgono al Monte di Pietà. In Lombardia ’’quest’anno è cresiuto dell’8% il numero di chi decide di impegnare oggetti di valore per avere un prestito immediato. - spiega a Ign, testata on line del gruppo Adnkronos, Ivano Caldera, responabile del servizio credito su pegno di Banca regionale europea, l’istituto che ha incorporato quello che una volta era il Monte di Pietà di Milano - Dai piccoli imprenditori ai pensionati e alle casalinghe sono sempre di più le persone si rivolgono a noi per avere liquidità. Tanto che - sottolinea Caldera - nell’ultimo anno abbiamo dovuto abbassare il tetto minimo della polizza dal valore di 250 euro a 100 euro per dare la possibilità anche a chi ha meno di ottenere un prestito’’.
Aumentano anche le persone che alla scadenza della polizza decidono di rinnovarla per un altro semestre. ’’I nostri tassi non sono alti e quindi spesso c’è chi preferisce allungare il periodo di deposito per avere qualche altro soldo in tasca’’.
E la situazione non migliora al Sud. ’’Noi siamo il termometro della situazione economica - dice a Ign il coordinatore del comparto prestiti su pegno del Banco di Sicilia - e dai dati che abbiamo è chiaro la situazione non è affatto rosea. Da gennaio di quest’anno - sottolinea - abbiamo registrato un aumento del 10% di persone che impegnano i loro oggetti di valore. Ma rispetto a qualche anno fa - spiega il responsabile - adesso ricorrono a noi anche persone della classe medio-borghese, e mi riferisco a impiegati, pensionati, giovani disoccupati, commercianti... per prestiti che vanno dai 30 ai 600 euro’’. Non solo, qui ’’dove la crisi si sente pesantemente’’ le polizze vengono ’’rinnovate anche 7-8 volte con cadenza semestrale. Insomma - sottolinea con amarezza il responsabile del banco dei pegni - ormai forniamo un servizio essenziale a molti per arrivare a fine mese. È triste’’.
Sul tema, in rete e nel sito, si cfr.:
MONTE DI PIETA’ (Wikipedia).
LE BOLLE, LE BALLE E IL BALLISMO POLITICO E FINANZIARIO. IL CASO ALITALIA E IL PRIMATO DELL’ITALIA.
LA PROSSIMA TRUFFA
di Galapagos (il manifesto, 07.10.2008)
«No cash for trash», era scritto su centinaia di cartelli che i manifestanti esponevano nei giorni scorsi a Wall Street per protestare contro il piano di salvataggio di Bush che elargisce contanti in cambio di titoli spazzatura. Il papa è tornato sull’argomento: «Vediamo adesso nel crollo delle grandi banche che i soldi scompaiono, sono niente e tutte queste cose che sembrano vere in realtà sono di secondo ordine». Ma il risultato è già scritto: il sistema finanziario sarà salvato, ma la vita della gente comune sarà rovinata. Perché la crisi dell’economia reale avanza: ne sono certe le borse che ieri sono nuovamente crollate.
Il papa ha idee chiare sulle cose «di secondo ordine», ma lo ha anche su quelle veramente importanti. Senza irriverenza, si può tralasciare come fondamentale la «parola di dio», per concentrarsi sull’uomo al quale Benedetto XVI più volte ha dedicato la sua attenzione. Ma non è il solo: in maniera un po’ più terrena e prosaica anche Emma Marcegaglia sabato a Capri se ne è occupata. La presidente di Confindustria, oltre a criticare la «droga monetaria», ha elogiato i salvataggi di stato (purché poi si torni rapidamente al mercato), ma soprattutto ha chiesto soldi per le imprese strangolate dalla crisi del sistema bancario.
La Marcegaglia si è dimenticata di ricordare che molti imprenditori hanno le mani in pasta con quote non irrilevanti delle banche, pronti ad approfittare della grande abbuffata che il sistema creditizio prometteva. Lucrando, tra l’altro, sulle stesse imprese che, lo abbiamo saputo un paio di mesi fa, sono fragili, esposte per cifre enormi (800 miliardi) con il sistema bancario. L’appello di Marcegaglia, quindi ha un senso. Soprattutto ora che le banche stanno stringendo i rubinetti del credito, chiedendo «ritorni» alle imprese e soprattutto tassi di interesse molto più alti. Marcegaglia può state tranquilla: anche se il sistema industriale con la crisi riceverà una bella botta, gli aiuti arriveranno.
Ieri è stato annunciato con grandi squilli di tromba che da dicembre per un anno, entrerà in vigore la social card: «80 euro al bimestre ai cittadini residenti con oltre 65 anni e reddito inferiore ai 6 mila euro (500 al mese) e alle famiglie, con lo stesso reddito, in cui ci sia un bambino sotto i tre anni». Alcuni ministri sostengono che si tratta di un allargamento dello «stato sociale». In realtà siamo di fronte a una elemosina che sicuramente non piace neppure al papa. «E’ un problema di risorse», si obietta. Falso: soldi per salvare il sistema finanziario ne sono stati trovati. E senza condizioni: a parte qualche penalizzazione per i manager truffaldini, nulla è previsto sul fronte della proprietà. E se fosse previsto, la Marcegaglia ha già messo le mani avanti.
Quello che manca (non solo in Italia) è un progetto di nuovo modello sviluppo, di redistribuzione dei redditi, di creazione di occupazione, di potenziamento dello stato sociale. Il monetarismo ha massacrato per decenni il keynesismo, ma il mercato ha fallito: inutile distinguere fra mercato buono ed eccessi speculativi. Su quegli eccessi si sono arricchiti - complici - in molti. Oggi chiedono di ricreare le condizioni per arricchirsi ancora
Il 2 maggio di Renzi
80 euro, mancano le coperture Precari, un favore alle imprese
di Marco Palombi (il Fatto, 03.05.2014)
Brutta giornata in Parlamento quella di ieri per il governo Renzi. Da un lato, le modifiche al decreto Lavoro presentate ieri in Senato dal ministro Giuliano Poletti sono una resa al potere di ricatto di Nuovo Centro Destra (silente la cosiddetta sinistra Pd); dall’altro, i tecnici del Servizio Bilancio certificano che un bel pezzo delle coperture del decreto Irpef - quello degli 80 euro per capirci - sono scritte più o meno sulla sabbia.
PARTIAMO dal successo di Maurizio Sacconi, alfaniano ed ex ministro del Lavoro con Silvio Berlusconi. Il testo del governo, infatti, si modifica secondo i suoi diktat: meno vincoli alle imprese, maggiore flessibilità per i lavoratori. Sparisce, ad esempio, l’obbligo di assumere per gli imprenditori che abusino dei contratti a termine (cioè li utilizzino per oltre il 20 per cento della forza-lavoro a tempo indeterminato): gli basterà pagare una multa per cavarsela.
L’obbligo di stabilizzare il 20 per cento degli apprendisti dopo 36 mesi di contratti a termine prima di assumerne altri, per dire, varrà per le imprese sopra i 50 dipendenti (prima era trenta). Pure la formazione degli apprendisti potrà essere pubblica, ma la regione potrà anche devolvere l’intera questione a imprese o associazioni datoriali.
All’ingrosso, insomma, tutte le richieste di Nuovo Centrodestra che alla Camera non erano passate per il no del Pd, che aveva chiesto in cambio di una ulteriore apertura alla precarietà la possibilità di rinnovare al massimo i contratti a termine non per cinque volte (come prevede ora il decreto), ma per quattro. Decisamente la festa del lavoro era finita ieri in Senato: questo decreto, infatti, non ha alcuna speranza di creare nuova occupazione, ma moltissime di peggiorare la situazione di chi lavora (o lavoricchia) già.
Anche la preziosa operazione sull’Irpef del premier non ha vissuto una bella giornata ieri a palazzo Madama: il Servizio Bilancio ha fatto letteralmente a pezzi il decreto, dando finalmente sostanza a quelle preoccupazioni che avevano spinto Giorgio Napolitano a convocare il ministro Pier Carlo Padoan al Colle per “ulteriori chiarimenti”. Intanto gli 1,8 miliardi garantiti - secondo il governo - dall’aumento della tassazione sulla rivalutazione delle quote di Bankitalia potrebbero cadere sotto il peso del contenzioso: per i tecnici del Senato, infatti, è incostituzionale. In sostanza, decidere ex post che le banche dovranno sottoporsi a un’aliquota sulle plusvalenze del 26% (anziché del 12) e pagarla entro dicembre (anziché in tre anni) viola “quell’esigenza di anticipata conoscenza da parte del contribuente del carico fiscale posto sulle proprie attività economiche con conseguente possibile violazione di precetti costituzionali”.
IL SERVIZIO BILANCIO è orripilato pure dalle coperture da “evasione fiscale”: 300 milioni quest’anno e addirittura due miliardi nel 2015 nonostante non esista “alcuna informazione in ordine a eventuali strumenti o metodologie che si ipotizza di utilizzare per il raggiungimento dell’obiettivo”, né si prevedono “specifici interventi o azioni nel caso in cui il risultato non fosse raggiunto”.
Pure sull’extragettito Iva dovuto al pagamento dei debiti della P.A. (650 milioni) i tecnici del Senato hanno qualche dubbio e sulla riduzione dell’Irap assai di più: il governo, infatti, ritiene che il costo dell’operazione sia di circa due miliardi nel 2014, mentre il mancato gettito sarà “più significativo” e, peraltro, destinato a peggiorare negli anni (al contrario di quanto scrive l’esecutivo nella Relazione tecnica). Peraltro, è l’altra contestazione, la fonte di copertura - cioè la maggiore tassazione sulle rendite finanziarie, conti correnti compresi - è calcolata senza tener conto della possibilità che molti investitori scelgano forme di risparmio tassate di meno. Tradotto: i ricavi forse sono sovrastimati. Quello che non possono scrivere i tecnici di palazzo Madama, lo formalizza Renato Brunetta: “La manovra correttiva è sempre più vicina”. Meno delle elezioni, però.
Di nuovo la social card ???
Social card e detrazioni per famiglie. (Il Messaggero del 25 agosto) Questa patente di povertà che non ha funzionato, ma ha mortificato i meno abbienti. L’impressione è che Monti voglia dare un contentino a Berlusconi adottando una iniziativa vergognosa, costosa, sprecona e per niente rispettosa delle esigenze degli aventi diritto.
Molte meglio un assegno "una tantum" di pari importo, risparmiando l’acquisto delle card, l’amministrazione, la gestione. Anche solamente 500 euro alle medesime persone, risulterebbe un gesto molto più gradito, senza i costi che sono serviti per favorire i soliti notissimi.
Sappia il presidente Monti che dei provvedimenti di Berlusconi non c’è nulla da prendere, perchè, nella migliore delle ipotesi, nascondono trabocchetti utili a se stesso o ai suoi amici.
Rosario Amico Roxas
Alla c.a. del Presidente del Consiglio prof. Mario Monti
p.c. Al Presidente della Repubblica On. Giorgio Napolitano
Egr. sig. Presidente del Consiglio,
la prospettiva di vedere ri-finanziata la social-card appare come una crudele volontà di mortificare la dignità dei più poveri, perché “anche” i poveri hanno diritto ad avere una dignità.
Mentre con lo scudo fiscale il governo Berlusconi garantiva l’anonimato agli evasori fiscali, regalando loro con un miserabile 5% di tassa,il diritto di appropriarsi legalmente di quanto arraffato illegalmente, con la social card, di tremontiana invenzione, si pretende l’ufficializzazione, “coram populo” dello stato di disagio economico che colpisce uno strato significativo della popolazione.
A parte queste considerazioni, la reiterazione della social-card, anche nel metodo, prevede spese enormi, sottratte alla corretta destinazione delle somme: costi di stampa delle card, costi di distribuzione, costi di gestione, che già la Gabanelli su Report quantificò, documentandolo, tra il 10 e il 15% della somma stanziata, riducendo sensibilmente gli aventi diritto.
Sarebbe molto più corretto elargire l’intera somma agli aventi diritto, come una tantum, in unica soluzione, per dare respiro a quanti si affannano per raggiungere la fine del mese, coniugando il pranzo con la cena.
Capisco che ci sarà chi preme per ripristinare in toto anche nel metodo (diranno che il governo Monti copia le “brillanti” iniziative del precedente governo), perché quanti hanno lucrato con la precedente esperienza non si arrendono a non ripetere quella manna calata da ...Palazzo Ghigi.
Non vorrei che anche su un argomento del genere ci siano di mezzo ricatti... non mi meraviglierei, ma potrebbe essere l’occasione per cominciare a respingere i metodi mafiosi che pretendono diritti senza riconoscere doveri.
In occasione della Pasqua sarebbe uno straordinario “uovo di Pasqua” ricevere una sommetta, risibile per le varie caste che speculano su tutto, in unica soluzione, utilizzabile per realizzare quei piccoli grandi sogni, sempre e solamente sognati.
Il coraggio di affrontare le contraddizioni Le tornerà indietro insieme alla fiducia che la maggioranza degli italiani Le ha accordato,ma anche questo è EQUITA’.
Gradisca i miei migliori auguri di buon lavoro per far uscire la nazione dal tunnel di precarietà nel quale è stata fatta precipitare; l’Italia onesta lo merita !
Rosario Amico Roxas
Il buco nero del sistema Italia
di IRENE TINAGLI (La Stampa, 27/5/2010)
La macelleria sociale è già in atto, a prescindere dalla manovra. E riguarda una fascia di popolazione a cui questo Paese si ostina a non guardare: i giovani.
Idati appena resi noti dall’Istat lasciano poco spazio all’ottimismo. Il tasso di occupazione complessivo è calato dell’1,2% nell’ultimo anno, mentre quello dei giovani tra i 15 e i 29 anni dell’8,2%, scendendo al 44%. Ma il dato più preoccupante va oltre la mera disoccupazione e riguarda i cosiddetti «neet», ovvero i giovani che non sono né occupati in un lavoro né inseriti in percorsi di studio o formazione («neither in employment, nor in education or training»). In Italia sono il 21,2% dei giovani tra i 15 e i 29 anni, in larga parte diplomati e laureati: proprio quelli sui quali dovrebbe poter contare un Paese per rilanciare la propria economia. Si tratta in totale di oltre due milioni di giovani che, semplicemente, non fanno niente. Aspettano. Aspettano forse tempi migliori, mentre intanto le cose che hanno imparato a scuola vengono dimenticate o diventano obsolete, e assieme ai saperi svaniscono fiducia, entusiasmo, voglia di guardare avanti.
Questo è un dato drammatico, che avrà conseguenze pesantissime sul futuro di questi giovani e del nostro Paese. Stare lontani sia dal lavoro che dalla formazione aumenta le probabilità di essere disoccupati in futuro o di avere lavori stabili che consentono di crescere professionalmente. Diminuiscono le competenze e il bagaglio di esperienze, in altre parole: diminuisce il livello di capitale umano sia dell’individuo che del sistema socio-economico in cui questa persona vive e lavora. E’ anche alla luce di questi dati che una recente pubblicazione dell’Ocse ha previsto che il tasso di disoccupazione giovanile in Italia non diminuirà con il rallentare della crisi, ma continuerà piano piano a crescere.
Questo fenomeno non può essere imputato solo al crollo della produzione industriale. La crescita della disoccupazione complessiva in Italia è stata più bassa che in tutti gli altri Paesi, quindi il fatto che invece proprio in Italia i giovani siano così emarginati dal mondo del lavoro non può essere legato solo alla crisi. Un altro indicatore che ci mostra che il nostro problema va oltre la crisi economica emerge dal confronto con la Spagna. Infatti, persino in quel Paese, dove il tasso di disoccupazione giovanile è quasi il doppio del nostro, la percentuale di giovani «neet» che proprio non fanno niente è minore che da noi, segno che i giovani senza lavoro sono comunque inseriti in programmi di formazione, studio o apprendistato, un elemento che contribuisce a tenerli attivi e competitivi per il futuro.
Queste considerazioni ci fanno capire che il vero buco nero del nostro Paese non è solo e tanto la struttura economico-produttiva, ma il sistema della formazione e la transizione dal mondo dello studio a quello del lavoro. E’ questo il principale meccanismo di lotta all’inattività giovanile, come ci dicono ormai tutti i principali studi in materia. Basta guardare ai Paesi che fino ad oggi sono riusciti ad ottenere i migliori risultati su questo fronte: Olanda, Danimarca, e Germania per esempio, hanno tutti dei sistemi molto strutturati di formazione professionale, alternanza scuola-lavoro, e ammortizzatori sociali legati allo sviluppo di competenze e permanenza nel circuito della formazione.
Invece nel nostro Paese è proprio sul fronte della formazione e della transizione scuola-lavoro che manca un’offerta vera e di qualità. Abbiamo milioni di giovani abbandonati a loro stessi, che in molti casi non finiscono neppure gli studi superiori (non a caso abbiamo uno dei più bassi tassi di diplomati d’Europa), in altri restano emarginati dal mercato del lavoro o da una formazione che potrebbe aiutarli a restare comunque competitivi nel lungo periodo.
Una lacuna che non è stata colmata da nessun intervento o politica del governo. Di fronte ad una carenza di formazione e al dramma dei ragazzi che non finiscono le scuole, tutto quello che si è stati capaci di fare è stato abbassare l’obbligo scolastico, e schiacciare le ambizioni dei ragazzi incitandoli ad «accettare qualsiasi tipo di lavoro», rivalutando i lavori umili e manuali. Mentre la grande riforma del mercato del lavoro che il ministro annunciava già un anno fa si è limitata alla fine alla lotta sull’arbitrato. Un po’ pochino per risolvere un problema di questa portata.
Di fronte a un’emergenza del genere i ministri del Lavoro e dell’Istruzione e dello Sviluppo Economico dovrebbero lavorare insieme a ritmi serratissimi per pensare a misure strutturali che consentano al Paese di non perdere per strada queste nuove generazioni. Invece il ministero dell’Istruzione pare più in sintonia con quello del Turismo, il ministero dello Sviluppo Economico, dopo aver distribuito un po’ d’incentivi per l’acquisto di cucine e lavatrici, è adesso in cerca di identità dopo le dimissioni di Scajola, mentre quello del Lavoro pare ancora troppo impegnato nell’abolizione o riscrizione dell’articolo 18.
I milioni di giovani senza lavoro e senza formazione adeguata sono il vero dramma di questo Paese. Cercare di mortificare le loro ambizioni non è la soluzione. Ma d’altronde è difficile parlare di futuro e ambizioni in un Paese la cui unica ambizione, oggi, è «non fare come la Grecia».
IL RETROSCENA
"Hanno tentato di farmi fuori" i sospetti del Cavaliere
Berlusconi teme un accordo contro di lui da parte di Tremonti, la Lega e i poteri forti.
"C’è chi ha messo in gioco la fine del berlusconismo"
di CLAUDIO TITO *
"C’E’ QUALCUNO che stavolta sta giocando davvero contro di me". Trentasei ore vissute sull’onda dei sospetti. Ogni parola letta in controluce. E gli "alleati più leali" che si rivelano "non più affidabili". Per Silvio Berlusconi non si è trattato solo di discutere la manovra economica "più pesante della mia vita", ma anche di rivedere la gerarchia delle alleanze. Di allontanare i sospetti del "complotto". Riformulare le amicizie dentro il governo.
A cominciare dal rapporto con il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, e con la Lega di Umberto Bossi. E già, perché dietro ogni singola misura, si è giocato qualcosa di più di una semplice battaglia sui numeri. Come ha ripetuto ieri mattina lo stesso Cavaliere, "è stato messo in gioco il "berlusconismo"". E i protagonisti non sono stati solo il titolare del Tesoro e il sottosegretario Letta, Bossi e Gianfranco Fini. Secondo il premier, si sono improvvisamente attivate le lobby più potenti. Quei "poteri forti" che hanno cercato di coagularsi intorno ai protagonisti della vicenda. "Per farmi fuori, per preparare un altro governo, per profilare un’emergenza nazionale". L’ombra del "complotto", insomma, che ha innervosito il presidente del consiglio e che si è stesa persino sul "socio" più leale: il Senatur.
Da tempo, del resto, molti ministri hanno seguito il braccio di ferro tra Letta e il capo del Tesoro, come la rappresentazione plastica di un duello più ampio. Con il sottosegretario spalleggiato dall’uomo forte della finanza, Cesare Geronzi, una parte della gerarchia ecclesiastica e dai giornali d’area che in questi giorni hanno infatti agitato lo spauracchio di un esecutivo tecnico. Con Tremonti, invece, sostenuto dalla Lega, da alcune banche del nord, da una parte della Finanza cattolica che nel mondo tremontiano ha le sembianze di Ettore Gotti Tedeschi, presidente del potentissimo Ior, e da settori del centrosinistra. Uno scontro nel quale Berlusconi ha sempre svolto la parte dell’arbitro, ma che ora teme di non poter più controllare. "Forse - è stata la sua riflessione - qualcuno pensa di poter cambiare la posta".
Infatti, nonostante l’armistizio firmato in extremis, il capo del governo è stato durissimo con il ministro dell’Economia. "Giulio - ha ripetuto anche ieri sera il Cavaliere - ha costruito la manovra come se volesse smentire tutto quello che ho fatto in questi anni". Non solo. Tutti provvedimenti, a suo giudizio, sono stati concordati solo con i Lumbard, e in particolare con il ministro Roberto Calderoli, scatenando le ire di tutti gli altri dicasteri. Ma soprattutto il premier ha scorto un obiettivo ben preciso: "Hanno calcato la mano - si è lamentato - per mettere al riparo il federalismo fiscale. Pensano che l’Ue non accetterebbe la riforma federalista se prima non diamo garanzie sui conti. Ma i progetti della Lega non possono venire prima di tutto il resto".
Il suo dubbio, dunque, è che il pacchetto "tremontiano" contenga in sé una sorta di "tesoretto" da utilizzare proprio per il federalismo fiscale. Sospetti che il titolare di Via XX Settembre ha respinto con decisione. Lo ha fatto l’altro ieri nell’ufficio di Berlusconi a Palazzo Chigi e lo ha ripetuto ieri prima della conferenza stampa congiunta. "Senza un intervento rapido, salta tutto: mi sono mosso su una linea molto delicata. Dopo quel che è accaduto in Grecia, dovevamo dare un segnale ai mercati. Lo faccio per il bene di tutti. Il mio rigore non ha altre ragioni se non la stabilità finanziaria del Paese e il suo futuro".
Eppure nella cena di martedì sera a Via del Plebiscito, Berlusconi ha sentito parlare l’intero stato maggiore leghista solo ed esclusivamente di federalismo fiscale. Ha ascoltato il Senatur definirlo "un’occasione da non perdere". Tant’è che proprio negli ultimi giorni ha provato ad accorciare le distanze con Fini. Una mossa tattica. Per frenare l’irruenza del Carroccio, ha rispolverato il "vecchio" alleato. "Se fate così - è stata la mossa compiuta con Bossi - cosa dico a Fini?". Ha persino incontrato l’odiato finiano Italo Bocchino e riesumato la commissione sui costi del federalismo suggerita dall’ex leader di An e che concluderà i lavori a fine giugno. Una sponda che stavolta Fini ha colto. Ma non per siglare la pace - "niente sarà più come prima" - bensì per dimostrare di avere ragione quando si lamenta che "il governo è a trazione leghista".
Sta di fatto, che fino al ritorno di Napolitano in Italia le misure verranno ulteriormente limate. Il premier ha imposto di alzare il tetto per la tracciabilità, ha elevare la soglia per imporre la tassa del 10% sugli stipendi pubblici (sopra i 150 mila euro) e ha reclamato di rinviare la cancellazione delle province. Tutti emendamenti che Tremonti sta apportando al suo testo. In più, ha imposto al suo ministro le parole d’ordine con cui presentare la manovra: "non siamo in recessione", "facciamo tutto per colpa della Grecia", "le tasse le abbasseremo". Ma il feeling tra i due sembra definitivamente rotto. E tutti se ne sono accorti martedì sera quando il Cavaliere, nella riunione a Via del Plebiscito, si è improvvisamente bloccato e lanciato un’occhiataccia di fuoco al ministro che gli sedeva accanto: "Giulio, perché scrivi quello che dico?". "Mi segno le barzellette che racconti".
* la Repubblica, 27 maggio 2010
La utilizzano solo in 450mila, un terzo
del previsto. I sindacati: troppo complicata e farraginosa
Il flop della social card
la usano solo in 450 mila
La Cisl denuncia: "Molti anziani tagliati fuori". Sicilia in testa nell’utilizzo
di VLADIMIRO POLCHI *
SOCIAL card, un anno dopo: com’è andata a finire? A 12 mesi dal suo lancio, la carta acquisti ha raggiunto meno della metà dei "bisognosi" previsti dal ministero dell’Economia: 627mila le richieste accolte e solo 450mila i beneficiari attuali, di fronte a una previsione governativa di un milione e 300mila persone.
Cosa non ha funzionato? "Requisiti troppo stretti e procedure farraginose", rispondono i sindacati. La carta acquisti è come un normale bancomat, utilizzabile "per il sostegno della spesa alimentare, sanitaria e il pagamento delle bollette della luce e del gas". Con una particolarità: le spese, invece d’essere addebitate al titolare, vengono saldate direttamente dallo Stato. Quanto vale? 40 euro al mese, caricati bimestralmente. Istituita il 25 giugno 2008 con decreto legge 112/2008 e attuata con una serie di decreti ministeriali, la social card parte ufficialmente il primo dicembre 2008: due giorni dopo, alle ore 9.43 viene effettuato il primo acquisto tramite carta. Chi ne può fare richiesta? Pensionati e coppie con figli al di sotto dei tre anni, in stato di "bisogno assoluto". Rigidi i requisiti d’accesso: avere un reddito inferiore a 6mila euro l’anno o a 8mila se si ha un’età pari o superiore a 70 anni; avere un Isee (Indicatore della situazione economica equivalente) inferiore a 6mila euro; non essere intestatario di più di una utenza elettrica e del gas; non essere proprietario di più di un autoveicolo; non detenere una quota superiore al 10% di immobili non a uso abitativo (per intenderci: non si può possedere un garage, un orto o una cantina). Nel febbraio 2009, i limiti di reddito sono stati adeguati al tasso di inflazione.
Alla fine, quanti "fortunati" hanno vinto una carta acquisti? Il 26 novembre 2008, il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, annunciava che i richiedenti sarebbero stati 1 milione 300mila. Negli stessi giorni venivano inviate 780mila lettere ad altrettanti possibili beneficiari. Non solo. Secondo Tremonti, a regime la social card sarebbe costata allo Stato 450 milioni di euro. Soldi pubblici? Anche, ma non solo, visto che tra Eni e Enel le donazioni hanno toccato quota 250milioni di euro.
I problemi iniziali avevano riguardato la scarsità dei negozi convenzionati e il ritardo nelle ricariche, tanto che a metà gennaio 2009, una carta su tre risultava senza credito. E oggi, a circa un anno dal lancio, come è andata a finire? I numeri ufficiali forniti ieri dal ministero dell’Economia parlano chiaro: 830mila sono le richieste ricevute, 627mila quelle accolte. Di queste, 364mila sono domande di pensionati ultrasessantacinquenni e 263mila di genitori con figli al di sotto dei tre anni. I beneficiari attuali della carta sono però solo 450mila (ben al di sotto del milione e 300mila attesi dal ministero dell’Economia), i soldi caricati sulle carte sono stati finora 306milioni e di questi sono stati spesi 240milioni, per un totale di nove milioni e mezzo di acquisti effettuati.
Gran parte delle carte sono andate al Sud Italia, con la Sicilia a farla da campione. "Alcune regioni sono state fortemente penalizzate - criticano dalla Cisl Veneto - perché molti nostri anziani pur bisognosi per il solo possesso di un misero oro o di una cantina sono stati tagliati fuori". La Cisl sottolinea che su 180mila pensionati veneti con limiti di reddito sotto i seimila euro, nella regione a gennaio erano state rilasciate solo 12mila carte, contro le 100mila attivate in Campania (dove i pensionati aventi diritto sarebbero 140mila).
"Il fatto che la carta non abbia funzionato dimostra che avevamo ragione nel dire che non era lo strumento adatto - sostiene Carla Cantone, segretaria generale del Spi-Cgil - mettere i soldi direttamente nelle pensioni degli anziani avrebbe almeno garantito il raggiungimento della platea prevista dal governo. Platea che per noi rimane comunque troppo ristretta rispetto all’effettivo numero di pensionati poveri. Uno strumento caritatevole come la social card si è dimostrato inefficace e oneroso. Inefficace, per i numeri che si attestano sotto al 50% delle previsioni; oneroso perché la carta ha degli alti costi di gestione e perché il credito viene sospeso ogniqualvolta un pensionato non rinnova il certificato Isee, che ha scadenza annuale. Non a caso - conclude la Cantone - a noi risultano molte carte vuote, unendosi così al danno la beffa".
© la Repubblica, 21 novembre 2009
L’80% delle tessere al Centro e al mezzogiorno. La Lega: "E’ un pasticcio" In Sicilia una carta ogni 52 abitanti. In Lombardia solo una ogni 434
Social card al Sud
il Nord resta a secco
di PAOLO BERIZZI
MILANO - Alla faccia della Lega e della "perequazione territoriale". E cioè uno dei pilastri del federalismo. Viene da pensarlo, a guardare la distribuzione geografica della Social card. La tesserina solidale voluta da Tremonti - quando non è vuota, visto che un terzo di quelle consegnate finora si sono rivelate una patacca - corre in soccorso al Sud e, decisamente, lascia a secco il Nord. Che raccoglie solo le briciole: una carta su sei. Anche se nelle regioni dell’Italia settentrionale vive più di un terzo delle famiglie disagiate.
Non è lo studio di un aspirante secessionista. E il quadro che emerge dai dati dell’Inps. Basta incrociarli con quelli forniti dall’Istat (che fotografa la popolazione regione per regione, reddito per reddito), e vengono fuori - chiaramente - due Italie. Una dove chi ha bisogno può fare la spesa con l’aiutino di Stato, e l’altra dove chi ha bisogno deve fare da sé. Così, a conti fatti, ha disposto il governo.
La "Padania", Emilia Romagna compresa, ospita il 45,5% della popolazione italiana, ma riceve solo il 16,8% delle carte ricaricate. Nel centro-Sud, dove vive il 54,5% della popolazione, è andato il restante 83,2%. Ora: è vero che la povertà è più concentrata da Roma in giù, ma anche guardando alle famiglie che secondo i dati Istat arrivano a fine mese con grande difficoltà, il quadro è comunque squilibrato. Nel Nord vivono il 37,3% delle famiglie in questa condizione disagiata, mentre la percentuale di carte è di molto inferiore (il 16,8%, appunto).
Ma vediamo nel dettaglio come e perché la tessera della spesa premia il Sud e snobba il Nord. La media nazionale è 1 carta ogni 140,7 abitanti. Tuttavia la media, come insegna Trilussa, non vuol dire niente. E infatti: se in Sicilia è piovuta una carta ogni 52,7 abitanti, in Lombardia ne è stata distribuita una ogni 434, 3 abitanti.
La distanza si allunga ancora di più se si prendono altre regioni. Una tessera ogni 57,6 abitanti in Campania, 1 ogni 67,4 in Calabria; e, di contro, 1 ogni 897,7 in Trentino, 1 ogni 408,7 in Emilia Romagna. La sensazione è che i calcoli fatti da Tremonti sembrano non tenere conto di un elemento non secondario: la differenza, da una regione all’altra, del potere d’acquisto. Che al Nord è di molto inferiore rispetto al Sud. I 400 euro e rotti della pensione minima a Bergamo o Treviso sono molto più "leggeri" che a Foggia o Caltanisetta.
Per questo c’è chi chiede un "netto cambio di rotta". Dice Antonio Misiani, parlamentare del Pd: "Così non va. E’ evidente che il valore dei soldi non è uguale in tutto il Paese. Non possono quindi essere utilizzati i medesimi strumenti. Anzi: gli strumenti centralizzati di lotta alla povertà non hanno più senso. Sono uno spot pubblicitario, ma inefficaci nel contrastare un disagio che si presenta con volti diversi a seconda delle zone. Meglio sarebbe stato - aggiunge - dare queste risorse ai Comuni, che meglio conoscono l’entità e le caratteristiche della povertà nelle loro comunità".
Parla di governo di "federalisti all’amatriciana", Misiani. Qualche malumore, in realtà, inizia a circolare anche in casa Lega, e cioè tra coloro che aspettano il federalismo come una manna dal cielo. "Con queste tesserine c’è qualcuno che ha fatto dei pasticci - ragiona un autorevole esponente del Carroccio - va bene che il Nord deve aiutare il Sud, ma così è un po’ troppo. Non è stato un bel inizio".
La card di Tremonti ha debuttato il primo dicembre. Non senza qualche sorpresa: quando fu lanciata, il ministro aveva parlato di 1.300.000 beneficiari (costo a regime, 450 milioni). Secondo i dati Inps (al 15-01-09) siamo a 580.268 carte distribuite e 423.868 attivate. In pratica, quelle funzionanti sono un terzo di quanto il governo ipotizzava a novembre. A questo si aggiunge la beffa: il 27% delle tessere distribuite sono senza soldi. Chi ha avvertito i titolari?
* la Repubblica, 19.01.2009
Mancano i 120 euro di accredito su oltre un terzo delle tessere distribuite ai cittadini
La grande beffa della social card
Una su tre è senza soldi
di ANTONELLO CAPORALE *
ROMA - Si dice: morire di vergogna. "Avevo il Dixan in mano, anche una confezione di orzo e una scatola di tonno ma mi è venuto un presentimento: vuoi vedere che non funziona? Allora ho preso la tessera e ho chiesto alla commessa di digitare i numeri, io non vedo bene. Non era stata caricata. Avevo i soldi stretti nell’altra mano, già tutti contati, e glieli ho dati e così è finita. Non l’ho più usata". Maria Pia, 67 anni, è fuggita via dal supermercato di Viareggio rossa in viso, e meno male che non c’era nessuno in fila. Comunque in quel supermercato non ci tornerà più.
La tessera di Tremonti è di un bel azzurro sereno. Come il cielo di Forza Italia, quello di una volta. Un tricolore ondulato la attraversa da sinistra a destra e sembra la scia delle mitiche frecce. "E’ anonima naturalmente per non creare imbarazzo", commentò Silvio Berlusconi il giorno dell’inaugurazione della campagna dei 40 euro mensili ai bisognosi d’Italia.
Anonima. Infatti ieri, supermercato Sma di Roma, commessa indaffarata alla cassa, signore anziano in fila: "Ha per caso la social card?". Il no è asciutto e risentito. "Scusi, ma era per capire come pagava". Lusy Montemarian non ha pagato, anzi è scoppiata in un pianto dirotto quando le hanno comunicato, come fa il medico alla famiglia del congiunto morente, che non ce l’aveva fatta. Un pianto raccolto da una microtelecamera di "Mi manda Raitre" e unito ad altri pietosi casi. Un mattone sull’altro, e un altro ancora. Alla fine si edifica questo incredibile muro della vergogna che attraversa la penisola e la trafigge senza colpa.
La Social Card, il circuito Mastercard. Protagonisti di una favola. Una strisciata e via. La pensionata indigente che alla cassa del panificio, come la donna chic di via Condotti, apre il borsello, non tocca i soldi sporchi, ma sfila la carta di credito. Un secondo magnetico. Se la carta è piena. Se è vuota - e lo sono un terzo delle circa 500 mila distribuite - la pensionata deve restituire il pane e ritirare l’umiliazione pubblica.
Era il 19 giugno, era estate, e il ministro Giulio Tremonti annunciava una vecchia novità: la carta di credito per i poveri. Vecchia perché l’aveva pensata Vincenzo Visco, nell’arcaico ’97: sconti sulla spesa, sugli affitti, sui beni di prima necessità. Vecchia perché l’aveva apprezzata Ermanno Gorrieri, comandate partigiano, fondatore del movimento Cristiano Sociali. Gorrieri è morto nel 2004. Nel 2008 è Tremonti a presenziare e presentare la svolta: una manovrina da 450 milioni di euro, 200 coperti dall’Eni, 50 dall’Enel, altri dalla Robin Tax. Togliere ai ricchi, dare ai poveri: 40 euro al mese, 80 euro accreditati ogni due mesi. Per un anno intero. Quattro mesi di annunci, di serrata organizzazione. Pronti. Si parte il primo dicembre. Attenzione: chi conserva 15 mila euro, in banca o alla posta, pensionato o disoccupato, non ha diritto alla carta di credito dello Stato.
Sono in 520 mila a dicembre a chiedere la social card, pensionati con reddito dai 6 mila euro agli 8 mila, coppie di anziani, famiglie con figli a carico, non oltre i tre anni però. Con una sola casa di proprietà, un’automobile e un’utenza elettrica attiva. In fila, per ore, davanti ai 9 mila uffici postali. Perché chi completava le pratiche entro il 31 dicembre, aveva diritto a 120 euro (ottobre, novembre e appunto dicembre) di partenza. Una corsa verso il nulla. Perché il 30 dicembre, con ottimismo natalizio, l’Inps - che doveva accertare il reddito - dichiarava di aver ricaricato 330 mila tessere. Le altre erano vuote.
Migliaia di italiani si sono ritrovati in mano una patacca. Una carta azzurra, di plastica, con il retro magnetico, il numero, il logo giallo e rosso della Mastercard. Belle, eccome. E di valore: si stima costi almeno 50 centesimi l’una, più 1 euro per la ricarica bimestrale, più il 2 per cento per le spese del circuito bancario. Uno scherzetto da 8 milioni e 500mila di euro, a pieno regime. Una lotteria per il mezzo milione di italiani che, soltanto alla cassa e davanti al commesso, saprà se la sua carta annonaria è buona oppure è uno scherzo del destino, se può permettere di fare la spese oppure di annunciare la propria povertà a tutti.
Duecentomila tessere vagano scoperte di tasca in tasca, sospese o respinte. Duecentomila italiani, forse di più, le possiedono senza poterle utilizzare. Alcuni (pochi) lo sanno. Altri, molti altri, che non sanno, vanno incontro alla sciagura.
Ci vuole del metodo per ideare una così lunga e inutile fatica. Prima fila: farsi certificare la povertà, la disgrazia assoluta. Seimila euro all’anno. In fila, naturalmente per vedersi attestata dal patronato la sospirata povertà. Poi l’Inps, le Poste, sempre in fila, sempre allo stesso modo. Infine, coraggio, andare al supermercato ed esibirla questa maledetta povertà. E poi, duecentomila volte finora, vederla svergognata: "La tessera non è carica". Ma ha letto bene?
Per la social card un poveretto di Catania è ricoverato (coma farmacologico) in ospedale a seguito di furiosa lite, recita un dispaccio dell’Ansa del 3 gennaio scorso, generata "dalla discussione per l’ottenimento della social card". Giovanni Spatola, imbianchino di 47 anni, si è costituito ai carabinieri confessando di aver fracassato il cranio del conoscente con una chiave inglese. Chi dei due doveva ottenere la social card? A Verona boom di ritiri. Il dato, riferisce la direzione delle Poste, è connesso alla presenza nel luogo di molti istituti religiosi. Trecento tra suore e frati si sono presentati all’incasso. Nullatenenti. Perciò potevano. A Castelletto di Brenzone, minuscolo villaggio sul lago di Garda, ne sono state elargite più di cinquanta. Come mai? Lì ha sede l’istituto delle piccole suore della Sacra Famiglia. Amen.
"Disagi e umiliazioni di ogni genere. Accreditategli questi benedetti quaranta euro sulle pensioni, così risparmierete dei soldi anche voi", ha consigliato Pierluigi Bersani ieri alla Camera al ministro dell’Economia. "E’ la truffa del secolo, un flop, il più grande bluff tremontiano", dice Franco Laratta, il deputato calabrese del Partito democratico mentre raccoglie le firme per un’interpellanza urgente sulla precoce agonia di questa tesserina azzurrissima, molto patriottica con quel fascio tricolore.
* la Repubblica, 15 gennaio 2009
Era vissuta come una ’ultima spiaggia’, ora è una forma di finanziamento
Crisi, gli italiani tornano al Monte dei Pegni per mutui e bollette
I clienti sono raddoppiati, se non triplicati nell’ultimo anno. L’anello di fidanzamento, l’orologio d’epoca o la spilla lasciata dalla nonna diventano sempre più spesso merce di scambio per ottenere contanti. E i consumatori denunciano: ’’C’è il rischio che si speculi sul bisogno’’
Roma, 6 gen. (Adnkronos) - La crisi economica si fa sentire anche al Monte dei Pegni. I clienti che si rivolgono alle strutture gestite dalle banche italiane sono "raddoppiate, se non triplicate" nell’ultimo anno. Parola del presidente dell’Adusbef Elio Lannutti, che denuncia anche il rischio che "si speculi sul bisogno, con condizioni spesso vessatorie". Gli ultimi dati ufficiali disponibili, quelli della Banca d’Italia, sono sicuramente meno eclatanti ma certificano comunque un incremento consistente nei primi mesi del 2008, con il valore medio del pegno di circa 700 euro. Il trend è significativo e dimostra che l’anello di fidanzamento, l’orologio d’epoca o la spilla lasciata dalla nonna sono diventati sempre più spesso merce di scambio per ottenere contanti, fondamentali per pagare le bollette oppure per onorare la rata del mutuo. Quella che era vissuta come una ’ultima spiaggia’, è diventata sempre di più una forma di finanziamento per far fronte all’emergenza. A facilitare l’accesso a questa tipologia di credito ci sono le condizioni meno impegnative rispetto a qualsiasi altro canale. La concessione del prestito non prevede infatti alcuna indagine amministrativa o patrimoniale. L’importo è semplicemente commisurato al valore di stima dell’oggetto portato in pegno.
Il tasso di interesse e gli oneri accessori, spese di custodia e assicurazione, sono fissi per tutta la durata del prestito, previsto con scadenza a sei mesi. La banca, in sostanza, si tutela esclusivamente attraverso la facoltà di vendere all’asta il bene in caso di inadempimento dell’obbligazione garantita con il pegno. I tassi di interesse sono fissati in relazione alla misura del prestito. Nel caso di Unicredit Banca, che gestisce un monte dei pegni storico come quello ereditato dalla Cassa di Risparmio di Roma, sono fissati al 13,25% fino a 10.000 euro e all’11,50% oltre questa soglia. Solamente il 10% degli oggetti rimane non riscattato dal proprietario. In generale la prima scadenza delle polizze emesse sugli oggetti in pegno scatta a tre mesi, ma è prevista l’estensione ad un anno. La polizza trimestrale si può rinnovare anche cinque volte, ma ovviamente aumentano gli interessi da pagare. Gli oggetti non riscattati, trascorsi 30 giorni dalla scadenza, finiscono all’incanto. Nella sede romana del Monte una sala è riservata alle vetrine stipate di catenine e spille d’oro, macchine fotografiche e pc portatili.
Il credito su pegno nasce durante la seconda metà del XV secolo per opera dei Frati Francescani, che istituirono nell’Italia centro-settentrionale i primi Monti di Pietà. Il motivo che spinse la Chiesa a sviluppare quest’attività fu la volontà di contrastare il dilagante fenomeno dell’usura. La perseverante opera dei predicatori seguaci di Bernardino da Siena portò così alla fondazione a Perugia, nel 1462, del primo ’Monte’, cui ne fecero seguito altri in Umbria, nelle Marche e in Toscana. Grazie ai Francescani il credito su pegno si diffuse rapidamente in Europa. A Roma esiste una sede storica dell’attività di credito su pegno che che dà il nome anche alla piazza in cui si trova che negli anni ha sviluppato il mestiere di valutazione dei beni creando il primo Laboratorio gemmologico d’Italia, unica struttura del genere nell’Italia Centrale. Il laboratorio certifica la qualità mineralogica delle gemme, anche se montate su gioiello. Il servizio è svolto con l’ausilio di moderne attrezzature scientifiche da tecnici/gemmologi laureati. Il servizio del Laboratorio, struttura posta a presidio dell’attività di pegnorazione, si rivolge anche a privati, operatori del settore orafo, enti e organismi pubblici.
QUARANTA POVERI EURO
di Galapagos (il manifesto, 27.11.2008)
Centinaia di miliardi stanno cadendo a pioggia sul sistema finanziario (a difesa dei risparmiatori, è l’alibi) e per cercare di sostenere i consumi. Il tutto in base a un principio semplice che altre volte ha funzionato: se decine di milioni di cittadini spendono un po’ di più, sicuramente la ripresa poi decollerà. Riproponendo il solito modello di crescita, che non modifica di una virgola i rapporti sociali e la distribuzione del reddito. Si può fare diversamente? Guido Bertolaso alla Camera ha fatto sapere che «per la messa in sicurezza delle scuole servo 13 miliardi». Una cifra enorme. In gioco però non c’è solo la sicurezza dei ragazzi, ma un modello di sviluppo e di intervento nell’economia diverso. Immaginare che impulso anti-recessivo potrebbe arrivare da 13 miliardi impiegati nell’edilizia scolastica. E quanto lavoro si potrebbe creare con questo «investimento in civiltà». Ma la civiltà a questo governo non interessa. Le scuole private invece sì.
In Italia una delle cause primarie che ostacolano la crescita demografica e la partecipazione al lavoro delle donne è l’assenza di servizi e politiche sociali. Mancano migliaia di asili nido. La loro costruzione e la successiva gestione potrebbero creare decine di migliaia di posti di lavoro. Meglio gli asili nido o un bonus-bebé una-tantum e un aumento ridicolo degli assegni familiari? Detta in altra forma: meglio un maggiore welfare o un modello che monetizza (neanche tanto) la schiavitù domestica? A parte pochi euro destinati agli ammortizzatori sociali, il decreto anti-crisi del governo non punta al sostegno dei redditi - in particolare per i precari che perdono il lavoro - e a creare con interventi diretti nell’economia, nuovi posti di lavoro.
Il modello di Tremonti è quello spettacolare a miserabile della social card: 40 euro al mese possono far comodo a chi vive nella miseria, ma non ne cambiano la condizione miserabile di vita. Sono altri i servizi da fornire alle famiglie disagiate e agli anziani. Stesso discorso per la sanità. Si seguitano a tollerare gli abusi delle strutture private in convenzione, ma non si fa nulla per riportare in tempi civili le liste d’attesa per gli esami diagnostici. Per i quali servono mesi nelle strutture pubbliche e poche ore se si opta per l’intra moenia a pagamento che sfrutta la struttura pubblica.
Ogni anno, normalmente in primavera e in autunno, l’Italia frana con danni idrogeologici enormi ai quali ex post si mette qualche toppa. Quanta occupazione si potrebbe creare in questo settore? E quanta occupazione si potrebbe creare con il risanamento della rete idrica che priva di acqua milioni di famiglie e fa guadagnare miliardi alle organizzazioni mafiose? E quanta occupazione si potrebbe creare con lo sviluppo delle energie rinnovabili? Obama punta a milioni di nuovi posti; Berlusconi non punta a niente: solo alle grandi opere. Ma Brunetta fa di peggio: dopo la campagna antifannulloni, fa ricchi 3000 dipendenti politicamente scelti. E la sinistra tace: solo parlare di allargare gli spazi del welfare appare un’eresia. Meglio brindare a Luxuria.
LA GRANDE CRISI
Maxi aumenti ai Brunetta boys
Il campione anti-fannulloni regala 600 euro al mese ai dipendenti del proprio ministero e della presidenza del consiglio: a fronte di 2 ore in più a settimana. Consulenze milionarie nella nuova «Authority del merito». E intanto dà solo 70 euro agli altri statali e licenza migliaia di precari
di Antonio Sciotto (il manifesto, 27.11.2008)
Il ministro Brunetta passerà pure per «mitico» grazie alla lotta ai cosiddetti fannulloni, ma per compiacere il proprio staff e quello del presidente del consiglio Berlusconi non guarda in faccia a nessun criterio di merito: è appena stato firmato un accordo sindacale che aumenta stabilmente di ben 600 euro medi al mese lo stipendio dei 3 mila dipendenti della presidenza del consiglio (tra i quali sono inclusi anche quelli del ministero della Funzione pubblica, quello guidato dallo stesso Brunetta, che in realtà è un semplice dipartimento dell’ufficio del premier). E a fronte della generosissima erogazione - tantopiù in tempi di crisi, e di licenziamenti di centinaia di migliaia di precari - cosa chiede l’uomo simbolo della produttività? Un enorme aumento di efficienza, ben due ore di lavoro in più a settimana: arrivare a 38 ore rispetto alle precedenti 36.
I 600 euro esistevano già, ma non erano per tutti: rappresentavano la «indennità di specificità organizzativa», un’erogazione accessoria per particolari funzioni, e sono la media tra un minimo di 350 e un massimo di 900 euro. Il ministro Brunetta adesso quel salario accessorio lo ha «stabilizzato», facendolo passare dall’integrativo al contratto nazionale (speciale per la presidenza del consiglio). E lo ha generalizzato a tutti i 3 mila dipendenti, con l’unica condizione che accettino di fare 2 ore in più a settimana. Nella direttiva che con solerzia ha inviato all’Aran per perfezionare la contrattazione, spiega che c’è anche la possibilità di rimanere a 36 ore: ma francamente sarà difficile trovare qualcuno che non si «sforzi» di farne 38.
Insomma, c’è chi a fronte di otto ore in più al mese, arriverà a prendere anche 900 euro aggiuntivi (pari allo stipendio di un precario); ma anche se ricevesse soltanto il minimo di 350 euro non gli andrebbe proprio male. Il principale firmatario del contratto è la Snaprecom (sindacato autonomo della presidenza del consiglio), mentre la Cgil non è rappresentata al tavolo contrattuale, e dunque non ha partecipato a definire il profilo della nuova «casta» di filiazione brunettiana.
Indennità tornello
C’è già chi la chiama «indennità tornello». Proprio Brunetta aveva scelto di propagandare l’istallazione dei tornelli a Palazzo Chigi, facendosi fotografare mentre passava il badge con una mano e con l’altra faceva sorridente la «v» di vittoria. Mentre Berlusconi, dal canto suo, annunciava che tutti i bar vicini sarebbero falliti, dato che sarebbe stato più difficile concedersi la classica pausa caffè da «fannullone» impenitente: «Avranno pensato di introdurre l’’indennità tornello’ - commenta sarcastico il segretario Fp Cgil Carlo Podda - A parte gli scherzi, aumenti così possono pure andare bene, ma se andassero ugualmente a tutti i lavoratori del Paese, e non solo a 3 mila. Tutti gli altri devono accontentarsi dei 70 euro lordi - pari a poco più di 40 netti mensili - erogati dal recente Protocollo Brunetta. Mi verrebbe da dire a Cisl e Uil: rivendichiamo insieme quei 600 euro per tutti».
Due milioni al merito
Passando a un altro scandalo, nel disegno di legge Brunetta in discussione al Senato, si stanziano ben 1,2 milioni di euro per la retribuzione annua dei quattro membri dell’«Authority del merito», quella che dovrebbe stilare le «pagelline» di produttività dei vari uffici pubblici. Ben 300 mila euro di stipendio all’anno cadauno; o 25 mila euro al mese, che poi sono il lordo annuale di un normale dipendente pubblico. E non basta: Brunetta si è fatto riservare ulteriori 500 mila euro per il generico capitolo «consulenze». Altri privilegiati, per ora ignoti, con contratti a più zeri. «Il ministro, se tiene alla trasparenza come dice, pubblichi l’elenco di queste consulenze - conclude Podda - Secondo noi è assurdo centralizzare la valutazione del merito: piuttosto, si dovrebbe affidare agli utenti dei servizi».
Un "bancomat" da 40 euro mensili destinato a 1 milione 300 mila persone
Per chi ha più di 65 anni o figli entro i 3 anni con un reddito massimo di 6000 euro
Tremonti presenta la social card
"Allo Stato costerà 450 milioni"
"Significative donazioni da Eni, 200 milioni, e Enel, 50 milioni"
"Non è un intervento caritatevole, i bisognosi esistono e vanno considerati"
ROMA - Un bancomat "anonimo", azzurro, del valore di 40 euro mensili più gli sconti delle catene commerciali convenzionate. Chi lo riceverà entro il 31 dicembre avrà già un credito di 120 euro per i mesi di ottobre, novembre e dicembre. E, a regime, sulle casse dello Stato peserà per 450 milioni di euro. Queste alcune delle caratteristiche della social card presentata oggi dal ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, con una conferenza stampa a Palazzo Chigi, a due giorni dal Consiglio dei ministri che dovrà varare il decreto anticrisi. "Uno strumento nuovo, nel quale crediamo, assolutamente in linea con le raccomandazioni della Commissione europea" ha detto, ricordando che si tratta di un provvedimento diffuso in altri paesi e che in Italia sarà necessaria, adesso, "una fase di adattamento". Un rammarico: solo il 5% della grande distribuzione, quindi le catene di supermercati, ha aderito al progetto della social card. "Speriamo che la percentuale salga", ha auspicato.
Il costo. Il ministro ha anche spiegato, per la prima volta, quanto la social card, a regime, costerà allo Stato: 450 milioni di euro. "Ci sono già state significative donazioni nel 2008 da Eni, 200 milioni - aggiunge Tremonti - e da Enel, 50 milioni".
A chi è destinata. I beneficiari, secondo le stime dell’Economia, saranno 1 milione 300 mila: cittadini ultrasessantacinquenni e famiglie con figli piccoli (fino a 3 anni) che abbiamo un reddito Isee (Indicatore della situazione economica equivalente) fino a 6000 euro, non più di una casa, non più di un’auto. Per chi ha più di 70 anni, la soglia di reddito Isee che dà accesso alla carta acquisti è fino a 8000 euro. Nel caso di più figli sotto i 3 anni, gli accrediti si sommano. Chi non riceverà la lettera, ma ritiene di avere i requisiti, potrà rivolgersi alle Poste.
Accesso alle tariffe sociali Enel. La social card serve anche per aderire alle "tariffe sociali dell’Enel, che esistevano già ma erano in freezer, nel senso che se non si andava allo sportello dell’Inps per richiederla, si restava fuori. Così, invece - precisa Tremonti - l’adesione alla tariffa sociale è automatica".
"Non è carità". "Rifiutiamo l’interpretazione - sottolinea Tremonti - della social card quale visione compassionevole della società". Il ministro ribadisce che "le situazioni di bisogno non si proclamano per legge, non è una questione di ingegneria sociale del governo". Coloro che hanno bisogno, insiste, "ci sono, e non sono stati mai sufficientemente considerati".
Garantito l’anonimato. La social card, o carta acquisti, "è anonima - ha spiegato il rirolare dell’Economia - quindi nessuno può dire che segna i portatori. La può usare chiunque". Tremonti annuncia che "già molte lettere sono state inviate a quelli che secondo i nostri archivi sono i beneficiari", e tutto è stato fatto "nel modo più semplice possibile". Per eventuali chiarimenti, ha concluso il ministro, "confidiamo nell’Inps, nelle associazioni di volontariato e nei Caaf".
* la Repubblica, 26 novembre 2008
Crisi, il governo espone il piano
La Cgil: "Confermato lo sciopero"
Imprese e sindacati a Palazzo Chigi per discutere il pacchetto anticrisi che l’esecutivo varerà venerdì prossimo. Il ministro dell’Economia ribadisce: nessuna modifica alla Finanziaria 2009. E anticipa: interventi sui mutui, e riduzione delle tariffe di luce, gas e autostrade
22:33 Epifani: "Confermato lo sciopero generale del 12 dicembre" Epifani ha confermato lo sciopero generale del 12 dicembre: "Ovviamente - ha detto il segretario generale della Cgil - sono tutte confermate le ragioni della mobilitazione" del 12 dicembre"
[...]
20:22 Social card 40 euro al mese, per redditi 6000 euro La social card sarà di 40 euro al mese. Lo si apprende da fonti delle parti sociali presenti all’incontro di Palazzo Chigi. In questi giorni il governo ha inviato un modulo agli interessati (chiunque abbia un reddito inferiore ai 6mila euro annui). L’interessato dovrà poi compilare e rispedire il modulo. La prima social card sarà di 120 euro perché comprenderà i mesi di ottobre, novembre e dicembre. Poi ci saranno 80 euro ogni bimestre. La social card sarà una tessera magnetica e consentirà di fare acquisti in tutti quegli esercizi abilitati al pagamento con carta di credito o bancomat. L’amministrazione calcola che la social card sarà distribuita a circa 800mila italiani.
* la Repubblica, 24.11.2008 (ripresa parziale)
In maggiore difficoltà le famiglie con figli e quelle che hanno come capofamiglia
una persona con bassi livelli di istruzione o un basso profilo professionale
Istat, in Italia 7,5 milioni di poveri
al Sud percentuali 4 volte maggiori
Peggiora in particolare la situazione in Sicilia e Basilicata, migliora in Toscana
di ROSARIA AMATO *
ROMA - L’11,1 per cento delle famiglie residenti in Italia sono povere. Si tratta di 2.653.000 nuclei, pari a 7.542.000 persone, il 12,8% dell’intera popolazione. Lo afferma l’Istat che oggi ha presentato i dati sulla povertà relativa nel 2007. Si tratta di dati stabili rispetto all’anno scorso. E lo è anche la distribuzione della povertà: in maggiore difficoltà economica le famiglie com figli, soprattutto se il capofamiglia è una persona con bassi livelli di istruzione, bassi profili professionali (working poor) o disoccupata: l’incidenza di povertà tra le famiglie con due o più componenti in cerca di occupazione (35,8%) è di quasi quattro volte superiore a quella delle famiglie dove nessun componente è alla ricerca di lavoro (9,9%). La povertà è inoltre maggiormente diffusa nel Mezzogiorno: l’incidenza è quattro volte superiore a quella del resto del Paese.
Miglioramenti solo in Toscana. Nel confronto tra il 2006 e il 2007, emergono miglioramenti solo in una Regione, la Toscana: infatti l’incidenza della povertà è scesa dal 6,8 al 4%. In valori assoluti, il Veneto appare la regione con la più bassa incidenza di povertà (3,3%); seguono Toscana, Lombardia e Trentino Alto Adige, con valori inferiori al 6%. In ultima posizione si trovano la Basilicata (26,3%) e la Sicilia (27,6%).
Al Sud il 65% delle famiglie povere. Nel Mezzogiorno è povero il 22,5% delle famiglie. Facendo il confronto con l’intero Paese, al Sud risiede il 65% delle famiglie povere, mentre nel Centro-Nord meno di sette famiglie su cento lo sono. Nel Mezzogiorno inoltre, osserva l’Istat, "a una più ampia diffusione del fenomeno si associa una maggiore gravità: le famiglie povere presentano una spesa media mensile equivalente di circa 774 euro, rispetto ai 797 e 818 osservati per il Nord e il Centro".
Va peggio alle famiglie con figli. Se nelle famiglie numerose in genere l’incidenza della povertà è maggiore, nel 2007 aumenta anche rispetto alle famiglie con un solo figlio (l’incidenza passa dal 10 all’11,5%). Nel Nord peggiora in particolare la situazione delle famiglie con cinque è più componenti, per le quali l’incidenza della povertà passa dall’8,1 al 12,2%. Se tra i componenti ci sono tre o più figli minori, il tasso raddoppia (dall’8,2 al 16,4%).
E meglio ai lavoratori autonomi. Segnali di miglioramento invece per le famiglie con a capo un lavoratore autonomo: il tasso di povertà scende al 6,3% dal precedente 7,5%. Per i lavoratori in proprio il tasso passa dal precedente 9,6 al 7,9%.
La linea della povertà. L’Istat stabilisce la ’linea della povertà sulla base della spesa per consumi delle famiglie. Nel 2007 è risultata pari a 986,35 euro.
* la Repubblica, 4 novembre 2008
Sorpresa nel decreto Alitalia: reati non perseguibili se non c’è il fallimento Ad accorgersene per prima Milena Gabanelli, l’autrice della trasmissione Report
Il governo salva Geronzi
Tanzi e Cragnotti
di LIANA MILELLA *
ROMA - Un’altra? Sì, un’altra. E per chi stavolta? Ma per Cesare Geronzi, il presidente di Mediobanca negli impicci giudiziari per via dei crac Parmalat e Cirio. La fabbrica permanente delle leggi ad personam, col marchio di fedeltà del governo Berlusconi, ne produce un’altra, infilata nelle pieghe della legge di conversione del decreto Alitalia. Non se ne accorge nessuno, dell’opposizione s’intende, quando il 2 ottobre passa al Senato. Eppure, come già si scrivono i magistrati nelle maling list, si tratta d’una "bomba atomica" destinata a far saltare per aria a ripetizione non solo i vecchi processi per bancarotta fraudolenta, ma a bloccare quelli futuri.
Con un semplice, e in vero anche mal scritto, articolo 7bis che modifica la legge Marzano sui salvataggi delle grandi imprese e quella sul diritto fallimentare del 1942. L’emendamento dice che per essere perseguiti penalmente per una mala gestione aziendale è necessario che l’impresa si trovi in stato di fallimento.
Se invece è guidata da un commissario, e magari va anche bene come nel caso della Parmalat, nessun pubblico ministero potrà mettere sotto processo chi ha determinato la crisi. Se finora lo stato d’insolvenza era equiparato all’amministrazione controllata e al fallimento, in futuro, se la legge dovesse passare com’è uscita dal Senato, non sarà più così. I cattivi manager, contro cui tutti tuonano, verranno salvati se l’impresa non sarà definitivamente fallita.
Addio ai processi Parmalat e Cirio. In salvo Tanzi e Cragnotti. Salvacondotto per l’ex presidente di Capitalia Geronzi. Colpo di spugna anche per scandali di minore portata come quello di Giacomelli, della Eldo, di Postalmarket. Tutto grazie ad Alitalia e al decreto del 28 agosto fatto apposta per evitarne il fallimento. Firmato da Berlusconi, Tremonti, Scajola, Sacconi, Matteoli. Emendato dai due relatori al Senato, entrambi Pdl, Cicolani e Paravia. Pronto per essere discusso e approvato martedì prossimo dalla Camera senza che l’opposizione batta un colpo.
Ma ecco che una giornalista se ne accorge. È Milena Gabanelli, l’autrice di Report, la trasmissione d’inchieste in onda la domenica sera su Rai3. Lavora su Alitalia, ricostruisce dieci mesi di trattative, intervista con Giovanna Boursier il commissario Augusto Fantozzi, gli chiede se è riuscito a garantirsi "una manleva", un salvacondotto per eventuali inchieste giudiziarie. Lui risponde sicuro: "No, io non ho nessuna manleva".
Ma quel 7bis dimostra il contrario. Report ascolta magistrati autorevoli, specializzati in inchieste economiche. Come Giuseppe Cascini, segretario dell’Anm e pm romano dei casi Ricucci, Coppola, Bnl. Il suo giudizio è senza scampo. Eccolo: "Se la norma verrà approvata non saranno più perseguibili i reati di bancarotta commessi da tutti i precedenti amministratori di Alitalia, ma neppure quelli compiuti da altri manager di società per cui c’è stata la dichiarazione d’insolvenza non seguita dal fallimento".
Cascini cita i casi: "Per i crac Cirio e Parmalat c’è stata la dichiarazione d’insolvenza, ma senza il fallimento. Il risultato è l’abrogazione dei reati fallimentari commessi da Tanzi, Cagnotti, dai correi". Non basta. "Subito dovrà essere pronunciata sentenza di assoluzione perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato per tutti gli imputati, inclusi i rappresentanti delle banche".
Siamo arrivati a Geronzi. Chiede la Gabanelli a Cascini: "Ma la norma vale anche per lui?". Lapidaria la risposta: "Ovviamente sì". Le toghe s’allarmano, i timori serpeggiano nelle mailing-list. Come in quella dei civilisti, Civil-net, dove Pasquale Liccardo scrive: "Ho letto la nuova Marzano. Aspetto notizie sulla nuova condizione di punibilità che inciderà non solo sui processi futuri ma anche su quelli in corso". Nessun dubbio sulla portata generale della norma. Per certo non riguarderà la sola Alitalia, ma tutte le imprese.
Vediamolo questo 7bis, così titolato: "Applicabilità delle disposizioni penali della legge fallimentare". Stabilisce: "Le dichiarazioni dello stato di insolvenza sono equiparate alla dichiarazione di fallimento solo nell’ipotesi in cui intervenga una conversione dell’amministrazione straordinaria in fallimento, in corso o al termine della procedura, ovvero nell’ipotesi di accertata falsità dei documenti posti a base dell’ammissione alla procedura".
La scrittura è cattiva, ma l’obiettivo chiaro: finora i manager delle grandi imprese finivano sotto processo per bancarotta a partire dalla sola dichiarazione d’insolvenza. Invece, se il 7bis passa, l’azione penale resterà sospesa fino a un futuro, e del tutto incerto, fallimento definitivo. Commentano le toghe: "Una moratoria sine die, un nuovo colpo di spugna, una mano di biacca sulle responsabilità dei grandi manager le cui imprese sono state salvate solo grazie alla mano pubblica". Con un assurdo plateale, come per Parmalat. S’interromperà solo perché il commissario Bondi evita il fallimento.
Ma che la salva Geronzi sia costituzionale è tutto da vedere. Gli esperti già vedono violati il principio d’uguaglianza e quello di ragionevolezza. Il primo perché la norma determina un’evidente disparità di trattamento tra i poveri Cristi che non accedono alla Marzano, falliscono, e finiscono sotto processo, e i grandi amministratori. Il secondo perché l’esercizio dell’azione penale dipende solo dalla capacità del commissario di gestire l’azienda in crisi. Se la salva, salva pure l’ex amministratore; se fallisce, parte il processo. Vedremo se Berlusconi andrà avanti sfidando ancora la Consulta.
* la Repubblica, 9 ottobre 2008
Al ministero dell’Economia vertice Tesoro-Bankitalia-Confindustria
Crisi mercati, Berlusconi convoca il Consiglio dei ministri
Il premier ha fissato la riunione per le 20. All’esame un decreto legge su ’’misure urgenti per garantire la stabilità delle banche e del risparmio’’ . A quanto apprende l’Adnkronos si va verso l’innalzamento della soglia di garanzia dello Stato a 100 mila euro
Roma, 8 ott. - (Adnkronos/Ign) - Il Governo stringe sulle misure per fronteggiare la crisi dei mercati finanziari. Il premier Silvio Berlusconi ha convocato per stasera, alle 20, il Consiglio dei ministri, mentre domani il Governo riferirà in Parlamento.
All’ordine del giorno di Palazzo Chigi c’è l’esame del decreto legge su ’’misure urgenti per garantire la stabilità delle banche e del risparmio’’. A quanto apprende l’Adnkronos nel decreto legge anticrisi ci sarebbe un "innalzamento da 20mila a 100 mila euro della soglia di garanzia dello Stato sui depositi e misure a favore delle imprese in difficoltà di credito con le banche". I depositi oggi sono garantiti fino a 103.000 euro dal Fondo interbancario che è finanziato dalle banche. Il provvedimento, sempre secondo quanto si apprende, è molto snello, composto da tre-quattro articoli.
In un comunicato della presidenza del Consiglio si rende noto poi che "a seguito della riunione Ecofin di lunedì e martedì e in coordinamento con altri governi europei, il Consiglio dei Ministri adotterà nella stessa giornata di oggi i provvedimenti necessari per garantire la stabilità delle banche e del risparmio’’.
La decisione di convocare il Cdm è stata presa da Berlusconi dopo l’incontro avuto stamane a palazzo Grazioli con il ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Il faccia a faccia tra i due è terminato poco prima di mezzogiorno e, secondo l’Adnkronos, era presente anche il responsabile della Farnesina Franco Frattini
700 miliardi per camuffare la storia
2 ottobre 2008 (MoviSol) - Durante la settimana finanziaria che va dal 15 al 19 settembre, la globalizzazione finanziaria aveva dimostrato di essere definitivamente morta. Ma prima che il crollo di Wall Street coinvolgesse Main Street (l’economia reale), il Governo americano ha preso una decisione senza precedenti: la costituzione di un ente federale con a disposizione 700 miliardi di dollari da destinare al riacquisto dei valori finanziari tossici che sono all’origine del perpetuarsi del crollo dei listini finanziari mondiali.
Secondo gli analisti il piano Paulson sarebbe quantitativamente dieci volte superiore al piano Marshall con cui si ricostruì l’Europa post-bellica e superiore al costo della guerra del Vietnam. Si consideri poi che la Cina, detenendo metà del debito estero Usa, detiene un importo di 500 miliardi di dollari in titoli statunitensi. L’immissione di 700 miliardi di dollari da parte del Tesoro, rappresenta di fatto una importante svalutazione del loro debito verso la Cina. Quanto potranno sopportare ancora la Cina, e gli altri detentori di titoli del debito Usa, un tal genere di furto? Il modello di fatto imperiale, spacciato col nome altisonante di globalizzazione, è in rianimazione ma con certezza di morte. Anzi, il piano Paulson non farà altro che prolungare l’agonia del malato. Questo perché quel credito di 700 miliardi non è strategicamente vincolato a risollevare l’ansimante economia reale, quanto piuttosto volto a riversare direttamente sui cittadini americani, ed indirettamente sulla popolazione mondiale, il disastro prodotto dall’immissione nel sistema della finanza di titoli puramente speculativi.
Ciò su cui non si può discutere, è invece il definitivo fallimento del modello liberista. Il blocco delle vendite allo scoperto ed il paracadute offerto ai mercati con i soldi dei cittadini, sono decisioni dirigistiche ed antimercatiste che dovrebbero segnare pure per gli irriducibili liberisti, il definitivo fallimento della deregulation , dell’idea per cui i mercati abbandonati a sé stessi raggiungerebbero l’equilibrio ottimale in favore della ricchezza. Se si fossero abbandonati i mercati ai loro destini, le famiglie più importanti del pianeta, dai Morgan ai Mellon ai Du Pont ai Rothschild, sarebbero probabilmente alle cronache come storico caso di "eccellente suicidio di massa", produzioni e commerci sarebbero fermi, intere nazioni sarebbero nel più completo caos.
In tutta questa storia c’è anche un altro dato interessante che emerge e che è bene che i politici tengano presente già nell’immediato futuro, visti i sacrifici che esso è costato alle popolazioni da loro amministrate. Gli illuminati osservatori economici del Fondo monetario internazionale, della Banca Mondiale, dell’Ocse, e delle agenzie di rating private (S & P, Moody’s, Fitch) che finora hanno giudicato sulla bontà delle scelte economiche fatte da stati sovrani ed aziende, da oggi, che genere di mestiere potranno fare? La risposta è che l’economia mondiale, nella sua facciata reale, necessita di braccia per la ricostruzione e l’arricchimento tecnologico delle sue infrastrutture e delle sue produzioni, di modo che i popoli del pianeta, dopo un quarantennio di politiche liberiste a cui sono stati via via sottoposti, possano tornare a vedere il sereno offerto da un’economia che migliori i loro tenori di vita piuttosto che distruggerli.
Ora, dovrebbe essere ovvio anche a Paulson - forse non a Bush - che quel credito di 700 miliardi, corrisponde ad una nuova immissione di liquidità nel sistema, che al pari dei circa 2-3 miliardi che ogni giorno dal luglio-agosto 2007 fino alla scorsa settimana, le banche centrali avevano cominciato ad iniettare nel mercato per sorreggere la maturanda crisi, rifluirà sui prodotti finanziari speculativi che abbiano come sottostante oro, petrolio, materie prime, generi alimentari. Ciò comporterà a breve una nuova ondata iperinflazionistica sui beni di prima necessità. In sostanza, quei 700 miliardi non serviranno altro che ad alimentare la fase d’iperinflazione globale, con un botto ancor più violento sui mercati finanziari e impensabili ripercussioni nell’economia reale. Chi cerca di dare una giustificazione "razionale" alla decisione del Tesoro, cerca di far passare come meritorio il salvataggio poiché "in fondo dietro ai titoli tossici detenuti dal sistema finanziario, vi sarebbero degli immobili" (come a dire che così tossici non sarebbero). Ma questa considerazione, oltre a non essere avvalorata dai mercati (tanta è la crisi di fiducia creatasi tra gli operatori) non è avvalorata neanche dalla ragione. La garanzia offerta ai valori finanziari da parte del relativo sottostante reale immobiliare, infatti, può garantire un equivalente valore finanziario, non una piramide di carta molte volte superiore al valore degli immobili stessi.
Ma perché Paulson, ha proceduto in un salvataggio che evidentemente non farà altro che procrastinare il crollo dei mercati piuttosto che evitarlo?
In sostanza Paulson-Bush stanno solo prendendo tempo. Ma per quale motivo? Tempo per cosa? Riflettiamo sul primo crollo finanziario del nuovo millennio, quello che va dal marzo 2000 all’ottobre 2002. Nell’immaginario collettivo il primo crollo dei mercati del nuovo millennio avvenne in seguito alla distruzione delle Twin Towers nel settembre del 2001. Esso cominciò invece nel marzo del 2000 e fino al 10 settembre 2001 le borse mondiali avevano perso circa il 30% del loro valore. Dall’11 settembre fino ai minimi dell’ottobre 2002 gli indici persero un ulteriore 30%.
Dunque il primo crack dei mercati nel nuovo millennio avvenne ben prima dell’11 settembre e corrispose sostanzialmente allo scoppio della bolla dei titoli della new economy (telecom, media and tech), ma per la popolazione mondiale esso avvenne a causa di Osama Bin Laden. In seguito i mercati mondiali si ripresero sostituendo la mega bolla new economy con una nuova bolla speculativa, quella del settore immobiliare.
Mentre scrivo le agenzie di stampa rendono conto dell’ultimo discorso di G. W. Bush alle Nazioni Unite, in cui afferma che "Siria ed Iran continuano a sponsorizzare il terrorismo" (mentre in Iraq ci dovevano essere armi di distruzione di massa!). Per l’opinione pubblica occidentale, che nella maggioranza dei casi non ha mai letto alcun discorso di Ahmadinejad, quell’iraniano è colui che vuole sterminare Israele, visto che così i media hanno riferito (sic).
Nel corso dell’ultima settimana si sono verificati vari attentati di presunta matrice terroristica da Islamabad a Gerusalemme allo Yemen ai Paesi Baschi (tralasciando quelli del casertano). In breve, mentre la globalizzazione, grazie al piano Paulson, rimanda la sua dichiarazione di decesso, varie "operazioni caos" si scatenano con ritmo accelerato a giro per il pianeta.
Se scoppiasse una nuova importante guerra, la storia ufficiale di questi giorni diverrebbe: «La guerra contro il terrorismo fece crollare i mercati finanziari e l’economia mondiale.»
A cospetto di un sistema fallito, l’unico modo per salvare i creditori privilegiati, ossia la popolazione mondiale unitariamente intesa, è seguire il "piano LaRouche": organizzare il fallimento del sistema e non attendere che esso si verifichi per forza d’inerzia, distinguere tra quelli che sono crediti esigibili (stipendi, pensioni, liquidità per il funzionamento dello stato e del welfare) e quelli che non sono esigibili perché frutto di mere speculazioni. Ricreare un nuovo sistema monetario e finanziario internazionale sul modello rooseveltiano di Bretton Woods. Da qui lanciare linee di credito a livello globale con cui finanziare nuovi progetti infrastrutturali e le imprese private.
Per fare ciò è necessario che alla disponibilità di Russia, Cina e India si aggiunga quella degli Stati Uniti. Gli altri si allineerebbero di conseguenza.
Claudio Giudici Movimento Internazionale per i diritti civili - Solidarietà
Il presidente del Consiglio parla al telefono con Putin e Bush
Il segretario del Pd tende la mano: "Purchè si rispettino i ruoli"
Berlusconi: "Sì a un G8 sulla crisi"
Veltroni: "Se ci chiama, siamo qui"
ROMA - Ha parlato con il presidente americano Bush e con quello russo Putin. Ha incontrato anche Giorgio Napolitano. Poi Berlusconi annuncia che "non esclude l’eventualità di un G8 straordinario. Importante è che tutti siano presenti per evitare il panico".
Intanto, dai microfoni di Ballarò, il segretario del Pd Walter Veltroni, si è detto disponibile ad un tavolo comune sulla crisi finanziaria: "Se Berlusconi mi dice: C’è bisogno del concorso dell’opposizione per salvare la situazione economica, io sono pronto, sono disposto a farlo". Unica condizione dettata dalla minoranza: il rispetto dei ruoli.
"Nessuna confusione", ha detto Veltroni. "Rivendico il diritto di fare un’opposizione seria che non sia una melassa gelatinosa e indistinta".
* la Repubblica, 7 ottobre 2008.
Attacco frontale al leader Pd, che aveva offerto collaborazione sulla crisi dei mercati
Ai suoi deputati: "Non perdete tempo a replicare in aula, tanto abbiamo il consenso"
Berlusconi: "Veltroni? Non me ne frega niente"
Ai deputati Pdl: "Lasciateli dire, votate"
La replica: "Nessun premier risponde così a chi ha dato la sua disponibilità a collaborare" *
ROMA - Silvio Berlusconi non si cura delle aperture del leader del Pd Walter Veltroni sulla crisi del sistema bancario ("Se ci chiama, noi siamo qui"). Anzi, alla mano tesa dall’opposizione risponde secco: "Non me ne frega niente".
Afferamzione che ha lasciato il segretario del Pd senza parole: "In quale Paese del mondo un presidente del Consiglio risponde in questo modo al leader dell’opposizione che ha dato la sua disponibilità a collaborare?"
In tardissima serata, poi, lo stesso Berlusconi dirà che non si riferiva a Veltroni, ma alle domande dei giornalisti: "Sapete bene che non rispondo mai a quest’ora".
Nuovi colpi di sciabola dunque nel duello Berlusconi-Veltroni. Aveva iniziato il presidente del Consiglio quando, incontrando i deputati del Pdl, li aveva esortati a togliersi "la preoccupazione di doversi mostrare attenti" a ciò che dice l’opposizione: "Il consenso degli italiani è sufficiente. Non perdete tempo a replicare loro in aula", ha detto. "Lasciateli dire e votate".
Per Berlusconi l’opposizione ha "sbagliato tutto così come hanno sbagliato tutto al governo". Nessuna apertura alla minoranza. Anche sulla presidenza della commissione di Vigilanza Rai, sono scintille. "Non possiamo votare una persona che non stimiamo", avrebbe detto Berlusconi riferendosi alla candidatura di Leoluca Orlando. "Ci proponga una rosa di nomi l’opposizione", ha detto il premier. "Non possiamo votare una persona che non stimiamo".
E poi un consiglio: "Smettetela con le risse in tv, magari con il Di Pietro di turno. Le risse in televisione - ha spiegato il premier ai deputati del Pdl - deprimono l’immagine del Pdl e offendono la dignità di rappresentanti del popolo".
* la Repubblica, 7 ottobre 2008
Veltroni: "Se situazione precipita
pronti a ripensare manifestazione" *
ROMA - Di fronte ad una crisi come questa le priorità cambiano e l’opposizione è pronta a collaborare e a fare fronte comune col governo, aveva detto Veltroni martedì. Anche se il premier in queste ore non ha esattamente teso la mano, il segretario del Pd adesso arriva a mettere in discussione persino la manifestazione nazionale del 25 ottobre, l’appuntamento che dovrebbe ridare forza e identità al popolo del Pd, "ma solo se la situazione dovesse precipitare".
Veltroni parla durante la conferenza stampa in cui il governo ombra mette sul tavolo "le 5 proposte per fronteggiare la crisi".
"Non capisco perchè ci sia tanta preoccupazione per una manifestazione democratica. Comunque è chiaro che se ci si trova in emergenza siamo persone con la testa sulle spalle, abbiamo fatto tutti la nostra esperienza di priorità e possiamo ripensare la manifestazione del 25 ottobre’’ ha detto il segretario del Pd durante la conferenza stampa di presentazione degli orientamenti del partito per fronteggiare la crisi.
* la Repubblica, 8 ottobre 2008.
Cdm vara piano anti-crisi. Berlusconi: ’’Nessun risparmiatore perderà un euro’’
Il premier: "Il sistema delle banche è patrimonializzato a sufficienza, è liquido a sufficienza e non ha problemi di ricapitalizzazione. Nessuna banca italiana fallirà". Tremonti: ’’Obiettivi sono stabilità, liquidità, fiducia’’. Draghi: ’’Misure prudenziali’’. Nel decreto 20 miliardi per gli istituti di credito
Roma, 8 ott. - (Adnkronos/Ign) - "Il sistema delle banche è patrimonializzato a sufficienza, è liquido a sufficienza e non ha problemi di ricapitalizzazione. Nessuna banca italiana fallirà e nessun risparmiatore perderà un euro". Lo afferma Silvio Berlusconi (nella foto) nella conferenza stampa dopo l’approvazione in Cdm del decreto anti-crisi. Il presidente del Consiglio ribadisce le parole dette a Napoli la settimana scorsa assicurando che è un "messaggio che confermiamo con assoluta tranquillità". Eventuali ricapitalizzazioni di banche italiane avverranno, se necessario, con l’intervento del Tesoro. Ma con azioni privilegiate, senza diritto di voto, spiega ancora il presidente del Consiglio.
Dopo il Cavaliere il titolare dell’Economia Giulio Tremonti ha approfondito i termini delle misure adottate. Misure che ha spiegato Tremonti ’’hanno come obiettivo la stabilità, liquidità, fiducia’’. In particolare nel decreto legge è previsto l’innalzamento della soglia di garanzia dello Stato a 100mila euro e la costituzione di un fondo ad hoc di tutela per gli istituti bancari in difficoltà di 20 mld di euro.. ’’Le Poste non falliranno mai, i governi passano, le poste restano’’, ha poi detto il ministro Tremonti, chiarendo che per questo le misure a garanzia non riguardano i depositi postali. ’’Garantiamo le cose che possono fallire. E le poste non falliranno mai’’.
Con Berlusconi e Tremonti presente anche Mario Draghi. Il Governatore di Bankitalia ha spiegato che il decreto legge ha valore cautelativo e non è detto che debba essere usato. Il sistema bancario italiano "e’ solido" ma gli effetti della crisi americana "stanno arrivando", dice Draghi, aggiungendo che il decreto "è stato approvato per prudenza", per "preparare le armi per il futuro".
Domattina il ministro Tremonti è atteso in Parlamento per informare sulla crisi. Prima alle 8.30 alla Camera, poi alle 9.30 in Senato.
Berlusconi dice no al dialogo: «Non parlo con chi va in piazza» *
Nessun dialogo, neanche a parlarne. Per il premier Silvio Berlusconi non c’è spazio per il confronto con l’opposizione. Lui con chi va in piazza non parla, dice. «Come si può avere un dialogo se poi nei fatti non c’è? Ho deciso da oggi in poi di non farmi più prendere in giro da nessuno».
Silvio Berlusconi, parlando del rapporto con l’opposizione, in una conferenza stampa a Palazzo Chigi, attacca senza mezzi termini. E finisce per contraddire le sue stesse tesi: prima l’opposizione che non dialoga, poi i suggerimenti sbagliati. Insomma se non ci fosse volontà di dialogo non ci sarebbero nemmeno i suggerimenti. Ma il premier non può ammettere che è la chiusura verso qualunque confronto viene da lui e dal suo governo.
Per giustificare la linea, prende a esempio anche la faccenda Rai. «Non c’è niente da fare, da questa situazione non se ne esce», afferma Berlusconi, sottolineando le difficoltà di trovare un’intesa con l’opposizione sulla scelta di votare il presidente della Vigilanza Rai e il giudice della corte costituzionale.
Insomma la colpa starebbe tutta da una parte. Facile. Nel suo discorso fiume il Cavaliere riprende anche la questione richiamata dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, sull’abuso dei decreti legge. Governare con decreti legge non significa essere «una dittatura o in un regime. Il decreto legge è l’unico strumento che abbiamo per varare provvedimenti tempestivi», insiste Berlusconi ricordando che il Parlamento ha due mesi di tempo per modificare o rigettare e che c’è sempre il vaglio del Capo dello Stato. Il Cavaliere ha assicurato: «Non uscirà nessun decreto legge dal Cdm se non ci sarà prima il vaglio e l’ok del Quirinale».
Ma alle sue dichiarazioni replica subito il Partito Democratico. «Il presidente del consiglio si abitui all’idea che in un sistema democratico c’è un’opposizione rappresentata da un grande partito che contrasta le scelte politiche del governo ma è anche capace di assumersi la responsabilità in modo impegnativo di fronte alle emergenze del paese». Il vicesegretario del Pd Dario Franceschini ribadisce il profilo dell’opposizione del Pd dopo che il premier Silvio Berlusconi ha chiuso la porta al dialogo.
«Purtroppo - afferma Franceschini - capita ad alcune persone con l’età di perdere anche la memoria. Così deve essere capitato a Berlusconi che nel 2006 portò molte persone in piazza contro il governo con lo slogan ’Contro il regime’ e noi non urlammo ad un attentato alla democrazia». Il premier, evidenzia Franceschini, si abitui al tipo di opposizione del Pd e «se gli dà fastidio pure questo se ne faccia una ragione»
* l’Unità, Pubblicato il: 09.10.08, Modificato il: 09.10.08 alle ore 21.07