Lezione shakespeareana ...

LA "DANIMARCA" EUROPEA E IL "POLONIO" 210 !!! Se il passaggio di potere è così esplosivo, non solo in Russia ma anche da noi, vuol dire che c’è qualcosa nella democrazia italiana che funziona male!!! L’analisi di BARBARA SPINELLI.

domenica 3 dicembre 2006.
 

Quando il potere passa di mano

di Barbara Spinelli *

E’ talmente piena di guai e di luride vicende, è talmente tentacolare e opaca, la storia delle spie russe avvelenate e del capitolo italiano su di essa affastellata, che non sembra un romanzo di Le Carré, con i personaggi densi di storia e passioni che ne sono la caratteristica, ma piuttosto la riproduzione veridica di quel magnifico serial televisivo che s’intitola 24, e che ha come protagonisti losche spie serbe, agenti che lavorano per inafferrabili nemici, e sovrastante tutte queste peripezie: la carriera di un senatore afro-americano che aspira alla Presidenza Usa, e che qualcuno vuole uccidere o pesantemente ricattare qualora divenisse Presidente. In Italia la figura del senatore David Palmer è impersonata da Romano Prodi, ma la sua storia è assai somigliante.

Anch’egli è il bersaglio di operazioni che s’incrociano, si confondono, e quando vengono alla luce sempre lo descrivono come uomo da abbattere. Anch’egli è un outcast, da demonizzare in pubblica piazza o da compromettere con segrete manovre e dossieraggi (i famosi Kompromaty maneggiati da Putin).

Il versante italiano dello scandalo del polonio narra la storia del candidato alla successione di Palazzo Chigi e del modo biecamente irato, violento, con cui Silvio Berlusconi ha vissuto quel che sempre gli è apparso un evento intollerabile: la propria possibile sconfitta, la propria uscita da Palazzo Chigi.

Dall’evento ha cercato di proteggersi come ha potuto, con mezzi di cui ancora si sa poco ma di cui si conoscono le spregiudicatezze e le ire: quell’ira che Silvio Pellico descrive così bene, quando dice che «l’ira è più immorale, più scellerata che generalmente non si pensi». Ci sono morti fosche, nella vicenda che ha Londra e Mosca e l’Italia come epicentro. C’è sporcizia e calunnia ovunque, e anche il modo in cui veniamo a conoscenza di queste incessanti ramificazioni ricorda il serial televisivo di Robert Cochran e Joel Surnow.

L’affare coinvolge più Paesi, e davanti ai nostri occhi non vediamo svilupparsi un’unica vicenda, su un unico schermo, ma ne vediamo tante in simultanea, che si svolgono in tempi e schermi giustapposti, senza legami reciproci subito limpidi. Invece un legame c’è, come nei gialli politici o nel crimine c’è un intrico, che dà senso ai frammenti. C’è il contesto, ogni ora che passa ce ne accorgiamo.

Prendiamo questa domenica 3 dicembre, e le ventiquattro ore che l’hanno preceduta. A Londra è intossicato dal polonio il gran fabbricatore del dossier contro Prodi, Mario Scaramella, legato all’ex spia russa Alexandr Litvinenko ucciso dallo stesso veleno il 23 novembre.

In Italia tornano in superficie le vicissitudini della commissione Mitrokhin e l’uso deviato che ne è stato fatto ­ Scaramella aiutando ­ per rovinare personalmente Prodi. Nelle ultime ventiquattr’ore si sono infine mobilitate le piazze: non per un programma, non per un’alternativa alla Finanziaria, ma per atterrare ancora una volta lui, Prodi, il malefico raffigurato in tutti i manifesti d’Italia come colui che «se ne deve andare».

Sembrano tutti episodi spezzettati, specie quando si leggono in contemporanea i giornali russi, inglesi, italiani, ma tanto spezzettati non sono. La storia dei veleni è la storia di due guerre di successione delicatissime, colme di rischi, vissute ambedue mettendo in scena quell’ira che produce scelleratezza: guerre di successione che continuano a diffondere fango anche dopo. La guerra italiana pur essendo avvenuta tormenta tuttora il centrodestra; quella russa avverrà nel 2008, quando Putin, ex colonnello Kgb, dovrà costituzionalmente cedere il passo a un successore.

In entrambi i casi sono guerre più che alternanze, con vuoti di potere che scatenano appetiti o vendette. Nel caso russo scatenano anche assassinii. Il 7 ottobre è freddata Anna Politkovskaja, il 23 novembre viene avvelenato in circostanze oscure Litvinenko, l’ex spia rifugiata dal 2000 a Londra. Il giorno dopo cade ammalato Yegor Gaidar, primo ministro riformatore ai tempi di Eltsin, anch’egli forse intossicato. Litvinenko aveva rapporti con Scaramella, che era il consulente scelto da Paolo Guzzanti, presidente della commissione Mitrokhin e senatore di Forza Italia. Nel frattempo anche Scaramella è contaminato e nulla si sa di Berezovskij, l’oligarca esiliato a Londra che a costoro era legato.

È difficile penetrare i segreti russi. Perché Putin è capace di misfatti smisurati ­ lo ha dimostrato in Cecenia, nei rapporti con l’informazione, nel potere dato all’ex Kgb ­ ma ora che sta per cedere il comando potrebbe anche esser vittima dei poteri canaglia da lui stesso insediati. A che gli serve infatti l’uccisione spettacolare di Litvinenko, che accusa il Cremlino d’averlo ammazzato? Che utile trarne, alla vigilia di un difficile negoziato con l’Europa e quando l’Occidente nutre crescenti sospetti su Mosca, soprattutto dopo l’assassinio della Politkovskaja, la giornalista punita per il lavoro svolto in Cecenia?

Più che mai torbido in Russia, il contesto diventa più chiaro quando si passa all’Italia, e più precisamente al modo in cui Berlusconi ha cercato di bloccare la successione demolendo la figura di Prodi ­ e di D’Alema, Pecoraro Scanio, Bassolino ­ con i dossier della commissione Mitrokhin. Una commissione che non nacque con questo scopo, quando fu istituita dopo la vittoria della destra nel 2001, ma che presto di scopo ne ebbe uno solo.

Naturalmente Guzzanti aveva il diritto di indagare in ogni direzione. Ma il fatto è che indagò ossessivamente su Prodi, fidandosi dei dossier che Scaramella gli confezionava con la stessa cinica noncuranza già mostrata da Igor Marini e senza preoccuparsi dei trascorsi dello stesso Scaramella come trafficante d’armi.

Le telefonate intercettate fra Guzzanti e Scaramella risalgono a gennaio e febbraio, e sono impregnate di una fretta insana: la fretta di abbattere Prodi, accusandolo di esser agente Kgb, prima del voto di aprile e per dare una mano al «capo» (così viene chiamato Berlusconi nelle telefonate). Se veramente credesse nella verità che pretende cercare, da tempo Guzzanti si sarebbe dimesso dalla commissione e da senatore, perché si possa far chiarezza sul suo operato.

Chi ha partecipato alla commissione Mitrokhin, come Andreotti, dice di non aver mai sentito di Scaramella e aggiunge: «Tutta l’azione dei rappresentanti del centrodestra in quella commissione mi è sembrata viziata dall’intenzione di dimostrare comunque che il governo di Prodi, nonché quello di Dini, non fecero abbastanza per far luce sulle connessioni italiane e (...) le schede della lista Mitrokhin».

«Calunniate, calunniate, e qualche cosa resterà». Il motto è ricorrente in politica, fin dai tempi di Plutarco, e non cessa d’esser appropriato. La calunnia s’appiccica ai calunniati ma se questi stanno molto immobili e calmi s’appiccica anche e forse ancor più al calunniatore, ineluttabilmente. Soprattutto quando la calunnia diventa, appunto, parte d’un contesto alla Sciascia: il contesto che spiega la trama dei singoli eventi, l’intrico delle complicità, delle responsabilità, degli affari.

Il passaggio di potere, per politici-padroni come Berlusconi e Putin, è non solo torbido ma pieno di trappole micidiali: per gli avversari ma anche per se stessi. Da questo punto di vista, i due personaggi si somigliano: spregiudicati, si comportavano come compari più che come politici alleati, si facevano servizi.

Per esempio quando Berlusconi elogiò i massacri in Cecenia, nel novembre 2003, e denunciò la stampa russa che «fabbricava leggende» ed era faziosa come in Italia. O quando difese i magistrati che avevano condannato alla reclusione in un campo Khodorkovskij, ex capo della Yukos e avversario di Putin.

C’era qualcosa di losco nel loro rapporto, e fa impressione come oggi Forza Italia e Guzzanti si scaglino contro Putin e difendano Politkovskaja. Perché non denunciarono i servigi resi da Berlusconi a chi esecrava i liberi giornalisti? Il contesto, infine, è quello di democrazie malate. Le profonde malattie russe sono evidenti, anche se gli affari spionistici restano più tenebrosi.

I mali italiani ancora sono da esplorare: la vera storia dell’ascesa al potere di Berlusconi e del consenso esistente attorno a lui deve ancora esser scritta, anche da parte di chi fu all’opposizione e oggi non osa togliere il controllo di reti televisive a chi è un politico aspirante a massime cariche.

Se il passaggio di potere è così esplosivo, non solo in Russia ma anche da noi, vuol dire che c’è qualcosa nella democrazia italiana che funziona male. Se si svolge a colpi di dossier e usando mediocri affaristi e contrabbandieri d’armi ­ in particolare armi radioattive ­ vuol dire che il leader è capace di tutto, come un oligarca o un ex colonnello sovietico. È capace di mobilitare le piazze e i milioni, pur di apparire il vero capo carismatico che ha magici legami con le folle. È capace di far confezionare dossier per ricattare o distruggere. Lotta all’ombra di un suo contesto, e finché i più fedeli non prenderanno le distanze si sentirà al sicuro nella propria torre inviolata.

*La Stampa, 03.12.2006


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