L’INNO DI MAMELI (Sito della Presidenza della Repubblica).
FLS
VERGOGNA E "LATINORUM": UNA GOGNA PER L’ITALIA INTERA... *
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Le idee
La vergogna è morta
Da Berlusconi a Trump: così un sentimento è scomparso dall’orizzonte dei valori individuali e collettivi
di Marco Belpoliti (l’Espresso, 15 dicembre 2017)
Quando nel 1995 Christopher Lasch, l’autore del celebre volume “La cultura del narcisismo”, diede alle stampe un altro capitolo della sua indagine sulla società americana, “La rivolta delle élite” (ora ristampato opportunamente da Neri Pozza), pensò bene di dedicare un capitolo alla abolizione della vergogna.
Lasch esaminava gli scritti di psicoanalisti e psicologi americani che avevano lavorato per eliminare quella che sembrava un deficit delle singole personalità individuali: la vergogna quale origine della scarsa stima di sé. La pubblicistica delle scienze dell’anima vedeva in questo sentimento una delle ultime forme di patologia sociale, tanto da suggerire delle vere e proprie campagne per ridurre la vergogna, cosa che è avvenuta in California, ad esempio («programma cognitivo-affettivo finalizzato a ridurre la vergogna»). Lasch non ha fatto in tempo a vedere come questo sentimento sia stato abolito dalla classe dirigente che è apparsa sulla scena della politica mondiale all’indomani del 1994, anno in cui lo studioso della cultura è scomparso.
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Con il debutto di Silvio Berlusconi in politica la vergogna è ufficialmente scomparsa dall’orizzonte dei valori e dei sentimenti individuali e collettivi. Le élite che hanno scorrazzato nel paesaggio italiano nel ventennio successivo alla “discesa in campo” sono state totalmente prive di questo. In un certo senso Berlusconi è stato l’avanguardia di una classe politico-affaristica che ha il suo culmine nella figura dell’attuale inquilino della Casa Bianca, Donald Trump. Nessuno dei due uomini d’affari trasformati in leader politici conosce né il senso di colpa né la vergogna propriamente detta.
La vergogna, come sostengono gli psicologi, costituisce un’emozione intrinsecamente sociale e relazionale. Per provarla occorre immedesimarsi in un pubblico che biasima e condanna. Ma questo pubblico non esiste più. Ci sono innumerevoli figure dello spettacolo, della politica, della economia e del giornalismo, per cui la sfrontatezza, l’esibizione del cinismo, la menzogna fanno parte della serie di espressioni consuete esibite davanti alle telecamere televisive e nel web. Nessuno prova più vergogna. Anzi, proprio questi aspetti negativi servono a creare un’immagine personale riconoscibile e, se non proprio stimata, almeno rispettata o temuta. Come ha detto una volta Berlusconi, genio del rovesciamento semantico di quasi tutto: «Ci metto la faccia». È l’esatto contrario del “perdere la faccia”, sentimento che prova chi sente gravare dentro di sé la vergogna. Metterci la faccia significa apparire rimuovendo ogni senso di colpa, di perdita del senso dell’onore, della rispettabilità.
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L’esibizione dell’autostima è al centro del libro più celebre di Lasch, quello dedicato al narcisismo. «Meglio essere temuti che amati», recita un proverbio; nel rovesciamento avvenuto negli ultimi quarant’anni, cui non è estranea la televisione commerciale inventata da Silvio Berlusconi, è molto meglio che gli altri ti vedano come sei: cattivo, spietato, senza vergogna. L’assenza del senso di vergogna è generata dall’assenza di standard pubblici legati a violazioni o trasgressioni. Nella vergogna s’esperimenta l’immagine negativa di sé stessi, si prova il senso di un’impotenza. Questa emozione rientra in quel novero di quelle esperienze che sono definite dagli psicologi “morali”. Ciò che sembra scomparso in questi ultimi decenni è proprio un sistema di valori morali condivisi.
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Non è lontano dal vero immaginare che la deriva populista nasca anche da questa crisi verticale di valori, dall’assenza di un codice etico collettivo. Nell’età del narcisismo di massa ognuno fa per sé, stabilendo regole e comportamenti che prescindono dagli altri o dalla società come entità concreta, entro cui si misura la propria esistenza individuale. La vergogna è senza dubbio un sentimento distruttivo, probabilmente molto di più del senso di colpa, come certificano gli psicoanalisti. Sovente porta a derive estreme, a reazioni autodistruttive, e tuttavia è probabilmente uno dei sentimenti più umani che esistano.
Per capire come funzioni la vergogna basta leggere uno dei libri più terribili e insieme alti del XX secolo, “I sommersi e i salvati” (Einaudi) di Primo Levi nel capitolo intitolato Vergogna. Lo scrittore vi riprende una pagina di un suo libro, l’inizio de “La tregua”, dove si racconta l’arrivo dei soldati russi ad Auschwitz. Sono dei giovani militari a cavallo che assistono alla deposizione del corpo di uno dei compagni di Levi gettato in una fossa comune. Il cumulo dei cadaveri li ha come pietrificati. Levi riconosce nei soldati russi il medesimo sentimento che lo assaliva nel Lager dopo le selezioni: la vergogna, scrive, che i tedeschi non avevano provato. La scrittore spiega che non è solo un sentimento che si prova per aver compiuto qualcosa di male, di scorretto o di errato. Nasce piuttosto dalla “colpa commessa da altrui”: la vergogna dei deportati scaturisce proprio da quello che hanno fatto i carnefici. Una vergogna assoluta, che rimorde alla coscienza delle vittime per la colpa commessa dai carnefici: «gli rimorde che esista, che sia stata introdotta irrevocabilmente nel mondo delle cose che esistono, e che la sua volontà sia stata nulla o scarsa, e non abbia valso a difesa». Levi parla di una vergogna radicale, che svela la profonda umanità di questo sentimento.
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Gli psicologi affermano che la vergogna è molto più distruttiva del senso di colpa. Proprio per questo è lì che si comprende quale sia la vera radice dell’umano. Si tratta della «vergogna del mondo», come la definisce Levi, vergogna assoluta per ciò che gli uomini hanno fatto agli altri uomini, e non solo ad Auschwitz, ma anche in Cambogia, nella ex Jugoslavia, in Ruanda, nel Mar Mediterraneo e in altri mille posti ancora.
Che la vergogna ci faccia umani non lo dice solo Levi in modo estremo, ma lo evidenzia l’ultima frase di uno dei più straordinari testi letterari mai scritti, “Il processo” di Franz Kafka. Libro che quasi tutti hanno letto almeno una volta da giovani. Il romanzo dello scrittore praghese termina con una frase emblematica: «E la vergogna gli sopravvisse». K. è stato ucciso dai due scherani che l’hanno perseguitato nel corso dell’intera storia. L’hanno barbaramente accoltellato al cuore, dopo avere tentato inutilmente di convincerlo a farlo lui stesso. Il libro di Kafka si chiude con questa frase che, come ha segnalato Giorgio Agamben, significa esattamente questo: la vergogna ci rende umani. Chissà se Silvio Berlusconi e la sua corte hanno mai avuto in mano questo racconto, se l’hanno letto. Probabilmente no. Ma anche se lo avessero fatto, dubito che ne avrebbero tratto qualche ammaestramento, com’è evidente da quello che è seguito dal 1994: senza vergogna.
* SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:
VERGOGNA E "LATINORUM": UNA GOGNA PER L’ITALIA INTERA. Sul filo di una nota di Tullio De Mauro
L’OCCUPAZIONE DELLA LEGGE E DELLA LINGUA ITALIANA: L’ITALIA E LA VERGOGNA.
LA QUESTIONE MORALE, QUELLA VERA - EPOCALE.
Federico La Sala
ITALIA!!! TUTTI. MOLTI. POCHI: E NESSUNA COGNIZIONE DELL’UNO, DELL’UNITA’!!!
L’Italia e le classi dirigenti senza senso nazionale.
Napolitano riflessioni sul bel paese uno e indivisibile *
Il ciclo delle celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità non può considerarsi ancora esaurito: lo dicono notizie e annunci che continuano ad affluire. Ma un bilancio sostanziale è certamente possibile, e vorrei sottolinearne alcuni aspetti. Innanzitutto l’eccezionale diffusione e varietà di iniziative, e il carattere spontaneo che molte di esse hanno presentato: non sollecitate e coordinate dall’alto, da nessun luogo “centrale”, Presidenza della Repubblica o Governo. Si è davvero trattato di un gran fiume di soggetti che si sono messi in movimento, in special modo al livello locale, fin nei Comuni più piccoli - istituzioni, associazioni di ogni genere, gruppi e persone.
È stato un gran fervore di richiami di antiche memorie, anche famigliari, e di impegni di studio, di discussione, di comunicazione. Quel che si è mosso, poi, nelle scuole è stato straordinario: quanti insegnanti, per loro conto, e quanti studenti, a ogni livello del sistema d’istruzione, si sono messi d’impegno e hanno dato in tutte le forme il loro contributo! E anche in termini quantitativi che cosa è stata la partecipazione dei cittadini anche alle manifestazioni nelle piazze e nelle strade e dai balconi delle case, in un’esplosione mai vista di bandiere tricolori e di canti dell’Inno di Mameli!
Ce lo aspettavamo? In questa misura e in questi toni, no: nemmeno quelli tra noi, nelle massime istituzioni nazionali, che ci hanno creduto di più e hanno deciso di dedicarvisi più intensamente. È stata una lezione secca per gli scettici, e ancor più per coloro che prevedevano un esito meschino, o un fallimento, dell’appello a celebrare i centocinquant’anni dell’unificazione nazionale. Soprattutto, è stata una grande conferma della profondità delle radici del nostro stare insieme come Italia unita. Si può davvero dire che le parole scolpite nella Costituzione - «la Repubblica, una e indivisibile» - hanno trovato un riscontro autentico nell’animo di milioni di italiani in ogni parte del Paese. E non in contrapposizione ma in stretta associazione - come nell’articolo 5 della Carta - all’impegno volto a riconoscere e promuovere le autonomie locali. Nello stesso tempo, si può ritenere che il così ampio successo registratosi vada messo in relazione col bisogno oggi diffuso nei più diversi strati sociali di ritrovare - in una fase difficile, carica di incognite e di sfide per il nostro Paese - motivi di dignità e di orgoglio nazionale, reagendo a rischi di mortificazione e di arretramento dell’Italia nel contesto europeo e mondiale.
L’aver fatto leva sull’occasione del Centocinquantenario, l’aver puntato su celebrazioni condivise, è stato dunque giusto e ha pagato. Non bastava però lanciare un appello generico: occorreva richiamare in modo argomentato fatti storici ed esperienze, fare i conti con interrogativi e anche con luoghi comuni, favorire quella che non esito a chiamare una riappropriazione diffusa, da parte degli italiani, del filo conduttore del loro divenire storico, del loro avanzare - tra ostacoli e difficoltà, cadute e riabilitazioni, battute d’arresto e balzi in avanti - come società e come Stato nei secoli XIX e XX. Gli interventi che ho svolto, nel succedersi delle iniziative per il Centocinquantenario, hanno segnato i momenti e i contenuti dello sforzo compiuto: spero che il leggerli, raccolti in volume, ne renda il senso complessivo, lo sviluppo coerente.
Qual è la conclusione che oggi ne traggo? Che non si è trattato di un fuoco fortuito, di un’accensione passeggera che già sta per spegnersi, di una parentesi che forse si è già chiusa. No, si è trattato di un risveglio di coscienza unitaria e nazionale, le cui tracce restano e i cui frutti sono ancora largamente da cogliere. Non ci porti fuori strada l’impressione che appena dopo aver finito di celebrare il Centocinquantenario in un clima festoso e riflessivo, aperto e solidale, si sia ritornati alle abituali contrapposizioni, alle incomunicabilità, alle estreme partigianerie della politica quotidiana.
Quel lievito di nuova consapevolezza e responsabilità condivisa che ha fatto crescere le celebrazioni del Centocinquantenario continuerà a operare sotto la superficie delle chiusure e rissosità distruttive, e non favorirà i seminatori di divisione, gli avversari di quel cambiamento di cui l’Italia e gli italiani hanno bisogno per superare le ardue prove di oggi e di domani.
Giorgio Napolitano
* Avvenire, 23.11.2011
STORIA D’ITALIA, 1994-2011: LA COSTITUZIONE, LE REGOLE DEL GIOCO, E IL "MENTITORE" ISTITUZIONALIZZATO ... CHE GIOCA DA "PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA" CON IL LOGO - PARTITO DI "FORZA ITALIA" E DI "POPOLO DELLA LIBERTA’"!!!
(...) I margini di successo sono tanto più ridotti, come ha rilevato il Presidente della Repubblica, dopo anni di contrapposizione e di scontri nella politica nazionale" (...)
Italia 150, esplode la festa
Grandi mostre, concerti, eventi, spettacoli e fuochi d’artificio
Notti bianche a Roma e Torino, cuore delle manifestazioni *
ROMA Roma e Torino sono il cuore della immensa festa tricolore che da oggi esplode nel Paese con eventi in molte città. In particolare, a Roma e Torino è prevista una lunga kermesse in un susseguirsi di concerti, esibizioni delle bande militari, letture, animazione di strada, spettacoli di luce, lezioni magistrali, fuochi d’artificio sotto le stelle. Saranno aperti durante la sera e la notte musei, palazzi pubblici, spazi di cultura e biblioteche. Negozi, ristoranti e bar potranno rimanere aperti in centro anche oltre gli orari consueti.
QUI ROMA
Le celebrazioni entreranno nel vivo nella serata di oggi con l’inaugurazione alle 18,30, al complesso del Vittoriano, della mostra ’’Alle radici dell’identita’ nazionale. Italia nazione culturale’’. Alle 19.00 in piazza del Campidoglio, il concerto della banda della polizia municipale. La sala Santa Cecilia all’auditorium Parco della musica si animera’ alle 20.30 con la banda dell’esercito italiano, mentre alle 21.05 da piazza del Quirinale alla presenza del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, l’evento di apertura della ’’notte tricolore’’, con la diretta televisiva su rai1 con la trasmissione ’’150’’ condotta da Pippo Baudo e Bruno Vespa. Piazza del Campidoglio di nuovo protagonista alle 22.00 con lo spettacolo ’’150 ma non li dimostra’’ con Gigi Proietti e Umberto Broccoli. Alle 23.05 all’Altare della Patria il ’’Canto degli italiani’’, esibizione della Banda militare interforze accompagnata dal coro di voci bianche dell’Accademia nazionale di Santa Cecilia. A mezzanotte dal parco del Celio lo spettacolo pirotecnico ’’i fuochi all’italiana’’. Dopo circa 30 minuti il fittissimo calendario delle celebrazioni coinvolgera’ via dei Fori imperiali, con le proiezioni sui mercati di Traiano. Successivamente la sala Pietro da Cortona dei musei capitolini fara’ da cornice allo spettacolo ’’Buon compleanno Italia’’.
QUI TORINO
La notte Tricolore di Torino prenderà il via in modo molto suggestivo. Il segnale che la festa può iniziare lo darà l’accensione di un gigantesco collier tricolore attorno alla Mole: tre cornici quadrate di 12 metri ciascuna progettate dagli architetti Lupi, Migliore e Servetto che saranno uno dei segni visivi di queste celebrazioni. Sarà poi piazza Vittorio Veneto il teatro della kermesse vera e propria. Sul palco allestito al centro della piazza, ci sarà una staffetta musicale che coinvolgerà artisti del sud e nord Italia. Uno spettacolo che parlerà delle varie identità del Paese. A esibirsi sul palco saranno cantanti come Davide Van De Sfross, Syria, Irene Fornaciari. Fiore all’occhiello, la partecipazione del vincitore del Festival di Sanremo 2011, Roberto Vecchioni. La musica farà da accompagnamento al momento clou della Notte Tricolore. Attorno a mezzanotte scatterà un grande spettacolo pirotecnico al ponte della Gran Madre. Ma tutta la città sarà coinvolta, a partire, dalle 20, dallinno nazionale suonato dalla Fanfara della Brigata alpina Taurinense. Il «buon compleanno Italia» risuonerà in tutte le piazze storiche di Torino, dove le province del Piemonte organizzeranno spettacoli, eventi, cortei, esibizioni di gruppi storici e degustazioni tipiche del territorio. Musei, teatri e gallerie d’arte saranno aperti fino a notte fonda. Torneranno le Luci d’artista, Cioccolatò esporrà in piazza Vittorio un’Italia di cioccolato di oltre 13 metri e del peso di 14 tonnellate, con i principali monumenti italiani. L’evento sarà seguito in diretta da Raiuno, con due collegamenti con la prima delle sei trasmissioni che Pippo Baudo e Bruno Vespa condurranno in prima serata per il 150°. Tra le grandi mostre organizzate per i 150 anni, alla reggia di Venaria Reale s’inaugura il " Potager royal" e sono in calendario "La bella Italia" "La moda in Italia" e "Leonardo"; alle Ogr "Fare gli italiani".
QUI FIRENZE
Notte tricolore anche a Firenze. Bandiere in ogni dove, anche ai lati del popolare ’struscio’ di via Calzaioli. Si potranno eccezionalmente visitare gli appartamenti reali di Palazzo Pitti, a ricordo della Firenze capitale, potranno essere visitati. La manifestazione si chiuderà con l’esposizione della bandiera italiana sul tetto del Nuovo Teatro del Maggio. Il tricolore ritorna poi a tavola, nella spaghetettata pomodoro e basilico, allestita dal Dopolavoro ferroviario per chiunque partecipi al corteo.
QUI VENEZIA
A Venezia si parte nel pomeriggio, alla Biblioteca Marciana, dove verrà inauguarata la mostra "Aspettando l’Unità d’Italia 1850-1866; un’ora dopo, alle ore 18.30, al Museo Correr si aprirà una seconda mostra "Venezia che spera: l’unione all’Italia (1856-1866); sempre il 16 marzo, alle ore 20.30, al Teatro La Fenice, concerto aperto alla cittadinanza, per la "Notte del Tricolore". Domani la giornata ufficiale delle celebrazioni inizierà con l’Alza Bandiera in Piazza San Marco alle ore 10 col Concerto della Banda dell` Esercito. Verrà poi steso il tricolore sul campanile di San Marco. Il coro "25 Aprile" e Comitato Bandiera Italiana alle ore 15 eseguiranno canti legati alla tradizione popolare italiana.
QUI NAPOLI
A Napoli la festa inizia domani alle 11: in piazza del Plebiscito ci sarà l`alzabandiera con la partecipazione di tutte le istituzioni cittadine, mentre in piazza Dante, per l`intera giornata, si alterneranno sul palco musicisti, attori e rappresentanti della società civile. Prevista la partecipazione, tra gli altri, di Edoardo Bennato, Francesco Baccini, Enzo Gragnaniello, Daniele Silvestri, ma anche le testimonianze del giudice Raffaele Cantone, Bice Biagi, Don Andrea Gallo e Antonio Tabucchi e le esibizioni di Sabina Guzzanti e Dario Vergassola. Il Comune ha, invece, organizzato, per le 11.30, a Palazzo San Giacomo la presentazione dei due volumi: il Catalogo della mostra di ricordi storici del Risorgimento meridionale d`Italia e il libro “Il Risorgimento invisibile: patriote del Mezzogiorno d`Italia”.
* La Stampa, 16/03/2011
Il sovrano e l’ideologo
di Ida Dominijanni (il manifesto, 23.07.2008)
La forma della Repubblica cambia nell’aula del senato alle 20 in punto, 171 sì 128 no e 6 astensioni al lodo Alfano che rende Silvio Berlusconi immune dal virus della giustizia. Lo spettro del Sovrano Assoluto si materializza, rigurgito di premodernità che scava la democrazia postmoderna. Ma è di prima mattina, ore 10.30, seduta appena iniziata, che entra in scena l’intendenza, addetta alla divisione ideologia. La guida Gaetano Quagliariello, professione storico, senatore da due legislature, vocazione intellettuale organico. Non nega, non sdrammatizza, non derubrica: rivendica, «a testa alta». Altro che interessi personali del premier, dice: il lodo rende uno storico servigio al paese.
Il paese, argomenta, soffre da sempre di una malattia, che si chiama «illegittimità del potere politico» e si manifesta nel fatto che l’esercizio del potere viene vissuto come un’usurpazione, fino a che il potente di turno non dà segni di cedimento e diviene oggetto di spietata crudeltà popolare. Con scientificità, diciamo, opinabile lo storico cita vittime illustri, da De Gasperi a Fanfani, da Moro a Craxi; con furbizia da guitto si annette l’idea dell’autonomia della politica di Togliatti, perché risalti di più l’ignavia dei suoi eredi che a un certo punto presero a considerare la magistratura «una casamatta gramsciana da conquistare per derivarne il potere sullo stato». Poi arriva al punto: dopo l’89, la storia d’Italia è storia del doppio conflitto fra potere politico e potere giudiziario, e fra giudici militanti e giudici «servitori (o servi?) dello stato». Sì che tre vittorie elettorali non sono bastate a togliere ai giudici il vizio di provare a delegittimare Berlusconi. È tempo di voltare pagina: si sappia d’ora in poi «che un risultato elettorale è definitivo fino alla successiva elezione», perché chi è legittimato dal popolo deve poter fare quello che vuole senza sottostare a legge alcuna. E l’opposizione ringrazi, perché il lodo le dà la storica occasione di liberarsi da quella «sindrome di superiorità morale» che un altro storico, com’è noto, le rimprovera un giorno sì e l’altro pure dalle colonne di un grande quotidiano.
Applausi. L’intellettuale organico ha svolto bene il suo compito. Ha preso i fatti e li ha messi a testa in giù e piedi in aria, come si conviene a una buona ideologia. Ha preso le carte e le ha mischiate col trucco, come si conviene a un mediocre illusionista. Ha scambiato lo storico deficit di legalità che affligge in Italia potere politico, potere economico e società civile e l’ha ribaltato in un deficit di legittimità. Ha preso l’equilibrio fra i poteri, che in Costituzione vincola il principio della legittimità politica al principio della legalità, e l’ha trasformato in «due legittimità concorrenti, quella dell’autorità giudiziaria e quella che deriva dalla sovranità popolare», rivoltando la tragedia in farsa. La tragedia, per dirla con le parole di Gustavo Zagrebelsky, è il rischio assai prossimo che lo scarto che si sta spalancando tra legalità e legittimità si trasformi nel conflitto insanabile «tra una legittimità illegale e una legalità illegittima». La farsa è il banale quadretto sempreverde di Silvio Berlusconi rincorso da frotte di toghe rosse.
Da ieri però c’è anche una farsa che può rivoltarsi in tragedia. Finora troppo pop, troppo cheap, troppo naïf, Silvio Berlusconi ha capito che gli serve un apparato ideologico, un pennacchio intellettuale, una rilettura della storia nazionale adatta allo scopo. E’ l’ultima casamatta da espugnare all’egemonia che fu della sinistra. Lo spettro della sinistra ci rifletta e riemerga anch’esso da dov’è nascosto. È ora di ritrovare quantomeno una propria versione dei fatti e dei misfatti.
Ansa» 2008-07-23 18:42
LODO ALFANO, NAPOLITANO HA PROMULGATO LA LEGGE
ROMA - Al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, si legge in un comunicato dell’ufficio stampa del Quirinale, è stata sottoposta oggi, per la promulgazione, la legge in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato. Già il 2 luglio, in riferimento alla autorizzazione alla presentazione alle Camere del disegno di legge (ora approvato dal Parlamento), si era reso noto che "punto di riferimento per la decisione del Capo dello Stato è stata la sentenza n. 24 del 2004 con cui la Corte costituzionale dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge n. 140 del 20 giugno 2003 che prevedeva la sospensione dei processi che investissero le alte cariche dello Stato.
A un primo esame, quale compete al Capo dello Stato in questa fase -, prosegue la nota - il disegno di legge approvato il 27 giugno dal Consiglio dei ministri è risultato corrispondere ai rilievi formulati in quella sentenza. La Corte, infatti, non sancì che la norma di sospensione di quei processi dovesse essere adottata con legge costituzionale. Giudicò inoltre un interesse apprezzabilé la tutela del bene costituito dalla "assicurazione del sereno svolgimento delle rilevanti funzioni che ineriscono a quelle cariche", rilevando che tale interesse ’puo’ essere tutelato in armonia con i principi fondamentali dello Stato di diritto, rispetto al cui migliore assetto la protezione è strumentale", e stabilendo a tal fine alcune essenziali condizioni". Non essendo intervenute, in sede parlamentare, modifiche all’impianto del provvedimento, salvo una integrazione al comma 5 dell’articolo unico diretta a meglio delimitarne l’ambito di applicazione - conclude la nota -, il presidente della Repubblica ha ritenuto, sulla base del medesimo riferimento alla sentenza della Corte costituzionale, di procedere alla promulgazione della legge.
MANCINI, SERVE LEGGE COSTITUZIONALE - "Non sarebbe fuor d’opera rafforzare con una legge costituzionale" il ’lodo Alfano’. All’indomani dell’approvazione definitiva del provvedimento il vicepresidente del Csm, Nicola Mancino, ribadisce il suo punto di vista per il quale ha ricevuto anche critiche. Il vice presidente del Csm ricorda di aver sempre sostenuto che un intervento per garantire l’immunità alle alte cariche dello stato per un periodo temporaneo richiedesse una legge costituzionale. "Da senatore ho sostenuto - dice - che la legge Schifani sarebbe stata travolta dalla Corte Costituzionale. Qualcuno ha insinuato il sospetto che avessi collegamenti con la Consulta. Non era vero allora e non è vero neanche adesso". Mancino si dice quindi amareggiato per le critiche ricevute all’epoca e anche di recente: "ora mi sono imposto un periodo di tregua; alla ripresa, a settembre, non penso che ci sarà la guerra. Ma mi chiedo: è legittimo esprimere una opinione in un paese democratico?".
ALFANO, PER ME LODO E’ LEGGE DELLO STATO - "Per me il Lodo è legge dello stato. Siamo già proiettati sulla riforma". Lo ha detto il ministro della giustizia, Angelino Alfano, a margine di un convegno sulla giustizia, rispondendo a una domanda relativa alle dichiarazioni del vice presidente del Csm, Nicola Mancino, il quale ha sostenuto la necessità di abbinare il Lodo Alfano ad una riforma costituzionale.
"Questa è una legislatura che ha una maggioranza solida, un’idea e un piano chiari sulla giustizia. E’ l’occasione giusta per procedere. Non ce la faremo scappare". Il guardasigilli, Angelino Alfano, ha accolto l’occasione di un convegno sulla giustizia per ribadire il senso della riforma del sistema giudiziario che il governo intende mettere in atto a settembre. "L’idea che la giustizia sia un tema prioritario dell’agenda - ha detto - è un risultato positivo a tre mesi dall’insediamento del nuovo governo. La riforma alla quale intendiamo mettere mano in autunno non deve spaventare né illudere. Presenteremo un piano che costituirà la piattaforma di lavoro per il Parlamento". Il ministro ha quindi ribadito: "non intendiamo procedere contro qualcuno, ma per il cittadino. Il punto centrale della riforma sarà il cittadino". Riferendosi alle difficoltà derivanti dai tagli di spesa destinati alla giustizia, Alfano ha detto che ieri è stato approvato un decreto del presidente del Consiglio con cui sarà costituito un fondo al quale confluiranno i beni confiscati al di sopra del miliardo di euro che potrà essere utilizzato in materia di giustizia e sicurezza.
Al Senato il Lodo Alfano Il Pd: un sovrano senza limiti
Casson: chiamatelo Lodo Berlusconi *
«Non è né molto urgente né poco urgente, é semplicemente giusto». Il ministro della Giustizia Angelino Alfano parla così del Lodo che martedì sera sancirà l’immunità delle quattro più alte cariche dello Stato. Sarà anche giusto, come dice Alfano, ma nel dubbio si è scelta anche l’urgenza.
Il Lodo arriva infatti al Senato, e più in generale all’attenzione del Paese, con una rapidità che in campagna elettorale si diceva sarebbe stata dedicata ad altri temi. Ma tant’è, si va avanti spediti. Martedì mattina, in meno di mezz’ora, la maggioranza ha respinto tutti e 58 gli emendamenti presentati dall’opposizione. E continua a chiedere il dialogo, nonostante non mostri il minimo interesse per le ragioni della controparte. La capogruppo del Pd al Senato Anna Finocchiaro dice chiaramente che sembra che «l’intenzione della maggioranza sia di costruire un sovrano senza limiti e francamente non mi convince». Per questo, ribadisce, «è ben difficile che si possa trovare un filo comune di ragionamento».
La Finocchiaro non è sola, si scaglia contro «una furia legislativa cieca, quasi iconoclasta, per approvare qualsiasi norma che possa non arrecare noia al premier, anzi al princeps» anche il senatore Pd, Felice Casson. Casson ci tiene a chiamare il Lodo con il suo nome: non Alfano, dunque, ma Berlusconi, perché «è stato lo stesso premier a dire nella lettera inviata al presidente del Senato che aveva bisogno di questo scudo protettivo ritenendolo indispensabile contro quelli che lui ha definito attacchi della magistratura».
* l’Unità, Pubblicato il: 22.07.08, Modificato il: 22.07.08 alle ore 18.07
’’La sua condotta risulta ancora più grave in quanto posta in essere da un componente di governo’’
Bossi denunciato per offesa a Inno Mameli
La denuncia è arrivata dal consigliere del Comune di Roma Athos De Luca per aver "denigrato, dileggiato e offeso in modo pubblico con la garanzia dell’ampia risonanza del gesto, uno dei simboli più alti e significativi della nostra Repubblica e della Costituzione’’. Fini e Schifani bacchettano il senatùr, ma lui tiene duro
Roma, 22 lug. - (Adnkronos) - Il ministro delle Riforme Umberto Bossi (nella foto) è stato denunciato oggi dal consigliere del Comune di Roma Athos De Luca per aver "denigrato, dileggiato e offeso in modo pubblico con la garanzia dell’ampia risonanza del gesto, uno dei simboli più alti e significativi della nostra Repubblica e della Costituzione", cioè l’inno di Mameli.
Assistito dall’avvocato Giuseppe Di Noto, De Luca ha presentato stamane alla Procura della Repubblica di Roma la denuncia, accusando Bossi di vilipendio di un emblema dello Stato in seguito a quanto accaduto domenica scorsa a Padova. Qui, si sottolinea nella querela "dopo essersi scagliato violentemente contro i professori del Sud rei, a suo dire, di ’martoriare i nostri figli’ ha affermato che ’l’inno nazionale dice che dobbiamo essere schiavi di Roma, ma io dico... toh’ levando a questo punto il dito medio in chiaro segno di dispregio di uno dei simboli fondamentali della Repubblica italiana".
"La condotta del ministro Bossi - si legge nel documento - lesiva della dignità e dell’onore della nostra Repubblica, risulta ancora più grave in quanto posta in essere da un componente di governo che dovrebbe, così come costituzionalmente garantito, rappresentare l’intero Paese". "Il ministro Bossi -continua la denuncia - non è peraltro nuovo a gesti ed affermazioni di tal genere; lo stesso infatti è stato già condannato, con sentenza passata in giudicato, per il reato di vilipendio alla bandiera, avendo pronunciato nel corso di un comizio a Calbiate le seguenti parole: ’Quando vedo il tricolore io mi incazzo. Il tricolore lo uso solo per pulirmi il culo’".
Ansa» 2008-07-21 20:19
BOSSI, INTERVENGONO FINI E SCHIFANI, NAPOLITANO APPREZZA
ROMA - Dopo le dichiarazioni di Umberto Bossi contro l’Inno di Mameli, intervengono i presidenti delle Camere nelle aule del Parlamento per chiedere rispetto per i simboli dell’unità nazionale. E il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano apprezza.
"Nessuno, men che meno un ministro della Repubblica, deve pronunciare parole che offendono un sentimento nazionale che sta nell’Inno di Mameli ed in quello che significa, al di là delle parole che lo compongono", dice Gianfranco Fini. E Renato Schifani definisce "sacri" i "simboli dell’unità e della patria", aggiungendo l’invito "ad abbassare i toni e a lavorare per il bene del Paese". Interventi in piena sintonia con il pensiero del Quirinale. Il capo dello Stato, si apprende infatti, ha apprezzato il responsabile intervento del presidente della Camera e il fermo richiamo del presidente del Senato al rispetto dei simboli costitutivi dell’unità nazionale.
"Poteva non intervenire, che era meglio", dice Bossi commentando l’intervento del presidente della Camera in aula che ha stigmatizzato le parole pronunciate ieri dal leader del Carroccio sull’inno. "Le polemiche - ha aggiunto il ministro - sull’inno di Mameli sono strumentalizzazioni. C’é scritto che pure che ’i bimbi d’Italia si chiaman balilla ".
E’ intervenuto sulla polemica anche il presidente del Senato Renato Schifani ribadendo che "i simboli dell’unità e della patria sono sacri, riassumono la nostra storia e sono parte costitutiva della nostra identità nazionale". "Sono certo comunque - ha aggiunto - che quanto accaduto nella giornata di ieri sia frutto di un clima particolare che spesso si realizza nei convegni di partito. A mia memoria fatti come quelli di ieri non si sono mai verificati in ambito parlamentare". Infine Schifani ha invitato tutte le forze politiche "ad abbassare i toni e a lavorare per il bene del Paese".
"A me l’Inno di Mameli non è mai piaciuto, fin dai tempi della scuola, preferisco la canzone del Piave...quella che fa ’Il Piave mormorava calmo e placido..’’.Quella è una canzone di popolo, è più vicina alla Marsigliese": lo ha detto all’Ansa il ministro delle Riforme, Umberto Bossi, interpellato sulle polemiche al suo gesto di ieri a Padova.
Ministro Bossi, che cosa replica alle polemiche che le sono piovute addosso dopo le sue frasi e il gesto di ieri a proposito dell’inno d’ Italia? "Adesso sono tutti pronti a saltar su una cosa così, detta davanti ad una platea come quella veneta che è calda, nella concitazione del momento - replica il leader della Lega - Ma Certamente e me l’inno di Mameli non piace. Il poeta usò questa frase, schiava di Roma che non ho mai sopportato...il problema é sul contenuto, non sull’inno in quanto inno d’Italia. Proprio non mi piacciono le parole dell’inno e l’ho sempre detto".
"Quella parola, schiava...- aggiunge Bossi - non la sopporto. Noi siamo per abolirla la schiavitù in ogni sua accezione. E così ho anche detto che il nord, la Lombardia, il Veneto mica possono essere schiavi di qualcuno...E allora perché non usare come inno quella canzone del Piave che mi ha sempre commosso? Quella è popolare, trascinante, somiglia, come intonazione e come senso patriottico, alla Marsigliese".
"Mi aspetto che a questo punto arrivino le parole del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, a dire se condivide le parole del suo ministro che sono, a questo punto, di tutto il gruppo della Lega". Così il leader del Pd Walter Veltroni, in Aula alla Camera, dopo che il capogruppo del Carroccio Roberto Cota ha manifestato "l’appoggio del gruppo della Lega alle parole del ministro Umberto Bossi".