«Faccio il mio dovere di italiana»
di Marcella Ciarnelli *
«È stata una giornata complessa come tante della mia vita. Ma alla fine è andata bene, benissimo. È cominciata contro di me ed è finita che mi hanno portato in gloria». La senatrice Rita Levi Montalcini sta tornando da Perugia. Nella città umbra ci è andata per una iniziativa con le scuole ma anche per un incontro con un’amica pianista. «No, non c’è stato un concerto. Ma è stata una mattinata molto piacevole».
Sembra non aver lasciato alcuna traccia la maratona al Senato che ha segnato personaggi ben più giovani di Rita Levi Montalcini. «Abbiamo finito alle tre di notte» fa notare la senatrice, ma parla volentieri di una tre giorni in trincea. Poche ore di sonno sono bastate. Poi il viaggio per Perugia. «All’aeroporto mi sono venuti incontro in tanti. Mi hanno ringraziato, mi hanno mostrato tutta la loro solidarietà. Sono un’italiana come voi, ho risposto a queste persone gentili. Non c’è nulla di cui ringraziarmi, ho fatto il mio dovere».
Venir meno ad un impegno non è nel suo stile e lo sanno bene i senatori del centrodestra che per tre lunghe giornate di voto l’hanno vista sempre al suo posto, anche quando la seduta è andata avanti ad oltranza. «Mi è dispiaciuto che, anche se solo per una volta, la mancanza del mio voto abbia consentito il successo dell’opposizione. Ma sono rientrata subito in aula e non mi sono più allontanata» racconta Rita Levi Montalcini, scegliendo di non calcare la mano sull’indegna gazzarra che l’ha accolta quando ha fatto ritorno nell’emiciclo. Si trattava solo di un subemendamento. Ma lei si rammarica lo stesso. Le dispiace più per quello che per le stampelle. Ci è tornata su lei, mettendo in campo il proverbiale senso dell’umorismo: «Ma il povero Storace ce la farà a votare fino a notte fonda? Se si sente in difficoltà gli presto volentieri una stampella...».
Per ore è rimasta seduta al suo posto nella prima fila di scranni, giusto al centro dello schieramento. Imperturbabile. Serena. I capelli candidi, un sobrio abito grigio, le mani diafane pronte a rispondere all’appello per il voto. Ha scambiato opinioni e commenti con i colleghi senatori che le siedono vicino. «Persone amabili, disponibili. La mia è stata una vita tutta dedicata alla scienza e all’impegno sociale. Poi anche la politica è diventato un dovere da quando sono stata nominata senatore a vita. Ed io mi ci dedico con lo stesso interesse e la stessa disponibilità che ho sempre mostrato per tutto quanto ha segnato nel profondo la mia vita. Riconosco la mia incompetenza su determinati argomenti ma posso garantire che farò sempre quello che posso, aiutata da chi ne sa più di me». Il premio Nobel non molla di un centimetro. All’opposizione deve essere ben chiaro che lei non rinuncerà mai alla prerogativa che discende dalla sua nomina. «In qualità di senatore a vita e in base all’articolo 59 della Costituzione Italiana espleterò le mie funzioni di voto fino a che il Parlamento non deciderà di apporre relative modifiche. Pertanto esercito tale diritto secondo la mia piena coscienza e coerenza» aveva scritto di suo pugno per rispondere alla volgare provocazione di Francesco Storace.
L’altra sera ha anche dimostrato di non avere nessuna intenzione di approfittare del proprio voto per ricavarne vantaggi. A tarda sera, voce flebile ma ferma, ha preso la parola quando si è trattato di votare l’emendamento per i finanziamenti all’Ebri, l’istituto di ricerca da lei presieduto. La Lega Nord l’ha appena accusata di voto di scambio, adombrando il sospetto che quei tre milioni di euro siano stati stanziati come «ricompensa» per il suo sostegno al governo. «Mi accusano di conflitto d’interessi per il sostegno alla ricerca? Allora io non voterò l’articolo. Ma voglio che tutti sappiano quello che stiamo facendo in quella struttura per la scienza, che mai è stata portata così avanti».
Scompiglio nelle fila dell’opposizione. Il velenoso sospetto di Roberto Castelli non viene condiviso da tutti gli esponenti dell’opposizione. Davanti ad un premio Nobel che ha speso tutta la vita per la scienza non si può insistere troppo sul concetto di voto di scambio. La senatrice, ancor più la ricercatrice apprezza che i finanziamenti non siano stati cancellati. È soddisfatta quando racconta la conclusione di una faticosa giornata. «Tutti hanno dichiarato di essere a mio favore, anche quelli che non sono della mia parte politica. Io sono di sinistra ma mi hanno omaggiato anche gli esponenti di Forza Italia. Hanno dichiarato di essere a mio favore anche i miei nemici». Le parole di Francesco Storace per annunciare il voto favorevole del suo gruppo sono a verbale. Ed alla «dama di ferro» non è mancato il riconoscimento del senatore Curto, An: «Non è possibile non prendere atto e non riconoscere alla senatrice Rita Levi Montalcini un’interpretazione molto corretta del ruolo istituzionale ricoperto. Osservarla mentre assolve con stile, garbo e compostezza agli adempimenti parlamentari dovrebbe costituire un esempio per tutti. La sua presenza conferisce autorevolezza al Senato e alla stessa figura parlamentare». Tranquillo. La senatrice non ha alcuna intenzione di rinunciare a fare da esempio.
* l’Unità, Pubblicato il: 27.10.07, Modificato il: 27.10.07 alle ore 9.47
Notte della vergogna
di Furio Colombo *
Annotate la data perché se è importante ricordare ciò che onora un Paese, è anche più importante non dimenticare le date della vergogna, persone, circostanze e situazioni che disonorano tutti. È accaduto, durante una notte lunga e confusa, litigiosa e violenta, al Senato della Repubblica italiana. Come molti sanno è un luogo di gloriosa tradizione ma, di recente, mal frequentato. È un luogo rischioso per una signora di 98 anni Premio Nobel per la Medicina e senatrice a vita che si è avventurata nell’Aula dopo le nove di sera del 25 ottobre per adempiere al diritto-dovere del suo seggio e votare la legge n. 1819 detta «Interventi urgenti in materia economico-finanziaria».
Ecco che cosa è accaduto: quando la senatrice Levi Montalcini è entrata in Aula è esploso un urlo di rabbia e un coro di invettive da tutto il lato del Senato occupato dai senatori della Casa delle Libertà. Forse non tutti hanno partecipato al coro osceno, ma quasi nessuno se ne è dissociato. La ragione della rabbia? Da tempo è in corso al Senato una campagna di intimidazione violenta per impedire che i senatori a vita partecipino alle votazioni. Benché tale loro diritto sia stabilito in modo esplicito dalla Costituzione.
I nostri oppositori della Casa della Libertà sono sotto stretti ordini. Berlusconi aspetta la spallata, ovvero un tonfo della maggioranza al Senato. Berlusconi non ama aspettare. La spallata non arriva. E i senatori a vita sono un ostacolo.
Come il fascismo insegna, la violenza serve. Alcuni senatori a vita preferiscono non esporsi più nell’Aula del Senato che dovrebbe onorarli. La notte del 25 ottobre la senatrice Levi Montalcini ha sfidato uno dei locali peggio frequentati di Roma. Prima sono venuti gli insulti e si può capire la rabbia: quell’esile signora quasi centenaria, entrando in Senato ha fatto cadere la possibilità della spallata notturna.
Ma c’era una ragione in più a motivare stizza, rancore e violenza dei peggiori esponenti della casa della volgarità, rigidamente agli ordini di Berlusconi. Quella notte un buon numero di articoli della legge in votazione e degli emendamenti a quella legge riguardavano stanziamenti (modesti, purtroppo) per la ricerca scientifica.
A dare il segnale del mobbing ha provveduto subito il senatore Castelli. Ha trattato l’argomento così (i lettori potranno verificare sul sito del Senato): «la Levi Montalcini è venuta a incassare il premio dei suoi voti per il governo di centrosinistra». Da scienziata, la Nobel Levi Montalcini lavora tutt’ora alla Fondazione «European Brain Research Institute». È uno dei centri di eccellenza del mondo a cui il governo italiano ha rinnovato un modesto sostegno.
Ma per capire l’evento è necessaria la scena. L’ex ministro della Giustizia della Repubblica italiana ha dedicato foga, rabbia, volgarità e tutti gli argomenti che vengono in mente a un uomo come lui, gettandoli contro la signora che il Presidente Ciampi aveva nominato senatore a vita come forma alta di onore per qualcuno che ha onorato l’Italia nel mondo. In quell’Aula è stata trattata da tutta una parte del Senato come una ladra.
Ma questo è solo l’inizio di una notte di umiliazione e vergogna per tutti coloro che, in Senato, non sono a disposizione (letteralmente giorno e notte) di Berlusconi.
Prende infatti la parola il senatore Nitto Palma per ammonire col dito e sgridare (lui, Nitto Palma) la Nobel Levi Montalcini con questo argomento «Cara signora, lei se lo è andata a cercare. Invece di stare al di sopra delle parti (espressione che significa la intimidazione: “rinunci al suo diritto”, ndr) si è messa a votare. Dunque non si aspetti gli onori di casa».
Tra le varie voci maschili e femminili del mobbing fascistoide, spicca il “ritorno di Storace” al quale non dispiace ripetere alcune delle frasi apparse sul suo sito e ripetute pubblicamente. Ecco il più tipico dei suoi signorili argomenti: «come era contenta e come ringraziava la signora Levi Montalcini quando riceveva i contributi della Regione Lazio, ai miei tempi». Inutile sottolineare la profonda volgarità della frase, ancora più grande se si ricorda dove e contro chi è stata pronunciata.
Rita Levi Montalcini guardava incuriosita e senza timore lo strano aggregato di esseri stralunati detto “Casa delle libertà” che stava conducendo l’aggressione. Forse stava pensando a quanto possa essere elementare e primitiva la macchina del cervello umano, che lei ha studiato così a lungo.
Poi la signora si è alzata e ha chiesto di intervenire. Non una parola per i teppisti dello strano e mal frequentato locale di Roma detto Senato. Con voce appena un po’ emozionata ha detto grazie al governo e alla maggioranza per il contributo, per quanto modesto, alla ricerca scientifica. E ha annunciato che per quel punto della legge non avrebbe votato.
Lezione inutile, direte. Ma la notte è andata avanti nella incupita frustrazione della spallata che non è venuta. Il padrone sarà stato deluso. Ma è gente che ci riprova. Non alla spallata, un obiettivo finora sempre mancato. Ma gli insulti. Sono - alcuni di loro - gente molto impegnata nel peggio, con il privilegio di non avere un’immagine da salvare. La Casa delle libertà e la sua sottocasa detta “la Lega” non avrà scrupoli. Se qualcuno dei senatori a vita oserà ancora presentarsi a votare, sa che cosa lo aspetta.
Nella notte della vergogna in Senato alcune voci sono intervenute a difesa. Ma il timore di rendere impossibile la continuazione dei lavori e dunque la votazione, ha prodotto una conclusione triste. Il Senato non ha condannato la violenta e volgare messa in scena per intimidire (invano, per fortuna) la signora del premio Nobel che onora il Senato. La vergogna è grande e una domanda pesa come un macigno: è possibile che debba funzionare così il Senato, nella democratica Repubblica italiana nata dalla Resistenza, ai nostri giorni?
colombo_f@posta.senato.it
* l’Unità, Pubblicato il: 27.10.07, Modificato il: 27.10.07 alle ore 9.47
Nel sito, si cfr. anche
Rita Levi Montalcini moriva 5 anni fa, il suo nome a 70 scuole
Accanto all’eredità scientifica, l’esempio per i giovani *
Rita Levi Montalcini moriva il 30 dicembre 2012, ma il ricordo della ’signora della scienza italiana’ è più che mai vivo sia nel mondo della ricerca, sia nella rete delle 70 scuole che portano il suo nome.
"Il suo insegnamento è sempre attuale, non solo in ambito scientifico, ed è senza dubbio una stella polare per le nuove generazioni", osserva in una nota la nipote Piera Levi-Montalcini, che è stata a lungo sua collaboratrice e che oggi è presidente dell’Associazione Levi-Montalcini. Nel 2013, inoltre, ha gettato le basi della Rete delle Scuole Levi-Montalcini "per mettere in contatto tra loro tutti gli enti di istruzione e formazione che vengono via via intitolati a una delle figure più prestigiose della ricerca italiana. "Oggi fanno parte della Rete oltre 70 scuole di ogni ordine e grado. Un circuito virtuoso - rileva Piera Levi Montalcini - per valorizzare tra i giovani la grande eredità scientifica e culturale lasciata dal premio Nobel".
Il messaggio per i giovani è "il suo più importante insegnamento", ossia che "il risultato si può raggiungere solo attraverso una ferrea determinazione, sostenuta da un metodo rigoroso di ragionamento e di comprensione di ciò che ci circonda, uniti a una fervida creatività".
Era stato questo il principio che aveva guidato Rita Levi Montalcini nella lunga carriera scientifica culminata nel Nobel per la Medicina del 1986, che le venne assegnato insieme insieme a Stanley Cohen. La sua scoperta del fattore di crescita delle cellule nervose (Ngf), avvenuta degli anni ’50, è ancora oggi al centro di molte ricerche di neuroscienze per le implicazioni che ha su molti aspetti non soltanto del sistema nervoso, ma di quello endocrino e di quello immunitario.
Nata a Torino il 22 aprile 1909, Rita Levi Montalcini era stata allieva di Giuseppe Levi e con i suoi compagni di corso, Renato Dulbecco e Salvador Luria, aveva formato un ’formidabile trio’, diventato celebre perché tutti vennero premiati con il Nobel. Membro di molte accademie scientifiche, come quella dei Lincei, Rita Levi Montalcini è stata la prima donna ad essere ammessa alla Pontificia Accademia delle Scienze. Nel 2001 è stata nominata senatrice a vita dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi.
* ANSA, 29.12.2017 (RIPRESA PARZIALE).
l’Unità 31.12.12
Rita Levi Montalcini
La Signora della scienza
Se n’è andata una donna che rimarrà nella storia
Senatrice e neuroscienziata ha avuto una vita lunga e densa
Nel 1986 fu premiata con Stanley Cohen per aver scoperto la proteina che regola lo sviluppo del sistema nervoso
di Pietro Greco (l’Unità, 31.12.2012)
«LA MIA GEMELLA PAOLA E IO SIAMO NATE A TORINO IL 22 APRILE 1909, LE PIÙ GIOVANI DI QUATTRO FIGLI. I NOSTRI GENITORI ERANO ADAMO LEVI, INGEGNERE ELETTRICO E ABILE MATEMATICO, E ADELE MONTALCINI, PITTRICE TALENTUOSA ED ESSERE UMANO SQUISITO». Con queste parole Rita Levi Montalcini, unica donna italiana che ha vinto un Premio Nobel in una disciplina scientifica, inizia l’autobiografia consegnata nel 1986 alla Fondazione che a Stoccolma le ha appena assegnato il prestigioso riconoscimento.
Rita - senatrice della Repubblica, grande neuroscienziata ed «essere umano squisito» - è deceduta ieri, all’età di 103 anni. Difficile riassumere in poche righe una vita così lunga e così densa, vissuta quasi sempre un passo più avanti degli altri. Iniziò da giovane a manifestare questa sua propensione, convincendo il padre, Adamo, a farla studiare e laureandosi nel 1936 in medicina presso l’Università di Torino, mentre la gemella Paola seguiva le orme della madre.
Fin dal primo anno di università lavora, come internista, nell’Istituto diretto da Giuseppe Levi, biologo di grande valore e unico maestro, in Italia, a poter vantare tra i suoi allievi ben tre premi Nobel. Oltre a Rita, gli altri due sono Salvatore Luria e Renato Dulbecco. Il bello è che i tre si conoscono e si frequentano, diventando amici strettissimi, fin dal primo anno di università. Ciascuno di loro vincerà il Nobel per lavori realizzati negli Stati Uniti d’America e per motivi indipendenti.
Dopo la laurea, Rita inizia il corso di specializzazione in Psichiatria e Neurologia. Ma ecco che, nel 1938, Mussolini vara le leggi razziali. Lei, di origine ebrea, è costretta a emigrare in Belgio, insieme al suo maestro. A Liegi continua a lavorare con Giuseppe Levi. Ma poi inizia la guerra e la Germania nazista invade il Belgio. Lei e il suo maestro riparano prima a Bruxelles poi tornano a Torino. Dove continuano a fare ricerca insieme, allestendo un piccolo laboratorio casalingo. E proprio in casa Rita inizia a studiare il sistema nervoso degli embrioni di pollo. Scopo della ricerca è cercare di individuare delle non meglio definite «forze induttive» che spinge i neuroni a formare, nel cervello, la loro estesa e complessa rete di relazioni, attraverso la formazione di quei lunghi filamenti chiamati assoni.
Lo studio è interessante, ma nella sua città Rita non è al sicuro. Durante il conflitto lei e Levi cercano di pubblicare: all’estero, perché in Italia agli ebrei è impedito l’accesso anche alle riviste scientifiche. Nel mentre Rita deve trova rifugio, prima nella campagne vicine alla sua Torino, poi è costretta a spostarsi a Firenze, dove prende contatto con le forze partigiane e, infine, opera come medico in un campo profughi al servizio delle Forze Alleate.
A guerra finita torna a Torino e riprende la sua attività di ricerca, finché nel 1947 accetta l’invito di Viktor Hamburger e si reca negli Stati Uniti, presso la Washington University di Saint Louis. L’uomo è un noto neuroembriologo, che ha letto gli articoli di Rita e di Giuseppe Levi. Ed è proprio a Saint Louis che la ricercatrice italiana, nel 1954, insieme al suo collaboratore Stanley Cohen, scopre una di quelle «forze induttive» a lungo cercate: il Nerve Growth Factor (Ngf), la proteina che regola lo sviluppo del sistema nervoso. È per questa scoperta nel 1986 Rita Levi Montalcini e Stanley Cohen otterranno il Premio Nobel.
Si tratta di una scoperta davvero importante. Non solo perché - come recita la motivazione del Premio - rende improvvisamente chiaro un quadro fino ad allora caotico. Ma anche perché, grazie alla scoperta del Ngf quell’insieme di discipline che oggi chiamiamo neuroscienze e che hanno per oggetto di studio il cervello assumono una grande importanza centrale nel panorama delle scienze naturali.
Sebbene la parte prevalente della sua vita scientifica sia ormai negli Stati Uniti, Rita Levi Montalcini non dimentica l’Italia. Tra il 1961 e il 1962 crea a Roma un centro di ricerca sull’Ngf e nel 1969 fonda e dirig Pietro Greco e (fino al 1978) l’Istituto di biologia cellulare preso il Cnr. Dal 1979 si trasferisce definitivamente in Italia. Nel 2002, a 93 anni, fantastico esempio di longevità scientifica, fonda, sempre a Roma, l’Ebri, l’European Brain Research Institute.
Come molti dei grandi scienziati, Rita Levi Montalcini svolge un’intensa attività sociale e politica. Tra i tanti impegni, ne ricordiamo tre. Nel 1989 accetta l’invito del fisico Vittorio Silvestrini ed è tra i soci che danno vita alla Fondazione Idis che a Napoli realizzerà la Città della Scienza, il più grande museo scientifico di nuova generazione del nostro paese. Nel 1998 fonda la sezione italiana della Green Cross International, la Croce verde internazionale che si occupa di ambiente è riconosciuta dalle Nazioni Unite ed è presieduta da Michail Gorbaciov. Nel 2001 è nominata senatore a vita: non è un incarico prestigioso, ma nominale. Rita Levi Montalcini frequenta Palazzo Madama e mostra una fierezza e anche un coraggio fisico niente affatto comuni quando gruppetti di estrema destra, dentro e fuori il Parlamento, la fanno, inopinatamente, oggetto di dileggio. Evidentemente non riescono a capire chi hanno di fronte.
Ma le sue attività principali, fuori dal laboratorio, sono quella pubblicistica - scrive una quantità imponente di libri di divulgazione, anche per ragazzi - e quella per i diritti delle donne. In uno degli ultimi volumi afferma: «Ho appena scritto un libro dedicato ai ragazzi, l’ho pubblicato con una casa editrice per giovani. Ne sono fiera. L’abbiamo intitolato Letueantenate. Parla di donne pioniere. Quelle che hanno dovuto lottare contro pregiudizio e maschilismo per entrare nei laboratori, che hanno rischiato di vedersi strappare le loro fondamentali scoperte attribuite agli uomini, che si sono fatte carico della famiglia e della ricerca».
Ecco, Rita Levi Montalcini è stata una donna, scienziata e pioniere. Che ha indicato un percorso di riscatto al suo genere e a tutto il suo paese.
«Non temo l’ingegneria genetica ma la manipolazione culturale»
di Piero Bianucci (La Stampa, 31.12.2012)
Sono pochi gli scienziati che nella propria vita hanno sempre riservato uno spazio all’impegno politico e alla riflessione etica. Rita Levi Montalcini apparteneva a questa minoranza. L’intervista inedita che segue risale a due anni dopo il premio Nobel per la Medicina, assegnatole nel 1986: parla non la ricercatrice, ma la donna che difende i valori civili e morali.
Professoressa, che cosa significa oggi essere antifascisti?
«Significa mantenere vivi quei valori che si stanno perdendo da parte dei revisionisti. Oggi non c’è da opporsi a una persecuzione, a una privazione della libertà come avveniva sotto il fascismo. Antifascisti dovremmo esserlo tutti. Purtroppo non è così. Il fascismo è stato la distruzione di tutti i valori morali. Un revisionista per esempio è lo storico Renzo De Felice. Per lui siamo stati tutti uguali, tutta brava gente, tanto vale passare una spugna su tutto. Un momento: io dico no, ci sono i bravi e i cattivi. Primo Levi è stato formidabile nel denunciare il revisionismo. Le cose vanno ancora peggio in Francia. De Felice afferma che l’Italia è fuori dall’ombra dell’olocausto. Non è affatto vero. Sono amareggiata da queste affermazioni. Oggi, nel 1988, antifascismo è avere dei principi etici».
Teme ancora il razzismo?
«Il razzismo è sempre in agguato. In molte parti del mondo si assiste a persecuzioni non diverse da quelle che abbiamo avuto in Europa mezzo secolo fa. Ci sono ritorni di antisemitismo, persino in Italia. Tutto ciò denota un basso livello di valori etici. I razzisti sono persone frustrate, che pensano di rivalersi perseguitando persone che ritengono inferiori. Questi rigurgiti del passato non mi toccano, ma mi addolorano».
Da giovane per dedicarsi alla ricerca scientifica ha dovuto lottare. Come giudica i movimenti femministi fioriti dagli Anni 70 in qua?
«Non ho simpatia per quel tipo di propaganda che si esprime negli slogan femministi tipo “Il corpo è mio e lo gestisco io”. Neppure mi piacciono le chiacchiere sull’emarginazione e sulle sofferenze delle donne. Ho invece enorme simpatia per le donne impegnate. Penso che nel futuro il ruolo della donna sarà decisivo. Più volte mi è capitato di dire che il livello a cui è tenuta la donna è il barometro della civiltà: più alte sono le potenzialità aperte alle donne, più alto sarà il grado della civiltà. La donna è stata repressa in tutte le epoche passate, e lei stessa ha accettato questa situazione, come sempre fanno le vittime: pensi agli ebrei. Da bambina cercavo modelli di donna con grandi capacità intellettuali, da Gaspara Stampa a Vittoria Colonna a Saffo: erano le mie tre eroine. L’8 marzo, Festa della Donna, quando Nilde Jotti mi ha invitata, sono andata alla Camera a tenere un discorso. Ma non ho mai amato gli schiamazzi femministi. I diritti ci sono, vanno difesi, le donne devono impegnarsi nel difenderli. Tuttavia occorre riconoscere le differenze: il cervello femminile dal lato ormonale differisce da quello maschile. Tra uomini e donne c’è parità di capacità: ciò non significa che non esistano differenze biologiche».
Quale ruolo possono avere gli scienziati nel difendere la pace?
«Sono diventata contraria alle piccole manifestazioni alle quali prendevo parte in passato, alle firme sui manifesti. Piccoli rimedi non servono per grandi mali come la guerra. Il ruolo degli scienziati per la pace consiste innanzi tutto nel non collaborare a progetti bellici, come invece succede, per esempio, al Livermore Laboratory, negli Stati Uniti. Ma a parte i fisici, che possono essere implicati direttamente in armi totali, il ruolo degli altri scienziati non differisce da quello di tutti i cittadini. Bisogna individuare i punti deboli del potere e riuscire ad avere una voce. Per questo, ad esempio, sono andata all’incontro tra Mitterrand e 70 premi Nobel. C’erano anche Willy Brandt, Henry Kissinger. Disgraziatamente gli scienziati e i cittadini hanno contro le industrie che fanno miliardi fabbricando armi».
Che cosa pensa da un lato dell’eutanasia e dall’altro lato dell’accanimento terapeutico con cui spesso si difende a oltranza la vita del malato anche al di là di ogni speranza?
«Sono stata molto attaccata per essermi espressa a favore dell’eutanasia. Personalmente penso che ognuno di noi ha il diritto di decidere della propria vita. C’è chi distingue tra eutanasia attiva ed eutanasia passiva. La passiva si limita a non eccedere nei rimedi terapeutici. Io sono per l’eutanasia attiva».
Vede dei rischi nell’ingegneria genetica?
«No. A tutt’oggi ha portato soltanto dei vantaggi all’umanità. Invece è immenso il pericolo della manipolazione culturale. Basta pensare ai mass media, all’influsso della televisione sui bambini. Mentre va aumentando in maniera smisurata il pericolo della manipolazione culturale, mi sembra assurdo preoccuparsi della manipolazione genetica».
La ricerca della verità scientifica è un grande valore. Ma è un valore assoluto o deve sottostare a valori gerarchicamente superiori?
«Sono per la libertà della ricerca. Non si può mettere un lucchetto al cervello umano. Naturalmente deve essere una ricerca fatta bene, onestamente. Ma in libertà. I valori etici, ma anche i valori politici e sociali, devono invece ispirare le applicazioni dei risultati della ricerca. Non tutto ciò che tecnicamente può essere fatto deve necessariamente essere fatto».
L’eredità della Montalcini
di Umberto Veronesi (la Repubblica, 31.12.2001)
A noi ora il compito di capire a fondo questa eredità, per renderla eterna, superando il senso di perdita che prova oggi il paese, e prova ancor di più chi, come me, ha avuto il privilegio di averla come amica e alleata in tutte le grandi battaglie della vita. Il primo caposaldo del suo messaggio è l’amore per la scienza e la fiducia incondizionata nella capacità del pensiero razionale di costruire il progresso della civiltà.
«La totale dedizione e il chiudere gli occhi davanti alle difficoltà: in tal modo possiamo affrontare problemi che altri, più critici e acuti, non affronterebbero». Così Rita stessa ha descritto la passione scientifica che, dal dubbio come metodo, porta al nuovo sapere e alla soluzione dei dilemmi. Questa passione, che abbiamo sempre condiviso, ci ha condotto a lottare per l’idea di una scienza al servizio della società: per la libertà di ricerca scientifica, per il sostegno finanziario e culturale alla ricerca, per il diritto di autodeterminazione della persona e le libertà di scelta che ne derivano. Il suo contributo personale all’amata scienza è noto: ha ampliato la nostra conoscenza del cervello e del sistema nervoso, tanto da farle meritare il Premio Nobel per la Medicina nel 1986 per la scoperta del NGF (fattore di crescita nervoso). Ha dimostrato che il cervello è plastico e si può modificare, offrendo nuove prospettive per la cura delle malattie neurologiche.
Il secondo caposaldo del suo messaggio la vede ancora protagonista in prima persona: la valorizzazione delle donne, patrimoni intellettuali e capitali umani inespressi o dimenticati. Cito ancora le sue parole: «Il futuro del pianeta dipende dalla possibilità di dare a tutte le donne l’accesso all’istruzione e alla leadership ». Rita si è iscritta a Medicina a Torino in un periodo, che io ho vissuto di persona e ricordo molto bene, in cui una donna medico era una rarità, per non dire uno scandalo. Ha lottato contro i pregiudizi maschilisti, contro la persecuzione nazista, contro l’antiscientificità del nostro Paese, che ha dovuto lasciare per fare ricerca negli Stati Uniti. Ha dimostrato con i fatti che una donna, se ha accesso al sapere, può ottenere risultati pari e migliori di un uomo. È una delle sole dieci donne che hanno avuto il Nobel per la medicina (gli uomini sono quasi 200) e la sola donna ad essere ammessa alla Pontificia Accademia delle scienze. Non ha mai voluto, però, essere una eccezione; al contrario si è impegnata perché il maggior numero di donne, ovunque nel mondo, possano avere accesso ad un percorso potenzialmente come il suo. In Africa, ad esempio, la sua Fondazione, in collaborazione con la mia, è impegnata per la salute e la lotta all’emarginazione delle donne.
Il terzo caposaldo è la forza dei valori del pensiero laico: la libertà, a cui ho già accennato, la tolleranza, la solidarietà, la pace. Rita ha vissuto sulla pelle gli orrori della guerra, della shoah, del nazismo, e, come me, si è dedicata ad estirpare le cause di queste follie con la forza del pensiero scientifico. Un pensiero che ci insegna che le razze non esistono, ma tutti gli uomini appartengono alla stessa specie, che geneticamente uomo e donna sono identici, che la parte cognitiva (e non arcaica) del nostro cervello si evolve e può progredire continuamente.
Il suo messaggio è quindi di fortissima fiducia nel futuro. «L’Italia è un paese ricco di giovani capaci, nessun paese ha la ricchezza in termini di capitale umano del nostro. Dico ai giovani: non pensate a voi stessi, pensate agli altri. Pensate al futuro che vi aspetta, pensate a quello che potete fare, e non temete niente». Rita Levi-Montalcini ha fatto così, entrando per sempre nella storia.
Ieri il compleanno della senatrice Nobel per la medicina. Gli auguri del Presidente Napolitano
Una donna che ci ha insegnato come la ricerca sia un punto di vista democratico sul mondo
Rita Levi Montalcini 103 anni di scienza e di impegno civile
Rita Levi Montalcini ha compiuto ieri 103 anni. Giorgio Napolitano le ha mandato i più affettuosi auguri di compleanno. Lei ha festeggiato con un brindisi insieme ai suoi più stretti collaboratori
di Chiara Valerio (l’Unità, 23.04.2012)
103 è un numero intero positivo, è un «numero primo», il ventisettesimo per la precisione, ed è anche un «numero felice», il che significa che la somma dei quadrati delle sue cifre dà uno. Non che, da matematico, io sia particolarmente legata alla definizione di numero felice, tuttavia, poiché 103 sono gli anni compiuti ieri Rita Levi Montalcini, mi sento di poter festeggiare fin dalla definizione. 103 dunque è un «numero felice», molto. Ho incontrato Rita Levi Montalcini una sola volta, il 21 aprile del 2009, nella sua casa romana. Silvia Bencivelli, Costanza Confessore, Marco Motta e io l’allora redazione di Radio3 Scienza siamo andati a farle un’intervista in occasione dei suoi cento anni. Insieme a Rossella Panarese, il curatore della striscia quotidiana di scienza su Radio3, avevamo costruito la puntata (Voglio una Rita spericolata) intorno all’idea di un secolo di primati divisi tra ricerca scientifica e impegno civile.
Circa due anni prima, il 10 ottobre 2007 dalle pagine della Repubblica Levi Montalcini aveva risposto a Francesco Storace, che proponeva di fornirle delle stampelle per la deambulazione sua e del governo, «A quanti hanno dimostrato di non possedere le mie stesse facoltà, mentali e di comportamento, esprimo il più profondo sdegno non per gli attacchi personali, ma perché le loro manifestazioni riconducono a sistemi totalitari di triste memoria». Impegno civile, sì. Il 21 aprile 2009 pioveva e io mi ero persa con la motocicletta dietro piazza Bologna, credo fossi emozionata. Come tutti quelli della mia generazione infatti, oltre a uno scienziato, a un senatore della repubblica, a un esempio ante litteram di espatrio dei cervelli, Rita Levi Montalcini era anche una elegante icona pop.
In effetti, successivamente all’assegnazione del Nobel nel 1986 per la medicina sulle sue ricerche degli anni cinquanta riguardo il fattore di accrescimento della fibra nervosa e il conseguente disegno da parte dello stilista Roberto Capucci dell’abito per la cerimonia del Nobel, Rita Levi Montalcini, pur non essendo un personaggio mediatico, ha cominciato ad appartenere a un immaginario estetico condiviso e riconoscibile, e in qualche modo, replicabile, non portava solo le sue ricerche, la storia degli ebrei italiani e della sua famiglia, ma pure un modo di vestire.
ICONA POP
Una icona pop, per l’appunto. Sono abbastanza certa di essere rimasta immediatamente colpita dalla sua sottigliezza, di fisico e di intelletto, e dalla sua eleganza. Noi eravamo in jeans e camicia, lei era vestita di raso nero, modello Capucci 1986. Io non la conoscevo personalmente e non la conosco neppure adesso, ma ho letto i suoi libri e le sue interviste. Non perché fosse una donna, perché avesse vinto il Nobel, e neppure perché, in seguito alla promulgazione delle leggi razziali fosse stata costretta a espatriare, e neanche perché, tornata dopo un breve espatrio a Bruxelles fosse tornata in Italia e avesse impiantato, nella sua camera da letto a Torino, un piccolo laboratorio nel quale continuare le ricerche.
Io ho letto e seguito Rita Levi Montalcini perché nel suo ripetere, anche alla lectio del Nobel, di non avere avuto merito alcuno nella buona riuscita delle sue ricerche, ma solo una grande fortuna, mi ha insegnato che studiare è sinonimo di guardare, di essere (pre)disposti a cogliere le variazioni, di essere perennemente stupiti e grati di quello che accade intorno, nell’infinitamente piccolo degli embrioni di pollo, e fattore di scala dopo fattore di scala, nell’infinitamente umano della politica e della cosa pubblica. Levi Montalcini mi ha insegnato che la scienza è un punto di vista democratico sul mondo, quindi, oltre agli auguri, anche e un’altra volta, grazie.
Sfratto esecutivo per la Montalcini
-"Distruggono il lavoro di una vita"
Roma, istituto di ricerca senza fondi per la sede. Domani decide il giudice
La sorte di cinquanta tra ricercatori e scienziati è appesa a un filo, anche Napolitano si era detto preoccupato
di Carlo Picozza (la Repubblica, 04.09.2009)
ROMA - Sotto sfratto esecutivo, rischia di chiudere l’Ebri, l’Istituto di ricerca sul cervello, voluto dal premio Nobel per la Medicina, Rita Levi Montalcini, e nato a Roma nell’aprile del 2005. «Lo sfratto», commenta la centenaria fondatrice, «mette in forse tutto ciò che ho fatto, i risultati scientifici ottenuti e l’impegno del capitale umano eccezionale che lavora in Istituto». La sorte della cinquantina tra scienziati e ricercatori dell’European brain research institute è appesa al pronunciamento del giudice, domani mattina. Ma con la chiusura delle utenze, l’attività di ricerca sugli enigmi del cervello aveva già subito una battuta di arresto.
L’agonia dell’Ebri era cominciata il 2 ottobre 2008 con una lettera della fondazione Santa Lucia che ospita nei sui immobili l’Istituto della Montalcini: «Per la nostra fondazione senza scopi di lucro è indispensabile ricercare una sostanziale parità tra entrate e uscite. Ma questo equilibrio è compromesso dal corrente sistema di ripartizione delle spese di gestione da noi anticipate e restituite dall’Ebri nella misura del 24%, con notevoli ritardi, più volte segnalati».
In giugno ai giovani ricercatori dell’Ebri non erano stati corrisposti gli stipendi. Nel mese successivo era stato sospeso l’uso dei telefoni. Gli inadeguati finanziamenti pubblici non sono bastati a coprire i costi delle ricerche né quelle di gestione. E che l’Ebri navigasse in cattive acque lo aveva fatto intuire, nei mesi scorsi, anche il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano: stringendo la mano alla centenaria promotrice dell’Ebri le aveva rivolto l’augurio di una grande possibilità di sopravvivenza per le sue iniziative di ricerca.
«Nel settembre 2001, in un workshop a Cernobbio», racconta Rita Levi Montalcini, «feci la proposta di far nascere un Istituto sull’organo che presiede pensiero e azione, per fornire l’opportunità a tanti scienziati italiani di rientrare nel loro Paese dal quale erano dovuti emigrare per la scarsità dei centri di ricerca». Lo ricorda ripensando al suo "confino" nella stanza da letto dove aveva impiantato un vero e proprio laboratorio per continuare le ricerche «insieme con Giuseppe Levi, dopo la promulgazione delle leggi razziali» e prima di recarsi in America, a guerra finita, nel 1947, invitata dal chairman del dipartimento di Zoologia della Washington University, Vicktor Hamburger.
Il «Polo delle Neuroscienze» è stato per Montalcini «il sogno di una vita». E per l’esplorazione del cervello, l’Ebri partì insieme con il Cnr e il Santa Lucia. In tutto, 255 tra medici, biologi, biochimici, neurobiologi, fisici, matematici, immunologi, genetisti, informatici, cognitivisti, e 44 laboratori su uno superficie di 25 mila metri quadrati, nella coda metropolitana della capitale, tra l’Ardeatina e la Laurentina, per studiare il funzionamento dell’organo più complesso e misterioso anche in presenza di patologie come l’Alzheimer, il Parkinson, l’ictus, la sclerosi laterale amiotrofica.
L’ingiunzione di sfratto è stata comunicata il 22 luglio scorso, con la richiesta del rilascio dei locali entro il 30 settembre. Il ricorso è già partito, ma il premio Nobel, teme che si interrompa «l’ultimo capitolo della mia vita che si sta rivelando il più importante dal punto di vista scientifico, con i formidabili risultati attraverso l’impiego del Nerve growth factor (il fattore di crescita delle cellule nervose da lei scoperto, ndr)». Un impegno alla sopravvivenza dell’Ebri è arrivato dal presidente del Cnr, Luciano Maiani, che «sta esplorando la possibilità» di accogliere la fondazione della Montalcini in ambienti «da noi utilizzati».
Il ministro: "Il lavoro dell’Ebri è troppo importante
le attività di ricerca non possono interrompersi"
Gelmini rassicura la Montalcini
"Il suo istituto non chiuderà"
Non è la prima volta che il centro di ricerche rischia la chiusura
Nei mesi scorsi l’allarme del presidente della Repubblica *
ROMA - "Ritengo troppo importante il lavoro dell’Ebri e del premio Nobel Rita Levi Montalcini per poter pensare che le attività svolte da questo centro di ricerca possano interrompersi. L’Ebri è un centro di eccellenza che va tutelato in qualsiasi modo".
A parlare così è il ministro dell’Istruzione Maria Stella Gelmini dopo la notizia dello sfratto, dalla sede di Roma, ingiunto all’istituto di ricerca voluto dal premio Nobel per la medicina. A causa dell’assenza di fondi, l’Ebri non riusciva nemmeno a pagare anche gli stipendi dei ricercatori. Il rischio era stato paventato anche dal presidente della Repubblica il 21 aprile scorso, durante i festeggiamenti per i 100 anni della Montalcini. Napolitano infatti si era detto certo che i poteri pubblici non avrebbero fatto mancare le risorse indispensabili per far proseguire le attività del centro.
Per il ministro dell’Istruzione non è ammissibile che l’istituto possa sospendere il proprio lavoro. Gelmini dunque annuncia che "è in via di erogazione il finanziamento del ministero da 485 mila euro, che ho già firmato e che attende il parere delle commissioni parlamentari, per consentire all’Ebri di proseguire gli studi e le attività di ricerca".
Oltre al finanziamento, il ministero sta vagliando anche altre azioni. La prima è la creazione di un tavolo tecnico tra ministero, Ebri e Fondazione Santa Lucia, quella cioè che ospita l’istituto della Montalcini, per verificare la possibilità che l’istituto possa continuare a lavorare nelle strutture che attualmente utilizza. Solo se ciò non dovesse essere possibile, si penserà a un trasferimento in una sede alternativa.
Non è la prima volta che l’Ebri rischia di restare senza finanziamenti. Nell’ottobre del 2007 la Lega Nord aveva minacciato di sospendere i finanziamenti al centro di ricerca.
* la Repubblica, 4 settembre 2009
DISCORSI
Data: 20-04-2009
INTERVENTO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA GIORGIO NAPOLITANO ALLA CERIMONIA PER IL GENETLIACO DELLA SENATRICE A VITA RITA LEVI MONTALCINI
Palazzo del Quirinale, 20 aprile 2009 *
Cara professoressa, senatrice Rita Levi-Montalcini,
siamo qui - e saluto, i Presidenti Scalfaro e Ciampi, i rappresentanti del Parlamento e del governo, il Presidente della Corte Costituzionale, i Sindaci di Torino e di Roma, una folta rappresentanza delle nostre istituzioni culturali e del mondo della ricerca, i Premi Nobel professori Rubbia e Ciechanover, e ancora, colleghi e collaboratori a lei cari - siamo qui per festeggiarla e onorarla : innanzitutto, cara amica, per rivolgerle auguri ammirati e affettuosi. Ammirati anche per il traguardo che lei ha raggiunto e per il modo in cui l’ha raggiunto : perché questo non è stato un puro dono della natura e della Provvidenza, ma il frutto del suo invincibile amore per la vita e della sua disciplina di vita, della sua ininterrotta operosità, della molteplicità e del fervore dei suoi interessi scientifici, culturali, sociali.
Quando nel 2001 il Presidente Ciampi fece la scelta che gli era consentita nominandola senatore a vita, apparve a tutti evidente come per la cittadina Rita Levi-Montalcini risultasse pienamente appropriato il riferimento dell’art. 59 della nostra Costituzione all’avere illustrato la Patria per altissimi meriti e non solo nel campo scientifico ma in quello sociale e in altri ancora.
La nostra festeggiata è, in primo luogo, certo, per universale riconoscimento, ben oltre i confini dell’Italia, una grande donna di scienza, e personalmente mi rammarico grandemente in questo momento di non potere, per i limiti della mia formazione, per la povertà delle mie conoscenze scientifiche, dire di più su quel che Rita Levi-Montalcini rappresenta nella storia e nell’evoluzione, ancora in pieno svolgimento delle neuroscienze, della neurobiologia, delle ricerche sul cervello. Ma di ciò si è detto puntualmente ancora in questi giorni, nei luoghi giusti e con competenza, come anche qui poc’anzi.
Vorrei piuttosto sottolineare come nel chiamarla grande donna di scienza, si voglia mettere in evidenza il fatto essenziale che Rita Levi-Montalcini, nell’ingaggiare ancora giovanissima la battaglia per la ricerca della verità scientifica abbia nello stesso tempo ingaggiato quella per l’emancipazione e la valorizzazione della donna. Ella è divenuta un esempio non solo per la comunità scientifica ma per il mondo femminile. E una proiezione altamente significativa di questa dimensione del suo impegno è d’altronde rappresentata dalla scelta di dedicare risorse e passione - attraverso la Fondazione che porta il suo nome - alla causa dell’accesso delle donne all’istruzione e del loro avanzamento civile nei paesi emergenti e segnatamente nel continente africano.
Ma di “altissimi meriti nel campo sociale” si deve parlare anche in rapporto ad altro. In rapporto - non è superfluo ricordarlo - alle sue virtù civili : al coraggio civile con cui reagì appena trentenne alla violenza delle leggi razziali del fascismo, opponendovi la serena, stoica fermezza del non lasciarsi annullare come ricercatrice di talento, del continuare tra le mura di casa, mirabilmente, il perseguimento del suo progetto scientifico. Fu uno degli esempi della forza intellettuale e morale insopprimibile degli uomini e delle donne che impersonavano il patrimonio della cultura e dei valori dell’ebraismo.
Rita Levi-Montalcini mostrò il suo profondo attaccamento all’Italia, alla libertà, alla democrazia, resistendo alla dittatura, sottraendosi al destino dell’esilio, accogliendo dopo la Liberazione dell’Italia l’occasione che le fu offerta nel più grande paese amico, presidio di vita democratica e di progresso scientifico, gli Stati Uniti d’America, per portare più avanti le sue ricerche. Ma volle e seppe tornare a casa, tornare da noi e trasmettere al nostro paese il suo sapere, la sua esperienza, il suo magistero morale.
Vorrei egualmente ricordare oggi quale lezione ella ci abbia dato di senso delle istituzioni e dei doveri istituzionali dedicando il suo tempo, le sue energie, le sue risorse di modestia e di pazienza, alla presenza e all’impegno sui banchi del Senato. Anche di questo è giusto ringraziarla, e voglio personalmente ringraziarla.
Non sembri infine fuori luogo il riferimento alla sua operosità e ai suoi meriti nel campo letterario. Rita Levi-Montalcini ha scritto molto, in special modo negli ultimi 10 anni, trasmettendoci con i suoi libri messaggi umani e di pensiero ricchi ed intensi, mettendo a fuoco temi fondamentali come quello del rapporto tra scienza ed etica, e anche assumendosi un compito di divulgazione - specie in rapporto al suo campo di ricerca - e di diffusione in generale dell’interesse per la scienza, sempre importante in un paese nel quale il limite di una formazione strettamente umanistica pesa su intere generazioni, compresa la mia.
Cara amica, le auguriamo di tutto cuore buon lavoro, e successo : successo per il suo progetto di ricerca, successo per le sue creature, la Fondazione Levi-Montalcini e l’EBRI, un istituto al quale sono certo che i poteri pubblici, se necessario lo stesso Parlamento, non faranno mancare le risorse indispensabili per conseguire risultati importanti. E le auguriamo successo anche nella sua battaglia per lo sviluppo in Italia della ricerca scientifica, per la valorizzazione dei talenti e della passione in special modo delle giovani generazioni di ricercatori. E’ questa una causa di vitale importanza per il nostro paese : contiamo su di lei per l’apporto che ancora una volta vorrà darvi nell’interesse generale.
E per tutti gli apporti che lei ha già dato alle cause più nobili, vorrei rimetterle ora, con grande rispetto ed affetto, un piccolo segno del nostro comune riconoscimento.
E’ iniziata la festa per il secolo del Nobel Rita Levi Montalcini *
Un’enorme torta di fragole e cioccolato, con un’enorme scritta in inglese: ’Celebrating Rita Levi Montalcini 100th birthday’, ovvero ’Per celeberare il centesimo compleanno di Rita Levi Montalcini’. Con il taglio ben augurale di questa prima torta - in un calendario denso di eventi e festeggiamenti fino al giorno di nascita del Nobel, il 22 aprile - la senatrice ha accolto la stampa per presentare la conferenza scientifica sul cervello che si svolgerà a Roma proprio il 22 aprile.
«A 100 anni sono ancora profondamente ottimista. E penso che anche i periodi difficili, e ne ho avuti, possano portare grande progresso. La mia vita è stata un continuo sviluppo. Sono grata di essere ancora qui. Di essere ancora viva».
Per la scienziata, auguri di compleanno anche al Quirinale per il Nobel Rita Levi Montalcini: la senatrice, lunedì 20 aprile, verrà infatti ricevuta dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per festeggiare il suo secolo.
«La professoressa - ha sottolineato Piergiorgio Strata, direttore scientifico dell’Istituto Europeo per le Ricerche sul Cervello (Ebri), voluto e presieduto dalla stessa Montalcini - per il suo centesimo compleanno ha detto che non avrebbe voluto feste rituali o champagne, ma ha lanciato l’idea di un grande e importante convegno scientifico sul cervello. Così, sin da ottobre, abbiamo messo in moto l’organizzazione».
Al convegno internazionale sulle neuroscienze, che si svolgerà in Campidoglio, ha detto Strata, prenderanno parte vari ricercatori internazionali, il sindaco di Roma Gianni Alemanno, il ministro dell’Istruzione Maria Stella Gelmini e il ricercatore Stanley Cohen che nel 1986 ha diviso il Nobel con la scienziata per la scoperta del fattore di crescita delle cellule nervose (Ngf).
Nel 1986, ha sottolineato Strata, «qualcuno mise addirittura in dubbio il merito della professoressa per il Nobel. Ma già allora, almeno 10.000 ricercatori erano al lavoro sulla molecola ngf e oggi si registrano almeno tre pubblicazioni al giorno collegate alla sua scoperta». La scienza voluta dal Nobel Montalcini «è sempre stata - ha concluso Strata, citando le parole del presidente Usa Barak Obama sull’importanza della ricerca - una ricerca ’libera dalle manipolazioni, ascoltando la sua voce anche quando è scomoda’».
* l’Unità, 18 aprile 2009
A Roma in quattro non cedono il posto al quasi 99enne premio Nobel
Scatto d’orgoglio della senatrice: "Preferisco aspettare". Poi la rivincita:"Continui così"
Dispetto alla Montalcini al seggio
"Faccia la fila come gli altri"
di FRANCESCO BEI *
ROMA - Qui non c’entrano le cinque lauree, il premio Nobel per la medicina, le mille pubblicazioni e nemmeno il laticlavio a vita. Forse è semplicemente un fatto di educazione, quando da bambino ti insegnano a cedere il posto a chi è più anziano. Se poi l’anziano ha quasi 99 anni (tra 9 giorni) e non ci vede nemmeno bene, il fatto che si chiami Rita Levi Montalcini diventa evidentemente secondario. Eppure tutto ciò non è bastato a evitare alla senatrice a vita di dover attendere in piedi mezz’ora prima votare, per colpa della maleducazione di quattro elettori che si sono rifiutati di farla passare avanti.
La scena si è svolta ieri poco prima di mezzogiorno a via Reggio Calabria, al seggio istituito presso la scuola "Falcone e Borsellino", vicino a piazza Bologna, quartiere medio-borghese della Capitale. La Montalcini si è presentata a braccetto di un accompagnatore il quale, vista la lunga fila, ha chiesto alle persone in coda la cortesia di far votare prima la signora. Senza presentare credenziali, solo un gesto di educazione verso un’anziana ipovedente. La risposta poteva essere scontata e invece no.
"Faccia la fila come gli altri", ha risposto un cinquantenne. E così un’altra signora: "Non esiste, anch’io ho fretta di votare". E poi un altro e un’altra ancora: "Non vedo proprio il motivo". Allertato dagli scrutatori, a quel punto è intervenuto il presidente di seggio: "Senatrice, se vuole la facciamo passare avanti". Una gentilezza quasi scontata, che si concede normalmente alle donne in gravidanza, ai disabili, agli anziani. A quel punto però è stato il carattere della Montalcini a prendere il sopravvento: "Grazie presidente, preferisco restare in fila come gli altri. Pazienza". Una scrutatrice le ha quindi offerto una seggiola: "Almeno si sieda, prego". Ma la senatrice ha rifiutato anche quella: "No, grazie davvero. Preferisco restare in piedi".
La rivincita contro quei pochi maleducati Montalcini se l’è presa poco dopo, al momento di uscire dal seggio. Tutti i ragazzi della sezione elettorale le si sono fatti intorno, davanti agli elettori ancora in fila, per chiederle l’autografo. "Vada avanti così". "Coraggio". L’episodio, in sé banale, potrebbe testimoniare al massimo dell’inciviltà dei tempi in cui viviamo, che ognuno può sperimentare salendo su un autobus o facendo una fila a uno sportello. Se non fosse che Rita Levi Montalcini è stato il bersaglio in questi due anni di una violenta campagna di discredito portata avanti con insistenza da alcuni esponenti politici del centrodestra e da alcuni quotidiani d’area.
I ragazzi della Destra si distinsero in ferocia: "Diamole un incarico al Ghetto", "di profilo è pure più odiosa", erano le cose che si potevano leggere sul loro blog. Fino alla proposta di consegnarle un paio di stampelle, "tanto l’indirizzo lo conosciamo, vogliamo dargliele personalmente". Diceva il loro capo, Fabio Sabbatani Schiuma: "Loro, i senatori a vita, sono le stampelle di questo governo sì o no? E poi se son vecchi se ne stessero a casa".
La Lega del resto non fu da meno, fino ad arrivare alla proposta di eliminare gli stanziamenti per la fondazione scientifica della senatrice. Non ci si stupisca se poi qualcuno non dà la precedenza a una signora centenaria, è già tanto che non le abbiano fatto lo sgambetto.
* la Repubblica, 14 aprile 2008.