Sul cavaliere della I-THAILANDIA....
di Federico La Sala *
Caro Direttore,
A mio parere, in tutte le discussioni e le analisi che sono portate avanti sulla situazione italiana è proprio l’analisi del berlusconismo che va approfondita e chiarita. Io non posso concepire, nemmeno in THAILANDIA (cfr. Piero Ottone, IL CAVALIERE DELLA THAILANDIA, La Repubblica del 26.04.2002: "Thaksin ha fondato un partito, Thai Rak Thai, il cui nome significa, a quanto sembra: I thailandesi amano i thailandesi") che in una nazione che si chiama ITALIA, ci possa essere un PARTITO che si chiama "Forza ITALIA"...
Il trucco del NOME ("Forza ITALIA") è da manualetto del... piccolo ipnotizzatore e da gioco da baraccone ...politico! E penso che aver lasciato fare questa operazione, io ritengo, sia stata la cosa più incredibile e pazzesca che mai un popolo (e soprattutto le sue Istituzioni e partiti) abbia potuto fare con se stesso e con i propri cittadini e le proprie cittadine: è vero che stiamo diventando tutti vecchi e vecchie, ma questa è roba da suicidio collettivo!
Questa la mia opinione, se si vuole, da semplice e analfabeta vecchio cittadino italiano e non da "sovietico" comunista della "fattoria degli animali" orwelliana. Mi trovo a condividere e sono più vicino alle opinioni e alla posizione della "mosca bianca" Franco Cordero, che non a quella di molti altri.
LA LEGGE E’ UGUALE PER TUTTI: si tratta solo e sopratutto di non de-ragliare e, umanamente e politicamente, mantenerci (e possibilmente avanzare) sul filo e nel campo della democrazia. Non c’è nessuna demonizzazione da fare: si tratta solo di capire, e, anzi, io trovo la situazione - pur nella sua grande ambiguità e pericolosità - incredibilmente sollecitante nel senso di svegliarsi e reagire creativamente (come sembra che stia avvenendo) alla situazione determinatasi.
Il cavaliere ha lanciato la sua operazione e la sua sfida: possiamo leggere la cosa come una cartina di tornasole per tutta la nostra società. Vogliamo vivere o vogliamo morire: una cosa del genere più o meno, con altre parole, ci sta dicendo il Presidente CIAMPI da tempo.
Se ci facciamo togliere da sotto i piedi il fondamento costituzionale e si rompe la bilancia dei poteri della democrazia non ci sono più cittadini e cittadine ma pecore e lupi e riprende il gioco mai interrotto, come dice il vecchio saggio della giungla, del "chi pecora si fa il lupo se la mangia". Dentro questo clima, chiedere da anonimo stupido ingenuo e illuso e ’idealistico’ cittadino italiano di fare chiarezza e fermare il gioco (truccato, e pericolosamente surriscaldato e non lontano da clima di scontro civile) è solo un invito a tutte e due le parti e non a una sola a riconoscersi come parte della UNA e STESSA Italia.... e a ripristinare le regole del gioco!!!
M. cordiali saluti
Federico La Sala
*Il dialogo, Venerdì, 30 maggio 2003.
SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:
Tito, Héctor e la palla-fiducia che bisogna saper passare
di Mauro Berruto ( Avvenire, mercoledì 11 luglio 2018)
«Tuya, Héctor!». Se vi trovate in Uruguay e qualcuno vi dice così, beh significa che siete degni di stima e fiducia. Colui che sta all’origine di questo modo di dire, è un calciatore, Héctor Pedro Scarone, soprannominato El Mago, primo destinatario di quella frase («Tua, Héctor!»), rivoltagli in un istante destinato a passare alla storia da un suo collega. Era il 13 giugno 1928, giorno della finale del torneo di calcio ai Giochi Olimpici di Amsterdam: Uruguay e Argentina, le finaliste, sono sull’1-1. In campo una parata di stelle fra le quali due, particolarmente brillanti, con la maglia celeste dell’Uruguay.
Si chiamano Héctor Scarone e Tito Borjas. Ragazzi che non conoscono ancora i loro destini: Scarone giocherà anche in Italia e, Giuseppe Meazza, suo compagno di squadra all’Inter dirà di lui che faceva cose che «noi potevamo solo immaginare». Borjas è un giocatore pazzesco, ma la sua carriera e la sua vita finiranno presto, solo tre anni dopo, quando disubbidendo ai medici che gli avevano imposto riposo assoluto dopo un forte dolore al petto sentito mentre giocava una partita, lasciò la propria abitazione per andare sugli spalti a vedere il match decisivo per il titolo dei suoi Wanderers Montevideo e al gol del vantaggio dei compagni di squadra venne stroncato da un infarto.
In quel giugno del 1928, ignari del loro futuro, Héctor e Tito stanno giocando, insieme, la finale olimpica. Tuttavia fra i due non scorre buon sangue, sono troppo forti per stare nella stessa metà campo. In realtà, Héctor e Tito non si parlano proprio, da tantissimo tempo, ma al 28° del secondo tempo, Tito ha la palla fra i piedi, vede Héctor arrivare con un razzo e decide di rompere quel silenzio. Passa la parla e gli urla: «Tua, Hectòr!», come a dire: "Vedi di farcela, voglio fidarmi di te". Héctor segna un gol straordinario da 40 metri.
L’Uruguay diventa campione olimpico ai danni degli odiati rivali argentini e da quel giorno, nel Paese, c’è un nuovo modo di dire quando si vuol trasmettere il senso di una fiducia incondizionata, che va oltre ogni divisione. Parole che vengono alla mente pensando alla incredibile vicenda dei 12 giovani calciatori thailandesi rimasti intrappolati in una caverna insieme ad Aek, il loro 25enne allenatore e liberati definitivamente ieri dopo 17 giorni passati all’inferno.
Si è mobilitato il mondo intero per questa vicenda e il risultato è stato raggiunto grazie a un’enorme capacità di condividere fiducia, anche quando le cose sembravano impossibili. Affidarsi a qualcuno, ci insegna questa storia di cui certamente qualche produttore hollywoodiano si approprierà, può portare alla perdizione e alla salvezza. Aek, l’allenatore orfano che ha passato la sua gioventù in un monastero buddhista aveva preso la decisione di portare i suoi ragazzi in quella grotta per meditare.
Stravolto dai sensi di colpa ha chiesto ripetutamente perdono per quell’idea che le piogge monsoniche stavano per trasformare in tragedia. I genitori di tutti i ragazzi lo hanno perdonato in tempi assolutamente non sospetti, ben prima del lieto fine della vicenda. Anzi, gli hanno ricordato che i loro ragazzi contavano su di lui, laggiù sottoterra come sul campo di calcio. Forse anche per questa iniezione di fiducia Aek è stato decisivo per tenere in vita i suoi ragazzi rinunciando per loro al suo stesso cibo, mantenendoli calmi e gestendo le loro emozioni e paure. E lasciando la grotta per ultimo, da vero coach.
«Sembra impossibile, finché non viene fatto», diceva Nelson Mandela e mentre, in superficie, squadre di calcio di fama planetaria lottano al Mondiale per non tornare a casa, la squadra per cui tutti si augurano il ritorno, finalmente, ce l’ha fatta grazie a una collaborazione di persone provenienti, letteralmente, da ogni parte del mondo. «Tuya, Héctor» anche in memoria di Saman Kunan, il soccorritore unica vittima di questa vicenda. Nel suo ultimo video lo si sente dire: «Porteremo i ragazzi a casa». Aveva ragione.
Thailandia: è morto re Bhumibol
Era malato da tempo
di Redazione *
Il re della Thailandia Bhumibol Adulyadej si è spento ogg a 88 anni. Era il sovrano da più tempo al trono al mondo col titolo di Rama IX dal 1946. Lo ha comunicato l’ufficio della casa reale. Malato da tempo, è morto alle 15:52 locali (le 10:52 in Italia) nell’ospedale Siriraj di Bangkok.
Il nuovo re, Rama X, sarà il principe ereditario Vajiralongkorn (64 anni). Lo ha annunciato il premier Prayuth Chan-ocha, aggiungendo che il nome del successore verrà presentato questa sera al Parlamento per l’approvazione, come prescrive la Costituzione thailandese.
* ANSA BANGKOK 13 ottobre 2016 19:59
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Bangkok si ribella al Berlusconi d’Oriente
La proposta di amnistia per l’ex primo ministro Shinawatra, fratello della premier in carica scatena la protesta dell’opposizione
Scontri in piazza
di Gabriel Bertinetto (l’Unità, 02.12.2013)
Presenti i capi delle tre armi, che si professano neutrali, il leader dei rivoltosi intima la resa alla donna accusata di guidare il governo della Thailandia per conto del fratello, esule e pregiudicato: Thaksin Shinawatra, il Berlusconi d’oriente. L’incontro avviene in una località segreta, dove la premier Yingluck Shinawatra si è rifugiata dopo che il circolo sportivo in cui si apprestava a incontrare la stampa internazionale era stato assaltato dai manifestanti.
Accade al termine di una giornata convulsa. Per la prima volta dopo una settimana di proteste pacifiche, sono divampati duri scontri fra polizia e dimostranti. Poche ore prima, nella notte fra sabato e domenica, manifestanti di opposte fazioni si erano affrontati vicino a uno stadio nella zona di Ramkhamhaeng, lasciando sul campo le prime vittime, tre, di questa ennesima ondata di disordini politici a Bangkok. Mentre la notte cala sulla capitale thailandese, non è affatto chiaro se la crisi si avvicina al drammatico epilogo annunciato dal capo dello schieramento antigovernativo, Suthep Thaugsuban: «Ho detto a Yingluck che questa è la prima e ultima volta che le parlo fino a quando non cederà il potere al popolo. Non ci saranno negoziati e tutto deve finire entro due giorni». Cioè domani, mentre oggi i cittadini di Bangkok vengono da lui esortati a godersi un giorno di vacanza e unirsi alla mobilitazione di piazza.
Le parole di Suthep cadono nel silenzio delle autorità, che non contestano la ricostruzione del colloquio, senza nemmeno confermare né smentire che fosse davvero avvenuto. Il vice-premier Pracha Promnok si limita ad invitare la gente a non uscire di casa fra le dieci di sera e le cinque di mattina, «per non restare vittime di provocazioni». Più un consiglio che un coprifuoco. Toni più minacciosi nella dichiarazione di Piya Utayo, portavoce della polizia, che preannuncia l’intervento degli uomini in uniforme per riappropriarsi delle «proprietà pubbliche» occupate dai contestatori. L’affermazione appare in singolare contraddizione con quanto ha dichiarato poco prima il capo della sicurezza nazionale Paradorn Pattanathabutr. «Non hanno preso un solo edificio», diceva Paradorn, smentendo che fossero caduti in mano ai rivoltosi una decina di siti.
Difficile capire comunque da che parte stiano le varie agenzie preposte alla sicurezza pubblica. In linea generale la polizia sembra ligia alle disposizioni del potere centrale, mentre i militari preferiscono mantenere un profilo istituzionale estraneo allo scontro politico in atto. Nel recente passato hanno però dimostrato in modo molto concreto la loro avversione verso la fetta di establishment legata a Thaksin, arrivando anche a destituirlo con un golpe nel 2006.
Causa scatenante delle tensioni è l’amnistia proposta da Yingluck con l’evidente scopo di consentire il ritorno in patria del fratello. Il progetto è fallito, ma ha innescato la ribellione alla cui guida si è posto Suthep Thaugsuban, vicepremier nel precedente esecutivo. Suthep si è dimesso dal Partito democratico, la principale forza di opposizione, per avere mano libera in una lotta dichiaratamente tesa a rovesciare il governo in carica, e «smantellare la macchina di potere» che fa capo a Thaksin.
Questi viene accusato di dirigere il Paese per interposta persona. Suthep e compagni denunciano l’andirivieni di ministri che fanno la spola fra Bangkok e le località in cui il Berlusconi d’Oriente solitamente risiede, Dubai e Hong Kong. Contestano quelli che considerano sprechi di denaro pubblico per favorire la cerchia affaristica incentrata nel clan dei Shinawatra. Sotto accusa un piano di sussidi ai risicoltori per vari miliardi di dollari, la gestione dei progetti idrici dopo le terribili alluvioni del 2011, e i 600 miliardi di dollari stanziati per vari investimenti infrastrutturali.
Thaksin, che se rimettesse piede in Thailandia dovrebbe scontare una condanna a due anni di carcere per corruzione, costruì la sua fortuna politica grazie al controllo di televisioni e giornali, e gode tuttora di grande popolarità soprattutto nelle aree rurali. I suoi avversari, il Partito democratico in particolare, hanno la loro base sociale nei ceti medi urbani e nelle province meridionali. Suthep, leader del movimento antigovernativo, è un personaggio controverso. È sotto inchiesta per la violenta repressione delle proteste popolari nel 2010 (novanta morti). Allora le parti erano invertite, e nei panni dei contestatori erano i seguaci di Thaksin nelle loro divise rosse. In precedenza nel 1995 Suthep fu al centro di uno scandalo per avere dirottato a vantaggio di proprietari terrieri benestanti, fondi destinati ad aiutare i contadini poveri.
Grazie, Capitano
di Aldo Grasso *
Quando ci vuole ci vuole. Ci sono espressioni che, pur usurate dalla quotidianità, conservano una loro volgarità di fondo. Ma in circostanze come queste, quando l’intontito comandante della Concordia sembra non rendersi conto del disastro che ha combinato, assumono persino un che di nobile, quasi fossero l’ultima risorsa della disperazione.
La drammatica telefonata tra Francesco Schettino e il capitano di fregata Gregorio Maria De Falco della Capitaneria di porto di Livorno è forse il documento che meglio testimonia le due anime dell’Italia. Da una parte un uomo irrimediabilmente perso, un comandante codardo e fellone che rifugge alle sue responsabilità, di uomo e di ufficiale, e che si sta macchiando di un’onta incancellabile.
Dall’altra un uomo energico che capisce immediatamente la portata della tragedia e cerca di richiamare con voce alterata il vile ai suoi obblighi. In mezzo un mondo che affonda, con una forza metaforica persino insolente, con una ferita più grande di quello squarcio sulla fiancata.
Il capitano De Falco fosse stato sulla nave sarebbe sceso per ultimo, come vuole l’etica del mare. Al telefono non può che appellarsi al bene più prezioso ed esigente che possediamo: la responsabilità personale. Ogni volta che succede un dramma la colpa è sempre di un altro, persona o entità astratta non importa. Eppure la responsabilità personale - quell’insieme di competenza e di senso del dovere, di cura e di coscienza civica - dovrebbe essere condizione necessaria per ogni forma di comando, in terra come in mare. E invece le nostre miserie e le nostre fragilità ci indicano sempre una via di fuga, ben sapendo che il coraggio rende positivi anche i vizi e la viltà rende negative le virtù.
Quella frase «Vada a bordo, cazzo!» («Get on Board, Damn it!» così tradotta nei tg americani) è qualcosa di più di un grido di dolore, di un inno motivazionale, di un segnale di riscossa. Il naufragio è uno degli archetipi di ogni letteratura perché illustra i rischi dell’esistenza umana nel corso della «navigazione della vita». Esso rinvia agli atteggiamenti fondamentali che si assumono nei confronti del mondo: in favore della sicurezza o del rischio, dell’estraneità o del coinvolgimento negli eventi, del ruolo di chi sprofonda e di chi sta a guardare dalla terraferma.
Ma ci vuole un grido che scuota e ci infonda coraggio, che, ancora una volta, ci richiami alle nostre responsabilità. Ecco perché ieri su Twitter era l’hashtag più utilizzato, una sorta di mantra collettivo. Ecco perché vorremmo, in ogni occasione, per chi guida il Paese o per chi fa semplicemente il suo mestiere, ci fosse qualcuno come il capitano De Falco che ci richiamasse perentoriamente all’ordine. (Intanto, su Internet, c’è già chi vende la t-shirt con la frase. E qui torniamo all’Italia degli Schettino).
Vada a bordo, e quello non ci è andato (ora è a casa agli arresti domiciliari in attesa che la giustizia faccia il suo corso e che la coscienza gli ridesti il senso dell’onore). Due uomini, casualmente due marinai campani, due storie: l’una che ci umilia, l’altra che tenta di riscattarci. Grazie capitano De Falco, il nostro Paese ha estremo bisogno di gente come lei.
Aldo Grasso
* Corriere della Sera, 18 gennaio 2012
POLITICA
Il prezzo dell’impunità
di GIUSEPPE D’AVANZO *
Berlusconi andrà fino in fondo senza curarsi degli inviti del Capo dello Stato a trovare in Parlamento soluzioni condivise - almeno per materie come la sicurezza e la giustizia. Non si attarderà ad ascoltare le perplessità del suo alleato (la Lega). Non presterà alcuna attenzione alle sollecitazioni di un’opposizione moderata e ragionevole (Udc, Pd).
Non stringerà la mano tesa di una magistratura che, stanca di guerra, vuole almeno tutelare - in questa temperie - una decente funzionalità dell’amministrazione giudiziaria, un’accettabile efficacia del processo penale, la concretezza della pena. Venisse giù il cielo, Berlusconi andrà fino in fondo per due ragioni che sono indivisibili nella indefinitezza che ha sempre separato il suo privato dalla responsabilità pubblica che (legittimamente) interpreta. Deve proteggersi da un presente penale e rimuovere ogni incognita dal futuro. La sua urgenza personale (non essere processato) è diventata pubblica necessità come la diffusa percezione d’insicurezza, come la crisi della "monnezza" a Napoli. Oscurità che chiedono di essere rimosse presto, con un’immediata decisione, rapida come un lampo di luce, anche a costo di violare lo Stato di diritto - anche in quest’occasione, come nelle altre - di separare lo Stato dal diritto. Diventata estrema e improrogabile la necessità di fermare il suo processo e di scongiurare la possibilità che ce ne siano in futuro, vengono congelati per un anno i processi per i reati commessi fino al 30 giugno del 2002, in attesa di approvare un nuovo "lodo" immunitario.
Berlusconi è imputato di corruzione in atti giudiziari. È un reato rarissimo, in Italia. Si celebrano meno di due processi all’anno per quel delitto. È questa trascurabile presenza statistica che rende indispensabile fermare per un anno migliaia di processi per i più diversi reati. La decisione paralizza una macchina giudiziaria già inceppata e caccia l’esecutivo in una contraddizione irrisolvibile e irragionevole, se ci fosse ancora spazio per la ragione. Da un lato, definisce un catalogo di reati di grave allarme sociale e ne irrobustisce le pene; dall’altra, per gli stessi reati (stupro, usura, traffico di rifiuti, sfruttamento della prostituzione, omicidio colposo per i pirati della strada...) li dice irrilevanti, marginali e dappoco fino allo spartiacque del 30 giugno 2002. In nome di una personale sicurezza e impunità, il capo del governo accetta di mettere in tensione la sicurezza di tutti. Racconta di voler rendere più sicuro il Paese e lo rende disarmato. Chiede alla magistratura di fronteggiare le minacce diffuse e l’azzoppa irrimediabilmente.
Il metodo può apparire incoerente per il senso comune, per la più fragile delle decenze istituzionali. È, al contrario, ragionevolissimo per un esecutivo e una maggioranza iperpersonalizzati che presentano il premier come un sovrano, come il solo salvatore capace di risolvere i problemi del Paese, il solo uomo in cui la maggior parte degli italiani ha "fiducia". Salvare da ogni controllo di legalità Berlusconi, trasformato in icona e pietra angolare del sistema; proteggere il suo potere e - con esso - la possibilità stessa di una "decisione" libera dai consueti legacci o dai "costituzionali" contrappesi vuol dire - in questo nuovo, artificioso stato di necessità - tutelare non Berlusconi, ma il governo del Paese, la sola via d’uscita dalle molte crisi che lo affliggono.
In questo slittamento di significato dal privato al pubblico, dalle ragioni di uno alle necessità di tutti, si deve cogliere uno dei segni distintivi di questa stagione politica. Bisogna cominciare a fare i conti con gli esiti. Occorre iniziare a cogliere, dietro la retorica berlusconiana, le tecniche che la sostengono. È necessario prendere atto, oggi e innanzitutto, dello svuotamento funzionale del potere del Parlamento.
C’erano molte ragioni per una valutazione attenta del Senato dei pericoli, contraddizioni e debolezze del provvedimento con forza di legge approvato dal governo. Le circostanze aggravanti da infliggere a chi "si trova illegalmente sul territorio nazionale" rispettano il dettato costituzionale o danno vita a un doppio binario di giudizio per il cittadino italiano e lo straniero? La sospensione incondizionata dei processi migliora davvero il "servizio giustizia" nell’interesse del cittadino - sia esso imputato o vittima - o ne pregiudica in modo grave il lavoro? Un’immunità che garantisca le alte cariche dello Stato deve davvero passare attraverso lo strappo violento del precetto che rende tutti uguali davanti alla legge? C’era anche "materia" politica e istituzionale da sorvegliare dopo le aperture della Lega, le proposte di Udc e Partito democratico, le prudenti riflessioni dell’Associazione nazionale magistrati. Il Senato (e alla Camera non andrà in modo diverso) si è mostrato del tutto indifferente a ogni questione; disinteressato a ogni distinzione tra utile e dannoso, necessario e arbitrario, giusto e ingiusto; neutrale anche rispetto ai valori costituzionali interpellati dal decreto del governo e dagli emendamenti imposti dal presidente del Consiglio.
Affiora un metodo. Il Parlamento (un Parlamento non di eletti, ma di "nominati") rinuncia a elaborare "politiche", le subisce. Non le discute, le approva a occhi chiusi consegnandosi, come fosse un involucro vuoto, a una impotente autoemarginazione. Libera dalla presenza del potere legislativo, la retorica "anti-sistema" di Berlusconi potrà muoversi senza ostacoli - se quel che si è visto finora è soltanto un saggio del futuro della legislatura - lungo i confini disegnati dalle tre strategie finora messe in campo. Istituzionale: coinvolge il capo dello Stato nelle sue iniziative, salvo imbrogliarlo nel merito; mima il dialogo con le opposizioni, salvo affondarlo secondo convenienza. Extra-istituzionale: con una comunicazione manipolata e sovrattono, abusa della "fiducia" che il Paese gli concede a piene mani per compilare un’agenda di governo che ne trascura i problemi più autentici. Anti-istituzionale: aggredisce con sistematicità le istituzioni di controllo, subito la magistratura. È un’agevole previsione credere che molto presto toccherà all’informazione.
* la Repubblica, 25 giugno 2008.
Gli italiani comprano meno scarpe e borse (-6,4%), vestiti (-5%) e giocattoli (-4,9%)
Arretrano soprattutto le vendite nei piccoli negozi, mentre cresce la grande distribuzione
Istat, ad aprile crollo dei consumi
2,3%, dato peggiore dal 2005
Va male soprattutto al Sud (-4%) e al Centro (-3,4%), ma perde anche il Nord
di ROSARIA AMATO *
ROMA - Consumi in caduta libera ad aprile: le vendite al dettaglio sono calate su base annua del 2,3%. E’ il dato peggiore dall’aprile 2005, quando il calo fu del 3,9%. Lo comunica l’Istat, aggiungendo che la variazione su mese è nulla. Il vero crollo si è registrato per le vendite dei beni non alimentari, calate su base annua del 3,4%; per gli alimentari il calo è stato dello 0,8%. Ad essere abbandonati dai consumatori sono soprattutto i piccoli negozi (-4,1%), mentre la grande distribuzione registra un modesto aumento dello 0,3% su base annua.
Non si comprano più scarpe e vestiti. Gli italiani, stretti nella morsa dell’inflazione, che già ad aprile si era attestata al 3,3%, hanno rinunciato infatti soprattutto a scarpe, borse e articoli da viaggio (-6,4%), abbigliamento e pellicceria (-5%), giochi, giocattoli, articoli sportivi e da campeggio (-4,9%), generi casalinghi (-4,2%) e utensili per la casa (-3,4%), libri, giornali e riviste (-3,4%), gioielli e orologi (-2,8%) e cosmetici (-2,7%). Non c’è un solo tipo di bene che non abbia registrato una diminuzione delle vendite.
Cresce la grande distribuzione. Tutte le forme di vendita della grande distribuzione hanno registrato aumenti, ad eccezione degli hard discount che hanno segnato una variazione nulla. Gli ipermercati segnano un +0,1% (+0,8 alimentari, -0,4 non alimentari) i supermercati un +0,3%, i grandi magazzini un +0,2%, gli altri specializzati un +1%.
Arretrano soprattutto Sud e Centro. Considerando invece le ripartizioni territoriali, le diminuzioni più significative hanno riguardato il Sud, le Isole e il Centro (rispettivamente -4 e -3,4%). Ma arretrano anche al Nord-Ovest (-0,9%) e al Nord-Est (-1,3%).
Isae, a giugno scende la fiducia dei consumatori. Le vendite al dettaglio vanno male ormai da parecchio tempo, sia pure con un andamento altalenante. Per i prossimi mesi non si prevede tuttavia nulla di buono: l’Isae ha rilevato a giugno un nuovo calo della fiducia dei consumatori, che si mostrano molto preoccupati per la situazione economica del Paese e anche per quella loro personale. Di conseguenza, la maggior parte degli intervistati ritiene che non sia il caso di acquistare beni durevoli, e neanche di effettuare risparmi.
L’appello di Venturi per rilanciare i consumi. Anche dal presidente della Confesercenti Marco Venturi, che oggi presiede a Roma l’Assemblea Annuale dell’associazione, è venuto un appello a rilanciare i consumi: "La nostra urgenza è quella di rimettere in moto l’economia, renderla più competitiva a livello internazionale, rilanciare i consumi, valorizzare il nostro turismo ed i prodotti italiani".
* la Repubblica, 25 giugno 2008.
La piazza e il buio
di Fulvio Abbate (l’Unità, 25.06.2008)
L’opposizione deve scendere in piazza. Sottoscrivo l’intenzione, meglio ancora, la necessità di farlo al più presto. Per quel che possa servire, garantisco che personalmente ci sarò, al punto da avere già perfino preparato la bandiera. Rossa, pateticamente rossa. Ma che dico?, se è vero che sia giusto credere ai propri sogni, alle proprie idee, perfino le più utopiche, la mia bandiera sarà rossa e nera, sarà la bandiera dei libertari, degli “anarchici” che non credono al principio della delega. Non è però ancora tutto, porterò con me anche un verso di Bertolt Brecht, un verso problematico e destinato ai momenti peggiori della lotta e magari perfino della vita medesima, lo stesso che un’amica mi ha appena regalato, convinta così di farmi conforto, via sms, un verso che dice esattamente: «Noi attraversammo, cambiando Paesi più spesso delle scarpe, le guerre di classe, disperati quando c’è solo ingiustizia e nessuna rivolta».
L’opposizione deve scendere in piazza, parole sempre più sante, ma che andrebbero accompagnate da una consapevolezza non meno problematica delle parole del poeta, e cioè che, nonostante il deficit di democrazia, non sembrano questi tempi di rivolta, come dire?, morale, naturale, necessaria. Nonostante tutto, nonostante lo scempio di un governo che, temo, risulti assai credibile nel suo ricorso alla cultura (ahimé, diffusa) dell’illegalità, del tornaconto personale, dell’arbitrio, dell’arroganza, del farsi prosaicamente i c... propri.
L’opposizione, cioè i cittadini che hanno a cuore l’idea del bene comune e dei diritti appunto di cittadinanza, sì, che devono scendere in piazza, ma nello stesso temo che ciò che oggi prevale sia una sensazione di solitudine “civile”. Nel senso che la cultura che ha riportato al governo Berlusconi si configura come un patrimonio molto più diffuso di quanto non sembri all’apparenza. C’è un vecchio adagio sempre valido, sempre buono, sempre verde che accenna all’assenza di una borghesia in questo nostro Paese, una borghesia che, se fosse tale, dovrebbe insorgere in prima persona contro lo scempio dello stato di diritto, così come dinanzi a certe forme di palese arroganza che appaiono sempre più vistose, se non sbandierate come doverose. L’opposizione deve quindi scendere in piazza tenendo a mente che viviamo tempi bui, nei quali certo sentire proprio della semplificazione autoritaria, vecchio vizio nazionale, ha fatto breccia, risulta assai più convincente d’ogni appello alla democrazia, alla legalità, allo stato di diritto, alla separazione dei poteri, in assenza di questo barlume di consapevolezza sorge naturale il dubbio che le parole che Leonardo Sciascia riferì ai siciliani possano essere ormai estese all’intero corpo geografico della nazione, e cioè che gli italiani «non credono alla idee», nutrono seri dubbi che le idee possano mutare lo stato delle cose, incidere concretamente sull’esistente, possano migliorare la vita.
L’opposizione deve scendere in piazza sapendo che, per quanto la cosa possa risultare desolante, le parole, perfino le più improbabili, pronunciate da Silvio Berlusconi e dai suoi alleati brillano come credibili, così come risulta addirittura istituzionalmente attendibile il volto di uno Schifani, così come quello di un Ghedini. L’opposizione deve scendere in piazza tenendo a mente che ciò che ad altri risulta facile, nel suo caso deve essere frutto di fatica e di una lunga opera di convincimento perché non sempre hanno torto coloro che hanno fatto proprio una sorta di pessimismo sulla natura dei nostri vicini di casa che barano perfino sui millesimi durante le riunioni condominiali, l’opposizione deve scendere in piazza tenendo presente che l’arrivo del caldo estivo, perfino l’afa che toglie il respiro, è fra i migliori alleati del governo. L’opposizione deve scendere in piazza tenendo a mente che peggio di così non si può, e non si intuisce neppure un refolo di vento all’orizzonte.
f.abbate@tiscali.it
Ansa» 2008-06-24 22:16
OK ALLA NORMA ’BLOCCA PROCESSI’, DI PIETRO: PROBLEMA CON PD
ROMA - Nessun tentennamento, nessuna marcia indietro. Anzi, Silvio Berlusconi intende risolvere definitivamente il nodo giustizia non solo attraverso l’approvazione dei due emendamenti al decreto sicurezza già votati dal Senato, ma anche grazie al ’Lodo Schifani bis’ che garantirà l’immunità per le più alte cariche dello Stato. Una determinazione così spiegata da chi ha avuto modo di raccogliere le sue confidenze: il premier è convinto che la maggioranza degli italiani sia con lui e che si debba battere il ferro finché è caldo; per questo intende risolvere una volta per tutte il problema per poi tornare ad occuparsi dei problemi concreti del Paese. Posizione che il Cavaliere ha espresso anche nel corso di un colloquio a Montecitorio con il presidente della Camera, Gianfranco Fini. A riprova della volontà ad andare fino in fondo, c’é il voto con cui il Senato ha approvato il decreto sicurezza con i due contestati emendamenti. Via libera che fa insorgere il centrosinistra: "Ci troviamo di fronte a un grave strappo attuato in maniera unilaterale che soffoca il dialogo", accusa Lanfranco Tenaglia, ministro ombra della Giustizia del Pd. Gli appelli ad accettare un compromesso che preveda la rinuncia agli emendamenti ’blocca-processi’ in cambio di un confronto sull’immunità delle più alte cariche dello Stato non sembrano allettare Berlusconi. Reiterati inviti in questo senso sono stati fatti dall’Udc e anche dal segretario dell’Anm, Giuseppe Cascini.
Apertura quest’ultima che trova il plauso del leghista Roberto Castelli, già ministro della Giustizia, ma che viene immediatamente scartata dal suo collega di partito Roberto Maroni. "Se verrà approvato un ddl che riprende il lodo Schifani o Maccanico va benissimo, ma il decreto legge sulla sicurezza è un’altra cosa", scandisce il ministro dell’Interno. Dello stesso avviso il Pdl. "Sono contrario a quella sorta di scambio", osserva ad esempio il forzista Osvaldo Napoli, secondo il quale sarebbe un "grave errore politico" accettare un simile compromesso. Parole che confermano come l’ipotesi di uno scambio sia fuori questione. Ma che sembrano escludere anche l’eventualità di un ammorbidimento degli emendamenti. Una volta approvato il ’blocca-processi’ - è la posizione filtrata dall’entourage berlusconiano - si potrà dialogare sul ’lodo Schifani-bis’; non prima. L’ordine di scuderia, dunque, è quello di ’macchine avanti tutta’. L’unica concessione al dialogo sarebbe quella di evitare la conferenza stampa contro i magistrati "sovversivi", annunciata da Berlusconi a Bruxelles e che, almeno per ora, sembra definitivamente tramontata. Intanto, il ministro della Giustizia Angelino Alfano conferma che il ddl sull’immunità delle personalità istituzionali sarà presentato al Cdm di venerdì.
Il provvedimento, spiega il Guardasigilli, prevederà l’immunità per tutto il mandato delle quattro più alte cariche dello Stato e sarà adeguato alle passate osservazioni della Corte Costituzionale. Alfano lancia anche un appello affinché le polemiche sulla giustizia non blocchino il dialogo fra gli schieramenti sulle riforme. Dialogo che anche i presidenti di Camera e Senato, Gianfranco Fini e Renato Schifani, intendono rilanciare al più presto sempre nel tentativo di disinnescare le polemiche sulla giustizia. In realtà, sul tema dell’immunità, un po’ a sorpresa arriva già una disponibilità al confronto da parte del Pd: "Non abbiamo nessuna pregiudiziale di principio sul cosidetto Lodo Schifanì", spiega la capogruppo Anna Finocchiaro, anche se - precisa - ci sono dei problemi di "opportunità" dovute al procedimento a carico del premier. Apertura che fa esplodere l’ira di Antonio Di Pietro. "Il Pd ci dica se vuole fare la ruota di scorta a Berlusconi", attacca il leader dell’Italia dei Valori, accusando i Democratici di essere d’accordo sul garantire "l’impunità" del Cavaliere.
Il presidente del Consiglio: «OPPOSIZIONE GIUSTIZIALISTA»
Berlusconi: «I giudici sono un cancro»
E la Confesercenti fischia il premier
Il Cavaliere all’attacco: «I magistrati ideologizzati metastasi della democrazia». E al Pd: «Dialogo finito» *
ROMA - Il premier Silvio Berlusconi torna ad attaccare duramente i giudici, raccogliendo fischi e "buuuh" e solo qualche applauso dalla platea della Confesercenti. «I giudici e i pm ideologizzati - è stato l’affondo del presidente del Consiglio - sono una metastasi della nostra democrazia»
( ■ Il video).
IL GESTO DELLE MANETTE - Prendendo la parola all’assemblea della Confesercenti, Berlusconi ha scelto in un primo momento l’arma dell’ironia per ribadire che ci sono «molti pm che vorrebbero vedermi legato», ovvero in galera, mimando le manette ai polsi. E spiegando che comunque un presidente del Consiglio «ha le mani legate di fronte ad un’architettura che non è quella di uno stato moderno ma è quella di uno stato antico». Poi, però, Berlusconi ha smesso di parlare di «lacci e lacciuoli» nei confronti delle imprese dei cittadini per ribadire il suo attacco ai pm.
I FISCHI - Non appena il Cavaliere ha cominciato a parlare di «giudici ideologizzati» la platea ha iniziato a rumoreggiare. «Vi do un dato - ha spiegato il premier -: dal 1994 al 2006 ci sono stati più di 789 tra pm e magistrati che si sono interessati del "pericolo Berlusconi", per sovvertire la democrazia, non ci sono riusciti e non ci riusciranno. I cittadini hanno il diritto di vedere governare chi hanno deciso, tramite libere elezioni, di scegliere per la guida del Paese». Dalla platea della Confesercenti, a questo punto sono arrivati i fischi. Ai quali Berlusconi ha replicato. «Mi indigna quando qualcuno si lascia trasportare dall’ala giustizialista della magistratura» ha detto il presidente del Consiglio. «Ho anche fiducia nella magistratura, ma dopo un calvario simile in me c’è indignazione» ha aggiunto. «Mi avete invitato voi...» ha anche detto Berlusconi cercando di spiegare più volte il motivo dei suoi attacchi alla magistratura politicizzata.
«OPPOSIZIONE GIUSTIZIALISTA» - Dopo l’affondo sui giudici, Berlusconi ha rivolto dure accuse all’opposizione, colpevole a suo dire di aver voluto spezzare il dialogo. «L’opposizione è rimasta indietro ed è giustizialista» ha detto il premier, spiegando perché a parer suo non è più possibile un confronto con l’altro schieramento. «Quando non capisce e non si unisce a noi per cercare di combattere chi sovverte la democrazia - ha detto - significa che non c’è più possibilità di dialogo, che il dialogo si spezza». Immediata la replica del leader del Pd Walter Veltroni, che ha definito l’intervento del presidente del Consiglio un «imbarazzante comizio».
LA REAZIONE DI ANM - «Gli attacchi ingiustificati rischiano di creare una delegittimazione dell’intera istituzione». Così il presidente dell’Anm Luca Palamara, a proposito delle affermazioni fatte dal presidente del Consiglio sui magistrati. «Parole quali conflitti, opposizione, tregua non appartengono al lessico dell’Anm che viceversa ritiene indefettibile la coesistenza tra poteri dello Stato, nel reciproco rispetto che significa reciproca legittimazione» dice Palamara, che ribadisce che «il tema che interessa i magistrati italiani è il funzionamento del processo» e che per questo le toghe «chiedono alla politica di migliorare il sistema nell’interesse dei cittadini».
Governo assediato in Thailandia
Violenti scontri tra dimostranti e polizia, scioperi a gatto selvaggio, trasporti compromessi, proclami bellicosi. Il Paese scivola verso un golpe alla cilena
di francesco sisci (La Stampa, 30/8/2008)
La Thailandia sta scivolando in una situazione di colpo di stato alla cilena con scioperi a gatto selvaggio nei trasporti e attacchi alle stazioni di polizia mentre i capi dell’opposizione si sono barricati nel giardini del palazzo di governo.
Gruppi di dimostranti che chiedono le dimissioni del premier Samak Sundaravej ieri hanno preso d’assalto alla sede principale della polizia di Bangkok.
Gli agenti che fino ad oggi hanno evitato ogni confronto violento, si sono scontrati a colpi di lacrimogeni con un gruppo di circa 2mila oppositori che brandivano spranghe e mazze. Ci sono stati almeno una trentina di feriti.
Proteste del personale hanno costretto la chiusura degli aereoporti di popolari destinazioni turistiche come Phuket, Krabi e Hat Yai. Scioperi a gatto selvaggio hanno anche interrotto i trasporti ferroviari. I numeri delle persone coinvolte però sono minimi: appena 248 tra macchinisti e meccanici si sono dati malati oggi, ma ciò è bastato a gettare ulteriore benzina sul fuoco.
Nel giardino del palazzo del governo in nottata c’erano circa 25mila oppositori dell’alleanza popolare per la democrazia Pad, che promettevano di non andarsene. Il loro capo Sondhi Limthongul diceva che era il giorno del giudizio. A notte fonda a Bangkok non era ancora chiaro cosa sarebbe successo.
I dimostranti, in camicia gialle, sventolando cartelloni con la gigantografia del re, hanno issato una nortina di filo spinato e copertoni. Nelle strade intorno hanno spruzzato una mistura di sciampo e benzina che rende l’asfalto estremamente scivoloso.
Loro vorrebbero un intervento violento della polizia che quindi giustifichi poi l’arrivo dell’esercito per “ripristinare l’ordine” e mandare a casa il premier Samak.
Finora, proprio per evitare questo avvitamento di violenza, Samak ha cercato di negoziare un patto con i generali che proprio due anni fa rovesciarono sempre con un golpe un altro governo eletto democraticamente, quello di Thaksin Shinawatra.
Ieri il capo dell’esercito Anupong Paochinda dichiarava che “la situazione non dava motivo di aspettarsi un golpe. “Non risolverebbe niente. Danneggerebbe l’immagine del Paese e ne peggiorerebbe la situazione,” diceva alla stampa.
Ma non è chiaro se tutto l’esercito sia con lui e soprattutto cosa accadrebbe se cambiasse “la situazione” o se, come pare volere Sondhi, ci fossero dei morti.
Il Pad, monarchico, accusa Samak e il suo mentore politico Thaksin di volere rovesciare la monarchia e volere istaurare una repubblica. Samak e Thaksin negano con forza l’addebito. Il Pad dichiara di volere cambiare la costituzione e di volere introdurre un parlamento dove solo 30% dei deputati sono eletti e il resto sono “nominati”.
Secondo un sondaggio popolare condotto in questi giorni oltre il 70% della popolazione sostiene il governo e vuole la fine dei disordini.
I dubbi, l’indecisione del mondo riguardano il dopo. Il governo di Thaksin aveva risollevato il Paese dopo il crollo della crisi finanziaria asiatica del 1997. Il golpe del 2006 però ha fatto riprecipitare le cose e i generali stessi sono coscienti che non sarebbero in grado di guidare l’economia dopo un altro colpo di stato.
Alcuni generali però temono più un governo civile che li chiuda nelle caserme di una nuova crisi economica del Paese. La Borsa ha perso circa il 25% durante questa crisi e la moneta nazionale, il baht, è ai livelli minimi rispetto al dollaro.
Tra i più diffusi portafortuna del Paese
Il governo thailandese sponsorizza la vendita di amuleti fallici
Il nuovo ministro della Cultura li ha messi in cima alla lista di quelli da vendere ai turisti: "Sono prodotti culturali"
Roma, 1 ott. - (Adnkronos/Ign) - Amuleti fallici e a forma di bufalo. Sono questi i principali esempi di portafortuna legati alla magia nera che il nuovo ministro della Cultura thailandese, Worawat Ua-apinyakul, ha messo in cima alla lista di quelli che andrebbero venduti ai turisti. "Possiamo trasformare i locali amuleti con simboli fallici e le statuette dei bufali in portachiavi da vendere ai turisti’’, ha detto Worawat, nuovo ministro della Cultura e promotore dell’audace campagna.
Nonostante la religione prevalente in Thailandia sia buddhista, nella zona è fortemente diffusa la magia nera, così come l’uso di amuleti usati per proteggersi dal male. Tra i più diffusi portafortuna c’è quello a forma di fallo che proteggere dai pericoli e quello a forma di bufalo che migliora la forza di chi lo possiede. ’’Sono prodotti culturali’’, ha detto Worawat al quotidiano ’Daily XPress’, per questo ne "va promossa la vendita agli stranieri".