25 Giugno: salviamo la Costituzione e la Repubblica che è in noi.
Lupi, pecore, pastori?! Un NO per il REFERENDUM.
di Federico La Sala (Libertà - quotidiano di Piacenza, 08.06.2006, p. 35)
Il 60° anniversario della nascita della Repubblica italiana e dell’Assemblea Costituente, l’Avvenire (il giornale dei vescovi della Chiesa cattolico-romana) lo ha commentato con un “editoriale” di Giuseppe Anzani, titolato (molto pertinentemente) “Primato della persona. La repubblica in noi” (02 giugno 2006), in cui si ragiona in particolar modo degli articoli 2 e 3 del Patto dei nostri Padri e delle nostre Madri Costituenti.
Salvo qualche ’battuta’ ambigua, come quando si scrive e si sostiene che “il baricentro dell’equilibrio resta il primato della persona umana di cui è matrice la cultura cattolica” - dove non si comprende se si parla della cultura universale, di tutto il genere umano o della cultura che si richiama alla particolare istituzione che si chiama Chiesa ’cattolica’ (un po’ come se si parlasse in nome dell’Italia e qualcuno chiedesse: scusa, ma parli come italiano o come esponente di un partito che si chiama “forza...Italia”!?), - il discorso è tuttavia, per lo più, accettabile...
Premesso questo, si può certamente condividere quanto viene sostenuto, alla fine dell’editoriale, relativamente al “diritto alla vita” (“esso sta in cima al catalogo ’aperto’ dell’articolo 2, sta in cima alla promessa irretrattabile dell’art. 3”) e alla necessità di una responsabile attenzione verso di essa (“Non declini mai la difesa della vita; senza di essa è la Repubblica che declina”).
Ma, detto questo, l’ambiguità immediatamente ritorna e sollecita a riporsi forti interrogativi su che cosa stia sostenendo chi ha scritto quanto ha scritto, e da dove e in nome di Chi parla?!
Parla un uomo che parla, con se stesso e con un altro cittadino o con un’altra cittadina, come un italiano comune (- universale, cattolico) o come un esponente del partito ’comune’ (’universale’, ’cattolico’)?
O, ancora, come un cittadino di un partito che dialoga col cittadino o con la cittadina di un altro partito per discutere e decidere su quali decisioni prendere per meglio seguire l’indicazione della Costituzione, della Legge dei nostri Padri e delle nostre Madri che ci ha fatti - e invita a volerci! - uomini liberi e donne libere, cittadini-sovrani e cittadine-sovrane?!
Nonostante tante sollecitazioni a sciogliere i nodi e chiarirsi le idee da ogni parte - dentro e fuori le istituzioni cattoliche, c’è ancora molta confusione nel cielo del partito ’cattolico’ italiano: non hanno affatto ben capito né la unità-distinzione tra la “Bibbia civile” e la “Bibbia religiosa”, né tantomeno la radicale differenza che corre tra “Dio” e “Mammona” o, che è lo stesso, tra la Legge del Faraone o del Vitello d’oro e la Legge di Mosè!!! E non hanno ancora ben-capito che Repubblica dentro di noi ... non significa affatto Monarchia o Repubblica ’cattolica’ né dentro né fuori di noi, e nemmeno Repubblica delle banane in noi o fuori di noi!!!
Il messaggio del patto costituzionale, come quello del patto eu-angelico ...e della montagna è ben-altro!!! La Costituzione è - ripetiamo: come ha detto e testimoniato con il lavoro di tutto il suo settennato il nostro Presidente, Carlo A. Ciampi - la nostra “Bibbia civile”, la Legge e il Patto di Alleanza dei nostri Padri e delle nostre Madri Costituenti (21 cittadine-sovrane presero parte ai lavori dell’Assemlea), e non la ’Legge’ di “mammasantissima” e del “grande fratello” ... che si spaccia per eterno Padre nostro e Sposo della Madre nostra: quale cecità e quanta zoppìa nella testa e nel cuore, e quale offesa nei confronti della nostra Legge dei nostri Padri e delle nostre Madri - di tutti e tutte noi, e anche dei nostri cari italiani ’cattolici’ e delle nostre care italiane ’cattoliche’!!!
Nel 60° Anniversario della nascita della Repubblica italiana, e della Assemblea dei nostri ’Padri e delle nostre ’Madri’ Costituenti, tutti i cittadini e tutte le cittadine di Italia non possono che essere memori, riconoscenti, e orgogliosi e orgogliose di essere cittadine italiane e cittadini italiani, e festeggiare con milioni di voci e con milioni di colori la Repubblica e la Costituzione di Italia, e cercare con tutto il loro cuore, con tutto il loro corpo, e con tutto il loro spirito, di agire in modo che sia per loro stessi e stesse sia per i loro figli e le loro figlie ... l’ “avvenire” sia più bello, degno di esseri umani liberi, giusti, e pacifici! Che l’Amore dei nostri Padri e delle nostre Madri illumini sempre il cammino di tutti gli italiani e di tutte le italiane...
Viva la Costituzione, Viva l’Italia!!!
Sul tema, nel sito, si cfr:
L’inganno dei valori
di BARBARA SPINELLI (La Stampa, 1/4/2007)
La nota pastorale dei vescovi sulla famiglia e sul pericolo rappresentato da leggi che regolino diritti e doveri di altre forme di convivenza ha fatto molta impressione, fuori Italia, ma per motivi diversi da quelli che immaginiamo. Non hanno colpito i toni della Chiesa, meno duri a ben vedere di quelli usati dall’ex presidente della Conferenza episcopale Ruini. Hanno colpito il timore che questi toni hanno suscitato in Italia, lo smarrimento diffusosi nella classe politica, il successo ottenuto in fin dei conti dall’intimidazione. Nel testo di Bagnasco non ci sono né anatemi, né la denuncia di comportamenti sessuali che la Chiesa continua a considerare anomali, devianti. In realtà quest’ultima non ha più bisogno della durezza per imporsi: i politici e la laicità si lasciano intimidire anche con poco, per poi farsi magari sorprendere quando lo stesso Bagnasco dice che da cosa nasce cosa, paragonando l’omosessualità a incesto e pedofilia (salvo in un secondo momento precisare di essere stato male interpretato). A tal punto sono oggi deboli politica e Stato laico, incapaci di difendersi, prede d’ogni sorta di gruppo di pressione. Affermatasi lungo i secoli, l’autonomia della politica da cultura e religione vacilla.
Quest’infermità della politica e delle leggi non è un fenomeno solo italiano. Valori e religione, cultura e morale privata occupano in gran parte dell’Occidente uno spazio centrale, privatizzando e abbassando la politica. Si vincono le elezioni su questi temi, si misura la popolarità dei politici su passioni sino a ieri intime come la paura, l’amore. Assistiamo alla restaurazione di grandi colpe, grandi peccati, e alla sete di punizione che la restaurazione promette.
Colpe sessuali soprattutto, visto che politici stampa e la stessa gerarchia ecclesiastica son divenuti indifferenti a mali ben più cruciali come l’illegalità, la mafia, il rubare, il guerreggiare senza casus belli. Vengono fabbricati anche capri espiatori per questa politica intimista: lo straniero, l’omosessuale, perfino il malato. Il benefico tabù che dai tempi di Auschwitz protegge l’ebreo non vale, singolarmente, per le altre vittime dei Lager: omosessuali, zingari, malati psichici. Per quanto concerne l’Italia non è nuovo. Negli anni 60-70 fu Pasolini, il diverso da abbattere mettendo la giustizia a servizio di quello che venne definito, da un pubblico ministero nel ’63, il comune sentire della «stragrande maggioranza degli italiani che non trova voce per esprimere le proprie idee». In uno splendido saggio su quei processi, Stefano Rodotà scrive nel ’77 che Pasolini è «la somma di tutti i vizi, e incarna il sogno di chi vorrebbe il Male con una sola testa per decapitarlo con un colpo solo».
Evocare oggi quei processi aiuta a ricordare due cose. Primo, l’aureola di normalità che non da oggi circonda la famiglia. Secondo: le forze che l’hanno aureolata, complici fascisti, democristiani e comunisti. È una verità che la sinistra dimentica, quando oggi ripesca nelle proprie tradizioni la famiglia col tempo abbandonata. La cultura familistica e puritana era potentissima, in Urss come in Europa, e in Italia sfociò nell’esecrazione di Pasolini come di Aldo Braibanti, il filosofo omosessuale condannato per plagio nel ’69. Quando Pasolini fu espulso dal Pci per «indegnità morale», nel ’49, sull’Unità apparve un commento di Ferdinando Mautino, della Federazione di Udine, in cui si denunciavano «le deleterie influenze di certe correnti ideologiche e filosofiche dei vari Gide, Sartre, di altrettanti decadenti poeti e letterati, che si vogliono atteggiare a progressisti, ma che in realtà raccolgono i più deleteri aspetti della degenerazione borghese». Se in Italia si infranse il mito del collettivo puro e incontaminato - collettivo della famiglia o del partito, le due purezze erano congiunte - lo si deve ai radicali, non alla sinistra classica. La sinistra che oggi disseppellisce famiglia e comunitarismo non disseppellisce il meglio di sé ma il più asfissiante. Riscopre il Noi che sostituisce l’Io, il collettivo contro l’individualismo borghese. Non siamo i soli in Europa, abbiamo visto. Un analogo frantumarsi della politica avviene nella sinistra francese, oggi impersonata da quella donna fervente e ammaliata da Giovanna d’Arco che è Ségolène Royal. Anch’essa riscopre i valori della famiglia, convinta com’è che la politica sia impopolare non perché impotente, ma perché neutrale su questioni di morale privata. Nelle scorse settimane ha ascoltato Sarkozy appassionarsi per l’identità nazionale e s’è messa a rincorrerlo. Ogni famiglia, ha annunciato, dovrebbe avere in casa il tricolore, e come ai vecchi tempi appenderlo alle finestre alle feste nazionali.
La politica dei valori è un termine che rispetta poco il principio di non contraddizione - per definizione la politica governa valori discordanti - e s’è insediata in Occidente dopo l’esperienza Thatcher. Cominciò a propagandarla John Major, per fronteggiare il declino dei conservatori, quando parlò di «basic values»: una bandiera ripresa dal nuovo laburismo. L’ammirazione per Blair, a sinistra come a destra, non è casuale in Europa. Senza temere di contraddirsi, le sinistre stanno appropriandosi di slogan che in Francia appartennero alle destre di Pétain: travail-famille-patrie (lavoro-famiglia-patria) sembra quasi soppiantare fraternità libertà e uguaglianza. Il politico che propone questi valori può vincere un’elezione, ma alla lunga può perdere. Così come è perdente l’opposizione che ogni sera invita il governo a dimettersi. Quel che si ottiene è una politica che fa harakiri, incapace di legiferare con spirito laico. Di laicità si discute molto, e spesso a sproposito: viene descritta come un’ideologia dello scetticismo, del relativismo. Il cardinale Scola, a Rai 1, l’ha definita così: «Somiglia a una notte in cui le vacche son tutte nere». Questa tendenza a identificare lo Stato laico con una filosofia serve lobby e disegni di potere coltivati in nome di culture religiose. Se la laicità è una filosofia come le altre, allora tutte le filosofie, religiose o no, possono governare la città, imponendo o impedendo leggi. In Germania, nei giorni scorsi, si è giunti a una vera perversione. Un giudice ha negato il divorzio rapido a una giovane marocchina picchiata dal marito musulmano, perché sposandolo doveva sapere che il Corano concede il «diritto alla punizione corporale». Le gerarchie cattoliche rischiano derive non diverse, quando chiedono che una legge sia fatta o non fatta su indicazione della Cei.
La laicità non è un’ideologia. È un metodo che consente a individui di diversa cultura, a credenti e non credenti, di convivere senza distruggersi. È lo strumento che permette di separare la politica da fede e cultura, e di evitare che la sovranità sia spartita tra i due poteri, temporale e spirituale. La diatriba è antica. Nei primi del ’600, frate Paolo Sarpi considerava tale spartizione fonte di temibili turbolenze. Difendendo la Repubblica veneziana dalle pressioni del Vaticano scriveva che non era possibile l’esistenza di due poteri eguali e indipendenti, e che per la conservazione della «quiete» - oltre che per rispettare la parola di Cristo: «Il mio regno non è di questo mondo» - occorreva che leggi e politica spettassero solo al Principe. Era colpa della politica, aver delegato alla Chiesa sovranità che non le spettavano. Era una forma di superstizione, e la Chiesa che ne profittava era accusata di petulanza.
Questa tradizione non è mai venuta meno nel cristianesimo. Jacques Maritain parlava di «principi immutabili» e della superiorità spirituale della Chiesa sul Principe, ma sosteneva che la realizzazione dei valori doveva tener conto delle circostanze e dell’autonomia acquistata dalla società politica, attenendosi al principio pluralistico e a quello del minor male. Antonio Rosmini affermava che i privilegi erano una piaga cristiana, e che una Chiesa con meno privilegi era una Chiesa più libera dallo Stato. La sinistra riscopre la famiglia, Ségolène e Sarkozy rispolverano l’identità nazionale. In realtà non s’appropriano di valori trascurati o rubati. Si adeguano a quel che immaginano essere una volontà generale, presupponendo che essa sia bene interpretata da Le Pen, di cui tutti i candidati sono mimetici figli: Ségolène quando esalta il tricolore; Sarkozy quando elogia l’identità nazionale, il centrista Bayrou quando fa sapere che la virilità è quel che sua moglie ammira in lui.
I valori diventano così qualcosa di astratto: si fanno perfino guerre, in nome di nobili invenzioni. Maritain, ancora, diceva che soggetti di diritto dovrebbero essere non entità astratte come «verità» o «errore» ma le persone umane, prese individualmente e collettivamente. Altrimenti la realtà evapora, la persona concreta si fa invisibile. Sono invisibili le unioni alternative, in aumento ovunque perché la famiglia è in frantumi. È invisibile l’Europa, quest’insieme di persone che cercano di recuperare la sovranità perduta dalle patrie. Da queste cecità scaturisce la strategia dei Valori. L’astratto furore si presenta come nobile, ma abbassando il Principe corrompe sia la politica sia i valori.
Intervista a: ROSA RUSSO IERVOLINO
Per il sindaco di Napoli «le famiglie si difendono costruendo asili, non intervenendo nelle decisioni del Parlamento»
«Certi vescovi io li manderei a fare i missionari»
di Marco Bucciantini (l’Unità, 01.03.2007)
«Ringrazio il Padreterno, in cui credo, perché sono “costretta” ad occuparmi dei problemi concreti delle famiglie, e non ho tempo da perdere in discussioni su quale sia la vera famiglia...»
Sindaco Iervolino, anche i vescovi credono in Dio. E non hanno dubbi: di famiglia ce n’è una sola. Inquadrare per legge altri tipi di convivenza significa iniziare scivolare su un crinale pericoloso, fino a sprofondare nella pedofilia o nell’incesto, già permessi in Olanda e Germania.
«Come si fa ad ascoltare queste cose? Non meritano commento. Non vi do modo di titolare: la vecchia cattolica contro i vescovi. Non facciamo il fronte anti-chiesa. È un consiglio strategico: i toni accesi non chiamano toni altrettanto accesi. Sono profondamente convinta della laicità dello Stato, non la considero minacciata dalle parole dei vescovi. L’altro giorno, intervenendo ad un convegno, De Mita ha detto: la Chiesa ha il dovere di testimoniare ciò in cui crede. Noi abbiamo il dovere di scegliere quello che è il bene massimo per la comunità concretamente possibile da raggiungere. E agire di conseguenza».
Qual è il bene massimo raggiungibile?
«Trovare una casa alle famiglie, alle coppie. Tutte le coppie. Questo significa difendere le famiglie. A Napoli abbiamo problemi di edilizia popolare, che va rilanciata. E siamo senza territorio per costruire, è tutto sfruttato, la densità abitativa è già massima». Trovata una casa, c’è da mandare i figli all’asilo. «Prima che diventasse sindaco Bassolino qui nemmeno esistevano. Ne ho trovati 17, adesso sono 25 e alla fine del mio mandato ne vorrei lasciare 50. Per un milione di abitanti sono pochi».
E quando i bambini crescono?
«Vanno per la strada, si perdono, sono inghiottiti dal traffico di droga, diventano corrieri. E noi sindaci siamo senza soldi per rafforzare l’assistenza sociale. Mi piacerebbe che qualcuno battagliasse con noi su questo fronte...».
Invece per i vescovi la minaccia per le famiglie sono i Dico...
«Questi vescovi che parlano così li manderei tutti in missione, a rendersi conto dei guai che tormentano la gente».
Come si argina l’attacco della Cei?
«Sostenendo il ruolo delle Istituzioni, lo Stato dove un Parlamento può e deve lavorare per trovare le soluzioni. L’ho detto alla Moratti, scesa in piazza a Milano per chiedere sicurezza. Le leggi non si fanno con i cortei. Con i Dico-day, con i family-day si combina poco».
Perché la Chiesa ha inasprito i toni, in un crescendo che nemmeno il cambio di guardia alla Cei ha rallentato?
«E che ne so? Chiedete a loro. Ognuno adotta il proprio stile. Io vado avanti, credo nello Stato laico, nella libertà di coscienza dei cattolici».
Da “vecchia cattolica” non prova imbarazzo?
«È un secolo che ci sentiamo in difficoltà. La mia generazione è quella del Concilio. Con Tina Anselmi, Maria Eletta Martini, Sergio Mattarella siamo finiti sotto accusa per aver fatto una scelta di sinistra, per noi l’unica coerente con i i principi di giustizia che un cristiano deve perseguire».
E adesso cosa insegue un sindaco cattolico?
«Sono qui, di sabato sera, a studiare il bilancio. È un’impresa. Ne dico una: il tribunale dei minori affida ai sindaci i bambini allontanati dai genitori che non possono crescerli, o perché in carcere, o coinvolti in problemi di droga o persi in altri guai. Le case-famiglia che si occupano di questi figli per conto dell’amministrazione le ho potute pagare fino al 2005. Sono 15 mesi che non abbiamo una lira da dare loro, ma i bambini che hanno in affidamento devono mangiare tutti i giorni...».
I cammelli al galoppo nella cruna dell’ago di Eugenio Scalfari (“la Repubblica”, 13 maggio 2007)
Il familismo è la base della società italiana, così ha scritto ieri su questo giornale Francesco Merlo e tutti concordiamo con lui. Lo è nel bene e nel male. Tutti siamo figli di mamma - si dice e si sa - e di mamma ce n’è una sola; a lei si ricorre anche nell’età adulta per ritrovare serenità, conforto, ristoro ed anche, con l’avanzare degli anni, per proteggerla e accompagnarla affinché non si senta sola in vista dell’ultimo appuntamento.
Familismo non è necessariamente sinonimo di famiglia. Il primo è un modo d’essere e di sentire, la seconda è un’istituzione convalidata da un contratto che per i cattolici realizza anche un sacramento. Spesso però quei due termini coincidono ibridandosi reciprocamente. Quando questa compenetrazione avviene la microistituzione familiare si chiude a riccio, esclude e non include, rischiando di diventare omertosa e di far prevalere la difesa dei propri confini sulla solidarietà civica e perfino sull’amore del prossimo.
Le società profondamente cristiane - se ancora ce ne sono - conoscono questo contrasto che ha le sue radici addirittura nella predicazione di Gesù di Nazareth. Dopo aver incitato i discepoli e il popolo che lo seguiva all’amore e alla carità, egli aggiunse: «Voi credete che io sia venuto a portare la pace ma io ho portato la spada. Io metterò il padre contro il figlio, la figlia contro la madre, il fratello contro il fratello. Chi verrà con me abbandonerà la famiglia. La mia famiglia non sono mio padre e mia madre ma siete voi che credete in me».
È un passo dei Vangeli molto controverso che ha una sola interpretazione possibile: Gesù pone se stesso come simbolo di carità e amor del prossimo e vede i legami familiari e l’egoismo di gruppo che li può intridere come una barriera da abbattere se il cristiano vuole aprirsi al comandamento dell’amore del prossimo.In questa visione la famiglia, luogo di amore, non può che essere aperta e inclusiva. Se non lo è il Maestro esorta i suoi seguaci ad abbattere il muro che la protegge e ad aprire le braccia e il cuore al Dio della misericordia, della tenerezza, del bene.
Noi laici, ma non ghibellini, vorremmo che questa fosse la visione della famiglia che ha radunato ieri, in piazza San Giovanni, una gran folla di persone per iniziativa di molte associazioni cattoliche, dei preti e dei Vescovi italiani. I promotori di quel raduno hanno sostenuto che proprio questa è stata la sua motivazione. E poiché l’istituzione familiare vive nel nostro tempo e deve sopperire ai bisogni e alle sfide quotidiane, gli obiettivi concreti della manifestazione sono stati anche quelli di premere sul governo affinché delinei una politica di sostegno economico alle famiglie per renderle più sicure del loro futuro e indurle anche per questa via a crescere e a moltiplicarsi.
Ebbene, spiace dirlo ma le cose ieri pomeriggio non sono andate così. Né era possibile - ammettetelo - che quella moltitudine non fosse strumentalizzata. Basta aver visto con quale entusiasmo sono stati accolti prima Fini e poi Berlusconi. Basta aver ascoltato le parole pronunciate da quest’ultimo un minuto prima di fare la sua comparsa e incassare l’ovazione che gli è stata tributata dalla piazza di San Giovanni.
«Io sono qui» ha detto «per testimoniare che i veri cattolici non possono stare a sinistra; non possono stare con i comunisti che hanno ridotto la Chiesa al silenzio e ancora vorrebbero ridurre la religione a un fatto privato. Io sono qui per far sì che la Chiesa possa liberamente parlare e affermare la propria verità e i propri valori che sono anche i nostri».
E così é stato servito il buon Pezzotta, organizzatore ufficiale del raduno, affannatosi per settimane a rassicurare che nessun colore politico avrebbe prevalso in quella piazza e in quella moltitudine, che cattolici e non cattolici avrebbero potuto e dovuto affratellarsi in nome della famiglia, dei suoi diritti e dei suoi doveri.
Se Pezzotta - come ci ostiniamo a sperare per lui - è un uomo di buona fede, dovrebbe aver passato una pessima nottata nel constatare che i suoi sforzi sono stati ridicolizzati dalla realtà. Oppure - se si rallegrerà per quanto è accaduto - dovremo concludere che ha tentato di prendere in giro gli italiani che la pensano diversamente dalle piazzate berlusconiane.
Che Pezzotta sia un ingenuo si può anche concedere, ma sono altrettanto ingenui i vescovi della Conferenza episcopale? E il papa che anche dal Brasile ha seguito con attenta intenzione la manifestazione romana? (Apprendo ora dal telegiornale che Pezzotta con aria felice ha detto: «Il papa sarà contento di questa giornata».Tanto ingenuo dunque non è).
In realtà il Vaticano e le diocesi italiane stanno assordando da anni gli italiani con lo sventolio dei loro interessi e dei valori usati per ricoprirli. Hanno trasformato la Chiesa italiana nella più potente delle "lobby". Hanno voluto il raduno di Roma per mettere in scena una prova di forza politica e muscolare. Hanno attinto a piene mani ai fondi provenienti dall’8 per mille versato nelle loro casse dallo Stato italiano. Stanno risuscitando il clericalismo e l’anticlericalismo. Sono entrati a gamba tesa nell’agone politico a dispetto della lettera e dello spirito del Concordato.
Questo è accaduto ieri. Non vorremmo usare parole gravi ma la giornata di ieri ha indebolito la democrazia italiana. Non perché tanta gente si sia riunita per far sentire la sua adesione ai valori e agli interessi delle famiglie; ma perché quella stessa gente è stata manipolata dalle destre e dalla Chiesa in perfetta sintonia tra loro. Trono e altare, come ai vecchi tempi.
Vengono in mente i farisei denunciati da Gesù come sepolcri imbiancati e viene in mente anche la biografia privata di molti capi della destra a cominciare dal suo leader massimo.
Ho già detto: non siamo ghibellini. Ma sentiamo che forze potenti ci spingono a diventarlo. Siamo contro chi volesse ridurre la Chiesa al silenzio, anche se non c’ è nessuno che lo voglia. Ma siamo soprattutto contro chi sta riducendo al silenzio i laici e facendo a pezzi la laicità.
* * *
Da questo punto di vista bene hanno fatto i radicali e quanti ne hanno condiviso l’iniziativa a promuovere il raduno del "coraggio laico" a piazza Navona. La sproporzione delle forze in campo era evidente e proprio per questo è stata usata la parola coraggio.
Il grosso del centrosinistra era assente. In ascolto, hanno detto i suoi leader. Ebbene, ora hanno ascoltato. Di incoraggiamenti per una politica di sostegno finanziario alle famiglie non c’era bisogno: una parte delle scarse risorse disponibili è già stata impegnata dal governo in quella direzione; altre provvidenze saranno decise nel convegno di Firenze promosso dal governo e Rosy Bindi.
Resta l’accoppiata tra la Chiesa italiana e la destra, fragorosamente espressa da mesi e culminata nella giornata di ieri. Si spera che i leader del Partito democratico abbiano ascoltato con profitto e che almeno un briciolo di coraggio laico sia penetrato nelle loro menti.
Gesù di Nazareth rovesciò i tavoli dei mercanti e li scacciò a frustate dal Tempio. Gesù di Nazareth predicava la pace ma sapeva usare la spada quando fosse necessario.
Ha detto tante cose Gesù di Nazareth. Forse i laici dovrebbero promuovere un raduno di massa intitolato al suo nome per vedere fino a che punto la Chiesa di oggi abbia ancora il diritto di usarlo e non parli invece sempre di più con lingua biforcuta. Per vedere se il ritorno al nuovo temporalismo sia un fatto positivo o negativo per il sentimento religioso. Per vedere se i papisti di oggi lottino ancora affinché gli ultimi siano i primi. Infine per capire se i cammelli riescano a passare nella cruna dell’ago o se quella cruna non sia diventata una ampia autostrada dove i cammelli transitano al galoppo con tutto il carico delle loro ricche mercanzie.
Sì, bisognerebbe proprio farlo un raduno di massa su Gesù di Nazareth. Non credo che il trono e l’altare uniti insieme siano di suo gusto, figlio dell’Uomo o figlio di Dio che lo si voglia considerare.